sabato 31 marzo 2012

Necessaria nuova legge professionale ma senza delegificazione

Pubblichiamo il testo della mozione con la quale il Congresso Nazionale Forense Straordinario di Milano (23-24 marzo 2012) si è espresso in materia di riforma degli ordinamenti professionali invitando CNF ed OUA a chiedere al Parlamento, al Presidente del Consiglio ed al Ministro della Giustizia di disciplinare con norma ordinaria la professione forense considerata la rilevanza sociale, la "specialità" della professione forense e la sua rilevanza costituzionale.
CNF ed OUA vengono inoltre invitati ad impegnarsi per una immediata convocazione di un comitato ristretto al fine di predisporre una proposta la quale sappia adeguare il disegno di legge 3900 alle recenti modifiche legislative introdotte con la Legge 14 settembre 2011, n. 148, salvaguardando il ruolo di soggetto costituzionalmente rilevante dell'Avvocato e il suo imprescindibile e peculiare ruolo per la difesa dei diritti dell'uomo, coerentemente con l'inviolabilità della difesa tecnica sancita dall' art. 24 della Carta Costituzionale, cosicché si possa costituire un progetto organico da consegnare al Ministro della Giustizia (da Altalex del 31.3.2012).

CONGRESSO STRAORDINARIO FORENSE MILANO 23-24 MARZO 2012

Il Congresso Straordinario Forense
VISTE
le disposizioni, contenute nella "Legge di stabilità 2012", che rimettono ad un regolamento di delegificazione la disciplina della riforma degli ordinamenti professionali e che dispongono l'abrogazione delle norme sugli ordinamenti professionali vigenti in contrasto con i principi dettati per il regolamento di delegificazione;
RILEVATO
- che l'ordinamento della professione di avvocato è materia che attiene, tra l'altro, all'organizzazione della giurisdizione, non potendosi consentire se non in aperta contraddizione con il principio di parità delle parti di cui all'art. 111 Cost., che la figura dell'avvocato sia regolato da fonte diversa da quella che regola la figura del giudice;
- che il rilievo costituzionale della professione di avvocato è posto anche a presidio del diritto alla difesa dei cittadini (art. 24 Cost.);
- che i principi posti ad indirizzo del previsto potere regolamentare del Governo sono del tutto generici e non adeguati alla complessità del quadro normativo che verrebbe abrogato;
- che si è in presenza di una abdicazione della funzione della legge a vantaggio di un potere regolamentare che appare libero e non circoscritto da adeguati limiti che lo configurino come discrezionale e quindi sindacabile;
- che tale potere regolamentare verrebbe quindi ad incidere sulla libertà di esercizio della professione, con palese violazione delle riserve di legge, sia assolute che relative, poste dalle norme costituzionali richiamate, oltre che dall'art. 41, comma 2, Cost.;
- che inoltre nella materia delle professioni la potestà regolamentare non spetta allo Stato;
IMPEGNA
il Consiglio Nazionale Forense unitamente all'OUA affinchè sia formalmente richiesta la disponibilità del Governo alla rinunzia alla ipotesi di normazione secondaria tramite DPR e in ogni caso a richiedere al Parlamento, al Presidente del Consiglio ed al Ministro della Giustizia di disciplinare con norma ordinaria la professione forense considerata la rilevanza sociale, la "specialità" della professione forense e la sua rilevanza costituzionale;
il Consiglio Nazionale Forense unitamente all'OUA a chiedere altresì al Governo che anche per gli altri punti previsti dall'art. 3 comma 5 del DL 138/2011, convertito in legge 148/2011, si proceda non ricorrendo alla mera potestà regolamentare governativa ma riaffidando alla discussione parlamentare e alla correlativa assunzione di responsabilità politica dello stesso l'attuazione di tale disciplina.
INVITA ANCORA
ad impegnare il CNF e l'OUA alla immediata convocazione di un comitato ristretto cui partecipano, rappresentanti degli Ordini su base distrettuale, rappresentanti delle Associazioni forensi e delle Unioni al fine di predisporre una proposta, il più ampiamente condivisa, la quale sappia adeguare il disegno di legge 3900 alle recenti modifiche legislative introdotte con la legge 14 settembre 2011, n. 148, salvaguardando il ruolo di soggetto costituzionalmente rilevante dell' Avvocato e il suo imprescindibile e peculiare ruolo per la difesa dei diritti dell'uomo, coerentemente con l'inviolabilità della difesa tecnica sancita dall' art. 24 della Carta Costituzionale, cosicché si possa costituire un progetto organico da consegnare al Ministro della Giustizia entro la fine di Aprile 2012
AUSPICA
un intervento del Presidente della Repubblica a sostegno di quanto sopra.

Dal congresso: occorre ripristinare le tariffe!

Pubblichiamo il testo della mozione con la quale il Congresso Nazionale Forense Straordinario di Milano (23-24 marzo 2012) si è espresso in materia di tariffe chiedendo il ripristino immediato delle Tariffe Professionali Forensi, con fissazione dei minimi inderogabili (da Altalex del 31.3.2012).

CONGRESSO STRAORDINARIO FORENSE MILANO 23-24 MARZO 2012

MOZIONE
- Dal 2006 i Governi, che si sono succeduti fino ad oggi, hanno adottato provvedimenti, in via d'urgenza e in modo autoritario, nei confronti degli Avvocati, senza alcuna preventiva concertazione né consultazione, pur andando ad incidere su diritti fondamentali e interessi primari dei cittadini, quali sono il diritto alla difesa e alla giustizia sanciti dall'art. 24 della Costituzione.
- Si vuole far credere che le " liberalizzazioni" costituiscano attuazione del Diritto Comunitario, in conformità a quanto chiederebbero gli Organi Comunitari e che sarebbe necessaria la liberalizzazione, anche della professione forense, per rilanciare l'economia e per ridurre il debito pubblico.
- In Italia non esistono sbarramenti all'esercizio della professione forense, salvo l'esame di stato, previsto dall'art. 33 della Costituzione e necessario al fine di verificare il grado di preparazione e la capacità di chi sarà chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nella società, ossia tutelare I diritti dei cittadini.
- Infatti, gli Avvocati iscritti negli albi erano circa 50.000 nel 1990, 100.000 nel 2000, mentre oggi sono circa 230.000, con una crescita esponenziale, tale che il rapporto tra i cittadini e il numero degli Avvocati è il più alto in Europa. Invero, in altri Stati dell'Unione Europea, analoghi al nostro e certamente ispirati al pieno rispetto dei principi di libertà, di democrazia e di libera concorrenza, come ad esempio la Francia e la Germania, l'accesso alla professione è molto più selettivo, e, peraltro, anche in termini economici viene dato il giusto riconoscimento all'importanza e alla qualità del servizio reso dagli Avvocati mediante l'applicazione di tariffe professionali, simili per tipologia e struttura, a quelle che il governo Monti intende abrogare.
- In nome della liberalizzazione, che si afferma essere pretesa dall'Europa, si vuole dare attuazione, in realtà, al progetto dei poteri forti, finalizzato a dequalificare la figura dell'Avvocato, sacrificando i principi fondamentali della professione forense, quali l'autonomia e l'indipendenza, così da rendere il professionista forense totalmente condizionato e succube dei voleri dei detentori di grandi capitali.
- E' veramente mistificatorio affermare che l'abolizione delle tariffe nazionali forensi e la conseguente determinazione del costo della prestazione professionale, lasciata alla libera determinazione delle parti, sia riconducibile all'esigenza, manifestata in Europa, di tutelare il Diritto Comunitario della concorrenza , così come avviene per le imprese. Nell'ambito del Diritto Comunitario non vi è alcuna equiparazione tra professione intellettuale e impresa, ma anzi viene fatta una netta distinzione, riconoscendosi la specialità, in particolare della professione legale, che non può essere equiparata in toto all'attività di impresa, atteso che agli Avvocati devono essere riconosciuti e garantiti, proprio per la tutela del pubblico interesse, valori fondamentali che esulano dalla disciplina della concorrenza, ossia l'autonomia, l'Indipendenza, l'assenza del conflitto dì interessi ed anche la tutela del segreto professionale.
- Invero, gli Organismi Europei hanno più volte affermato la piena compatibilità del sistema tariffario forense, anche per quanto concerne la determinazione dei minimi, con il diritto comunitario della concorrenza, atteso che le tariffe professionali, anche se proposte dal CNF, sono approvate dal Ministro della Giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e del CIP, e sono, quindi, espressione di un atto dello Stato e non già dell'interesse della categoria. Peraltro, i minimi tariffari inderogabili, garantiscono e tutelano la qualità della prestazione professionale resa e conseguentemente i consumatori nonché la buona amministrazione della Giustizia, così integrando le " ragioni imperative di interesse pubblico" che giustificano una eventuale limitazione del principio di libera prestazione dei servizi, prevista da una norma legislativa interna di uno Stato appartenente alla UE.
- Anche la Corte di Cassazione, più volte e da ultimo con la sentenza n. 21934 del 21 ottobre 2011, ha affermato che la normativa comunitaria, non solo non impedisce l'adozione delle tariffe minime, ma anzi ritiene che le stesse siano giustificate da ragioni di interesse pubblico, quali la corretta amministrazione della Giustizia e la tutela del consumatore. La Cassazione, peraltro, ha aggiunto che " pur non essendo una garanzia della qualità dei servizi non si può certo escludere -ed anzi deve affermarsi- che nel contesto italiano, caratterizzato da una elevata presenza di avvocati, le tariffe che fissano onorari minimi consentano di evitare una concorrenza che si traduca nell'offerta di prestazioni " al ribasso" , tali da poter determinare un peggioramento della f qualità del servizio". Tanto più, ove si consideri, che i consumatori non sono in grado di valutare preventivamente la qualità dei servizi resi dall'Avvocato.
- L' ingiustificata abolizione delle Tariffe legali costituisce un deprecabile regalo elargito a quei poteri forti, i quali non mirano al buon andamento della Giustizia mediante servizi efficienti, bensì egoisticamente vogliono:
■ evitare che i cittadini possano, tramite la via giudiziaria e l'assistenza di Avvocati, effettivamente liberi e indipendenti, tutelare i loro diritti ed interessi in contrasto con gli interessi perseguiti dai detti poteri forti;
■ gestire e condizionare il mercato dei servizi legali nonché abbattere a proprio vantaggio i costi legali al fine di indebolire sempre di più i professionisti forensi, così da esercitare su di essi un condizionamento e un controllo sempre più penetrante.
Tutto ciò premesso, l'Avvocatura italiana riunita in Congresso straordinario a Milano
CHIEDE
il ripristino immediato delle Tariffe Professionali Forensi, con fissazione dei minimi inderogabili, mediante Decreto, emanato dal Ministro della Giustizia, previa proposta del CNF e previ i pareri del Consiglio di Stato e del CIP
INVITA
Tutti gli Organi Istituzionali e Associativi dell'Avvocatura:
■ ad intervenire immediatamente e con la dovuta fermezza in ogni competente sede anche europea, al fine di conseguire l'obiettivo del ripristino delle Tariffe Professionali Forensi, con fissazione dei minimi inderogabili.
■ Comunque, a vigilare e a intervenire affinché i parametri che, in base al DL n. 1/2012 il Ministro della Giustizia andrà a stabilire entro 120 giorni dall'eventuale conversione in Legge del richiamato Decreto Legge , siano rispettosi della dignità professionale e del ruolo primario svolto dagli Avvocati nella società italiana, con il dovuto riconoscimento di spettanze adeguate alia finalità e all'irrmortanza del lavoro svolto.

