venerdì 31 maggio 2013

DOV’E’ IL MIO FASCICOLO?

Storia di una imminente caccia al tesoro

Siamo alle solite! Prima si fanno le norme e poi ci si accorge dei problemi pratici innescati. Non voglio qui affrontare di nuovo il merito della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che dovrebbe essere operativa con il decorso del 13 settembre prossimo, salvo proroghe che sembrano imminenti, ma fare il punto sulla situazione concreta che si evidenzia, come da molti facilmente previsto, nella realizzazione concreta del provvedimento.
L’incertezza e la denuncia di problemi logistici irrisolvibili nel breve termine è omogenea sul territorio.
Vengo ad alcuni esempi che sono certo non saranno i più eclatanti, c’è sempre di peggio, ma sono significativi di come non si sappia come procedere a pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma.
Il Tribunale di Montepulciano dovrà essere accorpato a quello di Siena, unitamente alla sezione distaccata di Poggibonsi, in un palazzo di giustizia che non ha gli spazi necessari per l’arrivo del nuovo personale, soluzione prospettata: spostamento della Procura dall’ultimo piano del palazzo ad una sede diversa in altra parte della città, peccato che questa ipotetica nuova sede della Procura sia attualmente occupata da altri uffici pubblici che dovranno essere spostati a loro volta, in barba al risparmio e alla operatività di un palazzo di giustizia unico.
Il Tribunale di Alessandria dovrebbe accorpare quelli di Acqui Terme e Tortona, oltre alla sezione distaccata di Novi Ligure, peccato che il Comune di Alessandria, stante il grave conclamato dissesto, non è in grado di fare alcuna spesa per il reperimento di nuovi locali e neppure per una minima ristrutturazione.
Ancora più paradossale la situazione di Bassano del Grappa che rischia di uscire dal nuovissimo palazzo appena realizzato in loco per finire nei locali del vecchio palazzo di giustizia di Vicenza dai quali il Tribunale del capoluogo si è trasferito verso un palazzo nuovo.
A Foggia, dove dovrebbero confluire il Tribunale di Lucera e ben sei sedi distaccate, è ormai chiaro che i locali non potranno ospitare quanto necessario. Il Comune ha avviato il monitoraggio per verificare le possibilità di reperire nuovi locali, con evidenti nuovi costi e tempi imponderabili per la messa in operatività, si prospetta l’ipotesi di vedere subito accorpate solo quattro delle sedi distaccate mentre per il resto si palesa l’impossibilità materiale.
A Cremona forse si reperiranno gli spazi per accogliere la sola procura di Crema, ma non gli uffici del Tribunale sopprimendo, si dovrebbero in ogni caso allontanare i Giudici di Pace trovandogli una nuova sede.
Il caos regna sovrano su quasi tutte le sedi coinvolte, siano esse accorpanti o accorpate, il ricorso massiccio all’applicazione dell’art. 8 (permanenza momentanea nei locali esistenti nelle attuali sedi con tutte le spese a carico delle amministrazioni locali) sembra, per molti, l’unica soluzione temporanea ma di certo non risolverà alcuno dei problemi logistici in corso. Ma siamo certi che i Comuni coinvolti siano in grado di provvedere finanziariamente a tale immane incombenza? Le notizie in merito non sono confortanti.
Cosa accadrà, quindi, da qui a settembre, o altra data in caso di proroga, probabilmente poco o nulla di risolutivo, ci stiamo avviando, a parere dei più, verso una inestricabile caccia al tesoro per sapere dove andare a fare udienza e già ci immaginiamo uno stuolo di avvocati e cancellieri a discutere animatamente su dove siano le carte di questo o quel procedimento.
Il premio per questa caccia al tesoro però non renderà felice nessuno almeno per molto tempo ancora.

Massimo Grotti - Delegato di Cassa Forense (da cassaforense.it)

ASTENSIONE, MASSICCIA PARTECIPAZIONE IN TUTT’ITALIA

A Roma in mille, tra avvocati, cittadini e sindaci,
per chiedere riforme vere, non pasticci:
no alla decapitazione di 1000 uffici giudiziari

Grande successo della manifestazione nazionale dell’avvocatura, indetta dall’Oua (Organismo Unitario dell’avvocatura, la rappresentanza politica forense). Oltre 1000 partecipanti, tra avvocati di tutti i Fori, Comitati cittadini, Sindacati dei lavoratori (Flp e Cgil), Sindaci e Parlamentari nazionali e europei. Era presente il Cnf, con il Segretario, Andrea Mascherin e la Cassa Forense, con il Consigliere di amministrazione, Valter Militi. Per le associazioni: l’Aiga con Alfredo Serra e l’Anai con Maurizio de Tilla. Per il Coordinamento nazionale dei Fori Minori, Walter Pompeo. Nel corso dei lavori, sono intervenuti, tra gli altri, la vice presidente del Parlamento Europeo, Roberta Angelilli, il componente della Commissione Giustizia del Senato, Lucio Malan (Pdl) e la componente della Commissione Giustizia della Camera Maria Greco (Pd). Per la magistratura, il vice presidente dell’Anm Valerio Savio.  Alla fine dei lavori ecco il bilancio del presidente dell’Oua, Nicola Marino: «Una bella giornata, di protesta ma anche di proposta. È ora di dire basta ai luoghi comuni sugli avvocati, noi vogliamo la riforma della geografia giudiziaria perché la situazione attuale è oggettivamente datata, ma ciò che si sta facendo è un pasticcio: inutile, incostituzionale (20 rinvii alla Consulta non sono casuali) e che non produce risparmi.  Dal 13 settembre cominciano traslochi verso il nulla, verso strutture spesso inesistenti e verso tribunali già ingolfati e caotici a scapito di realtà che invece funzionano bene e che sono esempio di efficienza. Un paradosso tutto italiano». «Oggi – aggiunge - possiamo finalmente registrare anche la buona risposta della Politica, dei parlamentari di centro, destra e sinistra. Gli interventi del senatore Malan (Pdl) e dell’onorevole Greco (Pd) testimoniano quanto il Parlamento possa fare per prorogare intanto l’entrata in vigore di questo scempio e, poi, per modificarne l’impianto. Ma è da sottolineare anche l’attenzione mostrata dal Ministro Cancellieri, la quale, pur dichiarando che la riforma va avanti, ha ammesso che necessita di correzioni. Allo stesso modo, è da sottolineare la disponibilità al confronto del sottosegretario Berretta e Ferri: sono tutti passi in avanti rispetto all’impermeabilità dell’ex ministro Severino. La verità è che chi difende questo provvedimento lo fa per conformismo, e spesso per tutelare interessi particolari, non perché sia davvero utile al sistema-giustizia. Infine – conclude Marino – ma non meno importante, da questa platea e dalle migliaia di avvocati che si sono astenuti ieri e oggi, arriva una richiesta chiara: serve un intervento urgente sui parametri correttivi dei compensi, serve il via libera al decreto correttivo. La categoria è allo stremo».

