lunedì 30 aprile 2012

SCIOPERO BIANCO DAL 15 MAGGIO AL 16 GIUGNO


GIUSTIZIA, OUA: DAL 15 MAGGIO AL 16 GIUGNO GLI AVVOCATI IN SCIOPERO BIANCO PER LA RIFORMA CON LEGGE DELLA PROFESSIONE FORENSE, PER UNA EQUILIBRATA E NON DEMOLITORIA REVISIONE DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA, PER L’ABROGAZIONE DELLA OBBLIGATORIETÀ DELLA MEDIACONCILIAZIONE

SI PREVEDE UNA FORTE ADESIONE DEGLI ORDINI FORENSI
 
Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, pur confermando la disponibilità al dialogo con il Governo, ricorda che rimangono irrisolti diversi problemi: revisione della geografia giudiziaria, riforma con legge della professione forense, media-conciliazione obbligatoria. Per questa ragione l’Oua, nei giorni scorsi, ha chiesto l’adesione di tutti gli avvocati dal 15 maggio al 16 giugno allo sciopero bianco, già deliberato dagli Ordini forensi di Trani, Reggio Emilia e Forlì-Cesena: “Gli avvocati hanno un ruolo fondamentale nel buon funzionamento della giustizia, con decine di attività di supplenza volontaria e gratuita che essi prestano quotidianamente. Eppure questo ruolo spesso non viene riconosciuto, al contrario l’avvocatura è continuamente e ingiustamente attaccata”. “Siamo infatti oggetto di continui provvedimenti legislativi – aggiunge il presidente Oua - che aggrediscono tanto l’identità stessa della nostra professione quanto la natura pubblica della giustizia italiana”.
“Il recente congresso straordinario di Milano – continua de Tilla – ha dato un mandato chiaro all’Oua e al Cnf di insistere nella ricerca di un dialogo, ma anche nella definizione di ulteriori iniziative per dare attuazione alle mozioni congressuali. Per questa ragione in assenza di atti concreti da parte dell’Esecutivo per un confronto sulla modifica della annunciata revisione della geografia giudiziaria (che deve essere costruttiva e non demolitoria) sulla eliminazione della incostituzionale obbligatorietà della media-conciliazione, sul ripristino delle tariffe e sul divieto della presenza dei soci di capitale negli studi professionali, l’assemblea dell’OUA ha accolto le proposte dei Consigli degli ordini forensi di Trani, Forlì-Cesena e Reggio Emilia. Tutti gli avvocati italiani sono invitati ad aderire dal 15 maggio al 16 giugno allo sciopero bianco su tutto il territorio nazionale, cioè a pretendere il rigoroso rispetto anche formale delle regole e degli adempimenti processuali. Gli Ordini forensi sono, altresì, invitati a sospendere l’erogazione di ogni supporto materiale ed economico per il funzionamento dell’organizzazione giudiziaria”.
Infine l’OUA ha chiesto al Ministro Severino il rinvio del termine del 13 agosto previsto per l’emanazione del regolamento governativo per la riforma professionale.

Roma, 27 aprile 2012


MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLO SCIOPERO BIANCO

Non curare personalmente la verbalizzazione nelle cause civili ma richiedere al Giudice autorizzazione a dettare le proprie deduzioni in udienza (art. 84 co. 3 disp. att. c.p.c.), chiedendo che la verbalizzazione sia effettuata dal Cancelliere a ciò appositamente designato (art. 57 c.p.c.), o personalmente dal Giudice;
non curare la stesura di atti o provvedimenti di competenza e/o a sottoscrizione del Magistrato o del Cancelliere, in particolare evitando di redigerne e/o di predisporne il testo;
chiedere il puntuale e rigoroso rispetto delle norme di procedura che disciplinano la trattazione delle udienze, pretendendo in particolare che l’udienza di fronte al Giudice Istruttore si svolga in forma non pubblica (art. 84 disp. att. c.p.c.) e con le modalità previste, e quindi con chiamata singola e solo alla presenza delle parti e dei loro difensori;
chiedere (anche tramite il competente Consiglio dell’Ordine) in ossequio all’art. 83 disp. att. c.p.c., che i Giudici fissino preventivamente all’inizio dell’udienza l’ordine di trattazione delle cause, dando la precedenza a quelle per le quali sono stati abbreviati i termini e negli altri casi di legge;
non fornire strumenti, materiale cartaceo o di cancelleria di sorta agli Uffici Giudiziari, neppure se richiesto, né al momento dell’iscrizione a ruolo della causa né durante lo svolgimento della stessa;
non sostituirsi ai commessi e/o al personale di cancelleria per lo svolgimento di alcuna attività e in particolare non curare personalmente né tramite propri incaricati il prelievo dei fascicoli dalle Cancellerie e l’effettuazione delle fotocopie, pretendendo invece che queste gli vengano rilasciate dalla Cancelleria nei termini previsti, e comunque in tempi idonei a non costituire ostacolo allo svolgimento del mandato difensivo, dietro pagamento dei relativi diritti (art. 58 c.p.c.), segnalando eventuali inadempimenti occorsi al Consiglio dell’Ordine e, ove occorra, alla Procura;
non prendere visione di provvedimenti adottati dal Giudice, pretendendo che gli stessi gli vengano comunicati come per legge a mezzo Ufficiale Giudiziario o forma equivalente;
pretendere dagli Ufficiali Giudiziari il rilascio di idonea ricevuta all’atto della richiesta e del pagamento di notifiche, pignoramenti, ecc.

