sabato 28 giugno 2014

NESSUNA SANZIONE PER LE STRISCE BLU

A chi parcheggia sulle strisce blu oltre l’orario pagato non si applica alcuna sanzione amministrativa, poichè è tenuto solo al saldo della tariffa non corrisposta.
Questa la sintesi, utile ed interessante non solo per gli operatori del diritto ma soprattutto per i cittadini, dell’incontro organizzato dall’AGA sul tema ““Disciplina delle aree a parcheggio: parcheggio a pagamento (strisce blu)”, tenutosi stamane nella  sala “Romeo” del Palazzo delle Culture di Giarre, che ha visto brillanti relatori il notaio Filippo Patti ed il Giudice di Pace Massimo Lo Giudice.

L’incontro è stato introdotto dal Sindaco di Giarre Roberto Bonaccorsi, il quale ha colto l’occasione per confermare che, col trasferimento dell’Ufficio del Giudice di Pace nell’ex Palazzo di Giustizia di corso Europa, l’AGA e gli avvocati riavranno la loro sala.

Basandosi sul principio di legalità, sulla corretta interpretazione delle norme e su recenti circolari del ministero delle Infrastrutture e Trasporti, dopo aver sottolineato le numerose sviste della Giurisprudenza nomofilattica con errati richiami normativi, i relatori hanno convenuto che nel caso di sosta illimitata a tariffa, il pagamento parziale e comunque insufficiente costituisce un mero inadempimento contrattuale, e non violazione di una norma di comportamento.

Ciò implica che è sufficiente a riparare il versamento del saldo della tariffa non corrisposta senza applicazione di alcuna multa, perché gli unici obblighi previsti dal codice in materia di sosta sono quelli di segnalare in modo chiaramente visibile l’orario di inizio della sosta, qualora questa sia permessa per un tempo limitato, e quello di mettere in funzione il dispositivo di controllo della durata della sosta, ove questo esista; adempimenti, questi, che l’automobilista compie laddove paga la sosta per il tempo inizialmente previsto, a prescindere del fatto che poi, spesso per cause indipendenti dalla sua volontà, “sfori” col tempo.

Tra gli interventi, quelli del comandante della Polizia Municipale locale Maurizio Cannavò e del rappresentante dell’associazione commercianti Armando Castorina.

Il Presidente dell’AGA Giuseppe Fiumanò ha annunciato un incontro, a breve, sul Processo civile telematico.

venerdì 27 giugno 2014

GLI AUMENTI DEL C.U., PER LA NOSTRA GIOIA…

Estratto dal D.L. n. 90 del 24.6.2014

Art. 53
(Norma di copertura finanziaria)

1. Alla copertura delle minori entrate derivanti dall'attuazione delle disposizioni del presente capo, valutate in 18 milioni di euro per l'anno 2014 e 52,53 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, di cui 3 milioni di euro per l'armo 2014 e 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 per l'attuazione dell'articolo 46, comma 1, lettera d), 15 milioni di euro per l'anno 2014 e 42,53 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 per l'attuazione dell'articolo 52, comma 2, lettere a), b) e c), si provvede con le maggiori entrate derivanti dall'aumento del contributo unificato di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al quale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 13, comma 1, alla lettera a) le parole: «euro 37» sono sostituite dalle seguenti: «euro 43»;

b) all'articolo 13, comma 1, alla lettera b) le parole: «euro 85» sono sostituite dalle seguenti: «euro 98»;

c) all'articolo 13. comma 1, alla lettera c) le parole: «euro 206» sono sostituite dalle seguenti: «euro 237 »;

d) all'articolo 13, comma 1, alla lettera d) le parole: «euro 450» sono sostituite dalle seguenti: «euro 518 »;

e) all'articolo 13, comma 1, alla lettera e) le parole: «euro 660» sono sostituite dalle seguenti: «euro 759»;

f) all'articolo 13; comma 1, alla lettera f) le parole: «euro 1.056» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.214»;

g) all'articolo 13, comma 1, alla lettera g) le parole: «euro 1.466» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.686»;

h) all'articolo 13, il comma 2 e' sostituito dal. seguente: «2. Per i processi di esecuzione immobiliare il contributo dovuto e' pari a euro 278. Per gli altri processi esecutivi lo stesso importo e' ridotto della meta'. Per i processi esecutivi mobiliari di valore inferiore a 2.500 euro il contributo dovuto e' pari a euro 43. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi il contributo dovuto e' pari a euro 168.»;

i) all'articolo 13, comma 5, le parole: «euro 740» sono sostituite dalle seguenti: «euro 851».

2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro della giustizia provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui alla presente legge e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia provvede, con proprio decreto, all'aumento del contributo unificato di cui al medesimo comma 1, nella misura necessaria alla copertura finanziaria delle minori entrate risultanti dall'attivita' di monitoraggio.

3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti ed alla adozione delle misure di cui al secondo periodo.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.



Art. 54
Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo (25 giugno 2014 NdAGANews) a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Aiga: Orlando dimostri di passare dalle parole ai fatti