(Da Mondoprofessionisti del 31.5.2013)

GDP, IL COMMIATO DI FISICHELLA

Dopo ben diciotto anni di attività svolta con competenza e disponibilità, l'avv. Salvatore Fisichella termina oggi, per raggiunti limiti di età, il servizio di giudice di pace coordinatore di Giarre. Il giudice Fisichella, che in precedenza era stato viceconciliatore a Catania per oltre 24 anni, è stato autore fra l'altro di numerose sentenze a favore dei consumatori che hanno avuto eco nazionale.
Un accorato appello al presidente del tribunale di Catania è uno degli ultimi atti che Fisichella è stato costretto a compiere a salvaguardia del buon funzionamento di un ufficio giudiziario che ha proficuamente diretto con  professionalità ed umanità.
Infatti, la settimana scorsa il presidente della corte d'appello di Catania Alfio Scuto ha disposto l’applicazione di un cancelliere di Giarre per sei mesi alla III Sezione Penale della corte. Questa vicenda sta creando non poco malumore tra personale ed avvocati per gli inevitabili e consequenziali disservizi.
Intanto, la cerimonia di commiato del giudice Fisichella, al quale l’AGA augura ogni bene, si svolgerà il prossimo sabato 8 Giugno alle ore 9,30. A dirigere l'ufficio con incarico provvisorio sarà l'avv. Massimo Lo Giudice.

SALTA L'ASSICURAZIONE PROFESSIONALE STIPULATA DALLA CASSA FORENSE

Il Codacons ottiene dall'Antitrust
 la condanna delle modalità di stipulazione
della convenzione relativa alle polizze

L’Antitrust ha accolto la richiesta del Codacons di bloccare la convenzione tra la Cassa Forense e le Assicurazioni Generali S.p.A., relativa alla Polizza per la Responsabilità Civile Professionale. La legge del 14 settembre 2011 n°148 – spiega il Codacons – prevede che, a tutela del cliente, il professionista abbia l’obbligo di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Ebbene, la stipula di tali convenzioni dovrebbe essere orientata su principi di trasparenza e di equità, al fine di evitare il sorgere di criticità concorrenziali. Ci siamo rivolti all’Antitrust – prosegue l’associazione - proprio perché questo principio di trasparenza è venuto meno nel momento in cui la “Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Forense” ha stipulato un’unica convenzione assicurativa con una sola compagnia, senza peraltro indire alcuna gara pubblica. Al fine di garantire un pieno confronto competitivo, l’Antitrust ha così accolto la richiesta del Codacons, chiedendo formalmente alla Cassa Forense di adottare forme di selezione delle compagnie assicurative convenzionate limpide e non discriminatorie. Nello specifico l’Antitrust, in una segnalazione inviata alla Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Forense, scrive: “L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato rileva alcune problematiche concorrenziali in merito alle modalità di stipulazione della convenzione relativa alle polizze per la responsabilità civile professionale degli avvocati iscritti a codesta Cassa Nazionale Previdenza e Assistenza Forense. Appare necessario contemperare l’esigenza, perseguita dal Legislatore, di ottenere, attraverso una contrattazione centralizzata, offerte vantaggiose per i soggetti obbligati alla copertura assicurativa con la necessità di seguire forme di contrattazione che non determinino preclusioni per gli operatori del settore e che incentivino il massimo confronto competitivo. Dalle informazioni a disposizione dell’Autorità risulta, invece, che la Cassa abbia stipulato un’unica convenzione assicurativa con un’unica compagnia e senza porre in essere procedure di evidenza pubblica. Al fine di assicurare un pieno confronto competitivo, l’Autorità auspica, pertanto, che la CASSA adotti forme di selezione delle compagnie assicurative convenzionate trasparenti e non discriminatorie che potranno garantire il raggiungimento di soluzioni ottimali anche per i futuri fruitori della convenzione”. Ora presenteremo un esposto alla Corte dei Conti per verificare se il comportamento della Cassa Forense abbia determinato danni erariali – afferma il Codacons – e inoltreremo una diffida a tutti gli ordini professionali affinché rispettino il principio concorrenziale ribadito dall’Antitrust.

(Da Mondoprofessionisti del 30.5.2013)

CATANIA: UN OSPEDALE PER LA GIUSTIZIA

Crocetta e la Borsellino dotano
la magistratura catanese
dell'Ascoli Tomaselli

E' stato firmato ieri (mercoledì, NdAGANews) a Palermo, presso la Presidenza della Regione Siciliana, il protocollo d'intenti in base al quale la Regione si impegna a rendere disponibile la struttura dell'ex ospedale catanese «Ascoli Tomaselli» dell'azienda ospedaliera «Garibaldi» per destinarla a futura sede degli Uffici giudiziari di Catania.
Dopo la firma del protocollo è stato diramato questo comunicato congiunto: «Si sono incontrati il Presidente della Regione Rosario Crocetta, assistito dagli assessori alla Sanità Lucia Borsellino e all'Energia Nicolò Marino, il Presidente della Corte di Appello di Catania Alfio Scuto, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Catania Giovanni Tinebra, il Presidente del Tribunale di Catania Bruno Di Marco e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania Giovanni Salvi, oltre al Direttore generale dell'azienda ospedaliera Garibaldi, Angelo Pellicanò. Il Presidente Crocetta ha sottolineato il continuo impegno della Regione a collaborare con tutte le istituzioni al fine di rendere concreto quel principio di legalità e valorizzazione delle risorse, che oggi muove ogni azione del governo regionale. L'intervento si inserisce in un percorso più ampio di sinergia interistituzionale con il Comune di Catania. I dirigenti degli Uffici giudiziari di Catania hanno espresso la loro piena soddisfazione per la disponibilità assicurata dal Presidente Crocetta in ordine alla soluzione delle problematiche dell'edilizia giudiziaria e per la sottoscrizione del protocollo odierno».
Questa intesa sottoscritta a Palermo era così importante da essere stata tenuta sotto silenzio per settimane, infatti la riunione di ieri era stata preceduta da un'altra di cui non si era saputo nulla. Forse il silenzio era dovuto anche al fatto dell'imminenza del voto per l'elezione del sindaco di Catania, in sostanza si temeva che la questione potesse suscitare un inopportuno dibattito a fini politici. Cosa che per fortuna è stata evitata. Come avrete notato, non era presente ieri a Palermo un rappresentante del Comune di Catania, un po' per evitare in questa fase polemiche preelettorali e un po' perché si tratta di approcci iniziali. Comunque la dichiarata disponibilità dell'Amministrazione comunale è stata accolta con soddisfazione dal vertice della magistratura.
Ora il discorso sarà ripreso dopo le elezioni amministrative. Come prima cosa bisognerà fare un progetto preliminare da parte del Genio civile di Catania che ha gli strumenti adatti anche per fare sondaggi geologici, con il supporto dell'Ufficio tecnico dell'ospedale Garibaldi e di consulenti esperti di Uffici giudiziari, e in base a quello stimare l'importo delle somme necessarie che la Regione si è impegnata a mettere in campo. Sarà un percorso a tappe con numerose conferenze di servizio, perché bisognerà rendere compatibili le ex strutture ospedaliere con le esigenze degli Uffici giudiziari. Ad esempio, occorrerà vedere se l'intero complesso può essere autosufficiente sul piano energetico con i pannelli solari.
A conclusione di questi atti propedeutici potrà essere redatto il progetto da mettere a bando. Bando che potrebbe partire all'inizio del prossimo anno con i cantieri aperti, se tutto va bene, entro fine anno e inaugurazione entro il 2016 come previsione di massima. Comunque c'è la ribadita disponibilità di andare avanti speditamente lungo il percorso tracciato. Rappresenta una conquista per la città e per la magistratura catanese che ha cento uffici dislocati in zone diverse.