Da oua.it

Padre naturale: obbligo mantenimento sorge con nascita del figlio


Cass. Civ. sez. I, sent. 10.4.2012 n° 5652

L'obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza, atteso che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell'art. 148 c.c., ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva.
E’ questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10 aprile 2012, n. 5652 in forza del quale è stata confermata la decisione della Corte territoriale che a distanza di quarant’anni dalla nascita aveva liquidato 25mila euro al figlio non riconosciuto dal padre naturale.
Infatti, nella fattispecie particolare, il figlio aveva citato in primo grado il padre, per aver interrotto sin dal suo concepimento ogni rapporto con la madre, rifiutandosi anche in seguito di riconoscere il figlio stesso e di mantenerlo, costringendolo ad un’esistenza piena di stenti e di privazioni – viste anche le misere condizioni della madre -, nel corso della quale andava anche incontro a varie vicissitudini come esperienze di natura penale e la contrazione del virus HIV. Il figlio, dunque, aveva chiesto al Tribunale, una volta accertata la filiazione naturale, di disporre a suo favore un assegno mensile a titolo di alimenti, ponendolo a carico del padre, condannandolo altresì a corrispondergli a titolo di restituzione o risarcimento del danno una somma pari all’assegno alimentare dovuto dal raggiungimento della maggiore età fino alla data della domanda. Il convenuto contestava principalmente il fatto di essere il padre naturale dell’attore e pertanto chiedeva il rigetto delle domande presentate.
Il Tribunale – visto anche il sostanziale rifiuto del padre di sottoporsi al prelievo per l’esecuzione della consulenza ematologica – accoglie la domanda di dichiarazione di paternità, rigetta la richiesta di assegno alimentare ed accoglie parzialmente la richiesta risarcitoria, fissando equitativamente la somma di 25000 euro, con interessi e rivalutazione dalla data della domanda. Successivamente in sede di appello la Corte territoriale confermava la sentenza del Tribunale, ribadendo l'insussistenza dei presupposti per l'attribuzione di un assegno alimentare e ritenendo corretto l'accoglimento della pretesa risarcitoria in relazione alla violazione, ritenuta consapevole, di un diritto fondamentale della persona, quale quello, facente capo al figlio, di ricevere dai propri genitori assistenza materiale e morale.
Si arriva in Cassazione, ma anche qui gli Ermellini non possono far altro che confermare la correttezza delle decisioni assunte dal giudice di merito. Infatti, si legge nella sentenza della Cassazione, il principio secondo cui l'obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati prescinde da qualsivoglia domanda – circostanza contestata dalla difesa del padre -, sicché nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.
Non può dubitarsi – chiosano i giudici del Palazzaccio - come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
Da qui l’inammissibilità del ricorso principale, il rigetto di quello incidentale e la compensazione delle spese processuali.

(Da Altalex del 23.4.2012. Nota di Alessandro Ferretti)

Stalking: legittimo divieto di avvicinarsi ai luoghi ''frequentati dalla persona offesa''


Cass. Pen. sez. V, sent. 11.4.2012 n° 13568

Il disposto di cui all’articolo 282 ter del codice di procedura penale non osta ad una mancata predeterminazione giudiziale dei luoghi su cui vige il divieto; ciò ove le abitudini della vittima non consentano una simile determinazione.
La misura cautelare dell’allontanamento può, quindi, “seguire” la vittima.
Secondo quanto precisato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 11 aprile 2012, n. 13658 la normativa concernente le misure cautelari deve essere interpretata al fine di soddisfare, in qualsiasi forma e modo, le sottese esigenze cautelari.
Nella fattispecie concreta un soggetto indagato per atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., aveva proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato la misura del divieto di avvicinamento.
Tra i motivi del ricorso:
    l’insussistenza dei gravi indizi propedeutici alla concessione della misura;
    l’eccessività genericità del contenuto cautelare.
I giudici della Corte, però, rigettano il ricorso.
Secondo la Corte occorre la verifica degli stili di vita nonchè delle abitudini della “vittima” – persona offesa, ove le stesse sfuggano ad una precisa predeterminazione giudiziale, ad esempio per esigenze di relazione o di lavoro.
Il giudicante può adottare delle formule che siano più congeniali alla ipotesi concreta, e che, quindi, possano consentire alla persona offesa di mantenere un’area di protezione efficace avverso gli atti persecutori dell’indagato, ovunque essa si trovi.
Nel caso in cui la persona offesa, vittima degli atti persecutori, non abbia, pertanto, luoghi abituali di frequentazione, è compito del giudice “vestire a misura”, anche se in modo generico, il bisogno di protezione che lo stesso ordinamento ha inteso consentire di tutelare con la normativa sul tema.

(Da Altalex del 23.4.2012. Nota di Manuela Rinaldi)

Studi professionali: controlli GdF su pagamenti e registro antiriciclaggio


Guardia di Finanza, circolare 19.3.2012 n° 83607

Sono state diffuse le disposizioni operative della Guardia di Finanza da seguire per le attività di prevenzione e repressione in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
E' quanto contenuto nelle istruzioni di servizio che regolamentano l'attività della GdF a tutela del mercato dei capitali articolate in 4 Volumi oggetto della Circolare 19 marzo 2012, n. 83607.
In particolare, i volumi sono così suddivisi:
    Volume I: Prevenzione e contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e dei traffici transfrontalieri di valuta;
    Volume II: Disciplina dei mercati finanziari e tecniche investigative;
    Volume III: La responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato;
    Volume IV: modulistica e documentazione di supporto (solo on line).
Tra i punti di interesse per gli studi professionali segnaliamo come sarà tenuto un occhio di riguardo nei confronti dei controlli ai pagamenti in contanti ultrasoglia, il cui monitoraggio verrà effettuato attraverso i programmi di contabilità indagando sulle modalità di pagamento di operazioni commerciali e finanziarie di importo elevato scelte tra un campione di clienti.
Ulteriore attenzione sarà rivolta dalla Guardia di Finanza alla tenuta del registro antiriciclaggio.

