venerdì 30 settembre 2011

La professione forense è ormai agonizzante

di Matteo Santini (Foro di Roma)

Molti di noi ancora non lo sanno. Oppure fanno finta di non saperlo nella convinzione che per vivere più serenamente serve una buona dose di ottimismo e di immaginazione. I media, i politici e le istituzioni infliggono, giorno dopo giorno, colpi letali alla categoria degli avvocati. La media conciliazione obbligatoria, l’aumento del contributo unificato (con l‘introduzione dello stesso in materie sempre oggetto di esenzione in passato), le liberalizzazioni introdotte dalla manovra economica, le tariffe forensi ferme ormai al 2004 (nonostante l’obbligo di aggiornarle ogni due anni) e le limitazioni all’accesso alla giustizia hanno, di fatto, annientato una categoria. Il tutto condito da un’orrenda mistificazione della realtà; una consapevole deformazione dei fatti. Qualcuno fa anche finta di protestare contro provvedimenti che stanno letteralmente annichilendo la categoria, mentre, di fatto, fa l’occhiolino ai poteri forti che vorrebbero una categoria forense a servizio delle grandi imprese. Smettiamola di coltivare solo il nostro orticello. Nella nostra categoria è mancata l’unitarietà ed è sempre prevalso l’egoismo e l’individualismo; altro che casta ! Non mi appartiene il servilismo nei confronti dei potenti motivato dal timore che se si è da soli ad alzare il capo, si viene più agevolmente individuati e schiacciati. La professione forense non è un’impresa commerciale e non lo sarà mai. Il ruolo sociale dell’avvocato, è riconosciuto non dall’articolo 41 della Costituzione, come a molti farebbe comodo pensare, bensì dall’articolo 24. La manovra economica parla all’articolo 3 di indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni. Di cosa parliamo ? Se, consideriamo come indebite restrizioni le disposizioni volte a limitare il numero degli iscritti, a verificare l’effettiva preparazione degli aspiranti avvocati attraverso un esame di stato serio e rigoroso, a limitare forme di concorrenza sleale mediante aste al ribasso sulle tariffe dei servizi professionali, allora mi viene il dubbio che le restrizioni debite o indebite che si vogliono abolire, in passato non siano mai esistite o quanto meno non abbiano funzionato. Duecentoquarantamila avvocati in Italia hanno brillantemente superato queste insormontabili restrizioni entrando a far parte di un esercito di potenziali disoccupati (un avvocato ogni 200 abitanti); e tutto questo, nell’attesa di essere invasi da un’armata di altrettanti avvocati a cui le nobili liberalizzazioni spalancheranno le porte della professione.

(Da Mondoprofessionisti del 29.9.2011)

Preparativi per le manifestazioni del 6 e 7 Ottobre

Sono già 100 le città, secondo i dati forniti  dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura, coinvolte per le manifestazioni contro gli ultimi provvedimenti del Governo in materia di giustizia contenuti nella manovra economica e per rilanciare il pacchetto di proposte degli avvocati italiani per una vera riforma della macchina giudiziaria, per l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini per il rilancio della competitività del Paese.
Il 6 ottobre a Roma, presso la Cassa Forense, l’Oua farà un primo bilancio sull’andamento delle iniziative e e presenterà  una serie di dossier  sullo stato del settore e con essi i manifesti con le proposte per la riforma della settore.
«La mappa degli appuntamenti – spiega soddisfatto il presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla – si estende lunga tutta la penisola, dal nord al sud, dalle grandi città alle piccole. Gli ordini e le associazioni forensi, i delegati Oua locali, singoli avvocati, ma anche amministratori comunali, pezzi della società civile si stanno mobilitando per queste giornate di “protesta e di proposta”. Da un lato protestiamo contro l’idea “vecchia” della giustizia come semplice voce di spesa e contro il ricorso continuo ai tagli ai diritti dei cittadini, con il solo scopo di fare “cassa”, come avvenuto ancora una volta con l’ultima manovra economica con l’aumento del contributo unificato, il taglio dei Tribunali  minori, le norme coercitive e illiberali sulla mediaconciliazione obbligatoria. Dall’altro mettiamo in campo una fitta rete di dibattiti, confronti ed incontri con le Istituzioni e le parti sociali per analizzare lo stato dell’arte e presentare le proposte dell’avvocatura e della società civile perché si riforma la macchina giudiziaria senza danneggiare i cittadini ma eliminando gli sprechi, al fine di rilanciare la competitività del Paese. Nei prossimi giorni comunicheremo l’elenco completo delle manifestazioni con l’ indicazione delle città e degli uffici giudiziari».

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.9.2011)

Mediazione e codice deontologico degli avvocati art. 55 bis

Il Consiglio Nazionale Forense ha pubblicato la circolare C-24-2011 che fornisce, sul piano deontologico, indicazioni utili agli avvocati che si accingono ad espletare anche la funzione di mediatore professionista. È stato introdotto nel codice deontologico l’articolo 55 bis dedicato alla mediazione. Con esso si richiede all’avvocato una competenza adeguata qualora decidesse di assumere la funzione di mediatore.
Nell’ottica di valorizzare i requisiti di professionalità dell’avvocato-mediatore si suggerisce di interpretare il ruolo non solo con la capacità di dominare e padroneggiare le imprescindibili tecniche della mediazione  e della comunicazione, ma anche con la capacità di informare adeguatamente le parti coinvolte affinché non incorrano in pregiudizi derivanti dalla scarsa conoscenza o valutazione superficiale degli elementi offerti per l’accordo di mediazione.
Si riporta il testo dell’articolo 55 bis.
Art. 55 bis – Mediazione.
L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice.
I - L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza.
II - Non può assumere la funzione di mediatore l’avvocato:
a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti;
b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali.<br/> In ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di  mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art.815, primo  comma, del codice di procedura civile.
III - L’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti:
a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;
b) se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso.
Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali.
IV - E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione.