Tony Zermo (da La Sicilia del 30.5.2013)

giovedì 30 maggio 2013

«Cittadella» della giustizia oggi la prima firma a Palermo

Verrà firmato oggi pomeriggio (ieri, NdAGANews) a Palermo l'accordo di massima per la destinazione del dismesso ospedale «Ascoli Tomaselli» ad Uffici giudiziari. All'incontro, dovrebbero essere presenti, tra gli altri, il presidente del Tribunale, Bruno Di Marco, il procuratore generale Giovanni Tinebra, il procuratore della Repubblica Giovanni Salvi, commissario straordinario dell'Azienda ospedaliera Garibaldi (nella quale ricade la competenze dell'ex Ascoli Tomaselli).
Una volta siglata l'intesa tra Regione e vertici degli Uffici giudiziari si vedrà anche quali settori troveranno posto nell'edificio dismesso. Il Palazzo di giustizia di piazza verga e quello dell'ex pretura in via Crispi, dovrebbero rimanere le uniche sedi centrali, tutto il resto degli Uffici sparpagliati in diversi immobili in affitto per i quali il Comune anticipa le spese dovrebbero essere concentrati nell'ex ospedale. Ma dettagli e "sistemazioni" logistiche sono tutti da vedere. L'ex Palazzo delle Poste di viale Africa, inizialmente destinato a cittadella giudiziaria e poi vandalizzato e abbandonato potrebbe essere venduto (alla Regione o a quale privato) per un utilizzo turistico, considerata la sua vicinanza al mare e la sua posizione strategica in città.
«Penso che quella dell'ex ospedale sia una bellissima idea - ha dichiarato il procuratore capo Giovanni Salvi - speriamo che si possa portare a termine. Domani (oggi ndr) andremo a firmare. Abbiamo trovato una grande sensibilità da parte del presidente della Regione che ha subito messo in moto tutti i meccanismi procedurali. Adesso dovremmo vedere se è fattibile anche dal punto di vista del Comune, però sarebbe una gran bella cosa perché si risparmierebbero le somme ingenti che ogni anno vengono spese per l'affitto degli immobili dove sono ospitati i vari uffici e avremmo finalmente un luogo, non al centro, dotato di parcheggi, di verde e con la tangenziale vicina, che consentirebbe, a chi viene da fuori, di arrivare negli Uffici giudiziari senza intasare il centro».

Carmen Greco (da La Sicilia del 29.5.2013)

mercoledì 29 maggio 2013

LA CITTADELLA GIUDIZIARIA ALL’ASCOLI-TOMASELLI

E’ sconcertante, sintomatico o scherzo del destino che proprio oggi, giorno in cui gli Avvocati italiani si astengono per protestare contro il “taglio” dei tribunali cd “minori”, il "gotha" della magistratura catanese si trovi a Palermo per sottoscrivere un protocollo d’intesa con la Regione finalizzato a trasformare il dismesso ospedale Ascoli Tomaselli di Catania nell’ormai famosa cittadella giudiziaria?
La notizia è pubblicata a pag. 25 dell’odierna edizione del quotidiano La Sicilia (con tanto di “civetta” in prima pagina).
In attesa di riportarla domani su AGA News, “accontentiamoci” di quanto scritto ieri in merito da Tony Zermo sul sito de La Sicilia.
  
Da ospedale a cittadella giudiziaria
di Tony Zermo

A Palermo, vertice sulla destinazione d'uso dell'ex ospedale Ascoli Tomaselli di Catania. Un progetto sponsorizzato da Crocetta sul quale gli uffici destinatari dell'immobile preferiscono mantenere il silenzio
In settimana dovrebbe tenersi a Palermo una riunione congiunta per firmare il protocollo d’intesa sul passaggio dell’ospedale dismesso "Ascoli Tomaselli" a disposizione della magistratura catanese. Verbalmente si sarebbe concordato l’appuntamento per domani, ma ancora la convocazione ufficiale non è arrivata agli interessati per cui è possibile che slitti di qualche giorno. Di certo si sa che la scorsa settimana a Palermo c’è stata una riunione sul destino dell’ "Ascoli Tomaselli" con l’assessore regionale alla Sanità Lucia Borsellino, riunione alla quale pare abbia partecipato anche il procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi, ma non c’è conferma della sua presenza.
Dell’operazione sponsorizzata dal presidente Crocetta non si conoscono i dettagli, è come un vestito appena imbastito che ancora dev’essere perfezionato. Si sa soltanto che la Regione si impegna a sostenere il costo dei lavori di ristrutturazione e che alla Regione dovrebbe essere corrisposto dall’Amministrazione giudiziaria un canone di circa due milioni di euro l’anno: il che porterà anche ad un risparmio radunando in un solo ambito i vari uffici dislocati in città. Qui ci sono vari soggetti in campo: il ministero di Grazia e Giustizia, ovviamente la magistratura catanese, la Regione e last but not least il Comune. Non è assolutamente facile trovare un accordo tra tutti questi soggetti. C’è la volontà, ma ancora dev’essere calata in una cornice di dettagli a cui si sta lavorando anche in queste ore. E’ questo il motivo per cui né l’assessore regionale Lucia Borsellino, né i vertici della magistratura catanese e né i gestori della Sanità cittadina intendono fare dichiarazioni e confermare che domani a Palermo verrebbe firmato lo schema di intesa.
Il Comune da parte sua ha emanato questo comunicato: "In merito alla possibile destinazione a “cittadella giudiziaria” dell’ex plesso ospedaliero cittadino “Ascoli Tomaselli”, il direttore generale del Comune Maurizio Lanza, delegato dal sindaco Stancanelli all’edilizia giudiziaria nella commissione mista che opera presso il Tribunale etneo, ha dichiarato: “Nel prendere atto della dichiarata fruibilità dell’immobile, l’Amministrazione comunale manifesta piena disponibilità ad offrire ogni necessario contributo in materia che, per norma, è chiamato a dare nelle previste sedi istituzionali». In sostanza il Comune ha voluto fare presente correttamente che per legge deve essere coinvolto in questa operazione, anche se finora non sembra che lo sia stato: tuttavia "vede favorevolmente questa intesa" e il fatto che non abbia preteso diritti di priorità dimostra la propria disponibilità all’accordo.
Come sapete, anni fa era destinato a diventare "cittadella giudiziaria" il Palazzo delle Poste di Viale Africa, talmente vandalizzato in epoca recente da avere bisogno di complessi lavori di ristrutturazione. "Usando la legge sulle strutture giudiziarie potrebbe diventare la sede centrale della Questura razionalizzando i servizi, questa è la nostra proposta", dice l’ex vicequestore Antonio Malafarina, coordinatore regionale del Megafono.

