venerdì 30 novembre 2012

IL PROCESSO DISCIPLINARE, DOMANI CORSO AGA

Domani, Sabato 1 dicembre, dalle ore 9 alle 12, l'androne del Palazzo di Giustizia di Giarre, corso Europa, ospiterà l'ultimo evento formativo organizzato nell'anno 2012 dall'Associazione Giarrese Avvocati.
Tema del’incontro "Il processo disciplinare", illustre e gradito relatore il consigliere Segretario dell'Ordine Avvocati di Catania Avv. Diego Geraci.
La partecipazione, gratuita per i soci AGA, dà diritto a n. 3 crediti formativi in materia di deontologia.

giovedì 29 novembre 2012

La legge crescita allunga i tempi della riforma forense


 Il sottosegretario Mazzamuto lascia la commissione per seguire
la conversione del decreto-legge "crescita". E la seduta viene rinviata

Sembrava che i lavori della commissione giustizia, ieri, fossero partiti sul piede giusto. Ma la mancanza dei pareri della commissione bilancio di palazzo Madama sugli emendamenti, prima, e l’assenza poi del sottosegretario Mazzamuto   che ha lasciato l’aula della commissione giustizia per seguire presso la Commissione industria l'iter d'esame del disegno di legge n. 3533, di conversione del decreto-legge "crescita" hanno costretto il presidente Filippo Berselli a rinviare l’esame del provvedimento. In apertura di seduta il correlatore  Giuseppe Valentino (Pdl) aveva chiesto il ritiro di tutti gli emendamenti. “L'imminente conclusione della legislatura e il fatto che finalmente si sia giunti ad un testo apprezzato, condiviso e atteso dall'Avvocatura  - aveva detto Valentino - determina la necessità di approvare il testo senza modifiche. Sarebbe miope  - ha aggiunto - pretendere di fare la riforma di un qualsiasi ordinamento professionale senza o contro i professionisti stessi”.   Nel complesso infatti si tratta di una riforma a suo parere quanto mai apprezzabile, diretta a restituire in pieno all'Avvocatura la sua natura di professione liberale, nella quale gli utenti sono tutelati anche dalla virtuosa concorrenza fra i professionisti, senza dunque volere aspirare a tutele eccessive e che finirebbero per mortificare la libertà e la qualità dell'esercizio della professione; sotto questo profilo appaiono anche infondati, seppur ispirati a valori condivisibili, i timori di chi vorrebbe un sistema maggiormente preoccupato di garantire un più semplice accesso alla professione, nel timore che un maggiore rigore favorisca di fatto i giovani avvantaggiati dal censo; chiunque abbia esperienza di professione forense sa bene che in questo ambito le élites si costruiscono da sé stesse e che molti dei professionisti più eccellenti che operano oggi sul mercato non appartengono a famiglie di avvocati o a famiglie abbienti, condizioni queste che determinano sì un modesto vantaggio di partenza, destinato però a svanire rapidamente se non sorretto da un adeguato valore professionale e umano. Valentino ha quindi invitato tutti i colleghi a ritirare gli emendamenti, sui quali, in caso contrario, il parere sarebbe negativo. Con la richiesta di Valentino, concorda il correlatore Carlo Chiurazzi (Pd). Anche egli condivide il fatto che tra gli emendamenti presentati ve ne siano alcuni che appaiono migliorativi del testo, e in particolare alcuni che consentirebbero di rendere più semplice e più fluido il rapporto tra professionista e cliente. Tuttavia l'obiettivo di approvare la riforma in questa legislatura deve essere considerato assolutamente prevalente. Dopo che il senatore Achille Serra (Udc-Svp-Aut:Uv-Maie-Vn-Mre-Pli-Psi) ha ritirato i suoi emendamenti, anche la senatrice Silvia Della Monica (Pd) conferma la disponibilità del Gruppo del Partito Democratico a ritirarli dopo l'espressione di tutti i pareri, il seguito dell'esame è quindi rinviato. 