(Da diritto.it del 28.9.2011)

giovedì 29 settembre 2011

Niente IRAP se la struttura è minimale

 La Cassazione ribadisce che il prelievo scatta
in presenza di una struttura che costituisca «un di più»
rispetto agli elementi minimi per l'attività

Con la sentenza n. 19688, depositata il 27 settembre 2011, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di secondo grado con la quale tre professionisti sono stati giudicati esclusi da IRAP in quanto, negli anni oggetto di contenzioso, la loro attività è stata svolta "con un assetto organizzativo di rilievo minimale". In particolare, ad avviso dei giudici di secondo grado, le modalità di esercizio della professione non consentivano "di ravvisare gli elementi sufficienti per farne scaturire la tassazione, anche perché l'elemento organizzativo di regola non è riscontrabile nell'attività di lavoro autonomo". Tale conclusione non è stata condivisa dalla Cassazione, che sul punto ha cassato, senza rinvio, la sentenza impugnata.
A una prima lettura, la pronuncia della Corte potrebbe far pensare a un "cambio di rotta" della giurisprudenza di legittimità, secondo il cui consolidato orientamento sono esclusi da IRAP i "piccoli" professionisti (e imprenditori) senza dipendenti e con modesti beni strumentali (tra i numerosi interventi su queste colonne, si veda "Professionisti alla prova dell'autonoma organizzazione" del 16 aprile 2010).
A ben vedere, dopo un esame meno superficiale del contenuto dellaa sentenza, ci pare di poter dire che non è così.
Innanzitutto, nello specifico, viene contestato l'assunto secondo cui l'elemento organizzativo di regola non è riscontrabile nell'attività di lavoro autonomo. La Corte di Cassazione ribadisce invece che, ai fini dell'assoggettamento ad IRAP del contribuente, è necessaria "la presenza di una struttura che costituisca un di più rispetto agli elementi minimi richiesti per l'esercizio dell'attività professionale".
In tale affermazione è difficile non leggere una conferma dell'assunto, contenuto in precedenti sentenze (tra le molte, si vedano Cass. 16 febbraio 2007 nn. 3676, 3678 e 3680, Cass. 5 marzo 2007 nn. 5020 e 5021, Cass. 28 gennaio 2009 n. 2030 e Cass. SS.UU. 26 maggio 2009 n. 12108), secondo cui l'autonoma organizzazione sussiste qualora vengano impiegati beni strumentali che, in base a quanto perlopiù accade nella prassi, eccedono il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività in assenza di organizzazione.
La Suprema Corte riafferma i consueti principi
Ma c'è di più. È la stessa Cassazione a ribadire che il requisito dell'autonoma organizzazione:
- deve essere accertato dal giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato;
- ricorre in presenza di alcune condizioni.
Nel dettaglio, affinché esista un'attività autonomamente organizzata, occorre che il contribuente, nel contempo:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse; - si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui oppure impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione.
Con specifico riferimento all'ultimo punto, si ricorda che "non occorre che le condizioni - dell'impiego di beni strumentali e dell'utilizzo del lavoro altrui - concorrano, essendo sufficiente una sola, che deve comunque sempre sommarsi alla condizione che il titolare sia il responsabile della organizzazione" (così Cass. 18 aprile 2007 n. 9214; nello stesso senso, circ. Agenzia delle Entrate 13 giugno 2008 n. 45, § 5.4).
Alla luce delle considerazioni sopra formulate, sembra quantomeno prematuro scorgere nella pronuncia in commento un cambio di orientamento della Suprema Corte. Anche perché, dalla breve motivazione, non è comunque possibile evincere l'esatta entità dei
fattori produttivi utilizzati (definita semplicemente "di rilievo minimale").

Luca Fornero (da eutekne.info del 28.9.2011)

mercoledì 28 settembre 2011

I liberi professionisti pagano l’Irap anche se la loro organizzazione è “modesta”

Cassazione, Sent. n. 19688 del 27.9.2011

Con la sentenza n. 19688 pubblicata ieri, la Corte di Cassazione riesamina il concetto giurisprudenziale di autonoma organizzazione, sancendo che un professionista è soggetto al prelievo fiscale anche se la sua struttura è minimale.
Caso. L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso avverso la sentenza della Ctr del Lazio, la quale accoglieva la pretesa dei contribuenti circa il rimborso Irap per le rispettive libere professioni di ragioniere economista d’azienda, ragioniere commercialista e avvocato.
In particolare, il giudice d’appello affermava che nel caso di specie non era possibile riscontrare un’attività autonoma svolta con organizzazione da parte di ciascun contribuente.
La sezione tributaria ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria ha presentato contro la decisione della Ctr del Lazio di accordare il rimborso dell’imposta a due commercialisti e a un avvocato perché, pur essendo liberi professionisti, erano titolari di un «assetto organizzativo di rilievo minimale».
Tesi del fisco. Il Fisco, dal canto suo, ha presentato ricorso lamentando la violazione di norme di legge, poiché “il giudice di appello non considerava che i contribuenti sono dei liberi professionisti, che perciò operano con autonoma organizzazione e quindi non in maniera subordinata o di collaborazione, né saltuaria od occasionale, bensì con struttura propria, ancorchè di modesta entità, tale da costituire la base reale dell’imposizione specifica e ciò anche prescindendo dal reddito finale”.
Infatti, la commissione tributaria regionale “osservava che non era dato riscontrare la presenza di un'autonoma organizzazione nei confronti dei professionisti di che trattasi, posto che invece si trattava di attività svolta con un assetto organizzativo di rilievo minimale, che quindi non consentiva di ravvisare gli elementi sufficienti per farne scaturire la tassazione, anche perché l'elemento organizzativo di regola non è riscontrabile nell'attività di lavoro autonomo”.
Decisione. Per la Cassazione tale assunto non è esatto, se si considera che, in realtà, “per l’Irap è necessaria la presenza di una struttura che costituisca un di più rispetto agli elementi minimi richiesti per l’esercizio dell’attività professionale, la quale, in mancanza di essi, costituisce l’unico dato che è fonte del reddito derivatone”.
Autonoma organizzazione. Alla luce di quanto sopra, va osservato che in tema di Irap l’applicazione dell’imposta è esclusa soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Infatti il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:
• sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
• impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione;
• si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Onere della prova. Costituisce onere del contribuente che chiede il rimborso dare la prova dell’assenza delle predette condizioni, cosa che non è stata assolta nel caso in esame.
Conclusioni. Quindi, riconoscendosi, nel caso di specie, la sussistenza di un’organizzazione seppur modesta, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e respinto la domanda di rimborso avanzata dai tre professionisti.

(Da fiscal-focus.info del 28.9.2011)

Attenti all’Irap!

La sentenza n. 19688 del 27.9.2011 della Corte di Cassazione fa vacillare il concetto giurisprudenziale di autonoma organizzazione, stabilendo che il professionista è soggetto al prelievo fiscale ai fini Irap anche se la sua struttura è minimale.