(Da Altalex del 18.4.2012)

domenica 29 aprile 2012

Volo ritardato, GdP Giarre condanna due compagnie


Espressioni quali "code sharing" o "rimodulazione" del volo sono la proverbiale bestia nera degli aeropasseggeri. A queste ridondanti parole, infatti, ricorrono spesso le compagnie aeree per evitare le proprie, indiscutibili responsabilità a seguito di cancellazione di voli. A fare giustizia ci pensano, ormai da tempo, i giudici di pace.
Nei giorni scorsi il dott. Agostino Crisafulli, uno dei magistrati onorari a Giarre, ha riconosciuto a due passeggeri - difesi dall'avv. Carmelo Calì - i diritti a loro spettanti in virtù del regolamento comunitario n. 261/2004 in seguito alla cancellazione del volo ed in virtù della Convenzione di Montreal per la ritardata consegna del bagaglio.
Questi i fatti. Una coppia di coniugi, dovendo recarsi in vacanza per una settimana in provincia di Cuneo, acquista i biglietti aerei per la tratta Catania-Torino. Appena arrivati all'aeroporto di Fontanarossa, i coniugi apprendono che il volo è stato cancellato e dovranno partire con un volo di altra compagnia. A parte questo primo imprevisto, all'aeroporto di Torino non vengono loro consegnati subito i bagagli, ma solo dopo tre giorni. In considerazione che il cosiddetto "volo di riprotezione" era giunto a destinazione non oltre le due ore dall'arrivo previsto per il volo cancellato, come previsto dal regolamento comunitario, i due passeggeri hanno chiesto la corresponsione del 50% della compensazione pecuniaria.
Il giudice di pace ha riconosciuto la loro richiesta, rigettando le difese delle due compagnie che sostenevano non si trattasse di cancellazione, ma di volo effettuato in regime di code-sharing, basandosi sulla circostanza che i biglietti indicavano una sola compagnia, senza alcuna indicazione relativa ad un accordo tra i due vettori. Non solo: in merito alla ritardata consegna dei bagagli, i vettori sono stati condannati sia al rimborso delle spese sostenute dai passeggeri per acquistare quanto necessario a sopperire alla mancanza del bagaglio; sia al risarcimento danni per la vacanza rovinata, oltre alle spese legali.

Mario Vitale (da La Sicilia del 28.4.2012)

sabato 28 aprile 2012

VIRZI’: “ACCESSO AGLI ATTI SE INDISPENSABILE”


Il giusto equilibrio tra le esigenze di tutela della riservatezza e quelle di difesa dei propri diritti sta alla base della disciplina dell’accesso agli atti, nella quale il giudice amministrativo è specializzato e deve di volta in volta valutare non tanto l’“utilità”, quanto l’“indispensabilità” di dover limitare la privacy a favore di terzi.
E’ questo, in sintesi, il tema della brillante relazione, seguita da quasi duecento avvocati, tenuta stamane nell’androne del palazzo di Giustizia di Giarre dal consigliere dott. Salvatore Virzì, magistrato del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia,
il quale, avvalendosi di numerosi esempi pratici, ha suscitato particolare interesse nell’uditorio e non ha mancato di rispondere a quesiti e richieste di chiarimenti rivoltegli dai colleghi.

UN MESE DI SCIOPERO BIANCO DEGLI AVVOCATI


Dal 15 maggio al 16 giugno per la revisione della geografia giudiziaria,
la riforma con legge della professione forense
e contro la mediaconciliazione obbligatoria

Sciopero bianco degli avvocati per un mese a partire dal 15 maggio  per la revisione della geografia giudiziaria, la riforma con legge della professione forense e contro la media-conciliazione obbligatoria.  
Ad annunciarlo, Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura che, pur confermando la disponibilità al dialogo con il Governo, ricorda che rimangono irrisolti diversi problemi cui il Governo sembra non voler mettere mano. 
Per questa ragione l’Oua, nei giorni scorsi, ha chiesto l’adesione di tutti gli avvocati dal 15 maggio al 16 giugno allo sciopero bianco, già deliberato dagli Ordini forensi di Trani, Reggio Emilia e Forlì-Cesena: “Gli avvocati hanno un ruolo fondamentale nel buon funzionamento della giustizia, con decine di attività di supplenza volontaria e gratuita che essi prestano quotidianamente. Eppure questo ruolo spesso non viene riconosciuto, al contrario l’avvocatura è continuamente e ingiustamente attaccata”. 
“Siamo infatti oggetto di continui provvedimenti legislativi – aggiunge il presidente Oua - che aggrediscono tanto l’identità stessa della nostra professione quanto la natura pubblica della giustizia italiana. Il recente congresso straordinario di Milano – continua de Tilla – ha dato un mandato chiaro all’Oua e al Cnf di insistere nella ricerca di un dialogo, ma anche nella definizione di ulteriori iniziative per dare attuazione alle mozioni congressuali. Per questa ragione in assenza di atti concreti da parte dell’Esecutivo per un confronto sulla modifica della annunciata revisione della geografia giudiziaria (che deve essere costruttiva e non demolitoria) sulla eliminazione della incostituzionale obbligatorietà della media-conciliazione, sul ripristino delle tariffe e sul divieto della presenza dei soci di capitale negli studi professionali, l’assemblea dell’OUA ha accolto le proposte dei Consigli degli ordini forensi di Trani, Forlì-Cesena e Reggio Emilia. Tutti gli avvocati italiani sono invitati ad aderire dal 15 maggio al 16 giugno allo sciopero bianco su tutto il territorio nazionale, cioè a pretendere il rigoroso rispetto anche formale delle regole e degli adempimenti processuali. Gli Ordini forensi sono, altresì, invitati a sospendere l’erogazione di ogni supporto materiale ed economico per il funzionamento dell’organizzazione giudiziaria”. 
Infine l’OUA ha chiesto al Ministro Severino il rinvio del termine del 13 agosto previsto per l’emanazione del regolamento governativo per la riforma professionale.