Lunedì la presentazione del pacchetto giustizia

«L'entrata in vigore del Processo Civile Telematico il prossimo 30 giugno, data nota ormai da un paio d'anni, ha tuttavia reso necessario l'utilizzo della decretazione di urgenza. Perché questo purtroppo è lo stato del nostro Paese: urgenza di analisi serie e ponderate che tengano conto delle conseguenze di determinate scelte. È tempo che lo sguardo sia rivolto veramente al futuro e abbandoni la miopia che è ha caratterizzato interventi spot, senza alcun progetto complessivo sulla giustizia». È netta la posizione di Nicoletta Giorgi, presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, a pochi giorni dall’attesa entrata in vigore del PCT. Una data tanto attesa dai giovani avvocati, una vera riforma epocale degli ultimi tempi, «risultato di un confronto intellettualmente onesto - AIGA ha denunciato i veri numeri di attuazione del processo telematico - ma allo stesso tempo determinato a non abbandonare il percorso intrapreso e sul quale crediamo fermamente», spiega l’avvocato Giorgi. Il paradosso del PCT: lo Stato risparmia, ma aumenta il contributo unificato L'introduzione del PCT non si è però sottratto ad una apparente illogicità di fondo: «Telematizzare – spiega la presidente dei giovani avvocati - significa far risparmiare lo Stato, e questo a detta del ministro che a dicembre ha reso noto le cifre a sei zeri, tuttavia ha comportato l'aumento (l'ennesimo) del contributo unificato. Il PCT oltre a portare le novità evidenti a tutti ha confermato una volta di più un sospetto che circolava da tempo: il contenzioso giudiziario costituisce una voce delle entrate statali in costante crescita e senza che ciò comporti scioperi da parte dei sindacati. Si perché lo sciopero dell'avvocatura, in qualsiasi forma venga svolto, abbiamo visto che purtroppo non incide sulle scelte economiche del Paese. Ubi maior...». Dove sono finiti i milioni di euro raccolti dal sistema Giustizia nel corso degli anni? Nel caso di aumento in questione la cosa però è un po' diversa rispetto al solito: dando agli avvocati il potere di autenticare gli atti formatisi all'interno del processo telematico (togliendo così i costi dei diritti di autentica) si tolgono allo Stato 15 milioni di euro per il 2014 e 42,5 milioni di euro per il 2015. «Dove sono finiti – chiede l’avvocato Giorgi – tutti questi soldi pagati negli scorsi anni? Perché oggi il ministero della Giustizia stanzia 8 milioni per il PCT passando il provvedimento come una grande concessione dettata dalla situazione da noi denunciata?» Se la giustizia, ossia la richiesta di tutele del cittadino, di rispetto di quelle regole che giustificano la creazione della società civile, è un sostentamento economico per il Paese, allora è giusto che, il cittadino che chiede giustizia abbia di più. «Se è pur vero che nei procedimenti monitori fino a 52.000 euro di valore, l'aumento del contributo unificato è compensato dalla eliminazione dei diritti di autentica, le cause ordinarie non godranno in automatico di tale operazione, ma anzi saranno solo più costose. Perché non intervenire in modo mirato solo sui procedimenti monitori a condizioni immutate? Perché non utilizzare per la giustizia gli importi pagati per il suo accesso da parte dei cittadini? Perché lo Stato ha bisogno di denaro e le uscite in alcuni settori sono emorragiche. È tempo però che si giochi a carte scoperte», invita la presidente dei giovani avvocati italiani. Lunedì la presentazione del pacchetto giustizia: «Orlando dimostri di passare dalle parole ai fatti» Lunedì il ministro Orlando presenterà il pacchetto giustizia: un’occasione per mostrare che i propositi saranno trasformati in provvedimenti concreti. «Il ministro – conclude Nicoletta Giorgi – dovrà dimostrare che il cittadino avrà finalmente un sistema giustizia efficiente, che esiste un progetto complessivo e realistico alla cui realizzazione non si dovranno inserire ostacoli economici, perché si distribuiscono in altre aree il denaro proveniente dal settore giustizia, ostacoli legati ad un sistema organizzativo ingessato, interessi di lobby (quelle vere) a non cambiare lo stato delle cose».


(Da Mondoprofessionisti del 27.6.2014)

mercoledì 25 giugno 2014

OUA CONTRO AUMENTO CONTRIBUTO UNIFICATO

L'Oua chiede un intervento
contro l'aumento del c.u.
sul processo civile telematico
previsto nella bozza di decreto

Nicola Marino, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura-Oua, ha inviato oggi una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, auspicando un suo intervento per scongiurare il previsto aumento del contributo unificato per il processo civile telematico, contenuto nella bozza di decreto legge per la riforma della pubblica amministrazione, presentata la scorsa settimana dal Governo Renzi e, ora, in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. L’Oua, scrive nella missiva Marino, si rivolge alla Presidenza della Repubblica, «quale organo supremo preposto alla osservanza delle garanzie costituzionali», affinché si eviti l’approvazione di un provvedimento che «penalizza i cittadini e costituisce un vero e proprio ostacolo per l’accesso alla giustizia in difesa dei propri diritti costituzionalmente garantiti. Non è accettabile – scrive ancora Marino - il previsto aumento del contributo unificato, ma al contrario – spiega - sarebbe auspicabile una riduzione dello stesso, quale meccanismo premiale ed incentivo per l’utilizzo del Processo Civile Telematico». L’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, conclude Marino, rivolgendosi a Napolitano, «confida nel Suo autorevole intervento per evitare un ulteriore ed ingiusto pregiudizio a carico dei cittadini e delle imprese, che continuano a sopportare una ormai annosa situazione di crisi economico-finanziaria del Paese».


(Da Mondoprofessionisti del 25.6.2014)

COME RAGGIUNGERE IL 28 PALAZZO DELLE CULTURE

Ricordiamo che Sabato 28 il corso formativo sulle "strisce blu" si svolgerà al Palazzo delle Culture di Giarre, in piazza Macherione, da anni sede di importanti incontri culturali e convegni. Peraltro, negli anni Novanta ha ospitato incontri su temi professionali organizzati dalla nostra associazione, quando ancora si chiamava Associazione Giarrese Giovani Avvocati. Da ultimo, lo scorso dicembre vi si è tenuto un evento AGA.
La struttura, in passato pure sede del locale istituto tecnico industriale, si trova -come detto- in piazza Macherione ed è facilmente raggiungibile da piazza Duomo.
Basta risalire per poche decine di metri la via Garibaldi a piedi -la strada alle spalle di piazza Duomo con senso di marcia a scendere per i veicoli- ed imboccare la prima traversa a destra. A pochi metri, dopo l'incrocio con la via De Roberto, di fronte alla piazzetta intitolata all'illustre poeta giarrese, c'è il Palazzo delle Culture.
A Sabato!

GDP, PER CARAGLIANO “FONDAMENTALE PRESIDIO DI LEGALITA’”

COMUNE DI RIPOSTO
COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE DEL 25.6.2014


Il Consiglio comunale di Riposto ha approvato lo schema di convenzione per la gestione associata degli Uffici del Giudice di Pace di Giarre. Sulla scorta della tabella dei costi previsti, l’onere a carico del Comune di Riposto ammonta a 28.470,71 e verrà coperto con l’assegnazione di una unità lavorativa ascritta alla categoria C il cui costo annuo è pari a 29.816,57 euro.

Il sindaco di Riposto Enzo Caragliano esprime il proprio compiacimento “per il senso di responsabilità dimostrato dal Consiglio comunale che ha votato all’unanimità la proposta di deliberazione. Il Giudice di Pace – rimarca il primo cittadino ripostese - è un presidio di legalità fondamentale per il territorio e l’amministrazione comunale di Riposto non si è sottratta ai propri impegni di supporto, ritenendo condivisibili le motivazioni che inducono a mantenere gli uffici del Giudice di pace di Giarre per gli evidenti riflessi positivi nei confronti dell’utenza”.

US/MARIO PREVITERA

venerdì 20 giugno 2014

IL 28 EVENTO FORMATIVO: STRISCE BLU



www.agagiarre.it
Associazione Giarrese Avvocati
FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA 2014

Sabato 28 Giugno 2014, ore 9–12

Sala “Romeo” Palazzo delle Culture
 Piazza Macherione - Giarre

Incontro sul tema:
“Disciplina delle aree
a parcheggio: parcheggio
a pagamento (strisce blu)”

Relatori:
Dott. Filippo Patti Notaio
Avv. Massimo Lo Giudice Giudice di Pace

La partecipazione all’evento, in corso di accreditamento
da parte dell’Ordine Avvocati di Catania, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA.
Ai non iscritti è richiesto un contributo-spese di € 5,00.