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.11.2012)

Esame forense e criteri di valutazione

TAR Puglia sent. n. 1915 del 21.11.2012

E’ illegittima la valutazione negativa attribuita agli elaborati redatti dal candidato se questi risultano rispondenti ai criteri fissati dalla Commissione.
E’ questo il principio con cui il TAR Lecce – Sez. I -, con la sentenza in commento (n. 1915/12), ha accolto il ricorso proposto da un candidato per l’annullamento del provvedimento di esclusione dalle prove orali dell’esame forense.
In particolare, per il TAR salentino è illegittima la valutazione considerato che lo svolgimento del parere di diritto civile (valutato 26/50) denota una buona conoscenza del tema ed una apprezzabile articolazione degli argomenti trattati.
Peraltro, in relazione ai criteri fissati dalla Commissione Centrale, ha proseguito il Collegio, deve reputarsi illegittimo il giudizio negativo assegnato, poiché il candidato palesa una sufficiente padronanza del tema e la buona articolazione degli argomenti (in forma priva di errori grammaticali e con lessico giuridico corretto).
Anche con riferimento all’atto giudiziario in materia penale, il candidato ha rappresentato bene e sinteticamente le proprie tesi, in forma corretta e con adeguato ordine espositivo. Appare infatti sufficiente il possesso delle nozioni giuridiche, unitamente (come richiesto dalla lettera h) degli indirizzi ministeriali citati) alla capacità di compiere una scelta difensiva e alla padronanza delle tecniche di persuasione.
Ne discende che il compito, sebbene sintetico, non può dirsi generico né, soprattutto, “del tutto insufficiente” (avendo peraltro conseguito il voto di sufficienza di tre commissari), e neppure carente quanto alla motivazione, che invece risulta rassegnata dal candidato.

Alfredo Matranga (da diritto.it del 28.11.2012)

Produzione in giudizio di documenti aziendali

Cass. Sez. Lavoro sent. 20163 del 16.11.2012

Massima
Il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui art. 2105 c.c., tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell'azienda; ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite.

mercoledì 28 novembre 2012

IERI L'AGA AL CONSIGLIO COMUNALE

Si è concluso alle 21,30, ieri sera, il consiglio comunale di Giarre nel corso del quale il presidente dell'AGA Pippo Fiumanò (presente pure il segretario Mario Vitale) ha preso la parola, su espresso invito del presidente del consiglio Rafffaele Musumeci, per illustrare la situazione inerente gli uffici giudiziari di Giarre (Tribunale e Giudice di pace) e scongiurarne la soppressione. 
L'iniziativa fa seguito all'inserimento di tale punto di discussione nell'ordine del giorno, proposto dal consigliere collega Gaetano Cavallaro, intervenuto assieme al collega Santo Vitale ed al sindaco Teresa Sodano, che ha confermato come ben otto comuni dell'hinterland stanno provvedendo a raggrupparsi per mantenere, a proprie spese, l'ufficio del Giudice di pace. 
L'Avv. Fiumanò ha ribadito la battaglia che l'AGA sta portando avanti da tempo, anche tramite l'intervento del (e "nel") Consiglio dell'Ordine Avvocati di Catania, ed ha sollecitato l'istituzione locale ad intraprendere ogni legittima azione per salvaguardare il diritto alla Giustizia dei cittadini.

martedì 27 novembre 2012

Scacco matto alle lobby della privatizzazione della giustizia

L'ultima vittoria di Maurizio de Tilla:
inammissibili gli emendamenti sulla mediazione

