sabato 22 dicembre 2012

BUONE FESTE!


Anche AGA News va in ferie 
per consentirci un meritato riposo
nella serenità familiare
propria delle festività di fine anno.
A Voi tutti sinceri Auguri
di Buon Natale
e Felice Anno Nuovo.
Salute e Pace!
P.S.: promettiamo solennemente
di riaprire i battenti 
in caso di notizie eccezionali,
come ad esempio la permanenza 
delle sezioni staccate dei tribunali... 

VIA LIBERA DEL SENATO ALLA RIFORMA FORENSE

Voto per alzata di mano, maggioranza larghissima.
Compensi, assicurazioni, sanzioni e società: cosa cambia

Il Senato ha approvato per alzata di mano, e comunque a larghissima maggioranza (comprese Idv e Lega), la riforma dell'ordinamento forense. Il provvedimento, approvato nel testo modificato giunto dalla Camera dopo l'iniziale esame da parte di palazzo Madama, diventa così legge. Nel corso della seduta, che a tempo di record ha proceduto a discussione generale, esame e votazione di emendamenti e articoli, si e' registrata l'opposizione decisa dei soli senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti, anche se qualche senatore Pd ha annunciato voto in dissenso dal gruppo. Soddisfazione da parte di  Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama. “È finalmente legge la riforma forense – ha detto Berselli - come gruppo Fratelli d'Italia-Centrodestra Nazionale ci siamo espressi a favore di questo provvedimento molto atteso dato che la precedente normativa risale al 1933. Un iter complesso, ma fruttuoso. Un confronto serrato nelle Commissioni di Senato e Camera, aperto e dialogante con tutte le varie componenti dell'avvocature che ha avuto più passaggi parlamentari prima di giungere all'approvazione definitiva. L'elemento saliente di questa riforma e' una maggiore qualificazione degli Avvocati, a garanzia dei cittadini".  Con la riforma forense, viene ridisegnato l’architrave dello svolgimento della professione, che va incontro a un ampio rinnovo sia nella sua componente burocratica che in quella economica e di regolamentazione interna. Sul fronte dei compensi, stabilito in via ufficiale che i primi sei mesi di tirocinio dovranno essere svolti in via esclusivamente gratuita, arrivano novità anche sul fronte dei più navigati professionisti. Il testo della riforma che si appresta a diventare legge, infatti, prevede che venga espunto, nella definizione dei pagamenti, qualsiasi aggancio alle tariffe. Inoltre, si dovrà stabilire, a titolo di preventivo, l’ammontare della prestazione al momento della definizione dell’incarico professionale. La cifra andrà messa per iscritto, e ciò a completa tutela del cliente che affida la sua tutela nelle mani del legale prescelto. Non esistono particolari regimi riguardo la negoziazione del compenso, purché si tenga presente il divieto sugli accordi con cui al legale venga riconosciuta in qualità di retribuzione una quota del bene che è eventualmente sottoposto alla lente del professionista. Così, nel formalizzare la richiesta di compenso in termini esatti, si dovrà fornire una giustificazione del valore della quota richiesta, con tanto di spiegazione dell’eventuale difficoltà della prestazione richiesta e dell’esborso in termini di lavoro che essa richiederebbe. Tutto ciò, naturalmente, andrà messo per iscritto al fine di non riservare sorprese sgradite al cliente. Riguardo le assicurazioni, invece, con la riforma forense si disciplina in maniera vincolante la necessità di stipulare una polizza in capo al singolo professionista, all’ufficio o alla società, finalizzata alla copertura in sede di responsabilità civile dell’attività svolta dallo studio e anche per eventuali infortuni occorsi a tutti gli impiegati, praticanti inclusi. A definire i parametri saranno gli accordi stretti dal Consiglio nazionale forense, dall’ordine di appartenenza e anche dalla Cassa. Si dovrà ancora attendere, però, per poter usufruire di un testo specifico rivolto alle società tra avvocati, che ricadono in una delega specifica per il governo per un ulteriore disegno di legge che andrà varato alla scadenza dei sei mesi dall’entrata in vigore della riforma. A trovarsi investite della futura disposizione saranno tanto le persone quanto le cooperative o società di capitali, i cui affiliati siano in possesso di idonea iscrizione all’Albo. Infine, passiamo alla novità principale sull‘apparato sanzionatorio, che viene affidato ai Consigli distrettuali di disciplina forense esautorando, così, il potere dell’ordine. A comporre le giurie, sarà una squadra di otto membri, di cui cinque in via effettiva e tre in qualità di sostituti. Al solito, l’apertura di un fascicolo disciplinare potrà concludersi differentemente in maniera più o meno salata, con la caduta delle eventuali accuse, oppure con richiamo, avvertimento, censura, sospensione – da 60 giorni a cinque anni – fino alla radiazione definitiva.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 21.12.2012)

venerdì 21 dicembre 2012

Riforma forense: tira aria di insabbiamento

L'Unione Camere Penali: si eviti uno schiaffo in faccia all'avvocatura

Doveva essere approvata oggi ma, causa l’allungamento dei tempi per la discussione e l’approvazione della legge di stabilità la riforma forense è slittata a domani. E proprio a ridosso delle festività natalizie e allo scioglimento delle Camere. "Vedo un'aria di auguri pre-natalizi - ha detto il presidente del Senato Renato Schifani - ma vi segnalo che i lavori non sono conclusi". Schifani ha ricordato che all'esame dell'aula ci sono ancora il decreto Ilva, il decreto sulle firme" per le liste elettorali, il testo sull'attuazione dell'articolo 81 della Costituzione e, appunto, la riforma forense. "Il Senato - ha concluso Schifani - non si sottragga ai suoi impegni". L'Unione delle Camere Penali, da parte sua, “prende atto che la discussione sulla riforma dell'ordinamento forense, sulla quale reiteratamente erano giunte le assicurazioni delle forze politiche e della presidenza del Senato, non è ancora iniziata. Poiché vi è tempo sufficiente, si fa appello al Presidente del Senato affinché si eviti uno schiaffo in faccia all'avvocatura di cui ognuno dovrà assumere la responsabilità politica”.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 20.12.2012)

Tutti iscritti a Cassa Forense?