La mozione per abrogare la mediazione

Pubblichiamo il testo della mozione con la quale il Congresso Nazionale Forense Straordinario di Milano (23-24 marzo 2012) si è espresso in materia di mediazione civile, auspicando un referendum per abrogarne l'obbligatorietà prevista dall'art. 5 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (da Altalex del 31.3.2012).

CONGRESSO STRAORDINARIO FORENSE MILANO 23-24 MARZO 2012

L'Assemblea dei delegati del Distretto della Corte d'Appello di Napoli, Congresso Nazionale Forense Straordinario di Milano del 23-24 marzo 2012, sul tema "I DIRITTI NON SONO MERCE, nella seduta del tenutasi in Napoli Castelcapuano addì 13 marzo 2012, ha deliberato quanto segue.
I recenti interventi legislativi sull'accesso alla giurisdizione e sugli ordini professionali confermano un inaccettabile regime di compressione del diritto del cittadino all'accesso alla giustizia ed alla garanzia di una difesa autonoma ed indipendente dai poteri economici, oltre che una distorta concezione dell'esercizio della professione forense, interventi tutti che risultano in violazione dei valori fondanti della. "Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali", della Costituzione italiana e dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia e dal Parlamento dell'Unione Europea.
In ordine alle indicate violazione l'Avvocatura dei Distretti delle Corti di Appello di Napoli e Salerno, confermando le proteste già avanzate nelle sedi competenti, sottopone all'Assemblea del Congresso Nazionale Forense Straordinario la mozione che segue.
I - Riforma della giustizia e tutela dei diritti del cittadino.
II diritto del cittadino all'accesso alla giurisdizione (art. 24 Cost.), già penalizzato dalle note carenze strutturali del sistema giustizia in Italia e dalla irragionevole durata del processo, è stato e risulta essere ulteriormente compresso dagli ultimi interventi legislativi sul processo civile ed amministrativo, tutti caratterizzati dalla mancanza di un disegno programmatico complessivo, ma nel contempo sempre finalizzati ad una vera e propria disincentivazione dell'utilizzo del processo, operata, peraltro, in danno dei soggetti economicamente più deboli.
Tanto è avvenuto e tutt' oggi si riscontra:
Nell'aumento esponenziale dell'importo del contributo unificato (cioè della Tassa per la domanda di giustizia) nel processo civile ed amministrativo previsto dal DL n. 98/2011 e con la estensione del contributo unificato a materie tradizionalmente escluse, come il lavoro e la famiglia; contributo unificato che è stato poi ulteriormente aumentato dal D.L 138/2011 e dalla Legge n. 183/2012.
Nella situazione in cui tutt'oggi versa il patrocinio a spese di giustizia a carico dello Stato, atteso che il limite di reddito € 10,628,00, oggi previsto per l'acceso alla procedura, rimane del tutto insufficiente anche per redditi di poco superiori, con la conseguenza che gli esponenziali aumenti del contributo unificato rimangono comunque e sempre a carico di parti economicamente deboli; situazione che rimane ulteriormente compromessa dalla cronica carenza dei fondi per il pagamento delle spese e competenze professionali, con la conseguenza che l'onere della difesa finisce col gravare unicamente sugli avvocati, così rendendo ancora più gravoso il mandato difensivo.
Nell'abrogazione delle tariffe professionali, senza tenere conto della specificità del sistema tariffario per la professione forense, atteso che detto sistema, oltre ad essere una garanzia di indipendenza dell'avvocato e di qualità in tutte le prestazione giudiziarie e stragiudiziali, sase" in particolare un necessario strumento per la regolamentazione delle spese di giustizia nel processo civile, amministrativo e penale nell'attività stragiudiziale; l'abrogazione ha quindi provocato un vuoto normativo: / a - nel processo con danni per le parti, ed ai quali si é in parte ovviato con i recenti interventi di supplenza dell'Autorità Giudiziaria che ha imposto di continuare ad utilizzare le abrogate tariffe negli atti e provvedimenti giurisdizionali; b - nel'attività di consulenza dove la mancanza di patti espressi sugli onorari e spese nei procedimenti in corso, ha causato e causa incertezze tra le parti, con possibili liti giudiziarie sulla determinazione dei compensi dovuti al professionista forense.
Nelle norme finalizzate allo snellimento ed alla riduzione dei tempi della giustizia civile, le quali:
a- risultano ispirate da un inaccettabile spirito punitivo, come è avvenuto con la prevista "multa" (fino ad € 10.000,00) nel caso di rigetto di richiesta di inibitoria della sentenza di prime cure;
b- calpestano i più fondamentali principi di civiltà giuridica, come è avvenuto con l'abrogazione dell'art. 183, comma 8°, c.p.c, che stabilisce il diritto delle parti alla controprova in caso di disposizione di prova da parte del Giudice.
Nelle modifiche delle circoscrizioni dei Tribunali, a cui il Governo intende dare esecuzione, peraltro in chiara disapplicazione della legge delega sulla revisione della geografìa giudiziaria, e nella riduzione delle sedi dei Giudici di Pace, alla quale il Governo intende dare attuazione con un disegno di legge delega nel quale è prevista la soppressione di n. 674 sedi di Giudici di Pace e di oltre 1100 posti di organico.
Provvedimenti tutti che il Governo si propone di attuare considerando solo la mera riduzione dei costi e senza tenere conto che la pretesa di accorpare in un unico Ufficio le funzioni in precedenza svolte in più sedi sconta:
- un'inevitabile paralisi dell'attività giudiziaria per l'impossibilità di trovare strutture idonee allo scopo;
- comporta maggiori oneri di spesa per l'Ufficio accorpante;
- rende sempre più arduo l'accesso del cittadino alla tutela giudiziaria.
Nell'entrata in vigore della mediazione obbligatoria anche per le controversie sulla responsabilità civile auto e le liti condominiali, in ordine alla quali ancora si evidenzia che il Governo ha disatteso le istanze dell' Avvocatura finalizzate ad un rinvio, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulle ordinanze di rimessione per incostituzionalità del D.lgs n 28/2011: rinvio reso ancora più necessario per l'ulteriore grave impatto che l'obbligatorio tentativo di mediazione per le indicate categorie di liti, avrà sul diritto del cittadino all'accesso alla giustizia, atteso: a - il dilatare dei tempi per l'acceso alla giustizia;
b - gli inaccettabili costi imposti dagli organismi di mediazione anche alla parte chiamata alla procedura;
c - gli scarsi risultati raggiunti sulle liti conciliate nel corsi dell'anno in cui è entrata in vigore la obbligatorietà della mediazione, con le conseguente inutilità della dilatazione dei tempi d accesso alla giustizia e dell'aumento dei costi, questi ultimi solo ed esclusivo vantaggio degl organismi privati di mediazione.
L'Avvocatura italiana chiede pertanto:
1 - Un mutamento di rotta nella politica degli interventi normativi nel
processo civile ed amministrativo, oggi unicamente indirizzata a scoraggiare,
se non addirittura ad impedire l'accesso del cittadino alla giurisdizione, con
interventi concreti che consentano: r
a — la riduzione degli importi del contributo unificato e comunque la destinazione dei proventi ad esclusivo miglioramento del complesso del "servizio giustizia";
b - il superamento della cronica carenza dei fondi destinati al patrocinio della spese di giustizia a carico dello Stato;
2 - Interventi sulle circoscrizioni dei Tribunali e dei Giudici di Pace che tengano conto, oltre della riduzione dei costi anche della primaria necessità di individuare strutture idonee allo scopo e delle perdite causate alle economie locali, sempre previa consultazione con l'Avvocatura e delle rappresentanze politiche e sociali dei territori interessati dagli interventi di riforma.
3 - Una presa di coscienza che la "mediazione" è stata illegittimamente introdotta in via obbligatoria nell'ordinamento italiano per controversie su diritti che nulla hanno a che vedere con i diritti a contenuto economico che la Direttiva Europea sulla mediazione indicava, con la conseguente rivisitazione e modifica della normativa del D.lgs. n. 28/2010 che tenga conto delle istanze dell'Avvocatura e provveda:
a - alla eliminazione dell'obbligatorietà della mediazione;
b - all'adeguando della mediazione al modello di ADR che l'esperienza europea evidenzia e che tenga nel debito conto che le controversie si possono mediare e. quindi, anche conciliare con il contributo, sempre determinante, dell'avvocato.
4 - Propone un referendum popolare per l'abrogazione dell'obbligatorietà della mediazione prevista nell'art. 5 del D.Lgs. N. 28/2010.