(Da ItaliaOggi del 28.9.2011, pag. 29)

Termine lungo se sentenza non notificata al neo-maggiorenne

La mancata notifica della sentenza alla parte divenuta nel frattempo maggiorenne non fa decorrere il termine breve per l’impugnazione. Si è così espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19122/2011.
Il caso. I genitori di una bimba, investita da una bicicletta all’interno di un’area pedonale, convenivano in giudizio il Comune, ritenuto responsabile dei danni riportati nella caduta, per non aver transennato la zona consentendo così l’accesso alle biciclette. Sia in primo che in secondo grado, la domanda viene rigettata; contro la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la bambina, nel frattempo divenuta maggiorenne.
Il giudizio di legittimità. La notifica ai genitori non fa decorrere il termine breve. Richiamando un precedente orientamento di legittimità, la S.C. afferma che se nel corso del giudizio si verifica un evento idoneo a determinare l’interruzione del processo – come il raggiungimento della maggiore età del minore, costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti – «il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati». Ergo, nel caso in esame, dalla figlia minore. Senza notifica alla parte maggiorenne c’è il termine annuale e quindi il ricorso risulta tempestivo; ciò al fine di adeguare la fase d’impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti. E poiché si tratta di «accadimento inevitabile nell’an, essendo lo stato di incapacità per minore età naturaliter temporaneo», non può ritenersi che sia un principio incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa.

(Da avvocati.it del 27.9.2011)

Mediaconciliazione, altro rinvio alla Corte di Giustizia europea

A Mercato San Severino (Salerno) il giudice di Pace, Nicola Lombardi, ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea un procedimento denunciando la illegittimità della media-conciliazione obbligatoria.
Il giudice di Pace pone quesiti precisi alla Corte, che di fatto  accolgono i rilievi avanzati più volte dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura e che in parte erano presenti anche nel rinvio dell’agosto scorso della sezione distaccata del Tribunale di Palermo. 
Per Maurizio de Tilla, presidente Oua: «È significativo questo ennesimo rinvio alla Corte europea, è il secondo caso in un mese (il precedente era stato a Palermo), in questo procedimento, però, le motivazioni del Giudice di Pace sono ancora più ampie e sono analoghe a quelle già avanzate dall’Oua e che sono anche oggetto di prossimo esame della Corte Costituzionale. Il giudice di Pace – spiega de Tilla - pone quesiti chiari, sui limiti illegittimi all’accesso alla giustizia per i cittadini, facendo riferimento alla normativa europea. Si mettono in rilievo i costi troppo onerosi (almeno due volte di quelli di un normale processo e come recita l’ordinanza: “…la sproporzione aumenta esponenzialmente con l’aumentare del valore della controversia…”), l’eccessiva lunghezza della procedura di mediazione, l’eventualità che il giudice possa desumere nel seguente giudizio argomenti di prova a carico della parte che non ha partecipato alla mediazione senza giustificato motivo, la possibilità che il mediatore possa formulare una proposta di conciliazione in assenza del consenso delle parti, la probabile moltiplicazione dei procedimenti di mediazione, con il conseguente moltiplicarsi dei temi di definizione della controversia. Tutte questioni poste a suo tempo dall'Oua al Ministero della Giustizia, ma rimaste inevase. Riteniamo – conclude de Tilla - che questo tipo di decisioni da parte dei Tribunali e dei giudici di pace aumenteranno, e che sarebbe quindi opportuno che il Ministero della Giustizia intervenisse, invece di mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. La giustizia civile rischia di andare incontro al caos, a scapito dei cittadini. Lo ripetiamo ancora una volta, la mediaconciliazione obbligatoria non è in linea con la nostra Costituzione, né con la normativa europea».

(Da Mondoprofessionisti del 27.9.2011)

martedì 27 settembre 2011

Indice Istat al 2,8%

Con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 222 del 23.9.2011, l’istituto di statistica ha reso noto che l'indice Istat per il mese agosto 2011 è fissato al 2,8 %.
Tali dati, che rappresentano gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, sono utilizzabili per l’aggiornamento dei canoni di locazione.

Risarcimento possibile se il tradimento fa soffrire

Se si soffre per i tradimenti del coniuge tanto da star male si può pretendere un risarcimento danni da parte del partner infedele. E’ quanto si evince dalla sentenza n. 18853/2011, con cui la Cassazione ha accolto la richiesta di risarcimento dei danni - biologico ed esistenziale - avanzata da una ex moglie platealmente tradita.
Il caso. Sia il Tribunale di Savona che la Corte d'Appello di Genova, avevano respinto la richiesta della donna sostenendo che tra i coniugi era già intervenuta la separazione consensuale. Di diverso avviso i supremi giudici che hanno accolto il reclamo disponendo un nuovo esame della vicenda  da parte dei giudici di merito.
Il giudizio di legittimità. In particolare, secondo il Collegio, «discende dalla natura giuridica degli obblighi matrimoniali che il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire causa di separazione o divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile». Tuttavia, perché sussista «una responsabilità risarcitoria, per i danni prodotti dal tradimento, occorre accertare anche la lesione, in conseguenza della violazione del dovere di fedeltà, di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello della salute». Circostanza, questa, che può «verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l'infedeltà per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge», oppure quando abbia «trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sé insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto».

(Da avvocati.it del 26.9.2011)

lunedì 26 settembre 2011

Autovelox: segnalazione necessaria anche se c’è agente

Obbligo della segnalazione preventiva dell’autovelox anche nel caso in cui il rilevamento non sia automatico, ma fatto dagli agenti con il telelaser.
In tal modo si sono espressi i giudici della Corte di Cassazione nella sentenza 22 giugno 2011, n. 13727.
Ancora uno “scontro” tra la giurisprudenza ed il “temibile” autovelox……l’autovelox deve sempre essere segnalato;….ma “occhio alle date”: l’estensione anche alle postazioni che siano gestite direttamente dagli agenti è entrata in vigore a partire dal 4 agosto 2007.
Per i Giudici di Piazza Cavour, nella sentenza che qui si commenta, l’obbligo della preventiva segnalazione dell’apparecchio di rilevamento “della velocità previsto, in un primo momento, dall'articolo 4 del d.l. n. 121 del 2002, conv. L. n. 168/2002, per i soli dispositivi di controllo remoto senza la presenza diretta dell'operatore di polizia, menzionati nell'art. 201, comma l- bis, lett. f), del codice della strada, è stato successivamente esteso, con l'entrata in vigore dell'art. 3 del d.l. n. 117 del 2007, conv. nella l. n. 160 del 2007, a tutti i tipi e modalità di controllo effettuati con apparecchi fissi o mobili installati sulla sede stradale, nei quali, perciò, si ricomprendono ora anche gli apparecchi tele laser gestiti direttamente e nella disponibilità degli organi di polizia”.
Nulla multa, quindi, nel caso sia stata inflitta con il sistema telelaser se il controllo non è stato segnalato in maniera adeguata.
L’obbligo della preventiva segnalazione dell’apparecchio di rilevamento della velocità previsto, in un primo momento, dall’art. 4 del d.l. n. 121 del 2002, conv. nella legge n. 168 del 2002, per i soli dispositivi di controllo remoto senza la presenza diretta dell’operatore di polizia, menzionati nell’art. 201, comma 1- bis, lett. f), del codice della strada, è stato successivamente esteso, con l’entrata in vigore dell’art. 3 del d.l. n. 117 del 2007, conv. nella l. n. 160 del 2007, a tutti i tipi e modalità di controllo effettuati con apparecchi fissi o mobili installati sulla sede stradale, nei quali, perciò, si ricomprendono ora anche gli apparecchi telelaser gestiti direttamente e nella disponibilità degli organi di polizia. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha cassato la sentenza impugnata che aveva annullato il verbale di contestazione per l’omesso assolvimento del suddetto obbligo di preventiva informazione dell’utenza, malgrado il dispositivo utilizzato, tipo telelaser, non rientrasse tra quelli indicati nel citato art. 4 del d. l. n. 121 del 2002 e lo “ius superveniens” di cui all’art. 3 del d.l. n. 117 del 2007 non fosse applicabile al caso esaminato, riferito ad un’infrazione commessa nel 2003).