(Da Mondoprofessionisti del 27.4.2012)

La cancellazione dalla Cassa


Oggi, a causa della devastante crisi economica, soprattutto giovani avvocati chiedono di potersi cancellare dalla Cassa Forense in quanto spesso hanno serie difficoltà a poter far fronte al pagamento dei contributi.
E’ bene pertanto chiarire se e quando può aversi la cancellazione dalla Cassa Forense e quindi l’uscita dal nostro sistema previdenziale.
La cancellazione dalla Cassa (disciplinata dall’art. 3 del regolamento approvato con decreto interministeriale del 28.09.1995) può avvenire d’ufficio ovvero a domanda.
La cancellazione d’ufficio dell’avvocato è disposta dalla Cassa a decorrere dalla data di cancellazione da tutti gli albi professionali (pertanto sia dall’albo ordinario che dall’albo dei cassazionisti). In questi casi la cancellazione decorrerà dalla data di cancellazione da tutti gli albi. La precisazione è importante poiché molti colleghi si cancellano dall’albo ordinario ma dimenticano di cancellarsi anche dall’albo dei cassazionisti. La permanenza della loro iscrizione a tale albo comporta anche la permanenza della loro iscrizione alla Cassa Forense.
E’ prevista anche la cancellazione d’ufficio del praticante abilitato al patrocinio (che, si intende, aveva scelto di iscriversi alla Cassa non sussistendo nei suoi confronti alcun obbligo di iscrizione) a decorrere dalla data di scadenza del periodo di abilitazione al patrocinio indipendentemente dal relativo provvedimento del Consiglio dell’Ordine.
La cancellazione d’ufficio (sia per l’avvocato che per il praticante abilitato al patrocinio) è poi disposta dalla Cassa nei casi di incompatibilità. In tal caso la cancellazione decorrerà dalla data di cancellazione dagli albi per incompatibilità oppure dalla data di assunzione.
Anche per quanto riguarda la cancellazione a domanda occorre distinguere la posizione dell’avvocato da quella del praticante abilitato al patrocinio.
Per ciò che concerne la cancellazione dell’avvocato la relativa domanda può essere presentata solo in determinati casi, e precisamente:
1) quando non si realizzi il requisito della continuità professionale (reddito netto professionale Irpef e volume d’affari IVA inferiori ai minimi stabiliti) nel triennio anteriore alla presentazione della domanda. In questo caso la cancellazione decorrerà dalla data di presentazione della domanda.
2)  Quando si chiude la partita IVA. In questo caso la cancellazione decorrerà dalla data di chiusura della partita iva.
3) Quando sussista una qualche incompatibilità.
Per ciò che concerne la cancellazione del praticante abilitato al patrocinio (sempre che egli abbia scelto di iscriversi alla Cassa non sussistendo alcun obbligo di iscrizione) questa non subisce limitazioni di sorta e può essere presentata in qualunque momento e quindi è svincolata anche dall’effettivo esercizio continuativo della professione.
E’ importate ricordare ancora che per l’avvocato che si cancella dalla sola Cassa, permane l’obbligo di pagamento integrale dei contributi minimi dovuti per l’anno dell’avvenuta cancellazione (ciò in virtù del principio di infrazionabilità dell’anno) nonché delle eventuali eccedenze in autoliquidazione e l’obbligo dichiarativo (invio del Mod. 5) e l’obbligo contributivo (contributo integrativo 4% da esporre in fattura) finché egli rimane iscritto all’Albo. Per l’avvocato che si cancella anche dagli Albi, tale obbligo permane solo per l’anno dell’avvenuta cancellazione. Pertanto egli sarà obbligato all’invio del Modello 5 ancora nell’anno successivo a quello dell’avvenuta cancellazione ed al pagamento delle eventuali eccedenze in autoliquidazione.
Per il praticante abilitato che si cancella dalla Cassa permarrà l’obbligo contributivo relativo all’anno di avvenuta cancellazione e l’obbligo dichiarativo ancora per l’anno successivo (egli invierà il modello 5 l’anno successivo a quello della cancellazione) salvo essere di nuovo obbligato non appena egli si iscriverà all’Albo professionale.
I contributi versati alla Cassa sino alla data di cancellazione che fine fanno?
E’ possibile anzitutto la ricongiunzione in altra gestione previdenziale. E’ possibile la totalizzazione se il periodo contributivo è di almeno 3 anni su un complesso periodo contributivo di almeno 20 anni. E’ ancora possibile conseguire da Cassa Forense la pensione contributiva ma solo alla maturazione del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia. E’ infine possibile il rimborso del contributo soggettivo ma solo limitatamente agli anni di iscrizione alla Cassa dichiarati inefficaci ai fini pensionistici. Tale possibilità riguarda solo gli avvocati e non anche i praticanti abilitati al patrocinio in quanto gli anni di iscrizione Cassa di questi ultimi sono sempre validi indipendentemente dalla produzione di reddito.
Un’ultima annotazione. Chi si cancella dalla Cassa per mancanza del requisito della continuità professionale e pertanto mantenga la partita Iva e l’iscrizione all’Albo, automaticamente verrà iscritto (o ha comunque l’obbligo di iscriversi) alla gestione separata INPS.

Massimo Carpino - Delegato di Cassa Forense (da cassaforense.it n. 4/2012)

venerdì 27 aprile 2012

Una boccata di ossigeno per gli Ordini


Il ministero della giustizia sta pensando di spostare il termine
per l'emanazione dei decreti di modifica a fine anno