Chiusura tribunali, mozione contro generalizzazione

Pubblichiamo il testo della mozione con la quale il Congresso Nazionale Forense Straordinario di Milano (23-24 marzo 2012) si è espresso in materia di tribunali auspicando da parte del Ministero della Giustizia un riordino della geografia giudiziaria improntata a criteri "oggettivi ed omogenei" (tensione del territorio, abitanti specificità territoriale, tasso di criminalità, infrastrutture) nonché la completa informatizzazione degli uffici con l'attivazione del processo telematico (da Altalex del 31.3.2012).

CONGRESSO STRAORDINARIO FORENSE MILANO 23-24 MARZO 2012
PER UNA RINNOVATA E MODERNA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA

La Giustizia, pur in presenza di congiunture particolari non può essere gestita in termini di "produttività aziendale", poiché essa è, e rimane, un bisogno primario della collettività i cui costi devono considerarsi come socialmente utili e doverosamente assorbibili;
In questo principio si innesta la esigenza di affrontare le problematiche legate alla geografia giudiziaria.
Ciò non può, ovviamente, avvenire come oggi avviene, in termini settoriali o limitati solo ad alcuni Uffici ma interessare ogni sede dove si amministra Giustizia, sia essa del Giudice di Pace, Sezione Staccata di Tribunale, Tribunale o Corte di Appello e coinvolgendo per una ampia disamina delle singole esigenze territoriali, l'avvocatura e tutte le forze socio - istituzionali locali.
E' politicamente necessaria un'analisi non quantitativa ma qualitativa dei singoli dati territoriali, purchè certi" e "verificati" e raccolti con la collaborazione dell' avvocatura territoriale.
Non devono, inoltre, venir meno le esigenze di salvaguardare la giustizia di prossimità che avevano portato ad istituire le attuali sedi.
Va altresì conferito che gli obiettivi di risparmio e di efficienza, posti a base di una legge delega, non si raggiungono con l'indiscriminata e generica soppressione degli Uffici giudiziari, quanto piuttosto con una oculata e condivisa riorganizzazione sul territorio degli attuali Uffici, potenziando, anche sotto il profilo dell'alta tecnologia, proprio quegli Uffici di prossimità, che in ragione di una struttura meno complessa e burocratica, offrono una pronta e rapida risposta di giustizia ed un più rapido accesso a tutti i servizi da parte dei cittadini, così allineandosi agli standard previsti dalla Comunità europea anche al fine di evitare la paralisi del servizio giustizia negli uffici accorpati.
Un'efficiente, attuale ed economicamente utile riorganizzazione giudiziaria, si può attuare soltanto attraverso un'ampia ridistribuzione territoriale del carico di lavoro dei singoli uffici senza le attuali limitazioni geografiche, superando cioè i confini geografici provinciali e riferirsi piuttosto a quelli del distretto della Corte d'Appello, regionali o di colleganza socio-economica. Al contrario, da una indiscriminata e irrazionale soppressione, come quella intrapresa, non deriverebbe alcun risparmio economico, essendo vero invece il contrario stante il permanere di tutti i costi solo figurativamente trasferiti presso la sede accorpante e non ne deriverebbe affatto alcuna diversa e migliore efficienza del servizio, essendo vero invece il contrario atteso il maggior carico di lavoro che andrebbe a gravare sull'Ufficio accorpante, con perdita di efficienza, nei territori accorpati, nella giustizia civile e nella lotta alla criminalità.
Su questa premessa l'Avvocatura Italiana ha manifestato preoccupazione e contrarietà per:
- l'assenza di ogni dialogo con l'avvocatura, pur ripetutamente richiesto, nell'attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli Uffici Giudiziari.
- la mancanza di un progetto organico tale da interessare tutti gli Uffici,
- un provvedimento finalizzato essenzialmente alla soppressione di Uffici di primo grado, in quanto non avente sede in capoluogo di provincia e non a ridistribuire equamente il territorio ai fini di raggiungere una più efficiente risposta di giustizia;
- la mancanza di ogni applicazione in sede di revisione degli Uffici del Giudice di Pace di quei criteri legati alla verifica delle esigenze del territorio, pur presenti in delega, che ha comportato la totale soppressione degli Uffici non circondariali,
- per la non celata intenzione, manifestata già dall'indicato provvedimento sugli uffici dei Giudici di Pace, di ridisegnare le sedi di Tribunale e di Sezione Distaccata per sole ragioni economiche, disattendendo ogni valutazione sulle ragioni della giustizia di prossimità (in spregio al dettato del trattato di Lisbona del 13.12.2007) e con ciò eliminando senza, senza possibilità di appello, anche uffici efficienti e territorialmente indispensabili.
Su questa premessa l'Avvocatura Italiana chiede al Ministro della Giustizia di procedere, preliminarmente ad ogni decisione, all'acquisizione di tutti i dati relativi all'attività svolta dagli Uffici giudiziari, compresi quelli di spesa e quelli relativi al fabbisogno di giustizia sulla base di riscontri certi, collegati a parametri sociali, economici, strutturali e sulla base di dati oggettivi, relativi a strumenti, organizzazione, personale, carico di lavoro e produttività.
Ha, inoltre, chiesto di tenere conto, oltre che della riduzione dei costi, anche della primaria necessità di individuare strutture idonee allo scopo e delle perdite causate alle economie locali, sempre previa consultazione con l'avvocatura e con le rappresentanze politiche e sociali dei territori; nonché di esaminare, analizzare e valutare il territorio nazionale sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello produttivo, sia sotto quello delle strutture e dell'organizzazione giudiziaria esistente, al fine di individuare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente.
Ulteriore richiesta è quella di tenere conto, quali principi irrinunciabili, della velocità di risposta e della qualità dei servizi, garantendo su tutto il territorio magistrati preparati e responsabilizzati nell'assunzione delle decisioni.
Rispettando queste indicazioni si provvederà quindi per gradi alla redistribuzione dei singoli uffici, facendo seguire alla riforma degli Uffici dei Giudici di Pace, quelle delle Sezioni Distaccate di Tribunale e quindi delle Circoscrizioni, facendo seguire ad ogni fase un periodo non irrisorio di monitoraggio degli effetti, sia sul territorio che sui cittadini che sulle imprese, della chiusura e/o accorpamento, con rilievo degli indici reali di raggiunta maggior efficienza e di risparmio rispetto alla situazione preesistente.
Successivamente si potrà compiutamente passare alla seconda fase solo per quegli uffici ed aree ove risultino acquisiti, con il confronto delle realtà locali, e a parità di organico e mezzi degli uffici interessati, indubbi vantaggi per il cittadino, per l'impresa, per l'amministrazione della Giustizia e per la sicurezza dei territori contro la criminalità organizzata, così realizzando un'attenta comparazione tra risparmio atteso e efficienza auspicata e costi indiretti che ricadrebbero sui cittadini, sulle amministrazioni pubbliche, sulle aziende.
Occorre interpretare il criterio stabilito sub e) nel senso di superare i confini geografici provinciali e, privilegiando quelli dei distretti delle Corti d'Appello e regionali, ed affermando il criterio del "territorio limitrofo extraprovinciale.
Ed infine è necessario
- applicare i principi della legge sui Tribunali metropolitani, procedendo ad una generale ridistribuzione territoriale e con ciò interessando Corti D'Appello, Tribunali, Sezioni Distaccate e Uffici del Giudice di Pace, avendo, quale criterio direttivo, quello della reazioni di Uffici con termini, il più omogenei possibile, di dimensioni ottimali per territorio, popolazioni ed organici:
- promuovere l'applicazione da parte dei Presidenti delle Corti D'Appello dell'istituto della coassegnazione di cui all'art.7 ter, comma 3 quinquies, del RD n. 12/1941, nonché la completa informatizzazione degli uffici con l'attivazione del processo telematico;
- applicare nella ridistribuzione degli Uffici del Giudice di Pace i criteri "oggettivi ed omogenei" inseriti in delega quali estensione del territorio, abitanti specificità territoriale, tasso di criminalità, infrastrutture.
In conclusione, l'Avvocatura ha
INVITATO
il Ministro della Giustizia a non dare attuazione alla delega ove questa non recepisca i principi e le richieste formulate dall'avvocatura
AUSPICANDO
in proposito anche l'autorevolissimo intervento del Capo dello Stato.