(Da Altalex del 20.9.2011. Nota di Manuela Rinaldi)

domenica 25 settembre 2011

Citofono guasto: non c’è evasione

I carabinieri incaricati di verificare il rispetto degli arresti domiciliari inflitti a un albanese si recano a casa sua e, non avendo ricevuto risposta al citofono, segnalano l'accaduto come un'evasione. A questo punto scatta l'ordine di detenzione in carcere.
L'uomo, però, non ci sta e fa ricorso. Lui, giura, era in casa. Il tema è delicato e giunge in Corte di Cassazione che si esprime a favore dell'albanese: gli agenti, infatti, avrebbero dovuto accertarsi della sua reale assenza da casa bussando anche alla porta d'ingresso.
In una prima fase i giudici di merito non avevano accolto il ricorso benché il detenuto avesse dimostrato con un certificato controfirmato dall'amministratore che il citofono, nei giorni del controllo, era guasto.
Rinviando il giudizio, la Cassazione ha aggiunto che "la mancata affissione al citofono di un cartello che ne segnalasse il guasto non dimostrava la trasgressione alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare... i carabinieri sarebbero potuti entrare nello stabile in cui era ubicato l'appartamento del detenuto facendo aprire il cancello dagli addetti alla vigilanza che prestavano servizio continuativo".

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 22.9.2011)

Il prelievo di 5 euro non è giusta causa

Il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo è ammissibile soltanto se ci si trova di fronte a un grave inadempimento degli obblighi contrattuali tale da non consentire la prosecuzione del rapporto.
Nel caso in esame, il cassiere di un grande magazzino è stato licenziato per aver prelevato 5 euro dall'incasso, decisione ritenuta inammissibile dalla Corte di Cassazione per l'evidente sproporzione tra l'inadempimento e la sanzione.
"In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" ex articolo 1455 del codice civile": la Corte ha dunque obbligato il grande magazzino al reintegro del dipendente che sì, si è comportato scorrettamente, ma mettendo in atto una violazione non così grave da rompere in modo irrimediabile il vincolo fiduciario per l'affidamento futuro della mansione.

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 5.9.2011)

Canna fumaria irregolare anche senza fumi

Scatta il risarcimento del danno a carico del proprietario dell'appartamento che ha montato una canna fumaria a una distanza inferiore ai dieci metri dall'appartamento adiacente producendo emissioni superiori alla soglia consentita.
A stabilirlo è la seconda sezione civile della Corte si Cassazione con sentenza 18262 che ha rigettato il ricorso dei coniugi proprietari dell'abitazione "incriminata" spiegando come "il giudice di appello ha dato conto, infatti, sulla base della C.T.U., che la prossimità della canna fumaria all'appartamento degli attori (distante appena tre metri e mezzo) e l'uso della canna fumaria per il riscaldamento domestico e per la cottura dei cibi, comportava il superamento di tale limite, non rilevando che, in occasione dell'esperimento peritale, non fossero state constate immissioni di fumo a causa della mancanza di vento".

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 21.9.2011)

sabato 24 settembre 2011

Semplificazione riti civili dal 6 ottobre


Pubblicato sulla G.U. del 21 settembre 2011, n. 220 il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 che introduce nel nostro ordinamento disposizioni complementari al c.p.c. in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria, riconducendoli ai 3 modelli previsti dallo stesso c.p.c. e individuati nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, nel rito sommario di cognizione e nel rito ordinario di cognizione (vedasi AGANews del 4.9.2011).
Attraverso la razionalizzazione e semplificazione della normativa speciale in materia civile, il d.lgs. riconduce i 33 riti esistenti a 3 modelli procedimentali: rito del lavoro, rito ordinario di cognizione e rito sommario per processi con evidenti prove.
In particolare, verranno ricondotti al rito del lavoro:
- i procedimenti in materia di applicazione del codice della privacy;
- le opposizioni alle sanzioni amministrative, al verbale di accertamento del codice della strada, ai provvedimenti di recupero degli aiuti di Stato, a sanzioni in materia di stupefacenti;
- le controversie agrarie;
- l’impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti;
- le opposizioni ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato.
Al procedimento sommario di cognizione, nel quale si intende ricomprendere i procedimenti speciali con una vasta semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, verranno ricondotti:
- i procedimenti in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato;
- le opposizioni ai decreti di pagamento delle spese di giustizia;
- i procedimenti in materia di immigrazione:
- in materia di diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione Europea;
- in materia di allontanamento dei cittadini dell’Unione Europea o dei loro familiari;
- in materia di allontanamento dei cittadini Stati che non sono membri dell’Unione europea;
- di riconoscimento della protezione internazionale;
- di diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari;
- le opposizioni alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio;
- le azioni popolari e le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni:
- comunali, provinciali, regionali;
- per il Parlamento Europeo;
- le impugnazioni delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo;
- i procedimenti in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche;
- le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai;
- le impugnazione delle deliberazioni del consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti;
- i procedimenti in materia di discriminazione:
- fondati su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
- per l’accesso al lavoro, ed accesso a beni e servizi;
- fondate su handicap, orientamento sessuale ed età;
- nei confronti di disabili;
- le opposizioni alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità;
- le controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri.
Per esclusione, sono stati ricondotti al rito ordinario di cognizione:
- le opposizioni a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici e quelle alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità;
- i procedimenti per chiedere la rettifica del sesso;
- le controversie in materia di liquidazione degli usi civici.
Per completare la semplificazione del processo civile mancano ancora alcuni tasselli normativi: infatti, la delega conferita al Governo non consentiva di intervenire su:
- procedure fallimentari;
- procedimenti in materia di famiglia e di minori;
- procedimenti relativi ai titoli di credito, al diritto del lavoro, al codice della proprietà industriale e al codice del consumo.
Tuttavia, il Ministero della Giustizia ha fatto sapere di lavorare al c.d. Tribunale della famiglia, così da concentrare all'interno di una sezione specializzata dei vari tribunali di tutte le problematiche che riguardano la famiglia.