(Da lasicilia.it del 28.5.2013)

AVVOCATI IN SCIOPERO CONTRO LA “TAGLIA TRIBUNALI”

L'Oua conferma le due giornate di astensione
e la manifestazione a Roma all'Ergife di domani

Non è servito a nulla l’incontro di ieri (lunedì, NdAGANews) tra i vertici dell’Oua e il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. “Un incontro interlocutorio in cui abbiamo esposto alcune priorità: seguire le indicazioni del Parlamento per prorogare l’entrata in vigore del fallimentare (e incostituzionale) taglio di circa 1000 uffici giudiziari, ma anche per rivederne l’impianto complessivo” così il presidente Oua, Nicola Marino al termine dell’incontro con il ministro della giustizia, Cancellieri. “Al Guardasigilli – spiega - abbiamo sottolineato quanto sia incomprensibile mantenere un provvedimento incongruente, di fatto inutile per i previsti risparmi, e che ha già accumulato 19 rinvii alla Consulta. Altro punto: varare urgentemente il decreto correttivo dei parametri dei compensi professionali. Ma non solo: abbiamo presentato un pacchetto di proposte complessive per modernizzare la giustizia italiana, a partire dallo smaltimento dell'enorme arretrato nel civile. Basta solo voler dialogare con l'avvocatura che deve essere una protagonista privilegiata per la definizione di riforme organiche e condivise del settore. E il 29 e 30 astensione dalle udienze e manifestazione-incontro a Roma (il 30) con la Politica. Previsti già oltre mille avvocati, sindaci dei comuni interessati e delegazioni dei comitati cittadini” Ieri una delegazione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, con il presidente, Nicola Marino e il segretario Paolo Maldari, ha incontrato insieme alle istituzioni e associazioni forensi, il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Presentato un dossier di proposte per la riforma della macchina giudiziaria e sulla professione forense. L’Oua ha anche ricordato al Guardasigilli che sono previste due giornate nazionali di astensione dalle udienze (a partire da domani, oggi NdAGANews) e la convocazione di una manifestazione nazionale a Roma il 30 maggio, che si terrà all’Hotel Ergife dalle ore 10, e che sarà anche l’occasione per un incontro con le forze politiche e con i rappresentanti del Governo.    Alla fine della riunione, il presidente dell’Oua, ha definito il confronto come un importante punto di partenza: «Una giornata interlocutoria e positiva, anche se su alcune questioni (geografia giudiziaria) si insiste nella direzione sbagliata: il primo obiettivo è quello di superare i gravi problemi che colpiscono la giustizia, riannodando il filo di un dialogo interrotto da troppi anni, sacrificato sull’altare di contrapposizioni sterili che hanno portato all'immobilismo da un lato, e a politiche emergenzialiste e sbagliate dall’altro. Questa situazione ha danneggiato avvocati e magistrati, il sistema stesso, ma soprattutto i cittadini, le imprese e i diritti costituzionali. Il Ministro ha preso in considerazione sia le ragioni delle nostre prossime proteste, sia la nostra volontà di proposta e dialogo. Innanzitutto al nuovo Guardasigilli abbiamo chiesto di intervenire su due grandi nodi: geografia giudiziaria e parametri e, quindi, l'abbiamo invitata alla manifestazione dell'avvocatura del 30 maggio a Roma. Abbiamo avanzato spunti concreti di riflessione per una modernizzazione della macchina giudiziaria – continua Marino – a partire dalla disponibilità ad affrontare il grave problema dell'enorme arretrato nel civile, ma anche per una riorganizzazione degli uffici e dei tribunali per evitare che, poi, si ripropongano nel prossimo futuro le stesse disfunzioni. Si deve puntare, per citare alcuni esempi, sull’autogestione delle risorse, sul processo telematico, sull’innovazione tecnologica, sulla diffusione di logiche manageriali e delle best practice, sulla riforma della magistratura onoraria e sull’implementazione di strumenti nuovi di risoluzione delle controversie (arbitrati, negoziazione assistita, mediazione volontaria…ecc). Evitando, così, di decapitare la giustizia di prossimità, come prevede l’attuale provvedimento di revisione che entrerà in vigore il prossimo settembre, sul quale, abbiamo chiesto una proroga visti gli evidenti profili di illegittimità all’esame della Consulta il prossimo 2 e 3 luglio (sono 19 i rinvii fino ad ora, ma il numero aumento di giorno in giorno), ma anche una seria correzione, considerate le numerose incongruenze e gli evidenti danni sui territori interessati, a fronte di risibili risparmi, ma anche come auspica la Commissione Giustizia del Senato che si appresta ad approvare all’unanimità un ddl bipartisan in tal senso. Ma non basta: servono interventi urgenti per superare il buco nero dei Tribunali dei Minori, istituendo finalmente le sezioni specializzate e mettendo mano ai regolamenti attuativi della nuova riforma del settore, sui quali l’Oua può dare un forte contributo migliorativo. Sul problema dei compensi professionali – aggiunge - si auspica il via libera urgente del decreto correttivo concordato con tutte le componenti della categoria il novembre scorso e già pronto per essere licenziato, considerando che i parametri attualmente in vigore sono fortemente penalizzanti, soprattutto in considerazione della fortissima crisi. Su questo piano sono stati presentati dei dossier relativi alla nuova legge forense, affinché si modifichino alcuni aspetti come previsto da diverse mozioni votate al recente Congresso Forense di Bari: obbligo di assicurazione per responsabilità professionale, formazione, specializzazioni, e per l’accesso con l’introduzione del numero programmato». Infine l’Oua ha ricordato al Ministro la manifestazione-incontro di Roma all’Ergife (dalle ore 10) del 30 maggio, alla quale hanno già aderito le massime istituzioni forensi, gli Ordini territoriali e le Associazioni, sottolineando che sono previsti oltre 1000 avvocati da tutta Italia, nonché rappresentanze di sindaci e dei cittadini.

(Da Mondoprofessionisti del 28.5.2013)

martedì 28 maggio 2013

ELEZIONI SUPPLETIVE, NULLA DI FATTO

A proposito delle elezioni suppletive per un componente del consiglio dell’Ordine di Catania, tenutesi dal 23 al 25 maggio scorso, il Presidente Magnano ed il Segretario Geraci, con apposito verbale pubblicato sul sito dell'Ordine, informano che, avendo votato solo 823 iscritti e non essendo stato raggiunto il quorum necessario (1.324 votanti, pari ad un quarto degli aventi diritto al voto), l’assemblea –regolarmente convocata- non può ritenersi valida e pertanto non si terrà alcun ballottaggio.

DOMANI E IL 30 ASTENSIONE

Ricordiamo ai Colleghi che l’Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA), nostra rappresentanza politica, con un deliberato della Giunta e con il mandato dell’Assemblea nazionale dei delegati, in data 5 aprile ha deciso la proclamazione di due giornate nazionali di astensione dalle udienze e dall'attività giudiziaria per domani 29 e giovedì 30 maggio e la convocazione di una manifestazione nazionale a Roma per lo stesso 30 maggio.