Il dilemma dell’iscrizione Albo-Cassa è stato molto dibattuto negli anni più recenti. Da una parte i sostenitori della obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa professionale come soluzione all’avvertita esigenza che gli avvocati abbiano ab initio una specifica tutela previdenziale; dall’altra i sostenitori del “liberismo” della professione in senso ampio e pertanto sganciata da qualsiasi status previdenziale di natura coercitiva e quasi sanzionatoria.
Il dibattito si è riacceso negli ultimi mesi in quanto nel testo della legge di riforma dell’ordinamento della professione forense licenziato alla Camera dei Deputati sono stati inseriti, a larga maggioranza, i commi 8, 9 e l0 all’articolo 21 che introduce, nel sistema attuale, una rilevantissima novità perché è previsto che l’iscrizione agli Albi determina la contestuale iscrizione alla Cassa Forense.
Più precisamente i commi in questione così recitano:
Comma 8: L’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.
Comma 9: La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.
Comma 10: Non è ammessa l’iscrizione al alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense.
La chiara lettera della legge soffoca sul nascere gli inutili allarmismi di qualcuno.
Il legislatore, almeno questa volta, non sembra essere stato uno sprovveduto.
Ed infatti, all’obbligo di iscrizione di tutti gli avvocati alla loro Cassa di previdenza ha fatto seguire una importante precisazione, ossia che l’ingresso nel sistema previdenziale forense di quei professionisti non ancora iscritti (ed oggi sono un esercito di oltre 60.000) non dovrà e non potrà avvenire tout court ma determinando minimi contributivi ad hoc (per i soggetti che non raggiungano i parametri reddituali) e condizioni temporanee di esenzione dai contributi o di diminuzione degli stessi per soggetti che si trovino in particolari condizioni.
Il legislatore ha poi previsto in ultima ipotesi il ricorso ad un sistema di tipo contributivo per questi soggetti ma dato solo come eventuale e residuale.
Soluzione questa a mio avviso di difficile se non addirittura impossibile attuazione, sia per il diverso sistema di calcolo della pensione adottato da Cassa Forense (cd. sistema retributivo corretto ancora una volta e assai di recente passato positivamente al vaglio dei ministeri vigilanti) e sia per gli indubbi problemi che una sorta di doppio binario (sistema retributivo per gli iscritti e sistema contributivo per i neo iscritti) potrebbe generare.
Ma Cassa Forense saprà gestire l’ennesima prova cui è chiamata riuscendo a contemperare gli interessi delle generazioni messe a confronto, salvaguardando un sistema che, come sopra ricordato, ha superato di recente lo “stress test” e nel contempo garantendo le nuove posizioni previdenziali ed assistenziali agli avvocati ed alle loro famiglie fino ad oggi prive di una qualsivoglia forma di tutela previdenziale.
Ed è proprio la comprovata sostenibilità cinquantennale di Cassa Forense, la garanzia e la certezza data dalla sua gestione, ad avere indotto il legislatore ad escludere la possibilità per l’avvocato di scegliere altre forme di previdenza che non siano volontarie ma mai alternative alla sua Cassa (comma 10).
Ora attendiamo fiduciosi, speriamo non illusi, che la legge di riforma della professione forense sia approvata anche dal Senato.
Quindi Cassa Forense si metterà al lavoro dovendo adottare un proprio regolamento, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di riforma della professione, per garantire e tutelare ancora una volta al meglio lo status dei “neoiscritti”.

Massimo Carpino - delegato di Cassa Forense (da cassaforense.it)

giovedì 20 dicembre 2012

Ritardi della giustizia, non risarcibile tempo perso dall’avvocato

Con la sentenza n. 21725/2012, la Corte di Cassazione boccia la richiesta di risarcimento danni avanzata da un avvocato milanese al Ministero della Giustizia per le ore sottratte - dal dissesto organizzativo della giustizia - al tempo libero e al riposo.
Il caso. Un avvocato milanese chiedeva al Guardasigilli di essere risarcito per tutte le ore perse nelle lungaggini burocratiche. Tale richiesta viene però bocciata dalla Corte di Cassazione.
Il giudizio di legittimità. In particolare, ad avviso dei supremi giudici il "tempo libero" non è un "diritto fondamentale della persona" perchè è rimesso alla "esclusiva autodeterminazione del singolo" che deve scegliere tra "l'impegno instancabile nel lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il proprio tempo libero da lavoro e da ogni occupazione". Pertanto, secondo la Cassazione non ha alcuna importanza "verificare l'entità esatta dei disservizi connessi all'attività di amministrazione della giustizia, nè quantificare in modo preciso il numero di ore che un avvocato è costretto ad impiegare nello svolgimento di attività che potrebbero essergli risparmiate in presenza di un sistema più efficiente". Inoltre, "poichè l'avvocato è un libero professionista, può ben scegliere e decidere la quantità degli impegni che è in grado di gestire in modo ragionevole". "Ossia egli può dosare - spiega piazza Cavour - con adeguata organizzazione professionale ed avvalendosi dell'opera di collaboratori, il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero. Gli esborsi che sarà chiamato a sostenere, anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, saranno posti, entro i limiti consentiti dalle tabelle professionali, a carico dei clienti che abbiano chiesto di avvalersi della sua opera”.

(Da avvocati.it del 19.12.2012)

In G.U. la riforma del condominio

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17 dicembre 2012, la legge n. 200/2012, che modifica la disciplina del condominio negli edifici.
Queste in sintesi le principali novità (già anticipate su AGA News del 22 novembre scorso).
Amministratore di condominio. La carica di amministratore durerà 2 anni. Egli dovrà avere requisiti di formazione e onorabilità, non dovrà essere stato condannato per delitti contro la P.A. e, oltre a possedere almeno il diploma di maturità, dovrà aver frequentato un apposito corso. Inoltre sarà obbligato, se richiesto dall'assemblea, a stipulare una speciale polizza assicurativa per tutelarsi dai rischi derivanti dal proprio operato. Dovrà indicare quanto chiede come compenso al momento della nomina. Gravi irregolarità fiscali o la non apertura o utilizzo del conto corrente condominiale, possono essere causa di licenziamento dell’amministratore. In caso di condomino moroso, d’ora i poi non sarà più necessaria la preventiva autorizzazione dell'assemblea per procedere con l'ingiunzione. C’è anche la possibilità di sospendere il condomino debitore dalla fruizione dei servizi comuni, ma questo se la mora dura più di 6 mesi.
Riscaldamento. Il condomino potrà “staccarsi” dall'impianto centralizzato senza dover attendere il benestare dell'assemblea, purchè non arrechi pregiudizi agli altri e continui a pagare la manutenzione straordinaria dell'impianto condominiale.
Quorum. Questo dovrà essere pari alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà dei millesimi, per deliberare, ad esempio, l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio, o per deliberare l'installazione di impianti per la produzione di energia eolica, solare o comunque rinnovabile. Anche la delibera per l’attivazione, a cura dell'amministratore e a spese dei condomini, di un sito internet del condominio - ad accesso individuale protetto da una password, per consultare e stampare in formato digitale i rendiconti mensili e i altri documenti dell'assemblea – è soggetta allo stesso quorum.
Animali domestici. Il regolamento di condominio non potrà più vietare di tenere animali domestici in casa.
Condomini molesti. Per chi arreca danni o disturba, la sanzione è stata aumentata: da 0,052 euro a 200 euro, fino ad arrivare a 800 euro in caso di recidiva.