(Da avvocati.it del 23.9.2011)

Moglie rinchiusa con catena, allontanamento coatto al marito

Con la sentenza n. 34405/2011, la Corte di Cassazione conferma l’allontanamento coatto dal domicilio familiare per il marito che maltratta la moglie con vessazioni fisiche ma soprattutto con soprusi morali.
Il caso. Per 35 anni di matrimonio, una donna è stata maltrattata dal proprio marito (84 anni), tanto che solo l'intervento delle forze dell'ordine ha messo fine alle sofferenze della signora, liberata dagli agenti che l’hanno trovata “rinchiusa in camera con una catena”. Invano l’uomo, ricorrendo per cassazione, ha chiesto l'annullamento della misura cautelare l'allontanamento coatto dal domicilio familiare, in attesa del processo.
Il giudizio di legittimità. Il marito si è difeso sostenendo che in tanti anni di vita coniugale, aveva 'accumulato' un solo certificato medico attestante una "presunta aggressione". Tale tesi però non ha convinto la S.C., la quale non ha attribuito alcuna rilevanza alla presenza, o meno, di lividi ed ecchimosi: “anche essere bloccate da una catena e vivere nelle vessazioni procura lividi”. Infatti, per i giudici di legittimità, “il reato di maltrattamenti in famiglia può essere realizzato anche attraverso una condotta reiterata nel tempo che si manifesti con violenza morale e non solo fisica. Conseguentemente, risulta irrilevante il motivo con cui si rileva che vi sia solo un certificato attestante una presunta aggressione". Convalidato, dunque, l'allontanamento coatto precedentemente disposto.

(Da avvocati.it del 23.9.2011)

Riforma forense, contraddizioni tra Palma e Governo

Rimaniamo francamente stupiti dalle parole del ministro della Giustizia Palma, che ha riferito al Cnf che non esiste alcun motivo per il governo di non garantire il pieno appoggio per una approvazione della riforma forense in tempi rapidi.
Ci chiediamo infatti come si possano considerare compatibili la  riforma pendente alla Camera con l'art.3 della manovra, un pericoloso pasticcio che confonde le imprese e i professionisti, senza alcun vantaggio per nessuno.
L’avvocatura riteniamo non possa sentirsi tranquillizzata dall’intervento del ministro Palma, che suo malgrado non fa che enfatizzare l’evidente  schizofrenia del Governo e la sua inadeguatezza: è sconfortante denotare che una parte del Governo e della maggioranza non sa che cosa fa l'altra, con  posizioni contrastanti e contraddittorie che contribuiscono ad aumentare una confusione della quale gli avvocati non sentono affatto il bisogno.
È opportuno, oltre che  necessario in considerazione del cammino che ancora si prospetta per la riforma forense, che il Ministro Palma confermi le parole riferite al Cnf di fronte alla Commissione Giustizia, per chiarire la posizione del Ministero e dello stesso Governo.

Ester Perifano, segretario generale ANF (da Mondoprofessionisti del 23.9.2011)

venerdì 23 settembre 2011

Giudice di Pace: mediaconciliazione alla Corte Costituzionale

Giudice di Pace di Catanzaro - Avv. Maria Luisa Lupinacci, ordinanza 1.9.2011

Il Giudice di Pace di Catanzaro ha pronunciato ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale, dichiarando
1) rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010;
2) rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4°, del DM 180/2010.
Secondo il Giudice di Pace:
- " ... se l’art. 60 della l. 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi “senza precludere l’accesso alla giustizia”, essa, evidentemente, non faceva riferimento alla possibilità della parte di adire il giudice dopo la mediazione, ma faceva riferimento alla necessità che la mediazione non condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilità.
Né può argomentarsi che il problema non sussiste per la brevità del termine di quattro mesi, cosicché la condizione di procedibilità dell’art. 5 sarebbe compensata dal termine breve fissato nell’art. 6.
Ciò, infatti, non può sostenersi perché il termine breve di quattro mesi era già stato fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell’art. 60, la quale, al tempo stesso, però, voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza “precludere l’accesso alla giustizia”.
Nel rispetto dell’art. 60 della legge delega 69/09, l’obbligatorietà del procedimento di mediazione in tutte le ipotesi dell’art. 5 del d. lgs. 28/10 non poteva dunque darsi".
Ancora:
- "... non può non convenirsi con l’affermazione secondo cui il nostro sistema non può subordinare l’accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro.
... come correttamente rilevato dalla parte attrice, nel caso di specie, l’imposizione del pagamento di una somma di denaro per l’esercizio di un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del combinato disposto dell’art. 5 d.Lgs. 28/10 e art. 16 D.M. 180/10, si pone in contrasto con tutti i parametri di costituzionalità, in quanto:
a) si tratta di un esborso che non può essere ricondotto né al tributo giudiziario, né alla cauzione;
b) si tratta di un esborso che non può considerarsi di modestissima, e nemmeno di modesta, entità;
c) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensì ad un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata;
d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno può considerarsi “razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, poiché questi esborsi, di nuovo, sono da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e perché un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata, non può mai avere queste caratteristiche.

(Da filodiritto.com del 21.9.2011)

Obbligatoria assicurazione antirischi

Ricordiamo ai Colleghi che, tra le novità introdotte dalla manovra-bis L. 148/2011 in materia di riforma degli ordinamenti professionali, rientra l'obbligo per tutti i professionisti di stipulare un'assicurazione a tutela di eventuali danni arrecati al cliente.

giovedì 22 settembre 2011

Processi tributari, obbligo nota iscrizione a ruolo

L’articolo 2, comma 35-quater, lettera c), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 216 del 16 settembre 2011, ha introdotto l’obbligo per la parte ricorrente di depositare la nota contenente la richiesta di iscrizione a ruolo del ricorso tributario nel registro generale dei ricorsi o degli appelli al momento della costituzione in giudizio. Detta richiesta consente agli uffici di segreteria delle Commissioni tributarie di rilasciare al ricorrente il corrispondente numero di ruolo del registro generale.
La Direzione della Giustizia tributaria ha predisposto i relativi modelli, uno per le Commissioni tributarie provinciali, l’altro per le Commissioni tributarie regionali, che dovranno essere compilati dai ricorrenti che si costituiscono in giudizio a decorrere dal 17 settembre 2011.