Sono stati dichiarati inammissibili gli emendamenti presentati al decreto legge sulla crescita che puntavano a reintrodurre la mediazione obbligatoria, sia pure a termine fino al 2017.
È l’ultima vittoria del presidente uscente dell’Oua, Maurizio de Tilla, un cui terzo mandato alla guida dell’organismo politico dell’Avvocatura è stato precluso dalla bocciatura, al congresso di Bari, della mozione per un terzo mandato.
Per l’Oua “è stato sventato l’ultimo colpo di mano delle lobby della privatizzazione della macchina giudiziaria, è stata così tutelata la decisione della Consulta che aveva bocciato l’obbligatorietà della mediazione. Un istituto – aggiungono in via Belli - che ha chiari profili di incostituzionalità non solo per l’eccesso di delega, ma anche ma anche per l'onerosità della stesso, per la mancanza di indipendenza delle camere di conciliazione private, per l’inidoneità di gran parte dei mediatori, per la speculazione che si è scatenata nel settore, per gli ostacoli all'accesso libero del cittadino alla giustizia, per le gravi ripercussioni sul giudizio successivo, anche considerato che nel 90% dei casi la parte non compare o la conciliazione ha insuccesso. Questo meccanismo, obbligatorio e costoso, unico in Europa, è, oltretutto, ancora sub judice della Corte di Giustizia Europea. Una decisione di segno opposto del Parlamento sarebbe stato un vero e proprio abuso. L'Oua – conclude l’organismo unitario dell’Avvocatura - chiede, quindi, che si riparta, invece, dalle decisioni del Congresso Forense di Bari, tenutosi questo fine settimana per trovare soluzioni ragionevoli per implementare davvero una media-conciliazione volontaria e di qualità. Infine un invito rivolto al Ministro Severino affinché si apra urgentemente un confronto con l’avvocatura.
Non pare toccata il Presidente di Avvocati Per la Mediazione nell'apprendere che l'emendamento Ghigo sia stato dichiarato inammissibile. "In effetti, è stata criticata la collocazione di un emendamento in un provvedimento che parlava di tutt'altro, e che per un riordino legislativo sarebbe stato da collocare altrove - esordisce Morello - Ciò non toglie che, mai come in questi giorni, carta stampata, web, radio e tv stanno finalmente parlando di mediazione, tema di importanza strategica per il rilancio del Paese in quanto è un dato ormai risaputo che non è la mediazione ad avere fallito ma lo è la magistratura ordinaria, così come attualmente gestita e strutturata, ad aver fatto scappare gli investitori esteri che non sono disposti ad attendere 10 anni la soluzione di un problema che può bloccare il loro business, e che all'estero risolvono in un paio di mesi (si veda, su tutti, la risoluzione delle controversie in Romania, dove si accede al tribunale con una domanda redatta dal cittadino in carta semplice, pagando una cifra che si aggira tra 0.70 cent e 1 Euro e si ha una sentenza nell'arco di un paio di mesi), ed è sempre la cattiva organizzazione della giustizia ordinaria a gravare sulle casse dello Stato per un punto percentuale di Pil a causa delle condanne che, ogni anni, ci commina la Corte Europea per le lungaggini processuali. Per questi motivi, tra gli altri, la mediazione è uno strumento necessario e necessitato in questo momento di profonda difficoltà economica -conclude Morello- e per questo accolgo l'invito rivoltomi dal Presidente dell'Oua, Maurizio De Tilla, di aprire insieme un tavolo di concertazione con il Ministro Severino per la diffusione della cultura della mediazione".

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 27.11.2012)

STASERA CONSIGLIO SU SOPPRESSIONE UFFICI GIUDIZIARI

Il presidente dell'AGA Avv. Fiumanò ed il segretario Avv. Vitale parteciperanno stasera, alle ore 20, alla seduta del consiglio comunale di Giarre che avrà all'ordine del giorno la trattazione delle iniziative per scongiurare la soppressione degli Uffici Giudiziari di Giarre, da tempo principale obiettivo della nostra Associazione.