(Da avvocati.it del 18.12.2012)

mercoledì 19 dicembre 2012

Processo civile telematico per recuperare efficienza


Investire sulla giustizia telematica è la strada corretta per rilanciare l’efficienza del sistema giudiziario.  Telematica e migliore organizzazione degli uffici giudiziari, per garantire l’accesso più facile e capillare dei cittadini alla giustizia, sono le ricette efficaci: molto più che continuare a modificare in corsa le norme sui processi limitando le garanzie dei cittadini e aumentando i costi di accesso alla giustizia. “Il progetto presentato oggi, che prevede l’impiego di 7,2 milioni di euro nell’ambito del Piano di azione per la Coesione Territoriale, va nella direzione corretta, perché opportunamente impegna risorse finanziarie in un ambito che troppo spesso ha subito tagli consistenti, che hanno rallentato il processo di digitalizzazione della giustizia. L'impegno dei tre Ministeri è garanzia dell'attenzione del Governo ad un tema centrale per il Paese.”, ha commentato Carlo Allorio, consigliere Cnf coordinatore della commissione per l’informatica.  Il Cnf ritiene che l’informatizzazione della giustizia sia una ricetta fondamentale per accelerare i tempi della giustizia e renderla accessibile a tutti. Ed in questo senso, da alcuni anni, porta avanti alcuni progetti. Dal sito istituzionale è possibile accedere da parte degli avvocati alla banca dati della Corte di cassazione per ottenere informazioni sullo stato dei ricorsi e il Cnf partecipa al progetto di sviluppo del processo presso la Suprema Corte. Il CNF ora per legge provvede alla formazione dell’Albo Unico Telematico degli avvocati italiani, che contiene le anagrafiche e le caselle di Posta elettronica certificata degli avvocati, strumento indispensabile per il processo telematico.  Partecipa infine a diversi progetti europei come Find a lawyer e E-justice. Il Cnf è pronto a dedicare impegno e risorse per sostenere, a fianco delle Istituzioni, lo sviluppo del processo telematico in tutti i Distretti italiani.

(Da Mondoprofessionisti del 19.12.2012)

ALLE 11 GLI AUGURI IN TRIBUNALE

Ricordiamo ai Colleghi che oggi Mercoledì 19 Dicembre, alle ore 11, nei locali del Tribunale di Giarre -presenti anche i Magistrati- avverrà la tradizionale cerimonia di scambio degli auguri per le festività di fine anno.
Nell'occasione, l'arciprete parroco del Duomo di Giarre, Rev.mo Dott. Don Domenico Massimino, proporrà una riflessione su legalità e giustizia.
I partecipanti potranno altresì ritirare gli attestati relativi all’ultimo corso formativo organizzato dall’AGA nel 2012.

martedì 18 dicembre 2012

DOMANI AUGURI IN TRIBUNALE

Ricordiamo ai Colleghi che domani, Mercoledì 19 Dicembre, alle ore 11, nei locali del Tribunale di Giarre avverrà la tradizionale cerimonia di scambio degli auguri per le festività di fine anno.
Nell'occasione, l'arciprete parroco del Duomo di Giarre, Rev.mo Dott. Don Domenico Massimino, proporrà una riflessione su legalità e giustizia.
I partecipanti potranno altresì ritirare gli attestati relativi all’ultimo corso formativo organizzato dall’AGA nel 2012.

Rifacimento scale, paga anche condomino del piano terra


Anche il condomino che vive in un appartamento a piano terra è tenuto al pagamento delle spese per il rifacimento delle scale, che costituiscono bene strutturale e necessario dell'edificio. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con l'ordinanza 21886 del 5 dicembre 2012.
Il caso. Una condomina, che vive in un appartamento al piano terra, rivendica, proprio alla luce della collocazione della sua abitazione, il diritto ad essere esonerata dalla spesa per il rifacimento delle scale, dal momento che non ne fa uso. Tale tesi però non viene condivisa dai giudici di merito: la delibera contesta viene ritenuta «valida» laddove «aveva posto a carico» della condomina le spese per il «rifacimento delle scale», in quanto quei lavori «avevano ad oggetto il consolidamento delle scale ed erano concernenti la statica di parti comuni necessarie del fabbricato». Ma la condomina non ci sta e ricorre per cassazione, ma senza successo.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte ritiene assolutamente corretta la lettura della delibera, così come fornita dal Tribunale e dalla Corte d’Appello. Infatti, i lavori relativi alle scale rappresentano «opere di consolidamento riguardanti la statica del fabbricato» e non come «opere di mero rifacimento», visione fondata anche sul fatto che essi «vennero decisi in ottemperanza ad una ordinanza sindacale». Di conseguenza, poiché le spese «avevano ad oggetto la statica dell’edificio», è assolutamente legittimo che esse vengano poste a carico della condomina. Senza dimenticare, poi, che le scale, essendo «elementi strutturali necessari alla edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura», conservano la qualità di «parti comuni».

(Da avvocati.it del 17.12.2012)

Coltiva piante di canapa in casa: condannato

Qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti costituisce condotta penalmente rilevante. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45919/2012.
Il caso. Un uomo viene condannato in primo grado per aver coltivato quattro piante di canapa indiana nella sua abitazione, dove sono state rinvenute anche delle infiorescenze già tagliate; la pronuncia viene però riformata dai giudici di appello, i quali ritengono che la fattispecie sia da ricondurre alla detenzione per uso personale. Ricorre allora per cassazione il Procuratore Generale, sostenendo che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se effettuata per uso personale.
Il giudizio di legittimità. Gli Ermellini accolgono il ricorso, ribadendo che la condotta della coltivazione si caratterizza per una notevole «anticipazione» della tutela penale e per la valutazione di un «pericolo nel pericolo»: è rilevante, cioè, il rischio - derivante dalla coltivazione - che possa aumentare il quantitativo di droga immesso sul mercato e le conseguenti cessioni della stessa, a danno della salute collettiva. Questa è un bene giuridico primario e ciò giustifica l’anticipo della protezione a uno stadio precedente il pericolo concreto; secondo la S.C., inoltre, la tutela penale in merito serve anche a salvaguardare la sicurezza e l’ordine pubblico, nonché le giovani generazioni. Inoltre, in ossequio al principio di offensività è necessario, in ogni caso, che il giudice di merito verifichi se la condotta contestata all’agente possa essere assolutamente inidonea a porre in pericolo il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva: nel caso specifico, l’offensività può essere esclusa solo quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non risulti idonea a produrre un effetto stupefacente rilevabile in concreto.

(Da avvocati.it del 17.12.2012)

lunedì 17 dicembre 2012

E' ARRIVATO IL 2000...


No, non siamo in ritardo di dodici anni e 351 giorni, solo che volevamo condividere coi nostri affezionati Colleghi lettori -e fruitori di questo piccolo servizio rappresentato da AGA News- la soddisfazione di poter annunciare che questo che state leggendo è il post numero 2.000.
Dalla fine di Settembre 2010 ad oggi -melius, ad ora- AGA News ha avuto 60.757 visualizzazioni, delle quali  27.549 tramite google.it e 7.456 dal nostro sito agagiarre.it; nell'ultimo mese le visualizzazioni sono state 2.633, il post più visualizzato (521 volte) risale al 15 maggio 2012, "Sicilia, 66 anni di... autonomia?", a riprova che quel minimo di attualità che caratterizza le nostre notizie suscita gradimento.
Okay, abbiamo dato i numeri; grazie della vostra attenzione, speriamo di poter dare notizie migliori, soprattutto inerenti le sezioni staccate dei tribunali.
Arrileggerci.