(Da diritto.it del 20.9.2011)

Il danno morale è oltre le tabelle

Cass. Civ. Sez. III, sent. 12.9.2011, n. 18641

Si deve registrare ancora una volta un intervento rilevante in materia di risarcimento del danno non patrimoniale da parte dei giudici investiti della questione. In questo caso la Cassazione, con la sentenza 12 settembre 2011, n. 18641, si pronuncia sulla risarcibilità di un danno morale, considerando quest’ultimo come appartenente ad una categoria autonoma e distinta dal danno biologico, entro l’ampio genere del pregiudizio non patrimoniale.
Nel caso prospettato è stata affrontata una questione posta da un ginecologo condannato al risarcimento dei danni conseguenti alla sua condotta che aveva colpevolmente causato ad un bambino un danno alla salute permanente pari al 100 % dei valori tabellari.
In sede di ricorso per Cassazione il ginecologo pone la questione se il danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute costituisca una categoria onnicomprensiva tale da contenere tutti i pregiudizi concretamente sofferti dal danneggiato.
I giudici del Palazzaccio, intervenendo sulla questione, ribadiscono che il profilo morale del danno non patrimoniale è autonomo e non può certo considerarsi scomparso “per assorbimento” all’interno dell’onnicomprensivo danno biologico tabellato. Il riferimento è alla applicazione delle tabelle milanesi che, prima della loro rivisitazione all’indomani delle sentenze della Cassazione dell’11 novembre 2008, prevedevano, in base all’ormai consolidato diritto vivente, la liquidazione del danno morale come frazione del danno biologico salvo personalizzazione.
La modifica del 2009 – prosegue la Cassazione - delle tabelle del tribunale di Milano - che la Corte, con la sentenza n. 12408/2011 (nella sostanza confermata dalla successiva pronuncia n. 14402/2011) ha dichiarato applicabili, da parte dei giudici di merito, su tutto il territorio nazionale - in realtà, non ha mai “cancellato” (contrariamente a quanto opinato dal ricorrente) la fattispecie del danno morale intesa come “voce” integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale: né avrebbe potuto farlo senza violare un preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 delle stesse sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, evidentemente non può in alcun modo prescindere in una disciplina di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la diposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale.
Infine, in relazione al danno c.d. "parentale", la cassazione ha affermato la risarcibilità degli aspetti relazionali propri di tale pregiudizio inteso come danno esistenziale, ritenendo necessaria una verifica dei parametri indicati nelle tabelle milanesi alla luce dello sconvolgimento dell'esistenza e dei radicali cambiamenti di vita.

(Da Altalex del 22.9.2011. Nota di Alessandro Ferretti)

Coniuge infedele? Sì al risarcimento danni

I coniugi "farfalloni" che si concedono "scappatelle" extraconiugali sono avvisati. Oltre al rischio dell'addebito della separazione vanno incontro anche una condanna al risarcimento dei danni in favore del coniuge "vittima".  E' capitato ad un uomo di Savona, che oltre all'addebito della separazione, con tutte le conseguenze relative alla determinazione dell'ammontare dell'assegno di mantenimento, dovrà ora risarcire anche il danno procurato alla moglie a ragione delle sue... poco innocenti evsaioni. 
Lo ha stabilito una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione. Secondo gli "Ermellini", i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento contenuto nell’art. 143 cod. civ. alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall’espresso riconoscimento nell’art. 160 cod. civ. della loro inderogabilità, nonché dalle conseguenze di ordine giuridico che l’ordinamento fa derivare dalla loro violazione, cosicché deve ritenersi che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo. 
La violazione di quei doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quali la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare ai sensi dell’art. 146 cod. civ., l’addebito della separazione, con i suoi riflessi in tema di perdita del diritto all’assegno e dei diritti successori.  Dalla natura giuridica degli obblighi su detti consegue che il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire una causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile. 
La separazione e il divorzio costituiscono strumenti accordati dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo ma la natura, la funzione ed i limiti di ciascuno dei su detti istituti rendono evidente che essi sono strutturalmente compatibili con la tutela generale dei diritti, tanto più se costituzionalmente garantiti, non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale.
La concorrente rilevanza dello stesso comportamento può essere posto a base quale fatto generatore di una più generale responsabilità civilistica. Anche nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono infatti tali, cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile e di eventuale specifica condanna al risarcimento danni.  Fermo restando che, la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 cod. civ. riconnette detta responsabilità.
Il danno non patrimoniale, conseguente, per esempio, alla violazione del dovere di fedeltà, sarà risarcibile, osserva la Cassazione, ove ricorrano contestualmente le seguenti oondizioni: a) che l’interesse leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia rilevanza costituzionale; b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità, come impone il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. o che il danno non sia futile, ma abbia una consistenza che possa considerarsi giuridicamente rilevante.
Marco Martini (da tiscali.it del 20.9.2011)

mercoledì 21 settembre 2011

Il CNF: magistrati onorari solo avvocati

Avviare una riordino di tutte le figure di magistrati onorari (giudici di pace, got e vpo), creando un organico unitario di grande professionalità. È questa l’indicazione avanzata dal presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa, ascoltato ieri in audizione davanti alla commissione giustizia del senato in ordine alle proposte di legge in materia (AS 127 e collegati). Il presidente Alpa ha esordito in premessa sottolineando la necessità di una riforma organica della giustizia ed ha poi rilevato  la difficoltà di verificare l’attualità dei testi in discussione in commissione alla luce della norme introdotte con la manovra d’agosto, visto che la delega sulle circoscrizioni giudiziarie prevede la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, consentendo tuttavia agli  enti locali interessati di ottenerne il mantenimento facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia. Nel merito, il presidente Alpa ha auspicato la conservazione delle sedi per assicurare la giustizia di prossimità.   In merito alle ipotesi di razionalizzazione della magistratura onoraria, Alpa ha suggerito di unificare tutte le figure di magistrati non togati in un organico unico, prevedendo una selezione rigorosa riservata agli avvocati, la temporaneità degli incarichi e una adeguata remunerazione.   Quanto alla proposta di estendere le competenze dei giudici di pace, per materia e per valore, Alpa ha sottolineato l’esigenza di tutelare i diritti dei cittadini mediante la prescrizione della difesa tecnica nel processo.  Infine, circa  la utilizzazione di giudici onorari per lo smaltimento dell’arretrato, il presidente ha rinviato ad un progetto in corso di elaborazione presso il Cnf al fine di rimediare all’enorme arretrato accumulatosi in questi anni.