Liquidazione pensioni, ineseguibilità sentenze condanna generica

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2065/2012, depositata il 1° febbraio 2012, ha riaffermato il principio, in materia pensionistica, che le sentenze meramente dichiarative non possono essere poste in esecuzione.
La fattispecie concreta era relativa alla notifica di precetto per ottenere la liquidazione di presunte differenze pensionistiche a seguito di sentenza di primo grado sul presupposto che la Cassa avesse illegittimamente dichiarato invalidi ai fini pensionistici alcuni anni per mancanza della continuità professionale e, quindi, che il trattamento pensionistico dovesse essere ricalcolato.
Il Tribunale di Roma, con la prima sentenza del 2010, in accoglimento del ricorso del professionista, aveva dichiarato il diritto di quest’ultimo al ricalcolo della pensione e la Cassa ha promosso appello avverso tale sentenza. Successivamente, l’interessato ha notificato atto di precetto, in virtù di tale prima sentenza del 2010, chiedendo la corresponsione delle differenze pensionistiche dovute e la Cassa ha opposto il precetto in questione sul presupposto che la pronuncia di condanna era generica. Nel frattempo, comunque, la sentenza di primo grado del 2010 posta in esecuzione dall’iscritto è stata riformata in appello, in senso favorevole alla Cassa.
Con riferimento alla natura di titolo esecutivo della sentenza, si segnala l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la condanna al pagamento di un importo costituisce di per sé titolo esecutivo, qualora sia omessa l’indicazione del preciso ammontare della somma oggetto dell’obbligazione, semprechè la somma sia quantificabile per mezzo di un mero calcolo matematico e i dati per tale quantificazione possano essere tratti dal contenuto del titolo stesso (Cass., sez. lav., 9 marzo 1995, n. 2760; conforme: Pret. Napoli, Napoli, 19 ottobre 1995), ovvero siano stati tenuti presenti come premessa logica indispensabile della decisione (Cass., Sez. Lav., 6 marzo 1996, n. 1741).
La stessa sentenza n. 2065/2012, invero, richiama due recenti pronunce della Suprema Corte sull’argomento, riportando il principio di diritto affermato in controversie di lavoro, ovvero che la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di un certo numero di mensilità, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se invece la sentenza di condanna non consente di determinare le pretese economiche del lavoratore in base al contenuto del titolo stesso, in quanto per la determinazione esatta dell’importo sono necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, o nel caso di sentenza di condanna generica, che rimandi ad un successivo giudizio la quantificazione del credito, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere nei confronti del datore di lavoro un decreto ingiuntivo di pagamento per il credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti (Cass., 27 gennaio 2005, n. 1677). L’altra pronuncia richiamata dalla sentenza in esame ha affermato che la sentenza che, dichiarando l’illegittimità del licenziamento, condanni il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore le mensilità di retribuzione, secondo i criteri di cui all’art. 2121 cod. civ., per il periodo compreso fra la data del licenziamento stesso e quella dell’effettiva reintegra, va parificata, quando non sia indicativa di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia di condanna generica, con conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del “quantum”, quando insorga successivamente controversia in ordine alla individuazione della retribuzione globale di fatto assunta (Cass. Sez. Lav., 30 novembre 2010, n. 24242).
Peraltro, in analoghe vertenze aventi come parte la Cassa, i giudici di merito hanno accolto l’opposizione a precetto proprio sulla base delle esposte considerazioni (cfr. Trib. Roma, 16 febbraio 2004, n. 2765; Trib. Roma, 2 maggio 2004, n. 10384; Trib. Salerno, n. 5789/08).

Marcello Bella (da CF Newsletter n. 3 del marzo 2012)

venerdì 30 marzo 2012

Tace impotenza, al marito addebito separazione

In tema di separazione, l’addebito va stabilito a carico del coniuge che ha taciuto, con prova anche mediante testimonianze de relato, l’impotentia generandi. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3230/2012.
Il caso. Un medico mandava all'aria il suo matrimonio, per aver taciuto alla consorte, nonostante fossero stati fidanzati un anno, prima di convolare a nozze, di non poter avere figli. Solo dopo un anno e mezzo di matrimonio, la donna venne a sapere che non avrebbe mai potuto essere madre, cosa che lei desiderava tantissimo. Per la donna fu un duro colpo al quale reagì, oltre che con l'astio, anche con un adulterio, scoperto subito dal marito e culminato in una gran scenata sedata solo dall'arrivo delle forze dell'ordine.
Il giudizio di legittimità. Per la Suprema Corte "l'uomo che nasconde la sua impossibilità di generare figli alla donna che sta per sposare, rischia l'addebito della separazione se la moglie, dopo il matrimonio, scopre che il marito le ha sempre taciuto la sua impotenza. E la circostanza che la moglie, appresa la verità, abbia poi intrapreso una relazione adulterina, è del tutto irrilevante e non può cancellare la 'colpa' del coniuge omertoso su un aspetto così importante nella vita di coppia". Con questo verdetto, i giudici di legittimità hanno definitivamente stabilito la 'colpevolezza' dell'uomo.  Infatti, la rottura è stata attribuita al "grande ed effettivo rilievo dell'effetto che il silenzio sull'impotenza ha provocato nella psiche della moglie, la quale, giunta al matrimonio non più giovanissima, desiderando una maternità non più procrastinabile, vi ha dovuto definitivamente rinunciare, perché il tempo a sua disposizione é velocemente trascorso". Oltre ad addebitare la separazione al marito silente, la Cassazione ha confermato anche il diritto della ex moglie a ricevere un assegno mensile pari a 450 euro.