           Il Segretario                                                                       Il Presidente
      Avv. Mario Vitale                                                          Avv. Giuseppe Fiumanò

giovedì 19 giugno 2014

AVVOCATI A RISCHIO INPS

56mila avvocati iscritti alla Cassa Forense
rischiano di essere in mora con l'Inps

La denuncia viene dall’Associazione Nazionale Forense alla luce della lettera di osservazioni (con richiesta di modifiche) inviata dal ministero del Lavoro, di concerto con il Ministero della Giustizia e dello Sviluppo Economico sulla proposta di regolamento attuativo per l'applicazione dell'articolo 21 della nuova legge forense (obbligo di iscrizione all'albo e alla Cassa). “La scelta di Cassa Forense – segnala Ester Perifano, segretario generale dell’Anf – peraltro bocciata dal Ministero del Welfare, di far decorrere l’iscrizione obbligatoria da febbraio 2013 per i circa 56mila avvocati che erano iscritti alla gestione separata dell’Inps o che non avevano mai versato nulla, rischia di pesare sulle spalle dei professionisti che, oggi, non sanno che fare per regolarizzare la loro posizione. Questa situazione di incertezza rischia di tradursi in un ulteriore aggravio per tanti avvocati, che spesso non sono solo giovani all’inizio del loro percorso lavorativo. La decisione del Ministero del Lavoro – continua Perifano - conferma quanto abbiamo sempre detto sull’argomento, e cioè che le indagini attuariali, poste a base delle decisioni, erano insufficienti. Il Ministero chiede correttamente previsioni endoregolamentari, che prendano atto, entro tempi prestabiliti,al massimo un anno dall’approvazione del Regolamento, delle mutate condizioni della platea degli assicurati. Ora questo allungarsi dei tempi, preoccupa anche sotto il profilo della regolarità contabile : quello del 2013 è stato approvato considerando introiti che, per effetto del parere ministeriale, oggettivamente non sono iscrivibili e che ovviamente non saranno presenti in futuro. Occorre ora, alla luce della mutata situazione, che la Cassa si faccia carico di promuovere tempestivamente una capillare campagna di informazione per rendere più chiare e trasparenti le regole , anche alla luce delle richieste ministeriali, in modo da consentire che gli avvocati scelgano le soluzioni per loro più convenienti e, soprattutto, evitino di pagare per errori commessi da altri” conclude Perifano.


(Da Mondoprofessionisti del 19.6.2014)

Sul diniego rinnovazione locazione non abitativa

Cass. Civ., Sez. III, 19.12.2013, n. 28469

La questione.

L’articolo 31, legge 392/1978 prevede delle sanzioni a carico del locatore che non adibisce tempestivamente l’immobile all’uso che costituisce il motivo in base al quale aveva ottenuto il rilascio dell’immobile stesso.

Se il locatore non rispetta tale termine, non per sua inerzia ma perché i lavori di ristrutturazione si sono protratti per un periodo di tempo eccessivo, risponde ugualmente delle conseguenze stabilite dalla suddetta norma?

Premessa.

Dalla sentenza in rassegna emerge che il comportamento posto in essere in violazione del citato art. 31, integra gli estremi della responsabilità per inadempimento, la quale si colloca nell’ambito del quadro normativo delineato dagli artt. 1176 e 1218 c.c.. Le sanzioni previste dall’art. 31 possono consistere o nel ripristino del contratto o nel risarcimento del danno a favore del conduttore.

Invece, per potersi sottrarre alla predetta responsabilità, il locatore deve dimostrare che l’immobile è stato adibito in ritardo, non per un comportamento doloso o colposo del locatore stesso, bensì per “esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela”, così come emerge dal testo della sentenza in discorso. L’onere della prova grava dunque sul locatore.

Il fatto.

Il proprietario dell’appartamento concesso in locazione a B. P. – per uso non abitativo – ottiene la disponibilità di tale immobile in forza del provvedimento di rilascio pronunciato dal Pretore di Parma. Il motivo, in base al quale tale provvedimento viene emanato, è la destinazione dell’appartamento in discorso all’uso abitativo del figlio del proprietario.

A distanza di alcuni anni, però, il Sig. B.P. si accorge che in realtà l’immobile non è stato destinato al suddetto uso. Per tale ragione ricorre al Tribunale di Parma per sentir condannare il proprietario al risarcimento del relativo danno, così come previsto dal già menzionato art. 31, L. 392/1978. La domanda viene accolta, e successivamente confermata dalla Corte d’appello di Bologna.

Può essere interessante evidenziare il rilievo che la Corte territoriale conferisce al certificato anagrafico ed alla intestazione delle utenze. Ed è proprio sulla base di

tali elementi, infatti, che la stessa Corte, valutandoli alla stregua del quadro normativo inerente alla “prova per presunzioni”, e preso altresì atto che non vi sono prove contrarie, giunge poi a decidere “che al momento della proposizione del ricorso del B., il figlio del locatore M. non abitava ancora nell’immobile”.

Il giudizio in cassazione.

Il proprietario presenta ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 31, co. 1, L. 392/1978. In estrema sintesi, il locatore (proprietario) sostiene che il mancato rispetto del termine di sei mesi previsti dallo stesso art. 31, è dovuto al fatto che l’immobile non poteva essere subito destinato all’uso abitativo del figlio, perchè bisognava prima eseguire degli “importanti lavori di ristrutturazione”.

In secondo luogo, il ricorrente evidenzia che l’edificio rientra nella fattispecie disciplinata dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089 con la conseguenza che, per poter legittimamente effettuare delle modifiche, era prima necessario ottenere “l’autorizzazione della competente Autorità”. In effetti, il relativo progetto era stato presentato entro i sopramenzionati sei mesi previsti dall’art. 31 il quale, secondo il ricorrente, sarebbe stato comunque rispettato perchè la richiesta, per l’autorizzazione ad eseguire le ristrutturazioni, era in effetti stata presentata entro il suddetto termine. La Corte di cassazione, però, decide che tale (unico) motivo non è fondato. In particolare, il giudice di legittimità precisa che il proprietario ha ottenuto la restituzione dell’immobile per destinarlo all’ uso abitativo del figlio, e non per eseguire opere di ristrutturazione. Invero, si tratta di due ipotesi distinte, entrambe disciplinate dal suddetto 29, della L. 392/1978 rubricato, appunto “Diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza”. Per la precisione, alla lett. a) è previsto il motivo consistente nell’ “Adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta”. Alla lett. d) è invece previsto quello consistente nel “ristrutturare l’immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto nell’articolo 12 della legge 11 giugno 1971, n. 426 e ai relativi piani comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell’immobile”.