Andrea come nome femminile? La Cassazione dice sì

Cass. Civ., sez. I, sent. 20.11.2012 n° 20385

Il nome "Andrea" può essere utilizzato anche per le donne. E' quanto ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 novembre 2012, n. 20385.
Nella sentenza si precisa, innanzitutto, come iI diritto al nome costituisca "una componente essenziale dei diritti fondamentali della persona umana", in quanto rappresenta un elemento costitutivo dell'identità dell'individuo, consentendo un'identificazione immediata e riconoscibile del soggetto che lo porta, e, di conseguenza, "da ritenersi un attributo necessario ed ineludibile per lo sviluppo soggettivo e relazionale della personalità" (art. 2 Cost., art. 8 CEDU, art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
Il diritto alla scelta del nome, diversamente dagli altri diritti fondamentali, caratterizzati dal minimo comune denominatore dell'autodeterminazione, non viene esercitato dal soggetto cui il nome è imposto al momento della nascita o nella sua immediatezza, ma dal genitore o dai genitori che lo riconoscono, ponendosi il problema di un adeguato bilanciamento del diritto dei genitori alla scelta del nome secondo preferenze, modelli o tradizioni costituenti il bagaglio culturale familiare di riferimento, ed il rispetto della dignità personale che costituisce il criterio conformativo immanente ad ogni diritto fondamentale dell'individuo.
Il D.P.R. n. 396 del 2000 consente l'intervento correttivo del nome da parte dell'autorità statuale solo se esclusivamente preordinato alla tutela effettiva della dignità personale, in quanto direttamente e continuativamente condizionata dall'elemento dell'identità personale costituito dal nome.
L'art. 34 del D.P.R. del 2000, vieta l'imposizione di nomi ridicoli o vergognosi (del tutto coerentemente con il limite della Corte EDU dei nomi "inusitati"), mentre l'art. 35 introduce un ulteriore limite all'esercizio della scelta, costituito dalla corrispondenza del nome al sesso, al fine di escludere che un profilo d'indubbio rilievo della propria identità come il genere possa essere posto in dubbio o ingenerare ambiguità incidenti sul rispetto della dignità personale.
Secondo gli ermellini, la natura sessualmente neutra del nome Andrea, nella maggior parte dei paesi europei, nonchè in molti paesi extraeuropei, per limitarsi ad un ambiente culturale non privo d'influenze nel nostro paese, unita al riconoscimento del diritto d'imporre un nome di provenienza straniera al proprio figlio minore nei limiti del rispetto della dignità personale, così come definita nel D.P.R. n. 396 del 2000, non può che condurre ad una soluzione positiva della problematica, diretta ad ammettere, come già sostenuto dalla giurisprudenza di merito (per tutte si veda Corte d'Appello Brescia, sez. I civile, decreto 16 marzo 2012, n, 25), la possibilità che il nome Andrea possa essere attribuito ad una persona di sesso femminile.
Il nome Andrea, concludono i giudici di legittimità, "anche per la sua peculiarità lessicale, non può definirsi nè ridicolo nè vergognoso se attribuito ad una persona di sesso femminile, nè potenzialmente produttivo di un'ambiguità nel riconoscimento del genere della persona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile, in un contesto culturale ormai non più rigidamente nazionalistico, esclusivamente al genere maschile".

(Da Altalex del 27.11.2012. Nota di Simone Marani)

Parametri, bozza di accordo OUA-Ministero

Aggiunta per le professioni delle spese forfettarie liquidate nella misura compresa tra il 10% e il 20% del corrispettivo ed eliminazione della valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale dell’assenza di prova della mancata consegna del preventivo di massima.
Sono alcuni degli interventi di modifica al D.M. n. 140/2012 contenuti nella bozza di revisione che è stata al centro dell'incontro del 20 novembre 2012 tra il Ministro della Giustizia Paola Severino e l'Organismo Unitario dell'Avvocatura.
Nel corso della discussione è stato affrontato anche il tema della riforma dell'accesso alla professione forense.

(Da Altalex del 27.11.2012)

Finestra vista scala? No, rispettare distanze legali

Porte, ballatoi, e scale di ingresso alle abitazioni possono configurare vedute quando, «per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risultino obiettivamente destinate, in via normale, anche all’esercizio della prospectio ed inspectio su o verso il fondo del vicino». Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18904/2012.
Il caso. Il proprietario di un appartamento citava in giudizio la propria vicina, chiedendo anche i danni, perché aveva illegittimamente realizzato una scala a chiocciola di collegamento col sovrastante lastrico, violando le distanze ed aggravando la preesistente veduta. I giudici di merito, tuttavia, in entrambi i gradi del giudizio, rigettavano la domanda attorea, sostenendo l’inidoneità della scala a chiocciola a consentire una comoda inspectio e prospectio, escludendo altresì la violazione delle distanze. L’uomo si rivolge così alla Corte di Cassazione che ribalta completamente il verdetto.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte conferma il consolidato orientamento di legittimità: la scala di un edificio, pur avendo una sua peculiare funzionalità, «configura una veduta, e soggiace quindi alla relativa disciplina, quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risulti obiettivamente destinata, in via normale, anche all’esercizio della prospectio ed inspectio su o verso il fondo del vicino».

