lunedì 30 aprile 2012

Stalking: legittimo divieto di avvicinarsi ai luoghi ''frequentati dalla persona offesa''


Cass. Pen. sez. V, sent. 11.4.2012 n° 13568

Il disposto di cui all’articolo 282 ter del codice di procedura penale non osta ad una mancata predeterminazione giudiziale dei luoghi su cui vige il divieto; ciò ove le abitudini della vittima non consentano una simile determinazione.
La misura cautelare dell’allontanamento può, quindi, “seguire” la vittima.
Secondo quanto precisato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 11 aprile 2012, n. 13658 la normativa concernente le misure cautelari deve essere interpretata al fine di soddisfare, in qualsiasi forma e modo, le sottese esigenze cautelari.
Nella fattispecie concreta un soggetto indagato per atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., aveva proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato la misura del divieto di avvicinamento.
Tra i motivi del ricorso:
    l’insussistenza dei gravi indizi propedeutici alla concessione della misura;
    l’eccessività genericità del contenuto cautelare.
I giudici della Corte, però, rigettano il ricorso.
Secondo la Corte occorre la verifica degli stili di vita nonchè delle abitudini della “vittima” – persona offesa, ove le stesse sfuggano ad una precisa predeterminazione giudiziale, ad esempio per esigenze di relazione o di lavoro.
Il giudicante può adottare delle formule che siano più congeniali alla ipotesi concreta, e che, quindi, possano consentire alla persona offesa di mantenere un’area di protezione efficace avverso gli atti persecutori dell’indagato, ovunque essa si trovi.
Nel caso in cui la persona offesa, vittima degli atti persecutori, non abbia, pertanto, luoghi abituali di frequentazione, è compito del giudice “vestire a misura”, anche se in modo generico, il bisogno di protezione che lo stesso ordinamento ha inteso consentire di tutelare con la normativa sul tema.

(Da Altalex del 23.4.2012. Nota di Manuela Rinaldi)