Molestie impossibili con la posta elettronica

Cass, pen,, sez. feriale, sentenza 16.11.2012 n° 44855

La Corte di Cassazione con la sentenza in argomento ribadisce la propria linea interpretativa (Cassazione penale, sez. I, sentenza 12.10.2011, n. 36779; Cass. Pen., sentenza 30 giugno 2010, n. 24510; Cass. pen., sez. I, sentenza 11 febbraio-1 marzo 2010, n. 8068; Cass. pen., sez. I, sentenza 17 luglio 2008, n. 29971; Cass. pen., sez. III, 26 marzo 2004, n. 28680; Id., sez. I, sentenza 24 aprile 2006, n. 16215), secondo la quale l’art. 660 c.p. ricomprende senz’altro le molestie telefoniche attuate anche tramite sms, ma non può contemplare altri strumenti non previsti esplicitamente dalla norma come la posta elettronica.
Naturalmente le motivazioni che inducono la Suprema Corte ad escludere la posta elettronica dall’applicabilità dell’art. 660 del c.p. non si limitano al mero dato testale della norma, ma si fondano sull’esame specifico delle caratteristiche dei diversi mezzi di comunicazione. Difatti, mentre la molestia telefonica comporta una continua interazione tra chi telefona e chi riceve la telefonata, che può essere eliminata solo con la disattivazione dell’apparecchio, invece il continuo uso della posta elettronica non determina un’effettiva e continua intrusione nella sfera di libertà del destinatario, che solo quando andrà a controllare i messaggi si troverà le comunicazioni indesiderate (alla stessa stregua della corrispondenza cartacea).
Tale interpretazione, come già si è avuto modo di sostenere (Spamming non è molestia), non tiene conto, però, dei notevoli passi avanti fatti dal progresso tecnologico in quanto ormai già esistono telefoni di nuova generazione in grado di annunciare con modalità sonora l’arrivo di messaggi (sms) e delle stesse e-mail. A questo punto sarà possibile la configurazione dell’art. 660 c.p., anche se deve sempre essere tenuto presente il limite tassativo della norma, ormai da rivedere, rappresentato dall’uso della linea telefonica, dal quale non si può prescindere.
La sentenza, in argomento, si segnala anche per una non proprio ineccepibile decisione della Suprema Corte in merito alla censura mossa dall’imputato circa la configurabilità dell’art. 615-ter nel caso di specie. Difatti di fronte alla contestazione della carenza di prove dal punto di vista tecnico dell’avvenuto accesso nell’altrui sistema informatico/telematico, la Suprema Corte evita di entrare nel merito della questione ritenendo pacifico che le condotte incriminate, alla luce della programmata e continuativa attività molesta e persecutoria dell’imputato, non necessitano di ulteriore e specifica dimostrazione. Indubbiamente si tratta di un’abile argomentazione di carattere logico che evita alla Corte territoriale le complesse indagini di carattere tecnico-informatico che non sempre portano alle conclusioni desiderate.
Ovviamente, però, sappiamo bene che oggi, anche se per fattispecie di reati informatici indubbiamente più complesse, è necessario acquisire le relative prove informatiche rispettando delle precise procedure di computer forensic.

(Da Altalex del 28.11.2012. Nota di Michele Iaselli)

PROROGA DI DUE ANNI PER SEZIONI STACCATE, ANCORA SPERANZE…

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoBAy_D8Y3QwU4IovjWAME0dDc8injZMBQmJ1YLghJZo7geVBlUC2SmkA520_x7wmTogQFMc1eY5le5GKaEOx25-6IRLEDEgN10iAryqrg4AE2-bsC3r_3i89B4hopmcjzSFBkRN9RAyw/s1600/de+tilla+nuova.jpg 
  
OUA: ATTESA PER L’ALTRO EMENDAMENTO ORA ACCANTONATO CHE PREVEDE LA PROROGA DI DUE ANNI PER I PREVISTI TAGLI DEI CIRCA 1000 UFFICI GIUDIZIARI

DE TILLA: “ANCORA C’È SPERANZA. DOPO L’ELIMINAZIONE DEL PRIMO EMENDAMENTO AL DDL STABILITÀ CONFIDIAMO NELL’APPROVAZIONE DEL SECONDO PRESENTATO IN COMMISSIONE BILANCIO, E ORA ACCANTONATO, PER EVITARE DI INTRODURRE UNA NORMA INCOSTITUZIONALE E ILLEGITTIMA

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura, pur esprimendo rammarico per il respingimento di uno dei due emendamenti presentati al ddl stabilità per la proroga del taglio di oltre mille uffici giudiziari, confida ancora nell’altro emendamento, ora accantonato, e che prevede la stessa misura.
Per Maurizio de Tilla, presidente Oua, rimane il disagio, «l'assurda e offensiva dichiarazione del vicepresidente del Csm, (oltretutto un avvocato) rivolta contro le istanze dell'avvocatura espresse nel Congresso Nazionale Forense, che hanno chiesto a viva voce di soprassedere per il momento da una scelta che prevede l'abbattimento di uffici giudiziari per aprire, invece, un tavolo di discussione e di proposta per esaminare più a fondo l'articolazione territoriale degli uffici giudiziari. Il Csm - continua - è venuto meno a un compito di equilibrio costituzionale e per tale posizione l'avvocatura esprime la propria amarezza».
«Ma ancora c’è speranza – conclude de Tilla - dopo l’eliminazione del primo emendamento al ddl stabilità, confidiamo nell’approvazione del secondo presentato in Commissione Bilancio, e ora accantonato, affinché si eviti l’introduzione di una norma incostituzionale, inutile e controproducente».

Comunicato Stampa OUA del 14.12.2012

domenica 16 dicembre 2012

IL 19 AUGURI IN TRIBUNALE (e attestati)

Ricordiamo ai Colleghi che Mercoledì prossimo, 19 Dicembre, alle ore 11, nei locali del Tribunale di Giarre avverrà la tradizionale cerimonia di scambio degli auguri per le festività di fine anno.
Nell'occasione, l'arciprete parroco del Duomo di Giarre, Rev.mo Dott. Don Domenico Massimino, proporrà una riflessione su legalità e giustizia.
I partecipanti potranno altresì ritirare gli attestati relativi all’ultimo corso formativo organizzato dall’AGA nel 2012.

sabato 15 dicembre 2012

TAGLIA-TRIBUNALI: SALTA LA PROROGA

OUA: GRAVE PASSO INDIETRO DEL PARLAMENTO CHE NON AMMETTE LA PROROGA DI DUE ANNI PER I PREVISTI TAGLI DEI CIRCA 1000 UFFICI GIUDIZIARI

DE TILLA: "ESPRIMIAMO UN FORTE RAMMARICO PER LA MANCATA APPROVAZIONE DELL'EMENDAMENTO AL DDL STABILITÀ CHE AVREBBE PROROGATO DI DUE ANNI I PREVISTI TAGLI DI CIRCA 1000 UFFICI GIUDIZIARI NEL NOSTRO PAESE. MA NON CI ARRENDIAMO, LA REVISIONE DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA È INUTILE, CONTROPRODUCENTE E INCOSTITUZIONALE. SONO MOLTI I RICORSI AL TAR PRESENTATI E GIÀ ABBIAMO ASSISTITO A UN RINVIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE. LE INIZIATIVE DI PROTESTA CONTINUANO. NO ALLA ROTTAMAZIONE DELLA MACCHINA GIUDIZIARIA E DELLA GIUSTIZIA DI PROSSIMITÀ".