(Da avvocati.it del 26.11.2012)

lunedì 26 novembre 2012

SABATO CORSO SUL PROCESSO DISCIPLINARE

Sabato 1 dicembre, dalle ore 9 alle 12, nell'androne del palazzo di giustizia di Giarre, corso Europa, avrà luogo l'ultimo evento formativo organizzato dall'AGA per il 2012, sul tema: "Il processo disciplinare".
Illustre e gradito relatore sarà il segretario dell'Ordine Avvocati di Catania avv. Diego Geraci.
La partecipazione dà diritto a n. 3 crediti formativi in materia di deontologia.

Prova infedeltà coniugale anche con testimonianza indiretta

Cass. Civ., sez. I, sent. 6.11.2012 n° 19114

La prova per l’accertamento della violazione dei doveri matrimoniali, ai fini della dichiarazione di addebito, risulta spesso indiziaria e indiretta perché i fatti oggetto di causa, sono avvenuti tra le mura domestiche o nella dimensione privata dei soggetti coinvolti. Quando si tratta di provare l’infedeltà coniugale entrano in gioco una serie di elementi probatori che singolarmente non avrebbero alcun valore, ma unitariamente considerati possono condurre il giudice a considerare il fatto come provato.
La vicenda di cui si è occupata la sentenza della Cassazione 6 novembre 2012, n. 19114 riguarda una donna che aveva chiesto e ottenuto la separazione con addebito al marito, sulla base della deposizione di alcuni testimoni, estranei e privi di interesse all’esito della causa, che avevano confermato di sapere che l’uomo aveva avuto una relazione extraconiugale omosessuale. Si tratta delle così dette testimonianze de relato, o indirette, poiché il fatto non è sottoposta alla diretta percezione fisica del teste.
Anche in precedenza la Cassazione aveva trattato questioni analoghe ritenendo che soprattutto in materia di separazione personale, l'accertamento delle condotte rilevanti ai fini dell'addebito, può anche avvenire esclusivamente tramite testimonianze indirette, poichè spesso i fatti oggetto di prova attengono per lo più a comportamenti intimi e riservati delle parti non suscettibili di percezione diretta da parte dei testimoni (Cass. Civ. 19 marzo 2009, n. 6697).
Si tratta, è vero, di prove indiziarie, ma la giurisprudenza di legittimità ha precisato che possono divenire valido elemento di prova quando siano suffragate da altre circostanze oggettive e soggettive o da altre risultanze probatorie acquisite al processo che concorrano a rafforzarne la credibilità (Cass. Civ. 19 maggio 2006, n. 11844 e Cass. Civ. 8 febbraio 2006, n. 28159). Il giudice potrà basare la propria decisione anche su presunzioni purchè siano gravi, precise e concordanti.
Ciò comporta che, nel giudizio di separazione e divorzio, possono essere sentiti come testi familiari e parenti delle parti la cui attendibilità andrà successivamente valutata sia con riguardo alla deposizione, sia con riguardo agli episodi riferiti. Inoltre il giudice di merito non è obbligato ad accettare integralmente la deposizione di un teste, ben potendo scinderla e accettarla soltanto per quella parte che meglio si armonizza con le altre risultanze di causa.

(Da Altalex del 23.11.2012. Nota di Giuseppina Vassallo)

domenica 25 novembre 2012

Congresso, un forte «sì» a mozione per riforma

Il Congresso Nazionale Forense che oggi (ieri, NdAGANews) a Bari ha chiuso i lavori – durati tre giorni – chiede che la riforma dell’avvocatura sia approvata prima dello scioglimento del Parlamento. Gli oltre mille delegati si sono espressi in favore del progetto di riforma, oggetto delle contestazioni di questi giorni, ma chiedono importanti modifiche nella prossima legislatura. E’ questo, in sintesi, il contenuto di due mozioni approvate a larga maggioranza dal congresso e che riguardano la riforma forense che è ora all’esame del Senato.
“L'Avvocatura oggi – ha detto il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa – ha posto il primo mattone ri-fondante per il recupero della sua dignità e della sua centralità nell’amministrazione della giustizia al servizio dei cittadini, in condizioni di autonomia e indipendenza”.
“Ora guardiamo fiduciosi al Senato – ha aggiunto Alpa – dove la riforma è in commissione giustizia, augurandoci che si possa concludere quanto prima l’iter parlamentare che ha impegnato il Parlamento per quattro anni. Ci conforta che oggi il presidente del Senato Renato Schifani ha manifestato favore verso questo risultato”.
In questa ultima giornata di lavori del Congresso, sono state discusse una quarantina di mozioni sui temi della liberalizzazione della professione, sul funzionamento dell’ordinamento giuridico, sulla tutela dell’autonomia della cassa forense, sul radicale mutamento dell’accesso alla professione e più in generale sulla riforma forense in esame in Parlamento e altre che stigmatizzano la situazione carceraria italiana, che respingono la rottamazione del processo civile (no all’appello cassatorio e all’aumento del contributo unificato), che rifiutano senza mezzi termini l’obbligatorietà della mediaconciliazione e il taglio di circa mille sedi giudiziarie (queste ultime per acclamazione).