(Da Mondoprofessionisti del 21.9.2011)

Illegittimo licenziamento lavoratrice futura sposa

Una donna, prossima al matrimonio, non può essere licenziata in nome della tutela della famiglia. E’ quanto si evince dalla n. 17845/2011.
Il caso. Una donna aveva chiesto al tribunale di Roma di dichiarare nullo il suo licenziamento, indicando tra i diversi motivi anche quello dell’affissione al comune delle pubblicazione del suo matrimonio.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte ricorda che «per le lavoratrici con contratto regolare esiste una sorta di periodo di garanzia che va dalle pubblicazioni delle future nozze a un anno per la data della celebrazione del matrimonio durante il quale esiste un divieto a licenziare». In particolare, proseguono i giudici di legittimità, «la tutela accordata dalla l. n. 7/1963 alle lavoratrici che contraggono matrimonio è fondata sull'elemento oggettivo della celebrazione del matrimonio e non è subordinata all'adempimento di alcun obbligo di comunicazione da parte della lavoratrice al datore anche se, sottolineano gli Ermellini, sarebbe meglio che la lavoratrice comunicasse comunque la decisione di sposarsi al proprio datore di lavoro se non altro per il dovere di collaborazione e di esecuzione del contratto secondo buona fede». Pertanto, conclude il Collegio, il licenziamento è illegittimo «allorché sia stato intimato senza che ricorressero i presupposti di una delle ipotesi di legittimo recesso datoriale, contemplate nell'ultimo comma dell'art. 1, l. n. 7/1963, nel periodo intercorrente tra la richiesta delle pubblicazioni e un anno dalla celebrazione». Tuttavia, precisa la Cassazione, se il preavviso di licenziamento arriva prima della pubblicazione, «non assume rilevanza la richiesta di pubblicazioni successive al licenziamento se pure intervenuta nel periodo di preavviso».

(Da avvocati.it del 20.9.2011)

martedì 20 settembre 2011

Incidenti stradali, no a risarcimento dimezzato

L’Assemblea dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, riunitasi in Roma lo scorso fine settimana (17 settembre 2011), ha approvato un deliberato contro il DPR varato dal Consiglio dei Ministri nel mese di agosto, che dimezza il risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali nei casi di invalidità permanente compresa tra il 10 e il 100 per cento. La misura deve ora passare al parere consultivo del Consiglio di Stato e poi alla firma del Presidente Napolitano.  Nel deliberato si denuncia che il provvedimento “caso strano, interviene appena due mesi dopo che una  sentenza della Cassazione aveva stabilito che le tabelle del Tribunale di Milano fossero quelle da ritenersi più congrue per il metodo di calcolo e i valori determinati. Secondo queste tabelle, un ventenne con invalidità permanente del 90 per cento fino ad oggi riceverebbe dai 850 mila a oltre un milione di  euro. Invece, con le tabelle fissate dal governo, incasserà tra i 450 e i 600 mila euro. Circa la metà. Una vera “eredità” in favore delle assicurazioni”.  “Questa decisione – spiega il presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla - implementa ulteriormente la forte discriminazione fra le vittime di incidenti stradali e le vittime di altri infortuni alle quali il D.P.R non sarebbe applicabile. Come è giustificabile che a fronte di uno stesso danno si possano ricevere risarcimenti tanto diversi? È un’evidente discriminazione causale che in Europa non è consentita. Inoltre, i valori pecuniari previsti dalla bozza del DPR non sono stati adeguati all’inflazione essendo gli stessi risalenti al 2005 e perciò sono ulteriormente penalizzanti. Se non bastasse, al di fuori di ogni previsione legislativa sono stati individuati valori differenti per uomini e donne. Non solo: questa scelta è anche un forte attacco alla Magistratura, che verrebbe privata totalmente di diritto del suo potere discrezionale nella decisione del quantum risarcitorio. Di fatto – continua il presidente Oua – così si annullano 40 anni di evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che aveva posto la persona al centro del diritto e non il mero calcolo economico aziendale. Il governo tenta di annullare con un colpo di spugna (e di mano) tutta la giurisprudenza in materia risarcitoria, sostituendola d’imperio con parametri monetari che contrastano nettamente anche quelli decisi dalla Cassazione». Nel delibera, quindi, si fa istanza al Governo “affinché ritiri il provvedimento, ingiustificato e lesivo dei diritti dei danneggiati nonché in aperto contrasto con i principi del giusto ed integrale risarcimento e dell’art. 32 della Costituzione e rivolge nel contempo appello al Presidente della Repubblica affinché non apponga la propria firma al D.P.R.”.

(Da Mondoprofessionisti del 20.9.2011)

Poste italiane e frodi informatiche bancarie


Sentenza del Tribunale di Palermo

Si tratta del caso di due clienti di Poste Italiane che avevano un conto on line, dal quale era stato effettuato un bonifico da loro non autorizzato. Nella fattispecie il Tribunale ha condannato Poste Italiane a rimborsare i correntisti, non avendo provato la legittimità dell'autorizzazione al bonifico. Tuttavia la decisione è anche interessante perchè viene evidenziato che il sistema di sicurezza di Poste Italiane era inadeguato ai migliori standard tecnologici e pertanto le Poste vengono comunque ritenute responsabili per non avere adottato le misure di sicurezza che all'epoca altri operatori già avevano nei loro sistemi di banca on line. Ritengo la decisione estremamente utile perchè interviene in un settore, quello delle frodi informatiche, in cui pochi sono i precedenti e pressocchè quasi mai a favore del cliente.