(Da avvocati.it del 30.3.2012)

Errore giudiziario: quale danno risarcibile?

Cass. pen. sez. IV, sent. 20.3.2012 n° 10878


La corte di appello di Brescia aveva liquidato ad un cittadino detenuto ingiustamente, una somma per danno biologico, una somma per danno esistenziale (consistente nel deterioramento dei già difficili rapporti familiari, specie con la figlia) e una somma per danno morale.
Il Ministero, tra i motivi di ricorso, ne espone uno proprio sulla presunta illegittimità della liquidazione del danno esistenziale “essendo lo stesso soltanto un ordinario danno non patrimoniale, chiamato con altro nome”.
La Corte precisa al riguardo che non si ha alcuna duplicazione di liquidazione, ma una diversificazione delle voci costituenti un unico danno, che viene quindi liquidato con una somma costituita da due diverse e distinte operazioni di valutazione; in sostanza la somma complessiva, anche se non esplicitamente unificata deriva da due addendi, entrambi giustificati come denominazione e come liquidazione.
Il Collegio sul punto ribadisce il principio (sentenza 18 marzo 2009, n. 22688) per cui, se è vero che le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 hanno statuito che non è ammissibile nel nostro ordinamento il danno definito ‘esistenziale’, e che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato, non è men vero che non può non tenersi conto nella liquidazione del danno non patrimoniale, nella sua globalità, di tutte le peculiari sfaccettature di cui si compone nel caso concreto, quali: l’interruzione delle attività lavorative e di quelle ricreative, l’interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali, il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita.
Questa decisione sottolinea l’importanza non tanto della denominazione della categoria di danno, che rimane unica (non patrimoniale) quanto della necessaria liquidazione di ogni pregiudizio subito e rientrante in quella categoria. Ad avviso dello scrivente, senza addentrarsi nella letteratura giuridica sulle tipologie di danni e se sia o non ammesso un terzo tipo di danno (esistenziale), risulta fondamentale, per l’avvocato, la completa allegazione di tutti i pregiudizi, la rappresentazione al giudice di ogni conseguenza subita e della relativa prova del danno non patrimoniale, senza preoccuparsi tanto di indicare le voci di danno, le categorie, i titoli (esistenziale o non). Meglio i contenuti senza titoli che non chiedere un danno esistenziale senza specificare il tipo di pregiudizio subìto. Sarà il giudice ad accertare se quei pregiudizi siano meritevoli di tutela e quindi risarcibili e con quale voce o classificazione. Nel caso di specie, il danno da interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali è stato dedotto e riconosciuto, e liquidato sotto il profilo del danno non patrimoniale come voce autonoma, ma in considerazione di una ritenuta sfaccettatura del danno non patrimoniale globalmente inteso.
Sul danno conseguente alla detenzione.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso del danneggiato, riconoscendo il risarcimento anche del danno conseguente alla detenzione, negato dalla corte di appello in base all’inammissibilità di doppia liquidazione, in base al criterio risarcitorio e a quello equitativo, avendo essa scelto quello risarcitorio.
La Corte chiarisce che la riparazione per l’errore giudiziario, come quella per ingiusta detenzione, non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base ai principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato. Anche se ora l’art.643 c.p.p. non contempla più l’aggettivo ‘equa’ (riparazione), non è inibito al giudice della riparazione fare riferimento anche a criteri di natura risarcitoria che possono validamente contribuire a restringere i margini di discrezionalità inevitabilmente esistenti nella liquidazione di tipo esclusivamente equitativo, limitandolo alle voci non esattamente quantificabili.
In pratica, secondo la Corte di Cassazione, nella riparazione per errore giudiziario, il giudice può utilizzare sia il criterio risarcitorio sia quello equitativo (come si trattasse di un tertium genus rispetto alle due forme di ristoro, come del resto più di un autore ha ravvisato).
La proclamata incompatibilità dell’adozione del criterio risarcitorio e di quello equitativo, pena una inammissibile duplicazione di liquidazione, viene meno, ragionevolmente, in relazione a danni non quantificabili con esattezza, come per esempio quello arrecato dalla condanna ai rapporti tra padre e figlia, per il quale la liquidazione dovrà tener conto, con giudizio esclusivamente equitativo, del danno differenziale. In conclusione, il danno conseguente alla detenzione va liquidato autonomamente anche in ossequio alla dizione letterale dell’art. 643 c.p.p. e nella liquidazione andrà utilizzato un criterio equitativo senza i limiti stabiliti dall’art. 315 c.p.p., per la riparazione del danno da ingiusta detenzione.

(Da Altalex del 28.3.2012. Nota di Giuseppe De Marco)

giovedì 29 marzo 2012

Il 50% degli avvocati dichiara il reddito di un operaio

Il presidente dell'Unione Camere Civili Renzo Menoni

Anche gli Avvocati piangono. Il 50% della categoria dichiara 'un reddito lordo inferiore ai 10 mila euro all'anno, quasi uno stipendio da operaio'.
L'allarme arriva dal presidente dell'Unione Camere Civili, Renzo Menoni (nella foto) che, dati della Cassa Forense alla mano,  come la crisi economica che sta investendo il Paese stia condizionando pesantemente anche gli Avvocati. "Sono tre anni che i redditi degli Avvocati sono in regressione. E per ora non si vede una risalita", afferma Menoni che sottolinea la tendenza di molte aziende di ridurre incarichi ad advisor esterni, affidandosi sempre più agli uffici legali interni laddove è possibile. "In realtà - afferma Renzo Menoni - il legale-fai-da te non è sempre la soluzione meno dispendiosa. Ci sono consulenze esterne che potrebbero fare risparmiare molto di più. Un funzionario interno non sempre è in grado di dare risposte a problemi specialistici. Tagliare spesso può volere dire esporre gli enti pubblici al pericolo di dover sborsare molto di più. Si rinuncia alla qualità e questo espone l'azienda ad un maggior rischio. Il discorso -prosegue il presidente dell'Unione Camere Civili - vale anche per le multinazionali. Non sempre la riduzione degli incarichi ad advisor esterni significa il bene dell'azienda". La situazione, insiste Renzo Menoni, è preoccupante: "c'è una avvocatura in grandissima sofferenza. Lo si riscontra anche nei grandi studi che si difendono spesso con tagli al personale per lasciare il più possibile invariato il corpo legale. Dal meridione poi arrivano anche richieste di sovvenzione cui non è possibile dare seguito visto che tali aiuti sono previsti solo per ragioni emergenziali".

(Da Mondoprofessionisti del 28.3.2012)

Dagli Avvocati un progetto di cambiamento per l'Italia

Le mozioni approvate a Milano inviate al presidente del consiglio Monti
e al ministro della Giustizia Severino. Chiesto un incontro urgente