L'Organismo Unitario dell'Avvocatura critica fortemente la bocciatura, oggi (ieri, NdAGANews), dell'emendamento al ddl stabilità, che prevedeva lo slittamento di due anni per i previsti e fortemente contestati tagli di circa mille uffici giudiziari.
Da Lentini, in un convegno promosso dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Siracusa, Maurizio de Tilla, presidente Oua, una volta respinto l'emendamento, non ha mancato di evidenziare, «il forte rammarico per una scelta del Parlamento che danneggia la macchina giudiziaria e risponde esclusivamente alle pressioni improprie di una parte della magistratura e del Csm». de Tilla sottolinea «l'assurda e offensiva dichiarazione del vicepresidente del Csm, che, oltretutto, è un avvocato, rivolta contro le istanze dell'avvocatura espresse nel Congresso Nazionale Forense, che hanno chiesto a viva voce di soprassedere per il momento da una scelta che prevede l'abbattimento di uffici giudiziari per aprire, invece, un tavolo di discussione e di proposta per esaminare più a fondo l'articolazione territoriale degli uffici giudiziari.
Il Csm - continua - è venuto meno a un compito di equilibrio costituzionale e per tale posizione l'avvocatura esprime la propria amarezza».
«Siamo in presenza di una vera e propria rottamazione del sistema - aggiunge - e' il requiem della giustizia di prossimità. Ma l'Oua continuerà a stare a fianco delle migliaia di sindaci, cittadini e ordini forensi che da diversi mesi denunciano l'irrazionalità delle scelte del Governo, che non produrranno risparmi adeguati e le gravi conseguenze sul territorio, sulle imprese e le popolazioni interessate. Altro che tutela dei diritti e di impulso alla competitività economica».
«Ma non finisce qui - continua - l'iniziativa dell'Oua prosegue, ricordiamo che abbiamo promosso una serie di ricorsi per far valere la incostituzionalità della normativa, visti i diversi profili di illegittimità (artt. 72,76,77), insieme agli Ordini e alle Associazioni forensi, in diversi procedimenti (già introdotti davanti ai T.A.R. di Lazio, Sardegna, Basilicata, Emilia Romagna (c'è già un'ordinanza del Tribunale di Pinerolo di rimessione alla Consulta). E appoggeremo anche i lavoratori dei tribunali di Sulmona, Melfi e Rossano che hanno impugnato il provvedimento dinanzi al giudice del lavoro».
«La strada del dialogo viene per il momento affossata - conclude de Tilla - ma non mancheremo di chiedere, anche subito, al Parlamento l'immediata sospensione dell'd.lgs. n. 155 e 156 del 2012, di revisione della geografia giudiziaria, per provvedere, invece, a un ripensamento della riforma delle circoscrizioni che si faccia davvero carico di coniugare efficienza e risparmi di spese sulla base di un'effettiva e approfondita analisi della realtà».

(OUA, comunicato stampa del 14.12.2012)

venerdì 14 dicembre 2012

GEOGRAFIA GIUDIZIARIA, SPERANZE FINO AL 2015?…

Il tribunale di Giarre (foto Di Guardo)
Tribunali tagliati: un emendamento
 al ddl stabilità potrebbe ricucirli per un pò

Un emendamento al ddl stabilità, inserito all’ultimo momento, potrebbe condurre ad una posticipazione di due anni dell’operatività della nuova geografia giudiziaria. Si parla di settembre 2015. L’iniziativa è bipartisan, tutti i maggiori partiti presenti in Parlamento si sono fatti portatori di questa esigenza. Il Governo non si è ancora espresso…
Portavoce dell’emendamento si fa Filippo Berselli, che ritiene necessario lo slittamento «per verificare con le dovute cautele le condizioni per una riforma così importante». Il futuro Governo avrà la possibilità di apportare le indispensabili modifiche, poiché la legge delega prevedeva la possibilità di modificare il testo tramite d.lgs.. Secondo il presidente della Commissione Giustizia del Senato, una riforma del genere non può essere fatta in maniera omogenea, ma deve tener conto delle singole particolarità, come località dove sono appena stati costruiti nuovi edifici o dove la malavita organizzata è più presente.
Aspettando di vedere se l’emendamento riuscirà a trovare l’approvazione in mezzo al mare magnum della legge di stabilità prevista per lunedì 17 dicembre, numerosi comuni e ordini di avvocati si sono già da tempo scatenati con ricorsi di vario genere per bloccare la riforma.

(Da ordineavvocatiagrigento.it del 14.12.2012)

La riforma forense supera il penultimo ostacolo

Il ddl licenziato dalla commissione Giustizia atteso in Aula martedì prossimo

Via libera della Commissione Giustizia alla riforma della professione forense nello stesso testo approvato dalla Camera: il provvedimento  è atteso in Aula la prossima settimana dopo la votazione della legge di stabilità, ma potrebbe anche essere anticipata, visto che la Conferenza dei capigruppo ha concesso la deroga alla sessione di bilancio. Non dovrebbero esserci problemi per il via libera definitivo a una legge attesa dall'avvocatura (all'ultimo Congresso nazionale il 70 per cento dei delegati ne ha chiesto l'approvazione). Gli unici ad essere contrari sono i radicali, che comunque hanno annunciato battaglia, con la presentazione di una pregiudiziale e degli stessi emendamenti bocciati in Commissione. Secondo il testo, l'attività di consulenza legale e assistenza stragiudiziale sarà riservata in via esclusiva agli Avvocati; la nuova figura dell'avvocato specialista, con titolo di riconoscimento rilasciato dal Consiglio nazionale forense, sarà tra le poche a essere esentata dall'obbligo di formazione continua. Cambia anche il rapporto coi clienti: viene infatti affermato il principio di libera determinazione tra le parti del compenso, salvo il ricorso ai parametri ministeriali in caso di disaccordo e ripristinato il divieto del patto di quota-lite (ossia l'accordo per cui all'avvocato spetta una quota della somma o del bene oggetto della prestazione). Novità anche per albo: sarà cancellato chi non esercita la professione in maniera effettiva, continuativi, abituale e prevalente. Il tirocinio, poi, passa a diciotto mesi, sei dei quali potranno coincidere con l'ultimo anno del corso di laurea in giurisprudenza in università convenzionate col Consiglio nazionale forense, e dovrà prevedere un rimborso spese.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 14.12.2012)

No omissione atti d’ufficio se attività richiesta superflua


Massima
In tema di omissione di atti d'ufficio, per un verso il dovere di risposta del pubblico ufficiale presuppone che sia stato avviato un procedimento amministrativo, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che sollecitano alla P.A. un'attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa.