Nuovi parametri: proposta del CNF alla Cancellieri

Il CNF ha inviato al Ministro della Giustizia la proposta sui nuovi parametri forensi, secondo la procedura contemplata dal nuovo ordinamento professionale.
Il presidente Guido Alpa ha accompagnato il documento con una lettera nella quale, dopo aver manifestato la propria disponibilità ad una costante e proficua collaborazione nel settore dell’amministrazione della giustizia, spiega le ragioni per le quali è necessario superare gli attuali parametri «particolarmente vessatori ed iniqui», tenendo conto anche della grave crisi economica che ha investito profondamente l’Avvocatura.
La nuova proposta sui parametri forensi supera il D.M. 140/2012 in relazione non solo agli ingiustificati abbattimenti dei compensi, che giungono fino alla metà
per le attività di difesa previste dalla legge a carico dei legali, ma anche in relazione a gravi lacune, più volte segnalate da tutta l’Avvocatura. La proposta CNF, adottata sulla base dell’art. 13, co. 6, della L. 247/2012 e dopo una consultazione con tutta l’Avvocatura, introduce un sistema di «costi prevedibili» e risponde ai principi di semplificazione, trasparenza ed equità, con l’obiettivo di creare uno strumento di facile e di immediata consultazione per gli operatori del diritto e per i cittadini, che potranno avere a disposizione uno strumento di facile e pronto orientamento.
Nella Relazione di accompagnamento si legge come la proposta svincoli la determinazione del compenso (comprensivo dei vecchi diritti) da criteri quantitativi connessi al numero di atti difensivi redatti o dal numero di udienze cui il difensore ha partecipato, accorpando le attività in ciascuna fase e stabilendo un compenso unitario, con il benefico effetto di accelerare i tempi processuali.
Per la redazione della proposta, il CNF ha provveduto ad un’analisi comparatistica con i sistemi degli altri Paesi europei, peraltro tra loro molto diversificati (si va dalla totale assenza di qualsiasi regolazione pubblica come in Olanda a sistemi che mantengono i minimi tariffari obbligatori come la Germania) e ha confrontato per otto diverse tipologie di giudizio le parcelle forensi.
Sotto il profilo della struttura, la proposta si compone di una parte normativa (per il civile-penale-stragiudiziale), 39 tabelle parametri per il civile corrispondenti ciascuna al tipo di procedimento/giudizio (comprese la materia stragiudiziale, la mediazione, le procedure concorsuali, quelle arbitrali, i processi amministrativi e tributari, i processi davanti alle giurisdizioni superiori) e una per il penale.
Gli scaglioni di valore, diversamente dal D.M. 140/2012, sono corrispondenti a quelli previsti dal Ministero della Giustizia per la determinazione del contributo unificato, con una semplificazione evidente per gli operatori. Ciascuna tabella parametrica è poi divisa per fasi (da quella di studio a quella decisionale, a cui si aggiunge il compenso per prestazioni post-decisione).
All’interno i parametri sono indicati con una somma fissa che il giudice potrà innalzare fino al 70% o ridurre fino al 30% motivando lo scostamento. Per l’applicabilità delle diminuzioni si è fissata una percentuale non eccessivamente alta in modo da assicurare il rispetto dei principi costituzionali di proporzionalità e di dignità del compenso previsto dall’art. 36.
La proposta del CNF reintroduce il rimborso per le spese forfetarie, configura correttamente e in maniera autonoma i procedimenti esecutivi, determina un giusto compenso per i decreti ingiuntivi e il precetto, elimina alcune ingiustificate disparità/penalizzazioni (alcune riduzioni stabilite dal D.M. 140/2012 per alcune controversie di lavoro, per i procedimenti di gratuito patrocinio, legge Pinto, responsabilità aggravata e pronunce di rito).
Da qui la rilevanza della proposta formulata, perché essa dovrebbe costituire, con le valutazioni e le eventuali modificazioni che il Ministero ritenesse di dover apportare, la nuova disciplina da applicare alla liquidazione dei parametri in fase giudiziale.

Anna Costagliola (da diritto.it del 28.5.2013)

Se l’intervista all’avvocato camuffa pubblicità…

Sanzionato il “come”, non il diritto
di dare informazioni sull’attività

Sappiamo come dal 2006 (D.L. 223/06) sia caduto il divieto per l’avvocato di svolgere pubblicità informativa.
Ciò, però, non ha fatto venir meno i principi generali di indipendenza, lealtà, proibità, dignità, decoro, diligenza e competenza, cui l’avvocato deve ispirarsi nell’esercizio della professione.
Proprio la permanenza di questi principi-quadri ha determinato la sanzione, confermata sia dal Consiglio Nazionale forense, che dalle Sezioni Unite di Cassazione (n. 10304/13), nei confronti di un avvocato.
La vicenda
Nel settembre 2007 all’interno del mensile “Dossier Lombardia” allegato ad un quotidiano, si poteva trovare un’intervista ad un avvocato dal titolo “Tra Germania e Italia accompagnando i clienti nella costituzione di joint venture e partnership all’estero. L’avv. *** racconta la sua ventennale esperienza. L’impresa in primo piano“.
In realtà, il contenuto si era rivelato essere nient’altro che uno “spottone” a favore del legale, con tanto di descrizione dell’attività professionale, della struttura dello studio, e svariate fotografie dello studio stesso.
Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati locale sanzionava quindi il legale per essere venuto meno ai doveri di lealtà, decoro e correttezza propri della professione forense avendo concordato la pubblicazione di una pubblicità con l’accortezza di privare la stessa di ogni elemento tale da far capire al lettore che si trattasse per l’appunto di un messaggio pubblicitario.
Il problema non è il cosa (la pubblicità informativa) ma il come (finta intervista).
Leggendo quantomeno la sentenza della Cassazione, risulta evidente come a essere sanzionato non sia stato (nè avrebbe potuto esserlo, visto l’attuale quadro normativo) il fatto di aver voluto farsi pubblicità, ma invece la modalità scelta, ovvero quella di una “finta” intervista o, per usare le parole degli ermellini, avere confezionato una informazione pubblicitaria “sotto ‘altre spoglie’, senza dichiarare espressamente che effettivamente di pubblicità si tratta”.
Proprio il fatto che a essere sanzionata sia stata la modalità in concreto utilizzata, ha reso del tutto inutili i richiami del legale al principio, riconosciuto dalle normative europee, di pubblicizzazione delle attività professionali.
Perchè non è stato in messo in discussione tale principio, bensì, ripetiamolo, la modalità con cui l’avvocato ha scelto di esercitare il diritto da dare informazioni sulla propria attività.
Che poi, a parere dello scrivente, siano ancora troppo retrivi i limiti per l’avvocato italiano di promuovere la propria attività, è evidentemente tutto un altro discorso.