Riforma delle professioni nel guado e verso il rinvio. Tra regolamenti e decreti ancora tutti da emanare, se non addirittura da scrivere, infatti, il termine previsto dalla legge 148/11 per riordinare gli ordinamenti professionali entro il 13 agosto 2012 sembra allontanarsi sempre più. Tanto che dall'ufficio legislativo del ministero della giustizia si sta pensando concretamente di posticipare i termini a fine anno. Del resto i tempi cominciano a essere davvero stretti rispetto ai provvedimenti da mettere ancora in fila: il regolamento sulla società tra i professionisti (che dovrà essere pronto entro il 12 maggio) la cui bozza, secondo alcune indiscrezioni, è stata inviata dal ministero della giustizia a quello dello sviluppo economico per il parere di concerto; il decreto ministeriale che dovrà stabilire i parametri giudiziali sulle tariffe, e tutte le altre novità previste (formazione, tirocinio, organi di disciplina e pubblicità). Anche se resta il dubbio su come gli ordini dovranno modificare gli ordinamenti professionali, appunto, entro il 13 agosto 2012. Sotto l'attenzione di tutti ci sono, comunque, per ora, soprattutto le tariffe e in particolare, per l' assenza di esse, i problemi sorti nelle gare per l'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura che, un tavolo tecnico con l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici di recente istituzione sta cercando di risolvere. Su un punto comunque c'è assoluta certezza da parte dell'ufficio legislativo del ministero: prima di mettere nero su bianco qualsiasi dpr, sarà indispensabile emanare il decreto ministeriale per fissare i parametri per orientare la liquidazione del professionista in caso di ricorso all'autorità giudiziaria. Una volta fissati questi principi si potranno, poi, stabilire i confini del dpr. Che, anche in questo caso, sarà messo a punto con la concertazione tra gli stessi ordini, rappresentati dal Cup e dal Pat, e l'ufficio legislativo. Quest'ultimo proprio per accelerare i tempi, sempre secondo alcune indiscrezioni, ha optato per una suddivisione dei compiti, delegando a tre diversi soggetti le diverse aree in cui sono rappresentati ordini e collegi. Insomma la riforma delle professioni è a tutti gli effetti a metà del guado, in parte approvata e cogente, in parte ancora da approvare. Una situazione di incertezza normativa denunciata a gran voce da tutti i rappresentati agli ordini. Primi fra tutti gli architetti che, proprio nella giornata di ieri, hanno lanciato un appello al governo esortandolo ad approvare «urgentemente il dpr di riforma». Questa empasse normativa ha infatti denunciato il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori rappresenta un danno per tutti architetti italiani, «già duramente colpiti dalla crisi, che da luglio 2011, come gli altri professionisti, non hanno più certezze sulle regole che riguardano lo svolgimento quotidiano della loro professione».

(Da Mondoprofessionisti del 26.4.2012)

giovedì 26 aprile 2012

Niente lavori se il padrone non lo sa


La Cassazione dà ragione a una locatrice che ha sfrattato
l’inquilino che aveva violato una clausola contrattuale

Contro la decisione della Corte d'appello che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione di un immobile a uso commerciale per inadempimento del conduttore, quest'ultimo aveva proposto ricorso in Cassazione. Motivo del contendere, l'effettuazione di lavori importanti senza il consenso della locatrice, così come previsto dal contratto.
Due i pilastri su cui si è fondato il ricorso: il primo tratta di insufficiente circa il consenso prestato dalla locatrice ai lavori, eseguiti nell'immobile di sua proprietà e in merito alla validità del consenso medesimo per difetto di prova; il secondo, invece, fa leva sulla contraddittorietà e l'insufficienza della motivazione circa la valutazione della gravità dell'inadempimento e la conseguente risoluzione del contratto.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'appello allorché ha ritenuto che, nel caso in esame, nessun consenso tacito fosse stato dato dalla locatrice per l'effettuazione dei lavori importanti eseguiti nel suo immobile dal conduttore.
Si legge nella sentenza: «In altri termini, il giudice dell'appello ha fatto proprio quell'indirizzo ormai prevalente e che va ribadito secondo il quale per i contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam, la clausola contrattuale, che prevedeva una risoluzione ipso jure, fosse sì una clausola di stile, ma rientrante nella autonomia delle parti, per cui doveva essere provata la configurabilità di avvalersi della rinuncia, anche perché a seguito dei risultati emergenti dalle deposizioni testimoniali, è risultata mancante la prova del preteso previo consenso orale della locatrice».

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 20.3.2012)

Settore ospedaliero e mansione superiore


Cons. Stato, sent. n. 2075 dell’11.4.2012

1. Premesse
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex multis, C.d.S., sez. V, 14 gennaio 2009, n. 100; 24 agosto 2007, n. 449; 19 marzo 2007, n. 1299; 16 maggio 2006, n. 2790; 22 maggio 2003, n. 2779), nel settore sanitario, nel quale, diversamente da quanto accade in generale nel pubblico impiego, il fenomeno dello svolgimento di mansioni superiori è tradizionalmente disciplinato da un'apposita normativa di rango primario, il riconoscimento del trattamento economico per lo svolgimento di funzioni superiori è in via generale condizionato, oltre che alla vacanza del posto in pianta organica (cui si riferiscono le funzioni svolte), anche alla presenza del necessario previo formale atto di incarico dello svolgimento delle anzidette funzioni, da intendersi quale apposita decisione adottata dagli organi competenti dell'ente di assegnazione temporanea al posto di qualifica superiore, oltre che ovviamente all'effettiva prestazione delle stesse mansioni superiori.
La necessità dell'atto formale (che la giurisprudenza ha individuato in una puntuale e preventiva disposizione impartita dagli organi competenti della pubblica amministrazione
datrice di lavoro: C.d.S., sez. V, 10 marzo 2009, n. 1375; 16 maggio 2006, n. 2790), non è venuta meno neppure con l'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, che, con l'art. 15, ha reso operativa la disciplina di cui all'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29: infatti, ferma restando la vacanza del posto in organico di livello corrispondente alle mansioni, l'effettivo esercizio per un periodo di tempo apprezzabile delle mansioni della qualifica superiore presuppone pur sempre l'avvenuto conferimento delle stesse attraverso un incarico formale di preposizione da parte dell'organo che, all'epoca dello svolgimento delle mansioni superiori, era da ritenersi competente a disporre la copertura del posto (C.d.S., sez. V, 3 dicembre 2001, n. 6011; 24 agosto 2007, n. 4492; 23 gennaio 2008, n. 134).
Proprio per quanto concerne lo svolgimento delle funzioni superiori di primario, tuttavia, la stessa giurisprudenza ha per converso ritenuto che una simile vicenda, a causa del carattere inderogabile di tali funzioni, indispensabili per l'ordinato e proficuo funzionamento del servizio sanitario (che non può subire interruzioni), sia di per sé rilevante, anche a prescindere da qualsiasi atto organizzativo dell'amministrazione sanitaria, sufficiente essendo ai fini in esame, ai sensi dell'articolo 7, comma 5, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, che il sanitario abbia l'obbligo di esercitare le predette funzioni primariali (ex multis, C.d.S., sez. V, 13 luglio 2010, n. 4521; 2 luglio 2010, n. 4235; 5 febbraio 2009, n. 633; 9 dicembre 2008, n. 6056; 12 aprile 2005, n. 1640; 20 ottobre 2004, n. 6784; 16 settembre 2004, n. 6009).
2. Art. 121, comma 7, del d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384
La Sezione ha invero da tempo adottato l'indirizzo secondo cui il trattamento retributivo corrispondente alle mansioni superiori svolte spetta all'aiuto ospedaliero anche quando l'incarico di sostituzione del primario si protragga oltre il termine massimo di sei mesi previsto dall'art. 121 comma 7 cit., dal momento che quest'ultima previsione normativa si limita a vietarne il rinnovo alla scadenza del periodo massimo di sei mesi, ma non preclude il riconoscimento della spettanza delle congrue differenze retributive quando l'Amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi invece l'incarico, o comunque permetta la prosecuzione dell'espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto (cfr. CGA, n. 577 del 2009; Consiglio Stato, V, 29 maggio 2006, n. 3234; n. 3192 del 20 maggio 2010; v. anche III, 22 gennaio 2002, n. 1623; V, 29 gennaio 2004, n. 298).
Di conseguenza, ferma restando la non computabilità dei primi sessanta giorni, spettano al ricorrente le differenze retributive per l'intero periodo di svolgimento da parte sua delle superiori mansioni primariali che non gli siano state ancora remunerate.