Il Congresso Nazionale Straordinario Forense, oltre 2200 partecipanti, con oltre 1200 delegati, provenienti da tutta Italia, in rappresentanza di 165 Ordini degli avvocati e delle associazioni forensi, tenutosi a Milano il 23 e 24 marzo ha approvato 14 mozioni conclusive sui vari temi centrali delle due giornate di lavori.
Maurizio de Tilla, presidente dell’Oua, ha ricevuto insieme al Cnf, il mandato ad aprire un’interlocuzione con il Presidente Monti e il Ministro della Giustizia, Severino: "Non inseguiamo il rito della vecchia concertazione – sottolinea – ma allo stesso tempo, crediamo sbagliato che si governi a colpi di decreti legge, esautorando della sua funzione il Parlamento. Auspichiamo, quindi, il confronto con le parti sociali, su proposte concrete, come le mozioni approvate a larghissima maggioranza dalla nostra assise straordinaria. Per questa ragione, forti del mandato del Congresso di Milano, abbiamo chiesto al Governo di incontrare le rappresentanze forensi: la politica non può rimanere sorda alle istanze del Paese, indifferente rispetto a un’assise di duemila legali, con 1300 delegati intervenuti per gli oltre 230mila avvocati italiani. L’avvocatura è un settore importante di produzione di servizi intellettuali: abbiamo un progetto di cambiamento per l’Italia».
Per cominciare il presidente dell’Oua si riferisce alle mozioni relative alla giustizia civile: «L’intento del legislatore in materia di Giustizia Civile – denuncia – non è stato quello di dare una risposta adeguata, rapida e qualitativa alle istanze di giustizia, alleggerendo il sistema dell’amministrazione giudiziaria e assicurando organici adeguati, ma quello di disincentivare l’utilizzo del processo, danneggiando in particolare i soggetti economicamente più deboli. La mediaconciliazione obbligatoria, ad esempio che avrebbe dovuto ridurre notevolmente le pendenze processuali, si è rivelata un clamoroso flop (le conciliazioni chiuse sono risibili, di gran lunga inferiori a quelle ipotizzate). Per diverse ragioni, tra gli altri, perchè è esosa per i cittadini, ma anche perché è affidata ad organismi di mediazione e a mediatori di scarsa qualità e di incerte origini e controllo. Non a caso, il sistema vigente è sub judice alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea, per evidenti violazioni delle norme costituzionali e comunitarie. Ma non basta: a Milano abbiamo deciso, comunque, di avviare una campagna per indire un referendum abrogativo, su proposta degli Ordini della Campania.   Per dare un’inversione di tendenza, ecco le nostre proposte: procedere, previo confronto con l’Avvocatura, alla riforma del procedimento di mediazione, prevedendo l’inserimento di incentivi più incisivi di quelli attualmente previsti, che rendano il ricorso alla mediazione facoltativa e alla conseguente conciliazione più vantaggioso per le parti; individuando strumenti idonei a garantire le capacità professionali e culturali dei mediatori, il loro aggiornamento professionale e la trasparenza degli Organismi di conciliazione e riducendo i costi del procedimento. Istituire e regolamentare altri strumenti ADR, che valorizzino il ruolo del professionista-avvocato, del valore di titolo esecutivo agli atti di transazione sottoscritta dalle parti con l’assistenza e l’autentica delle sottoscrizioni da parte dei rispettivi legali. In proposito si chiede al Parlamento di procedere a una rapida calendarizzazione ed approvazione del disegno 2772 presentato al Senato sotto il nome di “Convenzione per la conciliazione del contenzioso civile”. Ma sono stati adottati altri provvedimenti impropri – continua - come la condanna accessoria per la parte che richieda infondatamente la sospensione dell’efficacia esecutiva di una sentenza o il limite di liquidazione delle spese di giudizio non superiore al valore della causa. Preoccupante anche l’aumento degli importi del contributo unificato, esteso a separazioni e divorzi, cause di lavoro e previdenziali; e l’abbassamento del limite di reddito per il patrocinio dei non abbienti, con la conseguenza che gli esponenziali aumenti del contributo unificato restano comunque e sempre a carico di parti economicamente deboli. Da ultimo, l’istituzione del Tribunale delle Imprese, che a tutti gli effetti è un Giudice speciale, vietato dalla Costituzione, con competenze anche sulle Srl, il modello societario maggioritario in Italia. È evidente il tentativo di creare una Giustizia a due velocità: lenta per i cittadini comuni (affidata a giudici ordinari, senza prevedere investimenti,  miglioramento delle strutture, aumento del personale di cancelleria, ridottosi invece di un terzo, e degli organici della magistratura); ad alta velocità per le imprese e le società commerciali. Tribunale delle imprese, peraltro, presente solo in 20 grandi aree interregionali allontanando così fisicamente e geograficamente l’utente, soprattutto quello più debole (anche di oltre 200 Km). Altro nodo è quello della giustizia tributaria, un settore che necessita di una riforma urgente, anche alla luce della situazione di grave crisi economica e di un incessante aumento della pressione fiscale.  Sulla geografia giudiziaria – ribadisce il presidente Oua - abbiamo chiesto la non attuazione della legge delega e ribadito il nostro no alla chiusura generalizzata di tribunali (circa 50), sedi distaccate e uffici dei giudici di pace (oltre 700). I criteri di produttività aziendale in una materia così delicata sono impropri visto che parliamo di presidi di legalità e sicurezza e, oltretutto, la prevista chiusura non porterebbe alcun risparmio. Il Congresso chiede l’istituzione di un tavolo di confronto con il ministero che veda il coinvolgimento degli ordini interessati, dell’avvocatura, degli enti locali per individuare parametri certi di valutazione e i dati relativi all’attività di queste realtà spesso, al contrario, di quanto semplicisticamente sostenuto, esempi di efficienza. Nonché per centrare la riorganizzazione sul riequilibrio sul territorio, sulla giustizia di prossimità e sull’alta tecnologia.  Sul piano delle liberalizzazioni – aggiunge - abbiamo ribadito il no all’abolizione delle tariffe, perché garanzia di qualità della prestazione per i cittadini, e alle società di capitale, porta di ingresso di evidenti conflitti di interesse e di infiltrazioni mafiose. Nonché alle modifiche introdotte per il tirocinio, snaturato e depotenziato per le sue finalità formative sul campo. Ribadiamo, inoltre, anche la necessità di contrastare la delegificazione dell’ordinamento forense e la necessità di approvare una nuova legge professionale che recepisca questi principi. In questo senso si presenterà entro aprile una proposta che integrerà e modificherà il ddl all’esame del Parlamento. Il Congresso Straordinario ha dimostrato una forte volontà propositiva – conclude de Tilla – ora la palla passa al Governo. Da un lato c’è un progetto di cambiamento del Paese, partendo da una riforma della giustizia, mettendo al centro del processo la tutela dei diritti dei cittadini e delle imprese, dell’interesse generale, cioè del sistema-Italia, dall’altro il mantenimento dello status quo, con alcuni interventi disorganici al fine di garantire solo le prerogative esclusive dei Poteri Forti. Se il dialogo venisse ancora una volta respinto, ritorneremo a protestare, con astensioni, con la disobbedienza civile, con lo sciopero bianco e con una grande marcia che attraverserà tutto il Paese e che culminerà con una grande manifestazione nazionale a Roma".

(Da Mondoprofessionisti del 28.3.2012)

Equo indennizzo e termine per la presentazione domanda

Cons. Stato, sent. n. 1303 del 7.3.2012

Massima

Ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 (e, in seguito, dell'art. 3 del d.P.R. 20 aprile 1994, n. 349 di identico contenuto), l'istanza di riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio deve essere proposta dall'interessato entro il termine perentorio di sei mesi decorrente non dalla mera conoscenza della infermità ma dal momento dell'esatta percezione della natura e della gravità dell'infermità e del suo nesso causale con un fatto di servizio.

mercoledì 28 marzo 2012

Compenso custode giudiziario, niente tariffe professionali

Cass. Civ. Sez. II, sent. 6.3.2012 n° 3475

Come correttamente individua l'estensore, il vero ed assorbente snodo della pronuncia in esame sta tutto nel secondo motivo di ricorso, cioè la violazione e falsa applicazione dell'art. 2333,co. 2 c.c.
Invero nella fattispecie (liquidazione di compenso al custode giudiziale, in assenza della emanazione delle specifiche tabelle ex art. 59, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115) la puntuale applicazione del citato art. 2333 c.c. avrebbe comportato, stante la mancanza delle tariffe prefettizie e di usi locali, la liquidazione secondo equità, udito il parere dell'associazione professionale di competenza. Ciò perché non sussiste alcuna disposizione di legge che rinvii alle tariffe professionali, peraltro inapplicabili in via analogica, stante il disposto dell'art. 14 delle preleggi, in considerazione della natura di legge speciale rivestita da quella che statuisce le tariffe professionali.
Condivisibile appare quindi la censura operata dalla corte alla pronuncia del giudice a quo, laddove quest'ultimo, avendo dato atto della mancanza di tariffe esistenti presso la prefettura e quindi della necessità di applicare gli usi locali, con un salto logico-giuridico ha convalidato l'operato del primo giudice, che aveva liquidato le spettanze secondo le tariffe professionali dei dottori commercialisti, senza tuttavia indicare alcun nesso tra queste ultime e gli usi.
La pronuncia annotata è perciò interessante in questo momento sotto un duplice profilo. Il primo, esplicito e specifico, cioè quello direttamente espresso nella motivazione, che sancisce la specialità delle norme tariffarie rispetto alla generalità della disciplina civilistica e il conseguente divieto al ricorso all'analogia. Ed un secondo, implicito, perchè il corollario della censura al percorso logico argomentativo della pronuncia cassata è che le tariffe non sono sic e simpliciter usi, né tampoco usi normativi, come poco accortamente hanno invece suggerito di recente il ministero di giustizia e alcuni uffici giudiziari onde giustificare l'applicabilità delle tariffe forensi nelle liquidazioni giudiziali delle spese. Argomentazione questa che già avevamo avuto occasione di criticare, indicando altro preferibile percorso per pervenire in via interpretativa al medesimo risultato, in attesa che sia finalmente convertito in legge il maxiemendamento all'art. 9 del D.L. 1/12.