Dunque, abitazione e ristrutturazione sono due dei distinti motivi elencati dal sopraindicato art. 29.

Il locatore che vuole validamente manifestare il diniego della rinnovazione del contratto alla prima scadenza deve, nella disdetta, indicare almeno uno dei motivi previsti da tale norma.

La Corte rimane così conforme al suo precedente orientamento (Cass.: 2684/1991, n° 6462/2000, n° 23296/2004, n.° 11014/2011), e ribadisce che l’art. 31 non prevede una responsabilità oggettiva, ma una presunzione che può essere superata dal locatore se riesce a provare in concreto la presenza di una “giusta causa meritevole di tutela”, non riconducibile ad un suo comportamento doloso o colposo.

Ma la Corte decide che “nulla di ciò è stato dimostrato dal M.”.

Il giudice di legittimità muove dall’accertamento svolto dalla Corte d’appello di Bologna, secondo la quale “al momento della proposizione del ricorso il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile come univocamente desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle utenze, oltre che dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria”, per giungere poi alla decisione che il locatore non ha provato di aver rispettato il termine dei sei mesi previsti dall’art. 31, della L. 392/1978.

In particolare, il ricorrente sostiene che i lavori si sono protratti “fino a due o tre anni prima”. Ed è per tale ragione che non ha potuto rispettare il termine previsto dal sopra citato art. 31.

La Corte di cassazione decide che il protrarsi del lavori è un fatto irrilevante in quanto il ricorso è stato presentato con molto ritardo, per la precisione sei anni dopo il rilascio dell’immobile, e dunque l’esisto della decisione non cambierebbe comunque.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese.


Marcello Pugliese (da diritto.it del 18.6.2014)

mercoledì 18 giugno 2014

LA BUGIA DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

Sulla geografia giudiziaria la commissione ministeriale
  stila un documento di propaganda


«Sembra una difesa d’ufficio o un libro dei sogni: il documento redatto dalla Commissione di monitoraggio ministeriale non solo non convince ma omette le criticità e quindi impedisce di intervenire per risolvere costruttivamente i problemi emersi sul territorio. Non solo: ammette che la ragione della chiusura di sezioni distaccate e tribunali non era il risparmio di risorse, come propagandato allora e come recepito dalla stessa Corte Costituzionale nella motivazione che ha portato a respingere il ricorso di incostituzionalità. Questa relazione, purtroppo, è in controtendenza con l’atteggiamento fin qui mostrato dal Ministro Orlando in altri ambiti. Chiediamo il suo intervento: serve una verifica reale sul campo con il coinvolgimento dell’avvocatura”  con queste parole, Nicola Marino, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, boccia la relazione redatta dalla Commissione Ministeriale incaricata di monitorare lo stato di attuazione della riforma della geografia giudiziaria.  “Ci si aspettava una analisi obiettiva, completa e realistica dello stato dell'arte - denuncia l'Oua - ci si è trovati invece di fronte ad una specie di difesa d'ufficio dell'operato dei "burocrati" del Ministero, animata più dalla preoccupazione di controbattere "a prescindere" alle mille critiche sollevate da COA, enti locali, comitati cittadini e rappresentanti politici, che dall'intento di verificare realmente la sussistenza delle criticità sollevate”. Per l'Oua l'indagine "brilla" soprattutto per genericità ed incompletezza, si riferisce solo a una parte delle sedi interessate, non riporta un solo dato numerico o statistico, espone tesi apodittiche e indimostrate. In compenso, e a conferma di quanto si evidenzia da anni:

•         viene definitivamente confermato che l'obiettivo della riforma non è il risparmio (e ciò in piena contraddizione con quanto affermato dalla Consulta per sostenerne la legittimità);

•         si ammette l'insostenibile aumento dei costi di notifiche e pignoramenti, senza indicare alcuna soluzione (il vero problema sono infatti i pignoramenti, rispetto ai quali non inciderà minimamente la notifica telematica invocata dalla relazione);

•         si ammette che la drammatica situazione di sottodimensionamento degli organici è idonea a determinare a breve il collasso del sistema;

•         si conferma la volontà politica di sacrificare la giustizia di prossimità, e le zone più disagiate e problematiche, in nome di un'efficienza in realtà inesistente;

•         si ammette che i criteri dettati dalla legge delega non sono stati rispettati.

Per l'Oua in definitiva il quadro tracciato dalla Commissione e le conclusioni cui essa perviene, non corrispondono minimamente alla situazione disastrosa che gli avvocati e i cittadini sono costretti a sopportare quotidianamente in tutta Italia e che da tempo viene denunciata dalle Commissioni Giustizia parlamentari, in particolare quella del Senato. Per questa ragione, quindi,  Marino, chiede che il Ministro, nell'ottica di rinnovata collaborazione che sta caratterizzando in questa fase i rapporti con l'Avvocatura, intervenga personalmente e disponga un monitoraggio dello stato della riforma più esaustivo e statisticamente più completo. E che voglia, altresì, nell'immediato ascoltare ufficialmente il parere e le ragioni delle rappresentanze nazionali forensi, immotivatamente escluse dai lavori della Commissione.


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 18.6.2014)

martedì 17 giugno 2014

La difesa è fondata? L'avvocato va premiato

Aumenta di un terzo il compenso professionale al legale che consente di far decidere subito la causa, grazie alla fondatezza della difesa, senza bisogno di fase istruttoria. Lo ha stabilito il Tribunale di Verona, nella sentenza n. 1153 del 23 maggio 2014, attestandosi tra i primi giudici ad applicare il nuovo decreto ministeriale n. 55/2014 sulle parcelle degli avvocati entrato in vigore lo scorso 3 aprile.
Nel caso portato alla sua attenzione, il Tribunale ha deciso di premiare la difesa della resistente, applicando l'art. 4, co. 8, del d.m. perché considerata "manifestamente fondata" e in grado di dimostrare, viceversa, la palese infondatezza della domanda di parte attrice.

Richiamando testualmente il parere del Consiglio di Stato e la relazione ministeriale al decreto, il Tribunale scaligero ha affermato che la norma ha la duplice finalità non solo di "scoraggiare pretestuose resistenze processuali" ma soprattutto di "valorizzare, premiandola, l'abilità tecnica dell'avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie". Principi applicabili ai casi in cui "il difensore di una parte riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti, e specularmente l'infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e quindi solo grazie al proprio apporto argomentativo", come avvenuto, secondo il tribunale nel caso di specie, con la causa giunta a decisione senza svolgimento di attività istruttoria, determinando pertanto la congrua applicazione dell'aumento del compenso previsto dall'art. 4, comma 8, del d.m. n. 55/2014.