Rocchina Staiano (da diritto.it del 26.4.2012)

Apre account di posta elettronica a nome di altri: è reato di sostituzione di persona


Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 12479 del 3.4.2012

Ritenuto in fatto
1. - Con sentenza del 17 novembre 2010, la Corte d’appello di Roma ha parzialmente confermato, riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Roma, con cui l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’articolo 494 cod. pen. - così diversamente qualificato il fatto di cui all’imputazione originaria - per avere, in concorso con altro soggetto e senza il consenso dell’interessata, al fine di trarne profitto o di procurare a quest’ultima un danno, utilizzato i dati anagrafici di una donna, aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica e facendo, così, ricadere sull’inconsapevole intestataria le morosità nei pagamenti di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.
2. - Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia; e non vi sarebbe, in linea di principio, alcuna necessità di servirsi di una vera identità per comprare oggetti on-line, ben potendo utilizzarsi uno pseudonimo.
Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, quanto affermato dalla Corte di cassazione, sez. V 8 novembre 2007, n. 46674, perché detta decisione si riferirebbe alla diversa fattispecie della creazione di un account di posta elettronica apparentemente intestato ad altra persona e della sua utilizzazione per intessere rapporti con altri utenti, traendoli in errore sulla propria identità personale. Sempre per la difesa, la circostanza che il venditore mancato sia andato alla ricerca delle generalità dell’acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della configurazione del reato, non essendo il normale comportamento di un soggetto fruitore del servizio di aste on-line quello di voler conoscere le generalità dell’altro contraente nel momento in cui il pagamento dell’oggetto venduto non è stato effettuato.
2.2. - Si deducono, in secondo luogo, la nullità della sentenza in relazione all’articolo 62, n. 6), cod. pen., nonché il difetto di motivazione in ordine alla richiesta di concessione dell’attenuante del risarcimento del danno. La difesa lamenta, sul punto, che la Corte d’appello avrebbe negato la concessione di detta attenuante, sull’assunto che la somma versata dall’imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall’intera vicenda, affermando di ritenersi soddisfatta in termini economici.
2.3. - In terzo luogo, si deduce la violazione degli artt. 53 della legge n. 689 del 1981 e 135 cod. pen. La Corte d’appello avrebbe erroneamente sostituito la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, determinata in Euro 7500,00 di multa, senza tenere conto del fatto che, all’epoca del commesso reato, era previsto un ragguaglio di Euro 38,00 al giorno, dovendosi applicare la legge più favorevole reo. Rileva, in particolare, il ricorrente che il fatto è del febbraio 2005, epoca precedente all’entrata in vigore dell’articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009, che ha modificato l’art. 135 cod. pen., prevedendo, per ogni giorno di pena detentiva, la sanzione sostitutiva della somma di Euro 250,00 di pena pecuniaria, in luogo dell’originaria somma di Euro 38,00.
Considerato in diritto
3. - Il ricorso è solo parzialmente fondato.
3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un
nome di fantasia - è infondato.
Deve rilevarsi che - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - la partecipazione ad aste on-line con l’uso di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una reale identità, accettabile on-line da parte di tutti i soggetti con i quali vengono concluse compravendite. E ciò, evidentemente, al fine di consentire la tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti. Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.), la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sez. V 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui risulta pacifico che l’imputato avesse utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo, così, ricadere sull’inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.
3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamenta che la Corte d’appello avrebbe negato la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., sull’assunto che la somma versata dall’imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso nel giudizio di primo grado, di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall’intera vicenda - è inammissibile, per genericità.
La difesa di parte ricorrente si limita, infatti, ad affermare che la persona offesa avrebbe ammesso in primo grado di non aver avuto un documento apprezzabile dall’intera vicenda, senza specificare quale sia stato il momento del versamento della somma di Euro 300,00 in favore della stessa persona offesa (se precedente al giudizio, come richiesto dal citato numero punto 6) dell’articolo 62 cod. pen.) e, soprattutto, senza procedere, neanche in via di mera prospettazione, ad una quantificazione di massima del danno provocato. A tali considerazioni deve, peraltro, aggiungersi quanto correttamente rilevato dalla Corte d’appello circa l’evidente irrisorietà dell’importo versato, che sembra coprire appena le spese sostenute dalla persona offesa per partecipare al procedimento di primo grado.
3.3. - Fondato è, invece, il terzo motivo di gravame, relativo alla quantificazione della pena.
Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge, infatti, che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva è stata calcolata in base al disposto dell’articolo 135 cod. pen., nel testo vigente a seguito della modifica apportata dall’articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009; e, dunque, sulla base della somma giornaliera di Euro 250,00. Come correttamente osservato dal ricorrente, il fatto contestato è del febbraio 2005, data precedente all’entrata in vigore di detta modifica. Deve, perciò, trovare applicazione il criterio di ragguaglio previgente, in ragione di Euro 38,00 al giorno.
4. - Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla sanzione sostitutiva, che deve essere rideterminata in Euro 1140,00 (somma ottenuta moltiplicando il valore giornaliero di Euro 38,00 per 30 giorni di pena detentiva).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena pecuniaria, che rideterminata in Euro 1140,00. Rigetta nel resto il ricorso.