(Da lagazzettadelmezzogiorno.it del 24.11.2012)

Lastrico solare e infiltrazioni: chi paga?

Chi risarcisce i danni per le infiltrazioni verificatesi in seguito al rifacimento del lastrico solare?

Il caso
Nel caso in cui la proprietaria di un appartamento procede al rifacimento del lastrico solare prima dei 30 giorni dalla delibera e se dopo tale rifacimento si verificano le infiltrazioni, chi deve risarcire la proprietaria dell’immobile sottostante? L'impresa che ha rimosso la catramatura esistente per sostituirla con una sottomarca del mapelastic, facendola pagare per originale oppure la proprietaria?

La soluzione
Il danno dev’essere risarcito dalla ditta che ha installato la guaina non a regola d’arte. Nei rapporti fra condomini, invece, il  risarcimento è per un terzo a carico del proprietario esclusivo del lastrico e per i restanti due terzi a carico dei proprietari delle unità immobiliari cui il lastrico serve da copertura, da ripartire in proporzione ai millesimi di proprietà. Il risarcimento che la lettrice ha il diritto di esigere dal proprietario della sovrastante unità immobiliare va ridotto della quota ad essa facente carico, in quanto, ad un tempo, danneggiata e danneggiante. Se il proprietario del lastrico disattente l’invito a verificare i danni, la lettrice può chiedere al giudice un accertamento tecnico preventivo attraverso un avvocato.

(Da avvocati.it del 20.11.2012)