(Da studiocataldi.it)

lunedì 16 giugno 2014

CHIUDERA’ ANCHE IL TAR CATANIA?

«Dal taglio dei Tar nessun risparmio
ma solo nuovi disagi per i cittadini»
«Se depotenzi i Tribunali amministrativi,
elimini i controlli sugli appalti
e paralizzi l'azione giustiziale»

Disagio, disorientamento, incertezza e preoccupazione. Questi gli stati d'animo dei magistrati amministrativi alla notizia della soppressione delle sezioni staccate dei Tar, a partire dal prossimo 1 ottobre, decisa dal Consiglio dei ministri di venerdì scorso.

«Un provvedimento - spiega il presidente facente funzioni del Tar di Catania, Salvo Veneziano - che risponde forse più a soddisfare le esigenze di immagine di un governo che vuole dimostrare di volere tagliare. Ma i benefici di efficienza ed economici sfumano, soprattutto per le grandi sedi».

Secondo il presidente Veneziano «la soppressione legalmente è possibile» perché, spiega, «le sezioni distaccate del Tar sono state create con legge ordinaria», anche nelle regioni a Statuto speciale, come la Sicilia.

«Il problema - osserva il magistrato - è capire perché si fa un'operazione del genere: ci sono sedi distaccate del Tar, come Catania, Lecce, Salerno e Brescia, che hanno carichi di lavoro notevoli. La loro chiusura comporterebbe disagi a chi si rivolge alla giustizia amministrativa, anche sul piano economico».

Il presidente Veneziano porta l'esempio di Catania: «Abbiamo quattro sezioni a fronte delle tre di Palermo - sottolinea - e un contenzioso superiore. Se chiudessero la nostra sede dovremmo trasferire tutto a Palermo: ma i giudici e il personale avrà lo stesso costo per lo Stato e non risparmierebbe neppure sulla sede perché ci vorranno nuovi locali. Inoltre, indirettamente - rileva il magistrato - l'operazione avrà un costo maggiore per la pubblica amministrazione: tutti gli Enti locali della Sicilia orientale dovranno sostenere spese maggiori per le cause pendenti, a partire dalle trasferte e dagli onorari dei legali, che aumenteranno proprio a causa delle trasferte».

«Quindi - conclude il presidente del Tar di Catania - bisogna capire perché si fa una cosa del genere: vista così, per le grandi sedi distaccate del Tribunale amministrativo regionale, sembra solo rispondere a esigenze di immagine del governo».

Sulla stessa lunghezza d'onda anche gli avvocati amministrativisti. «Il presidente Renzi - sottolinea Salvo Zappalà, presidente della sezione catanese della Camera amministrativa siciliana - aveva già preannunciato questa possibilità nei mesi scorsi, ma tutti pensavamo che si trattasse di una cosa del momento. Adesso che è stata confermata direi che siamo di fronte a un proclama, un verbale della presidenza del Consiglio dei ministri, di certo non si tratta di un atto normativo. E comunque è un controsenso perché se depotenzi i Tar elimini i controlli sugli appalti. La sezione di Catania, inoltre, che vanta quattro sezioni interne (in materia di appalti, elezioni, sanità e pubblico impiego), composte da cinque magistrati ciascuna, già stava vivendo una fase delicata dopo le dimissioni di Biagio Campanella e in attesa della nomina di Salvo Veneziano - diventa un Tribunale acefalo. E poi Palermo non può reggere il peso delle cause che afferiscono alla sezione etnea (quindi a quattro province: oltre a Catania, Siracusa, Messina e Ragusa). Parliamo di circa ventimila ricorsi all'anno. Bisognerà scegliere un'altra sede, trovare altri locali, quindi altre spese altro che risparmi. Senza pensare ai disagi a cui sarebbero costretti a sobbarcarsi i cittadini. Insomma, è un modo per paralizzare l'azione giustiziale nei confronti del cittadino».

(Da La Sicilia del 15.6.2014)

venerdì 13 giugno 2014

NESSUNA SANZIONE PER CHI NON HA IL POS

Il Ministero dell'Economia conferma
l'interpretazione del Cnf e convoca le banche

In vista della scadenza Pos, il Ministero delle Finanze convocherà "in tempi brevi" un tavolo di confronto tra il Governo, le banche e i rappresentanti degli operatori economici e professionali interessati. Confermato: nessuna sanzione per chi non avrà installato il POS. Annunciata una campagna d'informazione nei confronti dei consumatori. Il nodo della questione sono i costi: le commissioni bancarie e di transazione interbancaria. Pagare per incassare è la principale obiezione che professionisti ed esercenti contestano al Ministero delle Finanze. Se ne è fatto carico l'On Marco Causi con una interrogazione a risposta immediata al Ministero delle Finanze. Causi ha chiesto di "chiarire gli effetti dell'applicazione della norma evitando l'insorgere del possibile contenzioso che i singoli contribuenti, i professionisti, gli ordini professionali e le associazioni di categoria intendono scongiurare". Inoltre, l'introduzione dell'obbligo di accettare il pagamento in forma elettronica se il cliente lo richiede è ormai imminente e pertanto- ha dichiarato Causi- il Governo "deve realizzare un'adeguata campagna di comunicazione istituzionale volta a informare i consumatori, nonché istituire rapidamente un tavolo di confronto tra il Governo, le banche e i rappresentanti degli operatori economici e professionali, al fine di ridurre al minimo i costi di utilizzo delle carte di debito a carico di commercianti, artigiani e professionisti". All'interrogazione di Causi ha risposto favorevolmente ieri in Commissione il Sottosegretario Enrico Zanetti. Concordando con le considerazioni del deputato Causi, il rappresentante del Mef ritiene "prioritario svolgere Nessuna sanzione. La volontà della parti del contratto d'opera professionale (cliente e professionista) resta ancora il riferimento principale per la individuazione delle forme di pagamento; nessuna sanzione è prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito. La conferma è arrivata dallo stesso Zanetti: "Non risulta associata alcuna sanzione a carico dei professionisti che non dovessero predisporre della necessaria strumentazione a garanzia dei pagamenti effettuabili con moneta elettronica", ha puntualizzato. Minimizzare l'incidenza degli oneri- Nel ribadire la necessità di promuovere la diffusione e l'uso dei pagamenti con carte di debito e credito su vasta scala, nonché l'eccessivo costo dell'uso del contante Zanetti ritiene "opportuno che – al fine di massimizzare i vantaggi connessi all'implementazione della tecnologia nei sistemi di pagamento e, nel contempo, minimizzare l'incidenza degli oneri a carico delle imprese, commercianti e professionisti – vengano attivati una serie di tavoli di confronto con le banche e con gli altri operatori di mercato per ridurre i costi legati alla disponibilità e all'utilizzo dei POS, e sfruttare a vantaggio del sistema i margini di efficienza esistenti, ottenendo così una significativa compressione dei costi ed una soluzione che consenta di superare le difficoltà insite nel cambiamento prospettato". Nel confronto internazionale e tra le regioni italiane, ha aggiunto Zanetti- " emerge che tra le principali determinanti del basso utilizzo di strumenti di pagamento elettronici figurano le differenze nel reddito pro capite e nel grado di sviluppo e di diffusione dei punti di accettazione delle carte di pagamento presso le imprese e i liberi professionisti. Un impulso alla diffusione di strumenti elettronici è in grado di produrre effetti benefici per i consumatori, le imprese, le Amministrazioni pubbliche e l'economia nel suo complesso. Infatti, il sommerso e l'economia criminale sono fortemente correlati con l'uso del contante e incidono per oltre il 27 per cento del PIL. "La carta di debito assicura il buon fine dell'operazione di pagamento e richiede minori attività procedurali e di riconciliazione contabile rispetto agli altri strumenti elettronici (esempio bonifico)"- ha puntualizzato il Sottosegretario. "Nell'uso del contante, degli assegni e degli altri strumenti cartacei prevalgono, infatti, i costi variabili, connessi con le esigenze di movimentazione e di sicurezza. Per le carte di debito è invece prevalente la quota dei costi fissi di emissione degli strumenti e di gestione delle infrastrutture. Ne deriva che al crescere delle operazioni con carte di debito si riducono più che proporzionalmente i costi unitari. Sulla base della diversa struttura dei costi, si possono calcolare anche le soglie di importo di convenienza per i diversi strumenti di pagamento: per le operazioni superiori a 20-30 euro, la carta di debito si conferma essere lo strumento più conveniente sia rispetto al contante sia rispetto agli altri strumenti di pagamento".