mercoledì 25 aprile 2012

Sezioni specializzate per le controversie in materia di famiglia e persone: in quali tribunali "sopravvissuti"?


di Elisabetta Mantovani (Vicepresidente della Camera Civile Veneziana)

Non è ancora chiaro quali saranno i Tribunali destinati a sopravvivere a seguito degli interventi previsti in sede di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e si discute ora, separatamene, ( così è avvenuto il 17/04/2012 per il disegno di legge n. 3040 in II Commissione Giustizia del Senato in sede referente) per una delega al governo per l’istituzione delle sezioni specializzate per le controversie in materia di persona e di famiglia:se l’intento auspicato e commendevole è quello di unificare competenze oggi frammentate tra Tribunale ordinario, Tribunale per i minorenni e Giudice Tutelare per tutele coerenti, efficaci ed uniformi, slegare l’intervento dal contesto del riordino delle circoscrizioni giudiziarie appare quanto meno foriero di probabili futuri problemi di coordinamento purtroppo non inusuali per il nostro legislatore.
Per punti salienti queste le previsioni del DDL:
- Istituzione di sezioni specializzate per le controversie in materia di persone e di famiglia presso ogni Corte d’Appello e presso ogni Tribunale, esclusi quelli con “organico ridotto e in cui si sia trattato un numero limitato di procedimenti”, in ogni caso ne è prevista la istituzione nei Tribunali che hanno sede nel capoluogo di provincia: prevedibile i problemi che da un punto di vista pratico comporterà l’interpretazione di tali principi in coordinamento con i criteri seguiti nella rivisitazione delle circoscrizioni giudiziarie
-Le competenze trasferite alle sezioni specializzate sono solo quelle sembrano civili ed amministrative attualmente attribuite al Tribunale per i Minorenni, al Giudice Tutelare e ai Tribunali Ordinari: a tali sezioni andranno trasferite alla data dell’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi i procedimenti pendenti davanti al Tribunale Ordinario, al Tribunale per i Minorenni e al Giudice Tutelare: nulla si dice sulle competenze di natura penale;
-I Magistrati assegnati a tali sezioni potranno trattare solo della materia di famiglia, minori, stato e capacità della persona e stato civile, e dovranno essere esclusivamente Giudici togati che abbiano almeno da due anni maturato competenza in tali materie, dovranno essere indicati dal Ministro della Giustizia e dovranno avere formazione specialistica: significativamente e correttamente la materia viene “riattribuita” alla magistratura togata in contrasto con la prassi corrente in alcuni tribunali di far trattare separazioni e divorzi ai GOT e, dall’altra, a fronte di magistratura specializzata si auspica che anche l’avvocatura debba avvalersi di altrettanto titolata specializzazione;
-Le sezioni si avvarranno dell’istituzione di un gruppo di lavoro specializzato presso le rispettive Procure della Repubblica, e dell’opera e della collaborazione dei servizi amministrativi in particolare dei servizi sociali e di altri organismi dipendenti dal Ministero della Giustizia: unica provenienza delle richieste ai servizi che non potranno discriminare,in ragione dell’autorità richiedente, il tipo e la valenza dei propri interventi ;
-Viene istituita una Commissione Tecnica consultiva composta da esperti in psichiatria, psicologia e pedagogia nominati dal Ministro della Giustizia su segnalazione dei Presidenti delle sezioni per le competenze di natura tecnica, tra coloro preferibilmente (di almeno 30 anni di età) che abbiano ricoperto l’incarico di componente privato del Tribunale per i Minorenni o della sezione della Corte d’Appello per i Minorenni, con esclusione di partecipazione degli esperti alle attività decisionali, servizio prestato con natura esclusivamente onoraria: seppure esperti, i tecnici valutano non decidono.
-Processualmente si prevede l’unificazione e la razionalizzazione dei riti previsto per tutti i procedimenti (uniformemente regolati i procedimenti di separazione e scioglimento del matrimonio e affidamento e mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati) nella forma della camera di consiglio, con la tutela del principio del contraddittorio, della rappresentanza processuale dei minori o incapaci, con la previsione dell’impugnativa di tutti i provvedimenti decisionali non provvisori avanti al Collegio della sezione, e l’appello è previsto avanti la competente sezione specializzata della Corte d’Appello: trasfusi i principi internazionali di cui alle numerose convenzioni nel riconoscere la rappresentanza processuale e l’ ascolto del minore in tutti i procedimenti che lo riguardano; inspiegabile la mancata previsione del reclamo al Collegio dei provvedimenti provvisori, invece auspicabile;
 -L’ingresso del procedimento sommario di cognizione con esclusione della conversione nel rito ordinario, la previsione dei provvedimenti di urgenza, l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero in tutte le controversie, con potere d’ufficio del Giudice a compiere tutti gli atti istruttori nei procedimenti riguardanti minori e soggetti incapaci; la difesa tecnica non è prevista per i procedimenti di natura non contenziosa e in tal caso è prevista solo nella fase di reclamo del provvedimento: se con tale previsione si fosse inteso escludere la necessità della difesa tecnica nella presentazione dei ricorsi consensuali nella separazione delle coppie coniugate o di fatto, sarebbe un grave arretramento rispetto all’attuale assetto normativo che solo alcuni Tribunali hanno disatteso nelle prassi consentendo la formalizzazione del ricorso per separazione consensuale senza l’assistenza tecnica dei coniugi.
Questo in sintesi un primo esame sulle proposte modifiche all’attuale assetto della normativa, ma dovrà seguire un attento studio del ceto forense per rendersi fattivo promotore di interventi correttivi avvalendosi delle esperienze ormai maturate anche in sede di “protocolli”e“prassi virtuose”, che finalmente potrebbero essere trasfusi in un compendio normativo completo ed efficace.