Cass. Pen., sez. VI, sent. del 3.12.2012, n. 46758

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Potenza confermava la pronuncia di primo grado del 13.12.2010 con la quale il Tribunale della stessa città aveva assolto D.R.P. e R.R. dal reato di cui all'art. 323 cod. pen. per avere, il primo, come responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Campomaggiore, omesso di provvedere ovvero di rispondere alla istanza del 09/12/2004 con la quale P.R., dipendente di quell'ente, aveva chiesto all'amministrazione comunale la liquidazione di somme di denaro a titolo di liquidazione di incentivi ai sensi della L. n. 104 del 1994; ed il secondo, come responsabile dell'ufficio personale dello stesso comune, omesso di provvedere ovvero di rispondere alle missive del 6/12/2004, del 09/12/2004 e del 13/12/2004 con le quali il P. aveva chiesto all'amministrazione comunale la liquidazione di somme a titolo di progressione economica e di ricongiunzione retributiva, ovvero delle spese legali da lui sostenute in un procedimento penale definitosi con la sua assoluzione.
Rilevava la Corte di appello come, benchè i fatti contestati potessero astrattamente configurare il delitto di cui all'art. 328 c.p., comma 2, anzichè quello di abuso di ufficio contestato, nel caso di specie dovesse essere confermata la decisione assolutoria di primo grado in quanto le missive inviate dalla parte civile non avevano avuto ad oggetto una diffida ad adempiere, bensì semplici richieste di liquidazioni o mere sollecitazioni.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la parte civile P.R., a mezzo del suo procuratore speciale e difensore avv. Gaetano Basile, il quale, formalmente con due distinti motivi, ha dedotto la violazione di legge, in relazione all'art. 328 c.p., comma 2, ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che le missive indicate nei capi d'imputazione contenevano delle esplicite diffide ad adempiere e per avere la stessa Corte operato un mero rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado nella quale erroneamente si era sostenuto che una di quelle richieste concerneva una richiesta di rimborso di spese legali alla quale era stata allegata una sentenza del Tribunale civile di Potenza inerente ad altra istanza.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.
2. Premesso che è del tutto priva di pregio la doglianza difensiva relativa ad un erroneo riferimento documentale che, asserita mente, sarebbe presente nella motivazione della sentenza emessa dal Giudice di prime cure, in quanto la Corte di appello, con la seconda sentenza, pur operando un rinvio alla prima decisione, non aveva affatto valorizzato l'indicazione sulla quale si sono concentrate le attenzioni critiche del ricorrente, va osservato come la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione del principio desumibile dalla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di omissione di atti d'ufficio, per un verso il dovere di risposta del pubblico ufficiale presuppone che sia stato avviato un procedimento amministrativo, rimanendo al di fuori della tutela penale quelle richieste che sollecitano alla P.A. un'attività che la stessa ritenga ragionevolmente superflua e non doverosa (così, tra le tante, Sez. 6, n. 79/12 del 19/10/2011, Cerruti, Rv. 251781); per altro verso, la richiesta scritta di cui all'art. 328 c.p., comma 2 deve assumere la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono (così, da ultimo, Sez. 6, n. 40008 del 27/10/2010, Iorio, Rv. 248531).
Ed infatti, i Giudici potentini, con motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicità, hanno rilevato come le missive che il P. aveva inviato all'amministrazione comunale di cui era dipendente, difettassero di una perentoria intimazione ad adempiere e mancassero dell'elemento proprio qualificante una diffida, e cioè della prospettazione, in caso di inerzia, dell'impiego "dello strumentario legale a tutela dei diritti e degli interessi lesi o esposti a pericolo" (v. pagg. 2-3 della sentenza impugnata).
Nè conduce a differenti conclusioni l'esame degli atti allegati dal ricorrente all'atto di impugnazione, e ciò sia perchè tale controllo diretto sarebbe consentito in questa sede di legittimità esclusivamente laddove fosse stato denunciato un travisamento della prova, cosa che nella fattispecie non è accaduto; sia anche perchè si tratta di lettere contenenti effettivamente mere richieste o sollecitazioni, ad eccezione di una, datata 10/12/2004, che non è affatto sicuro costituisca specifico oggetto di addebito nei capi d'imputazione.
3. Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Irreperibilità contribuente e notifica cartelle esattoriali