Renato Savoia  (da leggioggi.it del 28.5.2013)

Immobile fallito pignorato? Locazione si rinnova comunque

Cass. Sezioni Unite, sent. 16.5.2013, n.11830

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito un’importante questione relativa alla possibilità di rinnovo automatico del contratto di locazione ad uso abitativo relativo ad un immobile sottoposto a pignoramento, nel caso in cui il locatore sia successivamente fallito.
I Giudici, esaminando la questione, hanno elaborato il seguente principio di diritto:
in tema di locazione di immobili, “la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore della facoltà di diniego della rinnovazione stessa costituisce un effetto automatico che scaturisce  direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale”.
Per tale motivo, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, non è necessaria l’autorizzazione del Giudice dell’esecuzione prevista dal secondo comma dell’articolo 560 del Codice di Procedura Civile.
La corte ha chiarito che l’autorizzazione del Giudice dell’esecuzione è funzionale all’esercizio della custodia e che è necessaria” quando si tratta di adottare le misure più vantaggiose relative alle gestione temporanea del bene all’interno della procedura esecutiva”.
Ma tale autorizzazione risulta, al contrario, superflua quando la rinnovazione tacita derivi direttamente dalla legge (in particolare gli articoli 28 e 29 della legge n. 392/1978), la quale rende irrilevante la disdetta del locatore se non giustificata dal ricorrere delle cause specificamente indicate dall’articolo 29 della citata legge, quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione.
La Corte ha quindi, accogliendo il ricorso, ha confermato l’avvenuta rinnovazione del contratto di locazione  non essendo necessaria l’autorizzazione del Giudice.

(Da filodiritto.com del 22.5.2013)

lunedì 27 maggio 2013

Limiti per l’attività degli avvocati di enti pubblici

Corte Costituzionale, sent. 22.5.2013, n. 91

Gli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici possono patrocinare cause solo per l’ente di appartenenza. Il principio, affermato dalla legge professionale forense del 1933, riconfermato dalla riforma del 2012 (legge n. 247) e più volte interpretato restrittivamente dalle sezioni unite della cassazione, non ammette deroghe.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 91 del 22 maggio 2013 redatta dal giudice Marta Cartaria.
La disciplina delle incompatibilità prevista per l’esercizio della professione forense è oggetto di legislazione statale sin dall’art. 3, secondo comma, del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, il quale prevede che l’esercizio della professione di avvocato “è incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato (…) ed in generale di qualsiasi Amministrazione o istituzione pubblica “.
Tale rigoroso regime di incompatibilità è derogabile, per quanto riguarda gli avvocati afferenti agli uffici legali degli enti pubblici, solo “per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera” e a condizione che siano iscritti nell’elenco speciale annesso agli albi professionali, secondo quanto stabilito dall’art. 3, quarto comma, lettera b), del medesimo regio decreto-legge n. 1578 del 1933.
L’art. 3, quarto comma, lettera b), del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, il quale prevede per gli avvocati degli enti pubblici una deroga al regime delle incompatibilità, ha carattere di norma eccezionale, stante appunto la sua natura derogatoria rispetto al principio generale di incompatibilità. Tale previsione è, pertanto, da ritenere assoggettata a regole di stretta interpretazione ed è suscettibile di applicazione analogica.
In forza di tali vincoli interpretativi è da ritenere, tra l’altro, che gli avvocati dipendenti da enti pubblici siano tenuti a svolgere attività professionale solo in relazione agli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, non essendo consentito ritenere” propri dell’ente pubblico datore di lavoro le cause e gli affari di un ente diverso, dotato di distinta soggettività.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1 e 2, della legge Regione Campania 19 gennaio 2009, n. 1 ( Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania) – legge finanziaria anno 2009), il quale abilita l’avvocatura regionale a svolgere attività di consulenza e a patrocinare in giudizio per gli enti strumentali della Regione e per le società il cui capitale è interamente sottoscritto dalla Regione e, allo scopo, consente la stipula di convenzioni tra la Giunta regionale da un lato, e gli enti strumentali e le singole società dall’altro, per regolare, in particolare, le modalità attraverso cui può essere richiesta l’attività dell’avvocatura regionale, quantificando anche i relativi oneri.
Tale norma regionale, infatti, amplia la deroga al principio di incompatibilità, prevista dal legislatore statale esclusivamente in riferimento agli affari legali propri dell’ente pubblico di appartenenza e, pertanto, si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.; invero, la disposizione statale secondo cui gli avvocati dipendenti possono patrocinare per l’ente di appartenenza – e solo per esso – non è suscettibile di estensione da parte del legislatore regionale, ma rientra nell’ambito dei principi fondamentali della materia delle professioni, riservato alla competenza del legislatore statale.
Ha aggiunto la sentenza in rassegna che,  del tutto coerente con gli orientamenti consolidati sul piano giurisprudenziale, è l’intervento del legislatore statale che, ridisciplinando la professione forense con la legge 31 dicembre 2012, n. 247 ( Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), ha anzitutto ribadito il regime d’incompatibilità della professione d’avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato, anche se con orario limitato ( art. 18, comma 1, lettera d), e ha poi precisato le condizioni nel rispetto delle quali, in deroga al principio generale di incompatibilità, è consentito agli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici svolgere attività professionale per conto dell’ente di cui sono dipendenti ( artt. 19 e 23).
In particolare, gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono abilitati alla trattazione degli affari legali dell’ente stesso, a condizione che siano incardinati in un ufficio legale stabilmente costituito e siano incaricati in forma esclusiva dello svolgimento di tali funzioni.

Antonino Casesa (da filodiritto.com del 25.5.2013)

Uso distorto di strumenti giuridici: abuso del diritto

Cass. Civ. Sez. VI, sent. 20.5.2013, n. 12282

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria.
La vicenda riguarda una serie di operazioni concernenti la vendita di marchi che una società aveva dapprima ceduto a basso prezzo ad un’altra società svizzera per poi riacquistarli ad un prezzo di gran lunga maggiore, stante la presunta perdita di valore degli stessi a seguito della contraffazione di detti marchi.
L’Agenzia delle Entrate aveva quindi proceduto con due avvisi di accertamento, per verificare l’assenza di operazioni, di per sé, lecite ma elusive del dovere di corrispondere le tasse.
In tal senso l’Agenzia intendeva accertare la configurabilità o meno dell’abuso del diritto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, “che si traduce in un principio generale antielusivo, in virtù del quale restava precluso alle contribuenti il conseguimento di vantaggi fiscali, ove ottenuti mediante l’uso distorto di strumenti giuridici – quali la cessione a terzi di marchi a prezzo ridotto e l’immediato successivo acquisto, verso un corrispettivo annuale di gran lunga maggiore, del mero diritto di sfruttamento parziale – idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici fiscali”.
La Cassazione ha quindi ritenuto legittimo l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente traslazione dell’onere probatorio, riguardo all’economicità delle operazioni, sulle contribuenti, e successiva cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria per la decisione.