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 12.6.2014)

giovedì 12 giugno 2014

Chirurgia estetica ed obbligo di informazione

di Lucia Nacciarone

La posizione di chi esegue operazioni di questo tipo, infatti, dicono gli Ermellini nella sentenza n. 12830 del 6 giugno 2014, è più delicata di quella del chirurgo che fa interventi necessari.

Il chirurgo estetico viene incaricato di agire per migliorare l’aspetto del paziente in qualcosa, ed è pertanto tenuto all’obbligo di richiedere il consenso informato su tutti i rischi che lo stesso può correre, compreso quello di non avere un miglioramento del proprio aspetto esteriore, ma in taluni casi (esponendo le statiche rilevanti in argomento), addirittura un peggioramento.

Solo così, continuano i giudici, il professionista fornisce al cliente l’informazione necessaria ad assumere la delicata

scelta che gli compete, cioè accettare il trattamento con il pericolo di non ottenere poi l’agognato miglioramento fisico: se il chirurgo viene meno al suo obbligo, scatta la colpa medica nonostante l’intervento sia stato eseguito in modo corretto.

E ciò, a maggior ragione perché si tratta di un intervento non necessario; più facile, quindi, per coloro che operano nel settore della chirurgia estetica, incorrere in responsabilità, col conseguente obbligo di risarcire il paziente danneggiato.

Tale responsabilità, concludono infine gli ermellini, si fonda sul combinato disposto degli articoli 13 e 32 della Costituzione, che tutelano rispettivamente la libertà personale quale diritto inviolabile dell’individuo e la salute. Il danno risarcibile tiene conto della lesione della dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica, per non essere stato il paziente messo nelle condizioni di assumere una scelta consapevole.


(Da diritto.it del 12.6.2014)

mercoledì 11 giugno 2014

False schede carburante? Dichiarazione fraudolenta

Cass. Sez. III Pen., Sent. 6.5.2014, n. 18698

La Cassazione ha stabilito che integra il reato di dichiarazione fraudolenta la deduzione di costi inesistenti mediante l’utilizzo di schede carburante false, rilasciate senza un effettivo rifornimento di carburate e dunque senza un effettivo esborso per il contribuente.

Nel caso in esame, un imprenditore aveva utilizzato delle schede carburante false per ottenere una riduzione delle imposte dovute, deducendo costi mai sostenuti, facendo comparire rifornimenti di carburante anche nei giorni in cui il distributore indicato era chiuso.

Nella sentenza della corte del luogo, all’imputato era ascritto il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture. L’imputato ricorreva in cassazione per ottenere una diversa definizione della condotta criminosa contestata.

La Cassazione si è espressa sulla distinzione tra il reato di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto) e il successivo articolo 3 del medesimo decreto.

Il primo disciplina il reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, che punisce con la reclusione da un anno e sei  mesi  a  sei  anni chiunque, al fine di evadere le imposte  sui  redditi  o  sul  valore aggiunto, avvalendosi di fatture o  altri  documenti  per  operazioni inesistenti, indica in una delle  dichiarazioni  annuali  relative  a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il secondo articolo contiene la disciplina del reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” che punisce, con la pena della reclusione nello stesso quadro edittale del reato ex articolo 2, una categoria più ristretta di contribuenti, in particolare coloro che sono tenuti a tenere scritture contabili, prevedendo anche un ambito di applicazione più limitato, essendo configurabile in caso di superamento di una determinata soglia di valore dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti all’imposta.

I giudici di legittimità hanno escluso che nel caso di specie si potesse ascrivere all’imputato il reato di cui all’articolo 3, in quanto questo ha carattere solo residuale, come si comprende facilmente dalla lettera della norma, applicabile ad una categoria più ristretta di contribuenti, cioè coloro obbligati a tenere scritture contabili.

La Suprema Corte ha, dunque, concluso che la condotta criminosa del reo integra il reato di cui all’articolo 2 del Decreto Legislativo 74/2000, confermando la sentenza dei giudici di merito impugnata e rigettando il ricorso della parte ricorrente.


Lorenzo Pispero (da filodiritto.com del 4.6.2014)

martedì 10 giugno 2014

No ai web cookie per profilazione senza consenso

di Biancamaria Consales
 
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(Da diritto.it del 10.6.2014)

lunedì 9 giugno 2014

Nuovi parametri forensi: vincolanti per il giudice?



Trib. Alessandria, Magistrato di Sorveglianza, decr. 15.5.2014

Gli avvocati non hanno nemmeno fatto in tempo a tirare un sospiro di sollievo per l’approvazione dei nuovi parametri forensi (D.M. 55/2014) che hanno posto fine alla “grande carestia” provocata dal vituperato primo decreto parametri (D.M. 140/2012) che sono subito apparse all’orizzonte pericolose interpretazioni volte a limitarne l’apparentemente positiva portata applicativa.