La Corte Costituzionale, con l’importante e condivisibile sentenza n. 258 del 19/11/2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento «Nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile (…) si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60 del DPR 29 settembre 1973, n. 600», anziché «Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario (…) si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del DPR 29 settembre, n. 600».
Per comprendere l’importanza della suddetta sentenza, è opportuno fare un excursus giuridico delle varie forme di notifica sino ad ora adottate dal concessionario e dagli uffici fiscali sia per quanto riguarda gli avvisi di accertamento che le cartelle esattoriali.
A) NOTIFICA DEGLI AVVISI DI ACCERTAMENTO
Per la notifica degli avvisi di accertamento la normativa prevede, ai fini fiscali, una diversa disciplina a secondo che si tratti di irreperibilità relativa del contribuente o irreperibilità assoluta del contribuente.
1. Nelle ipotesi di irreperibilità relativa del contribuente è applicabile soltanto l’art. 140 c.p.c., che testualmente dispone: «Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento».
A tal proposito, è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 3 del 14/01/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del suddetto articolo nella parte in cui prevede che la notifica si perfezioni per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
L’applicazione del suddetto art. 140 c.p.c. è tassativamente prevista, ai fini fiscali, anche dall’art. 60, comma 1, DPR n. 600/1973.
Le formalità previste per la notifica di cui al succitato art. 140 c.p.c. (deposito della copia nella casa comunale, affissione dell’avviso di deposito ed invio della raccomandata), in quanto organicamente coordinate tra di loro, hanno tutte carattere essenziale e, come tali, è condizionata al loro integrale adempimento l’efficacia giuridica della notifica stessa (Cassazione, sentenza n. 359 del 14/01/2002).
Infatti, i suddetti adempimenti sono essenziali per la costituzione della fattispecie notificatoria, sicchè la loro mancanza non può considerarsi un semplice vizio ab estrinseco, con mera efficacia invalidante del processo notificatorio e come tale suscettibile di sanatoria, ma si risolve nella mancanza di un elemento essenziale di esso ed esclude in radice che la notificazione possa ritenersi eseguita, neppure in forma viziata, giacchè l’ipotesi del vizio presuppone pur sempre un procedimento completato nei suoi momenti strutturali fondamentali.
Tale disciplina manifestamente non si pone in contrasto né con l’art. 24, comma 2, della Costituzione, in quanto l’adempimento di tutte queste formalità è necessario per la tutela del destinatario dell’atto e non è gravoso, risolvendosi in formalità di mera esecuzione, né con l’art. 3 della Costituzione, che prevede la sanatoria nelle varie ipotesi di irregolarità delle notificazioni, in quanto il principio della sanatoria previsto da quest’ultima disposizione si riferisce a fattispecie che non riguardano la radicale inesistenza della notificazione, come nella fattispecie di cui al succitato art. 140 (Cassazione, sentenze n. 4840 del 27/07/1981, n. 221 del 14/01/1982).
A norma dell’art. 138 c.p.c., può considerarsi equipollente alla notificazione effettuata in mani proprie il rifiuto di ricevere la copia dell’atto soltanto se proveniente dal destinatario della notificazione medesima o dal domiciliatario (stante l’assimilazione, stabilita dall’art. 141, comma 3, c.p.c. tra la consegna a mani proprie del destinatario e quella in mani proprie del domiciliatario); detta equipollenza non opera, pertanto, allorchè il rifiuto provenga da persona che, non essendo stato reperito il destinatario in uno dei luoghi di cui all’art. 139, comma 1 c.p.c., sia compresa nel novero di quelle tuttavia abilitate, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, alla ricezione dell’atto, sicchè detto rifiuto comporta la necessità di eseguire le formalità prescritte dall’art. 140 c.p.c. la cui omissione determina l’inesistenza della notificazione stessa (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 9325 del 26/06/2002).
Infatti, si ha l’ipotesi dell’inesistenza della notifica quando la stessa si traduce in un atto totalmente difforme dal modello legale (Cassazione, sentenza n. 7219 del 17/05/2002).
Ultimamente, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza n. 11713 del 27/05/2011, ha stabilito che in caso di omissione di uno dei tre adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. (nella specie, mancata affissione dell’avviso della porta dell’abitazione), la notificazione è tuttavia nulla, e non inesistente (per tutte, Cassazione n. 16141/2005 e Cassazione n. 4307/1999).
E la nullità resta, in ogni caso, sanata dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, l’effetto sanante in tal caso realizzandosi nel momento di tale ricezione (Cassazione n. 5450/2005).
L’art. 140 cod. proc. civ. richiede, per il perfezionamento del procedimento notificatorio in caso di irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia da parte delle persone indicate nell’art. 139 cod. proc. civ., il compimento di talune formalità (deposito nella casa comunale, affissione dell’avviso alla porta del destinatario, invio di raccomandata con avviso di ricevimento), la cui essenzialità è pacifica in giurisprudenza e viene qui ribadita, ma non postula affatto che del compimento di tali formalità l’agente notificatore debba dare atto con formule sacramentali, esattamente corrispondenti al tenore testuale della norma.
La relata di notificazione va, in altre parole, interpretata attribuendo a ciascuna parte di essa il senso che risulta dal complesso dell’atto (art. 1363 cod. civ.) e non certo sulla base di una considerazione “atomistica” delle parti che la compongono. Ne consegue che, ove l’agente notificatore dichiari di effettuare la notificazione di un atto ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., l’attestazione di avere “rilasciato avviso sul luogo del destinatario” non può essere interpretata in altro modo, secondo buona fede, se non nel senso che detto avviso è stato rilasciato nelle forme previste dal citato art. 140 cod. proc. civ., e cioè mediante affissione sulla porta del destinatario, essendo ogni diversa interpretazione contraria alle usuali regole di ermeneutica contrattuale, applicabili, nei limiti della compatibilità, agli atti amministrativi (Cassazione, Sezione Tributaria, n. 3426 del 12/02/2010).
Nelle ipotesi di notificazione eseguita ai sensi del succitato art. 140 c.p.c., la relata di notifica fa fede fino a querela di falso in ordine all’attestazione delle operazioni compiute ed al contenuto estrinseco delle dichiarazioni ricevute dal messo notificatore, mentre l’attestazione che il luogo della notificazione fosse l’abitazione del notificando, in quanto risultante da attività meramente informativa, non può considerarsi assistita dalla fede pubblica privilegiata, ben potendo essere dimostrata non rispondente a verità con ogni mezzo di prova (Cassazione, sentenza n. 4844 del 24/04/1993).
2. Nelle ipotesi di irreperibilità assoluta del contribuente è applicabile, invece, soltanto l’art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/73, che testualmente dispone, nella specifica materia fiscale:
«Quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione» (a seguito delle modifiche inserite dall’art. 174, comma 4, del D.Lgs. n. 196 del 30/06/2003, a decorrere dal 1° gennaio 2004).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la notificazione dell’avviso di accertamento tributario deve essere effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, da dove tuttavia non risulta trasferito; mentre, deve essere effettuata applicando la disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), sostitutivo, per il procedimento tributario, dell’art. 143 cod. proc. civ., quando il messo notificatore non reperisca il contribuente che, dalle notizie acquisite all’atto della notifica, risulti trasferito in luogo sconosciuto (v. tra le altre Cass. n. 10189/2003, n. 7268/2002, n. 10799/1999, n. 4587/1997).
Poiché l’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 non esclude l’applicabilità dell’art. 140 c.p.c., e non prevede neppure implicitamente una diversa disciplina per le ipotesi contemplate nella suddetta disposizione del codice, deve invero ritenersi, in virtù del generale richiamo alla disciplina stabilita dall’art. 137 e ss. c.p.c., che nel caso di assenza, incapacità o rifiuto di ricevere la copia da parte delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c., la notifica vada effettuata, a norma del citato art. 140 c.p.c., seguendo esattamente la procedura ivi indicata (deposito di copia, affissione di avviso di deposito e invio di raccomandata), mentre solo nella diversa ipotesi in cui il contribuente risulti trasferito in luogo sconosciuto, disciplinata nel codice di rito dall’art. 143 c.p.c., poiché tale norma è stata espressamente esclusa da quelle applicabili, occorre fare riferimento alla specifica disciplina dettata dal D.P.R. n. 600/73 citato, art. 60, lett. e) (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenze n. 10177 del 04/05/2009 e n. 28698 del 03/12/2008).