(Da filodiritto.com del 24.5.2013)

Internet e tutela dei contenuti editoriali

Segnalazione dell’Antitrust a Governo e Parlamento
in merito alla tutela dei contenuti editoriali

Occorre mettere all’ordine del giorno il tema della tutela dei contenuti editoriali su Internet, con soluzioni che tutelino contemporaneamente il diritto del pubblico alla diffusione della conoscenza e non soffochino le potenzialità della rete. Lo chiede, in una segnalazione inviata a Governo e Parlamento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che sottolinea il ruolo fondamentale della rete per la crescita dell’economia e della competitività. La rapida evoluzione del web ha comportato, infatti, una sensibile accelerazione del processo selettivo delle dinamiche competitive, che conduce allo sviluppo degli operatori più efficienti e dinamici. Avverte l’Antitrust, tuttavia, che sviluppi così rapidi, se accompagnati ad un’inefficiente allocazione elle risorse, possono incentivare nel lungo periodo una strutturazione dell’offerta che non consente una corretta interazione competitiva. Il rischio è quello di limitare e distorcere il processo di crescita consentito dal web, tanto in senso economico quanto in termini di sviluppo della partecipazione alla vita democratica dei cittadini.
Alla luce di tali considerazioni preliminari, l’Antitrust ha individuato alcune aree in cui un intervento regolativo appare indispensabile. Tra queste, rientra quella della produzione di contenuti informativi online e del loro utilizzo da parte degli operatori attivi sulla rete. In tale contesto, è da tempo stata evidenziata da parte degli editori una generale criticità in ordine alla valorizzazione dell’attività degli operatori che producono i contenuti editoriali online. Si tratta, in sostanza, di evitare che l’ampliamento degli ambiti attraverso i quali possono essere reperite e lette le notizie diventi un disincentivo alla produzione ed elaborazione di contenuti informativi a livello socialmente desiderabile. Ciò in quanto gli editori, pur potendo percepire i ricavi della raccolta pubblicitaria realizzata sulle pagine dei propri siti web, non sono messi nelle condizioni di condividere il valore ulteriore generato su internet dalla propria attività di produzione di informazione, nonostante la diffusione di contenuti informativi rappresenti uno dei servizi di maggior interesse per gli utenti di internet.
Per i motivi indicati l’Antitrust ritiene necessario mettere all’ordine del giorno, in tempi adeguati rispetto alle esigenze di trasformazione del settore, una disciplina che contempli strumenti idonei a incoraggiare su internet forme di cooperazione virtuosa tra i produttori di contenuti editoriali e i fornitori di servizi innovativi che riproducono ed elaborano i contenuti protetti dai diritti di proprietà intellettuale. Tale disciplina dovrà essere finalizzata allo sviluppo efficiente dell’attività di produzione di contenuti informativi in rete.
Tenuto conto della dimensione sopranazionale del fenomeno internet, appare inoltre necessario che le istituzioni italiane adottino concrete iniziative a tutela dei contenuti editoriali online presso le opportune sedi internazionali.
Nella segnalazione l’Antitrust ripercorre gli interventi effettuati recentemente in altri Paesi, sottolineando comunque come una valida soluzione alternativa potrebbe consiste nell’intervento sulla disciplina della proprietà intellettuale, finalizzato a introdurre una forma di remunerazione per gli editori per le attività che vanno ad alimentare i servizi di diffusione delle informazioni sulla rete. Si sta muovendo in questa direzione la Germania e un analogo progetto di legge, prima della conclusione di un accordo Google-editori, era stato presentato dal Governo francese.
La soluzione consistente nella ridefinizione della disciplina del diritto è quella ritenuta preferibile dall’Antitrust (anche rispetto a quella negoziale fatta propria dalla Francia) perché consente ai soggetti impegnati nella produzione e diffusione di contenuti informativi di beneficiare della diffusione di tali prodotti sulla rete con un evidente vantaggio sotto il profilo dell’efficienza allocativa delle risorse del settore. Nell’adozione di tale soluzione sono comunque necessarie alcune cautele. Occorre innanzitutto evitare che attraverso un eccessivo irrigidimento dei sistemi di protezione autoriali, i costi legati alla remunerazione degli editori finiscano per riverberarsi sugli utilizzatori finali, con effetti negativi per l’accesso all’informazione ed il pluralismo. È necessario, poi, calibrare norme idonee a produrre effetti duraturi sui diritti di proprietà intellettuale in presenza di un’evoluzione ancora in corso, e dall’esito ancora non definito, dei mercati dell’informazione.
È con questa sollecitazione a Governo e Parlamento e con queste argomentazioni che l’Autorità ha inteso fornire il proprio contributo al dibattito volto ad individuare soluzioni idonee a garantire lo sviluppo in chiave pro-concorrenziale dell’attività di produzione di contenuti editoriali online.

Anna Costagliola (da diritto.it del 27.5.2013)

domenica 26 maggio 2013

Geografia giudiziaria, forse rinvio

Entro martedì emendamenti al ddl
sul rinvio di un anno, ma il Csm dice no

Testo unificato in commissione Giustizia al Senato.
Palazzo dei Marescialli boccia la proroga:
«Spreco di risorse pubbliche»

Scadrà alle 14 di martedì 28 maggio il termine per presentare emendamenti al testo unificato adottato in commissione Giustizia al Senato per rinviare di un anno il taglio di circa mille uffici giudiziari minori. Ma il Csm ad ampia maggioranza già boccia la proroga, paventando il rischio che il differimento si risolva in uno «spreco di risorse pubbliche».
Squilibrio territoriale
Il testo scelto dalla commissione di Palazzo Madama rispetto ai ddl 134-642 è molto semplice, ha un solo articolo e due commi: «All'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, la parola: «dodici» è sostituita dalla seguente: «ventiquattro». L'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, è sospesa fino al 31 dicembre 2013». Il risultato sarebbe di far slittare di un anno, e dunque al settembre 2014, l'entrata in vigore della nuova geografia giudiziaria. Secondo i senatori i criteri adottati creerebbero disparità fra i territori e specie nei tribunali metropolitani.
Riforma ineludibile
La posizione del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri è nota: contrarietà al differimento ma disponibilità al dialogo con tutti, come annunciato dal titolare di Via Arenula durante i due interventi alla Camera e al Senato. Ora anche il Csm fa sentire la sua voce, anch'essa non favorevole alla "moratoria di un anno", che «rischia di determinare uno spreco di risorse pubbliche, un definitivo abbandono della scelta di razionalizzare le risorse e di distribuirle in modo più equo, pregiudicando una riforma così importante e da tanti anni attesa».