Il suggestivo provvedimento del 15 maggio 2014 del tribunale di Alessandria (Ufficio di sorveglianza) sostiene infatti che anche dopo l’entrata in vigore del D.M. 55/2014 la discrezionalità dei giudici nel liquidare i compensi degli avvocati rimarrebbe immutata considerato che l’art. 1, comma 7, del D.M. 140/2012 sarebbe tuttora vigente.

Tale norma, non riprodotta nel nuovo regolamento parametri, è quella che prevede che:

“In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.

Il ragionamento, applicabile al compenso liquidabile in favore degli avvocati per qualsiasi attività (non solo dunque quella penale presa in esame dal giudice il cui provvedimento si commenta), è, in sintesi, questo:

siccome nel decreto parametri del 2012 vi era una parte dedicata alle norme generali (Capo I - Disposizioni generali - art. 1) applicabile a tutti i compensi delle diverse categorie professionali da esso previste ed una parte specifica che stabiliva in concreto i compensi liquidabili in favore di ciascuna categoria, e siccome il D.M. 55/2014 ha semplicemente riformato solo questa seconda parte della normativa secondaria nel capo relativo ai compensi degli avvocati (Capo II - Disposizioni concernenti gli avvocati - artt. 2-14) in mancanza di un’espressa abrogazione delle stesse e/o dell’intero D.M. 140/2012 le disposizioni generali sarebbero ancora in vigore anche per gli avvocati.

Ciò in quanto il D.M. 55/2014 non avrebbe regolato l’intera materia disciplinata dal D.M. 140/2012 e pertanto quest’ultimo non potrebbe considerarsi integralmente abrogato ex art. 15, ultima parte, preleggi.

In pratica quanto previsto nel D.M. 55/2014 (e nelle tabelle ad esso allegate), “sovrapponendosi” (solamente) alle “Disposizioni concernenti gli avvocati” comprese nel Capo II (artt. 2-15) del D.M. 140/2012 e nelle tabelle ad esso allegate, avrebbe regolato nuovamente (ma esclusivamente) la specifica materia dei compensi per la professione forense e solo dunque le prime potrebbero considerarsi abrogate per effetto del nuovo regolamento sui parametri, non invece quelle generali costituite dal soprariportato articolo 1.

Le soglie numeriche indicate nel sopravvenuto D.M. 55/2014 e nella tabelle ad esso allegate sarebbero quindi ancora discrezionalmente derogabili dal giudice “sia nei minimi che nei massimi” e quindi egli potrebbe spingersi anche ben oltre gli aumenti o le diminuzioni percentuali rispettivamente dell’80% o del 50% previsti (artt. 4, 12, 19) sui valori medi di tabella.

Secondo tale tesi ciò sarebbe anche in linea con quanto previsto dall’art. 2, comma 1, D.L. 4 luglio 2006 n. 223 (c.d. Decreto Bersani) convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248, che dispone:

“… in conformità al principio comunitario di libera concorrenza … al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti …” .

Si sostiene altresì che con riguardo alle liquidazioni dovute per il patrocinio a spese dello Stato la proposta interpretazione consentirebbe anche di rispettare quanto previsto dall’art. 1, comma 5, L. 31 dicembre 2012 n. 247, secondo il quale:

“dall'attuazione dei regolamenti di cui al comma 3 (tra i quali rientra ex art. 13, comma 6, anche quello riguardante i parametri forensi n.d.r.) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Il giudice, infatti, grazie alla sua discrezionalità potrebbe ridurre i compensi liquidabili ai difensori che abbiano svolto la propria attività in favore di soggetti ammessi alle provvidenze del patrocinio a spese dello Stato impedendo così il verificarsi di tali maggiori oneri.

Senza nemmeno la necessità di prendere posizione su tali ultime affermazioni di supporto, le conseguenze che dipenderebbero dall’opinione espressa nel provvedimento in commento potrebbero, forse, trovare altrove la loro giustificazione.

In primo luogo il D.M. 55/2014 prevede, infatti, a sua volta, un capo I dedicato alle disposizioni generali e riesce quindi difficile ritenere che l’omologo capo del D.M. 140/2012 non possa ritenersi implicitamente abrogato ex art. 15 ultima parte, preleggi.

In secondo luogo, come giustamente osservato da una sempre attenta giurisprudenza di merito:

“gli artt. 13 comma VI, e 1 comma III, l. 247/2012 configurano un sistema biennale di regolamentazione nella materia dei compensi forensi profilando un’ipotesi esplicita di successione normativa in cui i nuovi parametri sono abrogativi dei precedenti”

e il DM 140/12 deve:

“intendersi abrogato in quanto il DM 55/2014 regolamenta ex novo l’intera materia dei compensi forensi con una disciplina di nuovo conio (cd. abrogazione implicita) e, là dove non conferma disposizioni che erano presenti nel DM del 2012, mette mano ad una precisa scelta legislativa che prevale sulla precedente (abrogazione tacita)” (Trib. Milano, decreto 9 aprile 2014, in www.ilcaso.it, sez. giurisprudenza, 10321).

In terzo luogo, sono gli stessi articoli 4, comma 1, secondo periodo, 12, comma 1, terzo periodo e 19, comma 1, secondo periodo del D.M. 55/2014 che prevedono che i valori medi possano essere dal giudice, di regola, aumentati fino all’80%, o diminuiti fino al 50% (e addirittura fino al 100% e 70% per la fase istruttoria).

I commi 6-9 dell’art. 4 prevedono poi altri parametri che possono indirizzare la decisione del giudice.

La sua discrezionalità potrebbe pertanto essere comunque recuperata grazie a tali norme senza necessità di ricorrere ad una norma (art. 1, comma 7, D.M. 140/2012) che agli avvocati non dovrebbe più essere applicabile “perché la nuova legge (D.M. 55/2014 n.d.r.) regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore” (art. 15 Disposizioni sulla legge in generale).

La stessa relazione al D.M. 55/2014, in più parti, assegna poi a tale inciso o all’avverbio “orientativamente” (pure presente all’interno del regolamento) la funzione di ricordare “la natura meramente orientativa” e non vincolante delle prescrizioni che la contengano: “sicché il compenso potrà anche essere determinato in un importo che si colloca al di sotto di quella soglia ove “non sarebbe opportuno andare”.

In definitiva si potrebbe, insomma, ritenere che la definizione di “medi” data ai valori numerici indicati dalle tabelle allegate al D.M. 55/2014 non sia vincolante per il giudice, nel senso di limitarne la discrezionalità solo entro gli aumenti o le diminuzioni percentuali previste, e non possa quindi ritenersi aver fissato implicitamente un “minimo” normalmente pari al 50% (o al 30% per la fase istruttoria) o un massimo normalmente pari al 180% (o al 200% per la fase istruttoria) di tali valori medi (fatte salve le ulteriori variazioni eventualmente derivanti dai commi 7-10 dell’art. 4).