(Da Altalex del 28.3.2012. Articolo di Barbara Lorenzi e Giuseppe M. Valenti)

D.i. annullato ma opponente paga spese processuali!

Soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese processuali. Invece, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione.
Il caso. Una ditta svolge dei lavori di ristrutturazione di un immobile. La proprietaria non vuol pagare quanto chiesto. La ditta, sulla base di una fattura emessa e di un preventivo sottoscritto dalla cliente, ottiene dal Presidente del Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo. La donna si oppone e il G.O.A. annulla il decreto riconoscendo alla ditta un credito di minore importo. La disputa prosegue in appello, dove la proprietaria dell’immobile deve pagare una somma maggiore di quella determinata dal G.O.A., ma comunque minore rispetto a quella riconosciuta dal decreto ingiuntivo. La Corte territoriale condanna inoltre la donna al pagamento delle spese di doppio grado. Si arriva quindi in Cassazione.
Il giudizio di legittimità. Secondo la donna sarebbe viziata la motivazione della condanna alle spese dei due gradi di giudizio merito, emessa in ragione della prevalente soccombenza dell’opponente che pur avrebbe agito per ottenere la revoca dell’ingiusto decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti. A tal riguardo, la Suprema Corte precisa: «in tema di spese processuali il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle stesse; mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione».
Nel caso specifico, poiché l’opposizione a decreto ingiuntivo non ha avuto un esito interamente vittorioso per la ricorrente, questa non può dolersi della pronuncia di condanna alle spese dei due giudizi di merito emessa nei suo confronti dalla Corte d’appello.

(Da avvocati.it del 27.3.2012)

martedì 27 marzo 2012

Florio: “La voce dell’Avvocatura va ascoltata”

L'Avv. Fabio Florio, già presidente dell'Ordine di Catania

Toni accesi, momenti di contestazione e posizioni discordanti hanno segnato i momenti conclusivi del  Congresso Nazionale Forense Straordinario, dal titolo “I Diritti non sono merce”, organizzato a Milano da Consiglio Nazionale Forense, Organismo Unitario dell'Avvocatura Italiana, Cassa Forense e Ordine degli Avvocati di Milano. Nel capoluogo lombardo sono arrivati oltre duemila avvocati che si sono confrontati, ma anche scontrati, sulle azioni da intraprendere per il futuro.
Tensione quasi naturale, per Fabio Florio (nella foto), componente del Cnf, visto il delicato periodo che sta vivendo l’avvocatura italiana.
“Ci battiamo” dichiara ai microfoni di Justice Tg “magari in maniera esagitata, in maniera arrabbiata, però bisogna capire che stiamo vivendo un momento critico come non ci succedeva da anni”. Non sono mancati gli attacchi a Cnf e Oua per l’incapacità a rappresentare le istanze dell’avvocatura con Ministro e Parlamento.
Florio non esita a replicare. “Come Consiglio Nazionale Forense e come Organismo Unitario dell’Avvocatura ci battiamo quotidianamente” afferma “molti si lamentano del fatto che non portiamo risultati a casa ma devo dire con molta franchezza che si sta facendo tutto quello che è possibile fare, qui non è un problema di uomini ma un problema legato a chi ci ascolta, quindi dobbiamo fare in modo che a livello di Ministero, a livello di Parlamentari, a livello di Governo si senta questa voce dell’Avvocatura e che questa voce soprattutto venga ascoltata, che è” sottolinea Florio “la cosa più importante”. La conclusione dell’assise ha stabilito che l’avvocatura presenterà una proposta di revisione del progetto di legge di riforma della professione forense all’esame del Parlamento.
Tra le mozioni più importanti è stata approvata quella per promuovere un referendum popolare abrogativo per la  mediazione. L’istituzione del tribunale delle imprese è stato ritenuto incostituzionale e socialmente iniquo; il Congresso, ha stabilito inoltre  di perseguire la reintroduzione delle tariffe e dei minimi inderogabili, Sulle società la decisione è stata quella di chiederne l’abrogazione secca. Componenti istituzionali e associative dei legali da oggi al lavoro per il cantiere della riforma che dovrà essere attuata, ha deciso il Congresso, con legge ordinaria. L’assise si è divisa a metà anche sulla definizione di cliente-consumatore, in totale disaccordo è il componete del Cnf, Fabio Florio. “Non è un consumatore il cliente, l’aiuto che viene dato al cliente” conclude “è basato sui principi stabiliti dal nostro ordinamento giuridico”.

Laura Distefano (da justicetv.it del 26.3.2012)

Marito nasconde impotenza, addebitata separazione

Il ricorso per Cassazione va rigettato quando non sono affrontate tutte le rationes decidendi della sentenza impugnata  o quando vengono proposti motivi irrilevanti od oscuri.
E’ quanto disposto dalla Prima sezione civile, della Corte di Cassazione, con sentenza 13 gennaio - 1° marzo 2012, n. 3230.
Il caso in esame riguardava una donna che, in primo grado, aveva ottenuto la pronuncia di addebito della separazione, con diritto di mantenimento, in quanto il marito le aveva taciuto la propria impotentia generandi. Proposto appello, l’uomo aveva ribaltato la decisione precedente, conseguendo la sentenza di addebito della separazione a carico della moglie, a causa dell’ adulterio della stessa.
Tale pronuncia confermata in Cassazione, è stata però nuovamente rovesciata dalla Corte d’appello di Firenze quale giudice di rinvio. Avverso la suddetta decisione, il marito ha  proposto ricorso per Cassazione con sei motivi di censura.
Occorre precisare che in sede di giudizio di legittimità, il Collegio non può riesaminare autonomamente la causa nel merito,  bensì esaminare le valutazioni compiute dal  giudice del merito, per verificare se esse siano eventualmente incomplete, incoerenti ed illogiche.
Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva pronunciato l’addebito della separazione a carico del coniuge in virtù della rottura del rapporto matrimoniale, verificatasi prima dell’adulterio, decisione sorretta dal materiale probatorio acquisito.
In sede di legittimità, la Suprema Corte non può pronunciarsi nel merito: le censure addotte nel ricorso non possono, a pena d’inammissibilità, consistere in pure e semplici critiche alla valutazione contenuta nel provvedimento giurisdizionale del giudice di rinvio.
A tal riguardo, è opportuno puntualizzare che, per impugnare una sentenza fondata su più motivazioni, occorre, che ciascuna sia oggetto di precise censure che non possono ridursi a semplici critiche nel merito, ma  devono riguardare tutte le rationes decidendi. Su queste ultime si fonda la decisione del giudice di merito, per cui la sentenza impugnata non può essere annullata in sede di legittimità qualora conservi la validità in relazione a quelle rationes non censurate nel ricorso per Cassazione.
Per l'inammissibilità dei motivi proposti, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

(Da Altalex del 27.3.2012. Nota di Maria Elena Bagnato)

Florio: “Questo modello di conciliazione non funziona”

di Alessandro Galimberti e Patrizia Maciocchi

Sulle marce in più degli avvocati punta anche il coordinatore della Commissione sulla mediazione del Consiglio nazionale forense, Fabio Florio.
«I mediatori dovranno fare i conti con accordi regolati dalle stesse norme dei contratti – spiega Florio - si dovrà evitare che le intese raggiunte si infrangano contro lo scoglio delle norme imperative o dell'ordine pubblico. Sono considerazioni che un legale può fare meglio di altri professionisti».
A preoccupare il Cnf … sono i problemi logistici e tecnici.
«Abbiamo circa 50 ordini che non hanno i locali da dedicare alla mediazione - confida Fabio Florio - e non è per niente facile stipulare le polizze assicurative». Altra spina nel fianco è la messa a punto di un software gestionale. «Non è semplice mettere a punto il sistema nei tempi richiesti dal ministero - spiega il coordinatore Florio - ma abbiamo già stipulato una convenzione e contiamo di essere pronti per gli ordini entro due o tre mesi».

Estratto da ilsole24ore.com del 18.3.2012

lunedì 26 marzo 2012

Anatocismo non basta per revocare d.i.