Avv. Alessandro Parmigiano (da telediritto.it)

La costituzione del pegno non autorizza la banca a incamerare somme

Cass. civ., Sez. I, 12.9.2011, n. 18597

Laddove la costituzione del pegno non autorizzi la banca all'incameramento di somme bensì alla semplice restituzione del titolo o documento comporta la necessità di accertamento del relativo credito attraverso l'insinuazione al passivo del fallimento. Si esula dalla disciplina del pegno irregolare e si rientra nell'ipotesi del pegno regolare qualora il cliente dell'istituto di credito vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, quale un libretto di deposito al risparmio, senza, tuttavia, conferire alla banca il potere di disporre del relativo diritto. Nell'ipotesi del pegno regolare, invero, la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l'obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta alla restituzione del titolo o del documento, con la conseguenza che il creditore assistito da pegno regolare, in relazione al quale deve escludersi la compensazione che opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio del diritto di prelazione, al fine di ottenere il soddisfacimento del suo credito è tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare ex art. 53 della legge fallimentare.

lunedì 19 settembre 2011

Ordine Catania: da domani notifiche telematiche

Il presidente dell’Ordine, Avv. Maurizio Magnano di San Lio, informa che dal prossimo 20 settembre, per le cause civili iscritte al Tribunale di Catania e sedi distaccate, le comunicazioni dei biglietti di cancelleria avverranno esclusivamente per via telematica e, quindi, potranno essere ricevute solo dagli iscritti ad un punto di accesso al processo telematico, quale il Portale Integrato dell'Ordine, o ritirate presso l'Ufficio Unico di cancelleria di via Crispi, costituito a tale scopo.
Si ricorda che l'effetto legale della notifica decorre nel momento del deposito della stessa, contestuale all'invio da parte della cancelleria.
Vista l'importanza dell'iscrizione ad un punto di accesso, il Consiglio dell'Ordine mette a disposizione il proprio "Ufficio Servizi Telematici" (Tribunale, II piano, interno sala fotocopie) per gli adempimenti necessari, invitandovi a provvedere al più presto.

Per un corretto versamento dell’IVA

L’Agenzia delle Entrate ha emanato un comunicato stampa per precisare che, nella prima applicazione della nuova aliquota IVA al 21%, è possibile che ragioni tecniche impediscano il rapido adeguamento dei software per la fatturazione e dei misuratori fiscali: gli operatori potranno regolarizzare le fatture eventualmente emesse e i corrispettivi annotati in modo non corretto, effettuando una variazione in aumento dell'imposta, prevista dall'articolo 26 c.1 del DPR 633/72. Ciò non comporterà alcuna sanzione, se la maggior IVA, in relazione all'aumento dell'aliquota, sarà comunque versata nella liquidazione periodica in cui diviene esigibile.

Obbligo di fornire i dati del conducente? No se comunicata pendenza ricorso

Non si configura omissione di collaborazione da parte del cittadino qualora questi non indichi le generalità del conducente ma comunichi all'organo di Polizia di aver proposto ricorso: di per sè ciò costituisce un giustificato e documentato motivo di omissione dell'indicazione dei dati del soggetto che si trovava alla guida del veicolo al momento della violazione.
E' quanto chiarisce la Circolare 5 settembre 2011, n. 7157 con la quale il Ministero dell'Interno conferma quanto già stabilto con la precedente Circolare 29 aprile 2011, n. 3971.
In tal caso non è quindi consentito applicare le sanzioni dell'art. 126-bis, c. 2, Codice della Strada poiché il destinatario dell'invito non può ritenersi obbligato a fornire i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi.

(Da Altalex del 12.9.2011)

Piede nella buca piena d’acqua: insidia o caso fortuito?

La sentenza 24 maggio 2011, n. 11430 registra l’ennesimo intervento della Corte di Cassazione in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per danni da insidia stradale.
Nella fattispecie, giunge all’esame dei Giudici di Piazza Cavour uno dei casi di più frequente verificazione pratica, rappresentato dal pedone che incappa in una buca del manto stradale coperta da acqua piovana e subisce lesioni personali.
In questa occasione, non si controverte sull’applicabilità dell’art. 2051 c.c., data per presupposta sia dal giudice di merito (la Corte d’Appello di Bologna), sia dai giudici di legittimità, quanto sul valore giuridico da attribuire alla circostanza che la buca, fonte del danno, fosse ricoperta di acqua.
Le soluzioni prospettate sono diametralmente opposte.
Da un lato, la Corte d’Appello di Bologna ha qualificato la circostanza in questione alla stregua del caso fortuito, idoneo ad elidere il nesso di causalità tra la cosa e il danno e, di conseguenza, ad esonerare il custode della cosa – nella specie l’amministrazione comunale – dalla responsabilità risarcitoria.
Dall’altro lato, la Corte di Cassazione, censurando la sentenza di merito sul rilievo critico per cui “La Corte di appello ha confuso un evento (normale e largamente prevedibile) che ha contribuito a causare il danno (…) con una causa di interruzione del nesso causale, quasi che si trattasse di evento esterno e non controllabile, di per sé solo sufficiente a produrre il danno”, ha proposto una soluzione antitetica.
Il fatto che la buca del manto stradale sia ricoperto di acqua, ad avviso degli Ermellini, rappresenta una circostanza idonea ad aggravare gli effetti del vizio di manutenzione e destinata ad escludere, pertanto, non già la responsabilità del Comune, ma al contrario un eventuale concorso di colpa dell’infortunata, per non aver visto tempestivamente la buca.
In altri termini, la pioggia, nascondendo le asperità del suolo, le rende ancor più insidiose, con la conseguenza di escludere – o quanto meno limitare – la configurabilità del concorso del fatto colposo del danneggiato.
Il principio enunciato dalla Corte di Cassazione favorisce in maniera evidente le ragioni del danneggiato a discapito della posizione sostanziale e processuale della pubblica amministrazione convenuta. Dalla vicenda emergono, tuttavia, alcune perplessità, che rappresentano altrettanti spunti di riflessione.
Per un verso, la soluzione approntata dalla Corte d’Appello, per come riassunta nella sentenza della Cassazione, appare davvero poco condivisibile: una precipitazione atmosferica non può certo essere qualificata in termini di evento estemporaneo, imprevedibile ed inevitabile e, quindi, idoneo autonomamente ad integrare un’ipotesi di caso fortuito, sia pure inteso nella sua accezione soggettiva di evento idoneo ad escludere la colpa del custode.
Il danno è riconducibile al Comune, infatti, in ragione della presenza della buca sul manto stradale e non della pioggia caduta.
Per altro verso, tuttavia, neppure la soluzione approntata dalla Corte di Cassazione sembra cogliere completamente nel segno. Il comportamento del pedone che incappa in una buca del manto stradale appare più distratto e imprudente laddove la buca piena di acqua piovana sia diventata una vera e propria pozzanghera; la circospezione esigibile dal pedone che attraversa la strada bagnata dalla pioggia è maggiore rispetto alle ordinarie condizioni.
Di conseguenza, il fatto che la buca stradale sia ricoperta di acqua si risolve in una circostanza della quale tener conto in sede di valutazione del comportamento del danneggiato, ai fini della configurabilità di un fatto colposo del danneggiato equiparabile al caso fortuito e, quindi, idoneo ad escludere la responsabilità risarcitoria del custode ovvero, ricorrendo un’ipotesi di concorso, ridurla proporzionalmente.

(Da Altalex del 9.9.2011. Nota di Raffaele Plenteda)