Non sarebbe allora un caso che il legislatore, proprio per ribadire la permanenza di una piena discrezionalità del giudice nel liquidare il compenso dell’avvocato, abbia ritenuto di ripetere per ben trentaquattro volte all’interno del D.M. 55/2014 il termine “di regola”.

Tuttavia, anche a voler seguire questa proposta interpretativa del nuovo decreto parametri (non proprio favorevole alla categoria forense) rimarrebbero sul tappeto due interrogativi:

    1) perché mai il legislatore avrebbe allora utilizzato l’aggettivo “medi” nell’indicare i valori numerici proposti nelle tabelle allegate al decreto? Si è forse voluto evidenziare, per un eccesso di zelo, che quell’importo costituisce solo la base di calcolo che può essere aumentata e diminuita e quindi si è ritenuto che, per consentire tali scostamenti, fosse opportuno fissare un valore mediano che rendesse palese anche da un punto di vista logico-visivo la sua necessaria “mobilità” verso l’alto o verso il basso? O si è inteso, piuttosto, implicitamente, fissare dei minimi e dei massimi invalicabili dal giudice nel liquidare il compenso all’avvocato?

    2) volendo riconoscere al giudice la discrezionalità di poter prescindere in toto dai valori tabellari in presenza di quali presupposti egli, nel liquidare il compenso all’avvocato, potrebbe spingersi oltre le percentuali di aumento o riduzione previste? Il fatto che il legislatore abbia indicato un certo numero di parametri generali nel primo, settimo, ottavo, nono e decimo comma dell’art. 4 e nel primo comma degli articoli 12 e 19 che legittimano gli aumenti o le diminuzioni deve far ritenere che per andare oltre tali soglie si dovrebbe comunque far ricorso ad altri criteri, diversi da tali parametri? O invece il giudice potrebbe anche attribuire particolare rilievo ad uno o alcuni solo tra essi per sforare le percentuali previste ex lege?

Ancorchè tali quesiti siano forse destinati a rimanere senza risposte certe rimarrebbe il conforto assicurato dal disposto dell’art. 111 Cost. in base al quale “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”.

Ed è noto che la violazione dell’obbligo di motivazione determini l’invalidità del provvedimento giurisdizionale e possa essere fatta valere attraverso il sistema delle impugnazioni.

L’obbligo della motivazione assolve infatti alla funzione d’assicurare in concreto il perseguimento di diversi principi costituzionali in tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l’indipendenza del giudice e la sua soggezione alla legge, nonché il principio di legalità.

E siccome la parte del provvedimento giudiziale che si pronunci in tema di liquidazione delle spese riveste un ruolo fondamentale nell’assicurare la piena tutela ai diritti, posto che in base al principio generale del nostro ordinamento la necessità di ricorrere ad un giudizio per far valere i propri diritti non deve tornare a danno di chi ha ragione (ciò che urterebbe contro il principio che vuole i diritti integralmente tutelati e non con percentuali inferiori al 100%, trattandosi altrimenti di tutela parziale), ancorchè si tratti solo di una consolazione, non sarebbe una consolazione da poco.

Però, c’è un però.

Il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e la sua legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27 abrogando le tariffe forensi all’art. 9, comma 2 ha previsto che:

“Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Già approvando il D.M. 140/2012 la scelta del legislatore è stata nel senso di prevedere, eccezion fatta per l’attività stragiudiziale, delle tariffe per intere fasi costituite da valori numerici specifici (pur definiti impropriamente “parametri specifici”) modulabili tuttavia dal giudice alla luce, vuoi delle circostanze concrete, vuoi delle regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.

Tra questi ultimi probabilmente già l’art. 1, comma 7 non poteva considerarsi rispondente a quanto previsto dalla legge abrogativa delle tariffe posto che il rimettere alla discrezionalità del giudice la determinazione del compenso dell’avvocato non pare esattamente costituire un “parametro” che per sua natura dovrebbe essere verificabile e conoscibile in anticipo.

E non si può non ricordare come il decreto ministeriale sia fonte normativa regolamentare e quindi secondaria e sotto-ordinata a quella primaria costituita dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27.

Lo stesso “vizio” pare, invero, affliggere pure il nuovo decreto parametri.

Anche il vigente D.M. 55/2014, mutando in parte e condivisibilmente terminologia, ha riconosciuto la reale natura di meri valori numerici a quelli previsti dalle tabelle allegate (prevedendoli però finalmente anche per l’attività stragiudiziale), indicando invece poi dei distinti parametri generali in base ai quali poterli aumentare o diminuire percentualmente.

Pur non essendo stato riproposta la previsione dell’art. 1, comma 7, D.M. 140/2012 nel testo del nuovo D.M. 55/2014 è tuttavia scivolata per trentaquattro volte l’espressione “di regola” che riapre il problema della vincolatività dei nuovi parametri, soprattutto alla luce dell’interpretazione (benchè certamente priva di portata precettiva) datane dalla relazione ministeriale.

Un dato però mi pare certo.

Sia che si voglia riconoscere la natura di parametri ai valori numerici delle tabelle (cc. dd. ex parametri specifici) e anche a quelli rientranti negli abrogati cc. dd. criteri generali, o piuttosto solo ai parametri generali ora previsti dagli artt. 4, 12 e 19 non dovrebbero però sussistere dubbi che i parametri ai quali il giudice possa far ricorso dovessero e (certamente ora) debbano comunque essere predeterminati e non rimessi alla sua mera discrezionalità.

Ciò primariamente per un’elementare esigenza di certezza del diritto e quindi di legalità e trasparenza, senza comunque dimenticare che ciò prevedeva espressamente il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e la sua legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27 nell’abrogare le tariffe forensi.

La stessa legge di riforma della professione forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247) poi, al suo articolo 13, comma 7, lo prevede oggi espressamente:

“I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi.”.

E ben si comprende come rimettere alla discrezionalità del giudice la determinazione dei compensi degli avvocati in assenza di (pur richiesti ex lege) precisi e prefissati parametri in base ai quali egli vi possa provvedere (magari anche in deroga alle percentuali di aumento o diminuzione dei valori indicati nelle tabelle del d.m. 55/14) non pare propriamente in linea con l'indicata esigenza di trasparenza, ma soprattutto con quanto previsto dalle sopraindicate fonti normative primarie.

E siccome, come già sopra sottolineato, la parte della liquidazione delle spese di lite costituisce una parte fondamentale nella risposta di giustizia che lo Stato deve assicurare ai cittadini l’esigenza di trasparenza va a braccetto con quella di legalità e di giustizia.

(Da Altalex del 5.6.2014. Nota di Andrea Bulgarelli)