In definitiva, deve rammentarsi un nutrito orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale la notificazione ai sensi del succitato art. 60, lett. e), è valida soltanto se non sia effettivamente possibile reperire l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente nel comune ove il medesimo ha il domicilio fiscale, malgrado le ricerche del messo notificatore, sempre che queste, secondo giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, siano state sufficienti (Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 22677 del 25/10/2007 e sentenze n. 7120/2003, n. 5100/1997, n. 4654/1997, n. 8363/1993).
In ogni caso, l’interpretazione del documento contenente l’attestazione del messo notificatore spetta soltanto al giudice di merito, al quale compete altresì la valutazione circa la sufficienza o meno delle ricerche effettuate dal messo notificatore prima di procedere alla notifica, ai sensi dell’art. 60, lett. e), D.P.R. n. 600/1973, valutazione che costituisce giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità (Cassazione, sentenza n. 5100 del 1997).
È vero che l’attestazione de qua rappresenta il frutto di informazioni assunte dal messo notificatorio presso terzi e che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la relata di notificazione di un atto fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario precedente, la constatazione di fatti avvenuti in sua presenza ed il ricevimento delle dichiarazioni resegli, limitatamente al loro contenuto estrinseco, ma fa fede, invece, fino a prova contraria per tutte le altre attestazioni che non siano frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale, bensì, per esempio, di informazioni da lui assunte o di indicazioni fornitegli da altri (v., tra numerose altre, Cass. n. 3403 del 1996 e n. 4590 del 2000); tuttavia è, innanzitutto, da evidenziare che l’eventuale prova contraria offerta (nella specie, ovviamente, documentale) deve essere valutata dal giudice di merito e che la relativa valutazione è censurabile in Cassazione solo per vizi di motivazione (in tal senso, Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n. 20425 del 28/09/2007).
3. Tutto quanto sopra esposto è applicabile anche per le notifiche alle persone giuridiche, ai sensi e per gli effetti dell’art. 145 c.p.c. (come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. c), nn. 1, 2 e 3, della Legge 28/12/2005 n. 263), che al terzo comma testualmente dispone:
«Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti, la notificazione alla persona fisica indicata nell’atto, che rappresenta l’ente, può essere eseguita anche a norma degli articoli 140 o 143».
A tal proposito, la Corte di Cassazione – Sezione tributaria –, con la sentenza n. 8637 del 30/05/2012, ha precisato che in riferimento alla notifica di atti alle società commerciali, il necessario coordinamento di tale disciplina con quella di cui all’art. 145 c.p.c. comporta, peraltro, che, in caso di impossibilità di eseguire la notificazione presso la sede sociale, il criterio sussidiario della notificazione alla persona fisica che la rappresenta è applicabile (con prevalenza sulle previsioni di cui all’art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/1973) soltanto se tale persona fisica, oltre ad essere identificata nell’atto, risiede nel comune in cui l’ente ha il suo domicilio fiscale (in tal senso, anche Cassazione, sentenze n. 15856/09, n. 5483/08 e n. 3618/06).
In caso contrario, non potrà che farsi ricorso sempre e soltanto al criterio di cui all’art. 60, lett. e), citato più volte (affissione nell’albo del comune del luogo in cui la società contribuente ha il domicilio fiscale) come precisato dalla Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – con la sentenza n. 13016 del 24/07/2012.
B) NOTIFICA DELLE CARTELLE ESATTORIALI
Per la notifica delle cartelle esattoriali in caso di irreperibilità del contribuente, prima dell’intervento della Corte Costituzionale succitato, l’art. 26, comma 4 (prima comma 3), D.P.R. n. 602 del 29/09/1973, testualmente disponeva:
«Nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art. 60 del D.P.R. 29/09/1973, n. 600 e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune».
Come emerge dalla sopra ricordata ricostruzione del quadro normativo in cui si inseriscono le censurate disposizioni, nelle ipotesi di irreperibilità meramente “relativa” del destinatario (cioè «nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile», come recita il denunciato terzo comma dell’art. 26 del DPR n. 602 del 1973), la cartella di pagamento andava notificata applicando non l’art. 140 cod. proc. civ. ma le formalità previste per la notificazione degli atti di accertamento a destinatari “assolutamente” irreperibili (lettera e, del primo comma dell’art. 60 del DPR n. 600 del 1973). Pertanto, nonostante che il domicilio fiscale fosse noto ed effettivo, non erano necessarie, per la validità della notificazione della cartella, né l’affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario né la comunicazione del deposito mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Inoltre, in forza dell’ultimo comma (quinto comma, trasfuso nel più ampio attuale sesto comma) dell’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973 secondo cui «per quanto non è regolato dal presente articolo, si applicano le disposizioni dell’art. 60 nel predetto decreto n. 600 del 1973», le sopra ricordate modalità di notificazioni previste dalla menzionata lett. e) del primo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 erano applicabili non solo, come visto, nelle ipotesi in cui il destinatario della cartella di pagamento era solo “relativamente” irreperibile («nei casi previsti dall’art. 140 cod. proc. civ.») ma anche in quella in cui detto destinatario era “assolutamente” (cioè oggettivamente e permanentemente) irreperibile.
In sostanza, da quanto sopra esposto, risultava che la notificazione, prima dell’intervento della Corte Costituzionale, si poteva eseguire con modalità diverse, a seconda che l’atto da notificare fosse un avviso di accertamento oppure una cartella di pagamento: nel primo caso, si applicavano le modalità previste dall’art. 140 c.p.c.; nel secondo caso, quelle previste dalla lett. e) del primo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/73, creando un’assurda disparità di trattamento.
Infatti, prima dell’intervento della Corte Costituzionale per la notifica delle cartelle esattoriali il concessionario non doveva fare differenza tra l’irreperibilità “relativa” e quella “assoluta”, dovendo rispettare soltanto la specifica procedura dell’art. 26 citato, estremamente penalizzante per il contribuente destinatario dell’atto.
La suddetta diversità della disciplina di una medesima situazione (notificazione a soggetto “relativamente irreperibile”) non è apparsa alla Corte Costituzionale riconducibile ad alcuna ragionevole ratio, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Per ricondurre a ragionevolezza il sistema, è stato necessario, pertanto, nel caso di irreperibilità “relativa del destinatario”, uniformare le modalità di notificazione degli atti di accertamento e delle cartelle di pagamento.
Appunto per questo la Corte Costituzionale, con la più volte citata sentenza n. 258/2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento «Nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile (…) si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600», anziché «Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario (…) si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del D.P.R. 29 settembre, n. 600».
Tutto quanto sopra esposto è applicabile anche per le notifiche alle persone giuridiche, ai sensi e per gli effetti dell’art. 145 c.p.c. (come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. c), nn. 1,2 e 3, della Legge 28/12/2005 n. 263), che al terzo comma testualmente dispone:
«Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti, la notificazione alla persona fisica indicata nell’atto, che rappresenta l’Ente, può essere eseguita anche a norma degli articoli 140 o 143».
A tal proposito, la Corte di Cassazione – Sezione tributaria –, con la sentenza n. 8637 del 30/05/2012, ha precisato che in riferimento alla notifica di atti alle società commerciali, il necessario coordinamento di tale disciplina con quella di cui all’art. 145 c.p.c. comporta, peraltro, che, in caso di impossibilità di eseguire la notificazione presso la sede sociale, il criterio sussidiario della notificazione alla persona fisica che la rappresenta è applicabile (con prevalenza sulle previsioni di cui all’art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/1973) soltanto se tale persona fisica, oltre ad essere identificata nell’atto, risiede nel comune in cui l’ente ha il suo domicilio fiscale (in tal senso, anche Cassazione, sentenze n. 15856/09, n. 5483/08 e n. 3618/06).
In caso contrario, non potrà che farsi ricorso sempre e soltanto al criterio di cui all’art. 60, lett. e), citato più volte (affissione nell’albo del comune del luogo in cui la società contribuente ha il domicilio fiscale) come precisato dalla Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – con la sentenza n. 13016 del 24/07/2012.
L’intervento della Corte Costituzionale è da apprezzare non solo perché parifica le modalità di notificazione sia per gli accertamenti che per le cartelle esattoriali ma, soprattutto, perché non limita il diritto di difesa del contribuente, consentendogli una maggiore possibilità di conoscenza degli atti, nel rispetto soprattutto dei principi dello Statuto del contribuente (art. 6, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 n. 212).

Maurizio Villani (da filodiritto.com del 5.12.2012)