(Da Mondoprofessionisti del 24.4.2012)

Dipendente muore sul lavoro: non è responsabile il datore che ha delegato ad altri la gestione della sicurezza


L'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato. Esso riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni. E' quanto statuito dalla Cassazione, con la sentenza n. 10702/2012.
Il caso. Il dipendente di una società procede al taglio di alcune piante a bordo del cestello di un mezzo meccanico. Purtroppo però, l’uomo non adotta tutte le precauzioni e muore dopo essere venuto a contatto con linea elettrica a media tensione che si trovava nei pressi. Viene quindi accusata di omicidio colposo la donna alla quale era stata attribuita la legale rappresentanza della società e poteva dunque essere considerata la datrice di lavoro. L’addebito mossole è quello di non aver adeguatamente valutato il rischio, di non aver adottato misure tecniche ed organizzative appropriate e di non aver in particolare adottato la precauzione risolutiva costituita dalla interruzione temporanea della erogazione dell’energia elettrica nel corso della lavorazione. La donna viene assolta in primo grado, ma condannata in secondo. Ricorre dunque in Cassazione dove lamenta il fatto che i giudici di merito avrebbero erroneamente individuato in lei il soggetto alla quale addebitare la responsabilità ignorando il fatto che l’unico che avrebbe dovuto rispondere del fatto sarebbe il soggetto al quale l’Ente ha demandato la gestione dei profili operativi della società. La donna, infatti, sostiene di aver avuto una delega solo per la parte amministrativa.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte accoglie il ricorso annullando la sentenza riconoscendo all’imputata di non aver commesso il fatto. I giudici ricordano come la delega non è consentita per la valutazione dei rischi e l'elaborazione del documento sulla sicurezza, nonché per la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Inoltre, la delega non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
La delega, dunque, non fa venir meno l'obbligo di vigilanza. Tuttavia, «si parla qui di una vigilanza "alta", che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato; e che si attua anche attraverso i sistemi di verifica e controllo previsti dall'articolo 30 comma 4, che a sua volta disciplina il modello di organizzazione e gestione idoneo ad avere efficacia esimente dalla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Tale rinvio costituisce una norma assai rilevante, che introduce nel sistema della responsabilità penale un importante frammento del sistema di responsabilità degli enti; e rende al contempo più chiara la reale natura dell'obbligo di vigilanza».
In particolare, ricorda la Corte, «la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui demanda i pertinenti poteri: al delegato vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo. Ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato. Esso riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni. Dunque, erra certamente la Corte d'appello quando ipotizza un dovere di vigilanza esteso sino a controllare personalmente la gestione di aspetti contingenti delle singole lavorazioni».

(Da avvocati.it del 24.4.2012)

A Catania corso sul diritto dell’immigrazione


Il consigliere dell’Ordine Avv. Carla Pappalardo ci segnala un corso sul diritto dell'immigrazione organizzato dalla Camera Penale “Serafino Famà” e che interessa anche gli aspetti civilistici, del lavoro e di diritto internazionale. L'intero corso (che si svolgerà a giugno, con quattro incontri) dà diritto a 12 crediti ed ha un costo di € 40,00.
Prenotazione via e-mail all’indirizzo: scuola@camerapenalecatania.it
Contatti: Avv. Giuseppe Passarello
               Avv. Letizia Galati
               Avv. Vittorio Basile
               Avv. Giusy Latino

martedì 24 aprile 2012

L'avvocatura giovane a convegno. Diritti, legalità, responsabilità


Dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura riceviamo e pubblichiamo:

La Scuola Superiore dell'Avvocatura in collaborazione con una rappresentanza dei giovani che frequentano le scuole forensi degli ordini ha promosso un convegno che si terrà in Roma il 27 aprile alle ore 14,30 nella Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio cortesemente concessa.
Il convegno ha lo scopo di consentire ai giovani che si preparano ad esercitare la professione - tra i quali sono coloro che hanno conosciuto le istituzioni e le Corti dell'Unione Europea nelle visite organizzate dalla Scuola Superiore - di esporre le loro idee e porre questioni su aspetti critici del rapporto tra giustizia, diritto e società.
I temi che sono stati proposti alla discussione riguardano infatti il ruolo dell'avvocato nella difesa dei diritti umani, l'avvocatura e la crisi di legalità, le responsabilità dell'avvocato nei rapporti con il mercato e nei confronti della società.
Interverranno al Convegno, che sarà introdotto dal Presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni M. Flick e dal Consigliere nazionale forense Fabio Florio (nostro carissimo e stimatissimo amico, NdAGANews), la Vicepresidente del Senato Emma Bonino, il Consigliere della Corte di Cassazione Piercamillo Davigo, gli avvocati componenti della Scuola Superiore Titta Madia, Stefano Borsacchi e Andrea Saccucci, e i giovani Gianluigi Torri, Matteo D'Angelo e Denis Lovison con relazioni, oltre a rappresentanti delle scuole forensi di Cosenza, Ferrara, Genova e Nola, Elisabetta Bilotta, Rossella Cavaliere, Mariangela Cianci, Cristian Corvini, Eleonora Garofalo, Claudia Rogato, Alessandro Torri, Maria Adele Venneri.
Coordinerà i lavori e concluderà la discussione il Vicepresidente della Scuola Superiore dell'Avvocatura avv. Alarico Mariani Marini.
Il convegno vuole offrire a giovani neo avvocati o ancora praticanti negli studi legali i quali frequentano le scuole forensi una occasione per discutere dei problemi che interessano il loro futuro professionale con esponenti della magistratura, della politica e della avvocatura.
Alla discussione parteciperanno inoltre i giovani presenti al convegno, provenienti da molti fori d'Italia, manifestando le loro idee e confrontandosi su temi centrali della vita sociale, sui quali potranno ascoltare le testimonianze degli autorevoli ospiti che nella giustizia e nella politica vivono la crisi che oggi incombe minacciosamente sui cittadini e sulle istituzioni italiane ed europee, e soprattutto sulle future generazioni.
Le iscrizioni al convegno sono ormai chiuse, ma i lavori saranno trasmessi in diretta da Radio Radicale.