La sentenza 8 marzo 2012, n. 3649 con la quale la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire il proprio orientamento in relazione al rapporto sussistente fra decreto ingiuntivo e giudizio di opposizione trae origine da una complessa vicenda in punto di fatto.
In estrema sintesi: un istituto di credito aveva ottenuto l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di un proprio correntista, risultante debitore in forza del rapporto di conto corrente bancario; il debitore aveva contestato la debenza delle somme sotto una pluralità di profili, fra i quali l’illegittima applicazione di interessi anatocistici da parte dell’istituto bancario. (Anche) Su tale presupposto il giudice di appello, dopo che il giudizio di primo grado si era concluso favorevolmente per il creditore, ha ribaltato l’esito del giudizio di primo grado revocando il decreto ingiuntivo opposto.
Ora, proprio quest’ultimo punto risulta di particolare interesse in quanto il giudice di secondo grado aveva revocato il decreto ingiuntivo sul presupposto che la nullità delle clausole contrattuali che imponevano una ricapitalizzazione trimestrale degli interessi debitori del correntista rendesse il credito né liquido né esigibile: difettando dunque i requisiti per l’emanazione del decreto il giudice di appello lo aveva revocato, senza tuttavia pronunciarsi sulla sussistenza del credito.
La Corte di Cassazione ribalta tuttavia tale decisione ricordando come a seguito della proposizione dell’atto di opposizione si instaura un giudizio che non è meramente finalizzato alla verifica della sussistenza delle condizioni per l’emanazione del decreto ingiuntivo. A seguito dell’opposizione si apre invece una fase processuale che ha ad oggetto la verifica della esistenza del credito stesso, in cui il creditore, nella sua veste di convenuto formale, mira ad ottenere tutela del proprio diritto inizialmente azionato secondo il rito del procedimento monitorio.
Proprio tale circostanza, ossia che l’esito del giudizio di opposizione deve vertere sull’accoglimento o meno della pretesa del creditore, e non sulla verifica delle condizioni di ammissibilità del procedimento monitorio, ha portato la Corte di Cassazione a ribadire il proprio orientamento secondo cui “L'opposizione al decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario giudizio di cognizione nel quale il giudice deve accertare la fondatezza delle pretese fatte valere dall'ingiungente opposto - che ha la posizione sostanziale dell'attore - e delle eccezioni e delle difese dell'opponente - che assume posizione sostanziale di convenuto - e non già stabilire - salvo che ai fini dell'esecuzione provvisoria o dell'incidenza delle spese della fase monitoria - se l'ingiunzione sia stata, o non, legittimamente emessa”.
Nel caso di specie, dunque, la Corte ha cassato la pronuncia con rinvio al giudice di secondo grado affinché, a seguito dell’accertata nullità delle clausole concernenti la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista (che non travolge l'intero credito azionato dalla banca in via monitoria, bensì la sola parte di esso riguardante gli interessi calcolati in base a dette clausole), il giudice di merito provveda ad un nuovo calcolo degli interessi dovuti, senza applicare tale capitalizzazione.

(Da Altalex del 19.3.2012. Nota di Riccardo Bianchini)

domenica 25 marzo 2012

Avvocati a Congresso contro la commercializzazione della giustizia


di Mauro W. Giannini

"Chiediamo che il governo vari delle vere liberalizzazioni, che possano essere l'occasione di recupero delle competenze perdute ma con l'ampliamento degli spazi di mercato mediante la valorizzazione delle specializzazioni, non già lo strumento per creare il business della formazione specialistica a danno della categoria". Così Dario Greco, presidente dell'Associazione italiana dei giovani avvocati, ha parlato ieri (venerdì, NdAGANews) a Milano, al congresso straordinario forense, "I diritti non sono merce", convocato d’urgenza per esprimere tutto il disagio della categoria.
Il leader dell'Aiga ha aggiunto: «Affinché la nostra professione e la sua rappresentanza recuperino il loro ruolo centrale nella società, occorre che dalla protesta si passi alla proposta, mediante l’esposizione di ciò che la classe forense veramente desidera. Il nostro obiettivo – ha concluso Greco – è avere un'avvocatura unita, che non significa silenzio, ma confronto su problemi e proposte, e un'avvocatura democratica, da individuarsi previa eliminazione di ogni barriera anagrafica, secondo il principio "un avvocato, un voto", eliminando la norma statutaria della cassa di previdenza forense che limita l’elettorato passivo a favore di coloro che hanno almeno dieci anni di iscrizione alla cassa».
Il Congresso si è aperto con un intervento del vicepresidente del Consiglio nazionale forense, Ubaldo Perfetti, che ha parlato di "Riforme viziate dall’uso ideologico del diritto comunitario e dall’uso ideologico dell’emergenza economica" ed ha evidenziato fra l'altro la necessità di combattere la visione mercantistica dei diritti e della professione forense del Governo, puntare all’abrogazione delle norme delle varie Manovre che mortificano i valori essenziali dell’avvocatura e all'approvazione di uno Statuto che rafforzi accesso, formazione, specializzazione, controllo deontologico domestico e qualificazione, richiamando infine all'unità dell’avvocatura come monito alla politica contro l’affievolimento dei diritti.
“L’avvocatura deve combattere la visione mercantistica che si sta imponendo nel Paese. Gli ultimi interventi, dalla Manovra di luglio al decreto Cresci-Italia, stanno modificando profondamente il volto della professione e con arroganza lo fanno con atti amministrativi regolamentari. E’ così che incideranno su una attività professionale che è riconosciuta dalla Costituzione - ha detto Perfetti - “Quel che più è peggio è che con la stessa visione si interviene sul processo e sulla tutela dei diritti, con provvedimento che apparentemente sembrano frammentari (mediazione obbligatoria, aumenti dei costi di accesso alla giustizia, sanzioni pecuniarie nel processo) ma che in realtà corrispondono a un disegno preciso: mettere in crisi il monopolio statale della giurisdizione, privatizzare la giustizia.

(Da osservatoriosullalegalita.org del 24.3.2012)

Errore giudiziario, va risarcito ogni aspetto del danno morale

Con la sentenza n. 10878 del 20 marzo 2012 la Corte suprema di legittimità ha accolto il ricorso di un uomo che era stato condannato per il reato di abusi sessuali sulla figlia minore, e per questo aveva scontato più di mille giorni di carcere.
In seguito, l'uomo aveva ottenuto la revisione della sentenza, e gli era stato riconosciuto un risarcimento, dalla Corte d'appello, di 473 mila euro a titolo di riparazione per l'errore giudiziario, somma comprensiva sia del danno morale, consistente nel dolore provato per l'ingiustizia subita, che del danno da perdita di chance del rapporto parentale con la figlia, all'epoca dei fatti già gravemente compromesso.

(Da telediritto.it del 22.3.2012)

No condizionale a stalker che perseguita ex moglie

Niente attenuanti per i comportamenti che provocano stati d'ansia e turbamenti d'animo

Lo stalker che perseguita la ex moglie, provocandole permanenti stati d'ansia e turbamenti d'animo, non ha diritto alla condizionale.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 11176 del 22 marzo 2012, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un 41enne contro l'ordinanza della Corte d'Appello di Caltanissetta che confermava il giudizio di primo grado condannandolo a un anno e sei mesi di reclusione e al risarcimento danni, per il reato di atti persecutori in danno alla ex moglie, negandogli le invocate attenuanti generiche e la pena sospesa.
Il caso
Lui in veste di "stalker" induce la ex moglie a querelarlo per le lesioni riconducibili a «permanenti stati d'ansia e turbamenti quotidiani d'animo», testimoniate da certificati medici. Al riguardo, la sesta sezione penale, in linea con la Corte di merito, ha osservato che «trattandosi di reato con l'esplicazione di condotta a livello di sistematicità in pregiudizio della vittima cui si è determinato uno stato psico-fisico di pregiudiziale portata proprio per la detta sistematicità della condotta dell'agente, è sufficiente richiamare "il sistema" della condotta e riassuntivamente gli effetti di questa sulla vittima».
Pertanto, Piazza Cavour ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso anche sul fronte della concessione delle invocate attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena. Ciò perchè, ricorda il Collegio di legittimità, l'impianto accusatorio ha già trovato logica e motivata risposta dai giudici di merito nel contesto di un giudizio riservato al loro potere discrezionale e, come tale, insindacabile nella sede di legittimità se oltretutto correttamente motivato.

Vanessa R. (da cassazione.net)