Dario Ferrara (da cassazione.net)

sabato 25 maggio 2013

Stalking: sufficiente dolo generico per integrare reato

Cass. Pen., sez. V, sent. 15.5.2013 n° 20993

Ai fini della configurazione del reato di stalking, ex art. 612 bis c.p., non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale.
E’ sufficiente la consapevolezza costante, nel progressivo sviluppo della situazione, dei precedenti attacchi nonché dell’apporto che ognuno di questi arreca all’interesse protetto.
Consapevolezza insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa.
La Suprema Corte di Cassazione torna nuovamente sul reato di stalking con la sentenza 15 maggio 2013, n. 20993, precisando che trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente, per integrare l’elemento soggettivo, il dolo generico; ovvero la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia.
Nella vicenda oggetto di controversia un uomo era stato condannato per il reato di stalking dai giudici di merito, in considerazione delle numerosissime telefonate fatte alla “vittime”, dei molteplici messaggi sul cellulare, scenate di gelosia, nonché intrusioni moleste poste in essere.
La difesa dello stalker era basata sul fatto che avrebbe dovuto escludersi la configurabilità del reato contestato per assenza di dolo specifico e di uno scopo premeditato.
Di contrario avviso i giudici di legittimità dinanzi cui si era spostata la questione; secondo quanto precisato dalla corte nella sentenza in commento, perché possa integrarsi il reato di stalking non è necessario che persecutore sia consapevole dello scopo che vuole ottenere, in quanto è sufficiente che lo stesso abbia volontà e consapevolezza di assumere comportamenti minacciosi in grado di condizionare la vittima.
Nella decisione in oggetto si legge testualmente, ricordando precedenti sul tema, che “è configurabile il reato di stalking quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima un grave e perdurante turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità proprio o di un prossimo congiunto o di una persona allo stesso legata da una relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione, quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o molestia” (sul punto cfr. Cass. n. 8832/2011; Cass. n. 7601/2011; Cass. n. 16864/2011; Cass. n. 29872/2011; Cass. n. 24125/2012).

(Da Altalex del 20.5.2013. Nota di Manuela Rinaldi)

Relazione… con estorsione!

Cass. Pen., sez. II, sent. n. 22349 del 24.5.2013

«Datemi 50mila euro o rivelo la relazione con vostro figlio».
Risposta? Cacciata via malamente. Ma è comunque estorsione.
Confermata la durissima condanna nei confronti di una donna, che aveva avanzato pretese nei confronti dei genitori del proprio ex amante. A chiudere la questione era stata la coppia di coniugi, scacciando la donna, ma ciò non azzera la contestazione del reato, fondato sulle parole utilizzate dalla donna e sul dichiarato obiettivo economico.

(Da dirittoegiustizia.it del 24.5.2013)

venerdì 24 maggio 2013

Shopping compulsivo causa di addebito separazione

Trib. Roma, sent. 7524 del 9.4.2013

Il secondo comma dell’articolo 151 del codice civile prevede che il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi essa sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio.
L’addebito della separazione è, dunque, una sorta di sanzione contro la violazione dei doveri familiari e coniugali. Come in più occasioni ribadito dalla Corte di Cassazione la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola inosservanza dei doveri coniugali, implicando, invece, tale pronuncia la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario a tali doveri da parte di uno o di entrambi i coniugi, e cioè che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza.
L’intollerabilità della prosecuzione delle convivenza fra i coniugi diviene il presupposto essenziale e sufficiente per la pronuncia della separazione legale giudiziale.
I soggetti affetti dalla sindrome da shopping compulsivo, invece, assumono comportamenti che si sostanziano nella mania di acquistare tutto ciò che è in vendita. Il piacere che deriva dall’acquisto è tuttavia di breve durata: tolta l’etichetta del prezzo all’oggetto comprato, scema anche la sensazione di benessere. E quindi, si ricomincia daccapo.
La prima sezione civile del tribunale di Roma con la sentenza 7524/13, pubblicata il 9 aprile 2013, nel decidere la separazione fra due coniugi ha accolto la domanda di addebito presentata dal marito che accusava la moglie di essere affetta da shopping compulsivo.
Per i giudici, infatti, la moglie non aveva contestato alcuna delle affermazioni rese dal marito secondo cui ella non avrebbe mai collaborato, in particolare con le proprie risorse economiche, alle necessità della famiglia, al punto da costringere il marito stesso a sobbarcarsi da solo ogni spesa familiare e di cura dei figli, sino a provocare tra loro crescenti litigi ed a minare irreversibilmente l’unione.
Le affermazioni del marito avevano trovato, peraltro, riscontro nelle risultanze dell’estratto del conto corrente bancario intestato alla moglie, in cui effettivamente figuravano registrate spese, con frequenza quasi giornaliera, relative ad articoli di profumeria, o di abbigliamento o, comunque, verosimilmente legate alle esigenze di una donna; mentre, non risultavano affatto esborsi (supermercato, ecc.) piuttosto riconducibili alle necessità di una famiglia ovvero dei due figli maschi, nonostante la presenza di accrediti mensili dello stipendio percepito dalla signora.
Dagli estratti conto, inoltre, emergeva che la donna aveva potuto utilizzare anche una carta bancomat, associata al conto corrente del marito. Dalla documentazione, infatti, risultava che le spese imputate sul conto corrente del marito erano state effettuate negli stessi esercizi commerciali indicati sull’estratto conto della signora.

Ornella De Bellis (da indebitati.it del 26.4.2013)

Carteggio Vietti - De Tilla su mediaconciliazione

Il vicepresidente del Csm ha risposto al presidente Anai: due lettere aperte che si sono incrociate con evidenti contrasti di vedute e opinioni sull'obbligatorietà della mediaconciliazione. L'Associazione nazionale avvocati italiani- con una lettera aperta – aveva criticato il vicepresidente del Csm che sostiene che si possa ribadire con una nuova legge l'esperienza della mediaconciliazione obbligatoria. Secondo l'Anai la mediaconciliazione è stata fallimentare anche sul piano dell'attuazione e opportunamente è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta per eccesso di potere. “La normativa invocata dal vicepresidente Vietti – ha dichiarato il presidente Anai Maurizio De Tilla - era viziata da innumerevoli ulteriori illegittimità che se esaminate avrebbero portato ad identica pronuncia da parte della Consulta”. Vietti nella sua lettera sostiene che la previsione dell'obbligatorietà del preventivo esperimento di forme di risoluzione alternativa delle controversie si pone non già come affermazione di una volontà di privazione di diritti costituzionalmente garantiti, ma al contrario come un tentativo di lettura costituzionalmente orientata ed attuale del canone dell'articolo 24 della Costituzione: il diritto ad agire in giudizio non postula infatti che prima di rivolgersi ai giudici professionali non si debba tentare di risolvere altrimenti la lite. Il presidente Anai replica: “non si può ipotizzare un quarto grado di giudizio molto costoso per i cittadini su materie di difficile mediazione affidata a soggetti non qualificati e a camere di conciliazione private con fine palese di lucro”. “È proprio l'articolo 24 della Costituzione invocata da Vietti – ha continuato il presidente De Tilla - che impedisce l'istituto della obbligatorietà di forme di conciliazione coercitive. In Europa i pochi esperimenti che esistono riguardano materie limitate (immatricolazioni veicoli, controversie di valore non superiore a 750 euro, viaggi e alloggiamento). Il paragone, anche se apprezzabile, del presidente Vietti non è calzante per l'Italia. Giustamente i cittadini e gli avvocati hanno reagito con successo. - ha concluso De Tilla - Il contrasto alla mediaconciliazione obbligatoria non preclude una discussione aperta e franca sulla sperimentazione di altre ipotesi per conseguire la conciliazione stragiudiziale delle liti”.

(Da Mondoprofessionisti del 24.5.2013)