sabato 24 novembre 2012

Contro l'impoverimento dell'Avvocatura

Dal XXXI Congresso nazionale forense, Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, sottolinea priorità che emerse dal dibattito dell’assise in corso a Bari e che confluiranno nelle mozioni che sono in presentazione e che verranno votate oggi, insieme al rinnovo dell’assemblea dell’Oua: «Tagli insensati (e chiusura di 1000 uffici giudiziari), diritti, buon funzionamento della macchina giudiziaria, la terribile ed eccessiva lughezza dei processi, nonché la vera e propria emergenza sociale che colpisce il ceto medio professionale, sempre più impoverito (oltre il 22% sotto i 10mila euro). Questi i temi del XXXI Congresso Forense e in questo contesto si inserisce anche il dibattito sulla riforma forense, in via di approvazione in Parlamento, un nodo che, però, non può essere distinto dalla riflessione approfondita sul ruolo dell’avvocatura nel sistema giustizia e nella difesa dei diritti dei cittadini e della Costituzione. Le spinte liberalizzatrici di questi anni ­­- come l’abolizione delle tariffe, l’introduzione dei soci di capitale nelle società professionali, la delegificazione dell'ordinamento forense - in omaggio ad una malintesa concezione mercatista della professione forense, i tagli draconiani agli uffici giudiziari, oltre 1000 uffici giudiziari, l’insistenza sulla rottamazione del processo civile con il filtro in appello, e la mediaconciliazione obbligatoria come panacea di tutti i mali, nonché il vergognoso aumento del contributo unificato, sono tutti provvedimenti che da una parte tendono a una dissimulata “privatizzazione” della giustizia, dall’altro che impediscono ai cittadini l’esercizio dei propri diritti».
«Nulla di concreto – continua - si è fatto sulla lunghezza dei processi, sull’efficienza della giustizia che è uno dei fardelli più gravosi per la competitività delle nostre imprese e per l’attrazione di investimenti. Eppure l’avvocatura in questi anni ha presentato numerose proposte, riforme concrete che potrebbero rivitalizzare la macchina della giustizia attraverso una riorganizzazione basata sull’efficienza e la modernità (manager, aziendalizzazione, tribunali tecnologici, estensione prassi positive), sull’autogestione delle risorse del settore, sul processo telematico, sulla riforma dell’appello e della magistratura onoraria, su una seria revisione della geografia giudiziaria (ma non intesa come semplicistica e brutale politica di tagli), sull’implementazione della mediazione facoltativa e di qualità, sullo smaltimento straordinario dell’arretrato».
«I partiti, in perenne crisi di identità e sotto l’assedio di movimenti populisti e antipolitici, - ribadisce il presidente Oua - continuano a non voler cogliere la sfida, seguendo piuttosto la strada di semplificazioni e slogan, un percorso che si rispecchia nell’attività del Parlamento e del Governo inadatto a dare risposte alle domande dei cittadini, alle trasformazioni della professione e alle ansie di un’avvocatura sottoposta a un grave processo di depauperamento reddituale e di risorse professionali. Sono sempre di più infatti gli avvocati che non possono iscriversi alla cassa forense (il 23%, quasi un avvocato su 4) perchè detentori di un reddito insufficiente, così come continua ad essere mortificante la frattura tra l’avvocatura più facoltosa ed influente ed un’altra, purtroppo maggioritaria, che sopravvive professionalmente con enormi difficoltà permanendo in una situazione di grave marginalità. Un’avvocatura composta soprattutto da giovani e da donne, quest’ultime in numero talmente ampio (solo il 7% nel 1981, oggi il 42%) da richiedere mutamenti sostanziali del welfare, altro argomento finora obliato».
«Numeri e trasformazioni – conclude de Tilla - che impongono una programmazione seria dell’ingresso alla professione nell’ottica della riqualificazione della categoria e dell’affermazione di diritti per i più giovani e le fasce più deboli. In questa logica l’accesso alla professione regolamentato e programmato e la riforma forense sono l’anello finale, ma non meno importante, di una proposta complessiva sulla giustizia che riaffermi la funzione sociale dell’avvocatura, rimetta al centro il cittadino ed i suoi diritti, le pari opportunità per i giovani e la solidarietà categoriale, la stessa competitività del nostro Paese. Se si continua con l’inerzia, la situazione rischia di essere esplosiva».

Comunicato Stampa OUA del 23.11.2012)

venerdì 23 novembre 2012

E Bruno Vespa non mediaconciliò…


Citato davanti all'organismo di Mediazione Forense
di Roma, il giornalista non si è presentato

Il 16 novembre presso i locali dell’ Organismo di Mediazione Forense di Roma si è tenuto l’incontro previsto per l’istanza promossa dall’avv. Claudio Macioci del Foro di Roma nei confronti della RAI e del noto conduttore Bruno Vespa.
La richiesta di mediazione (ancora obbligatoria per l’eventuale prosecuzione giudiziaria) traeva origine dalla diffamazione operata dal conduttore televisivo durante la puntata del popolare show televisivo “Porta a Porta” del 24 ottobre u.s. durante la quale egli aveva affermato che la “mediazione obbligatoria” era un istituto da salvaguardare e che gli Avvocati – sostanziali responsabili del recente provvedimento che ne cancella l’obbligatorietà - costituiscono una Lobby intenta a perseguire i personali vantaggi e che costoro hanno interesse nella lungaggine dei processi, perché fonte di guadagno, a danno dei propri assistiti.
Il concetto veniva sostanzialmente confermato e, per certi versi, persino rafforzato, in due interventi (uno sul sito facebook di “Porta a Porta” ed un altro in coda alla puntata del 12 novembre u.s. dello stesso programma televisivo).
All’incontro odierno non ha partecipato la RAI, che ha fatto pervenire un fax a firma del responsabile degli Affari Legali, avv. S. Lo Giudice, col quale si dichiaravano i motivi per i quali non si accettava il contraddittorio, ritenendo infondata la domanda; ma non ha partecipato nemmeno il dott. Bruno Vespa, senza peraltro rilasciare nessuna comunicazione. La mediazione dunque ha avuto esito negativo per l’assenza dei chiamati.
Desta stupore e rammarico che il conduttore televisivo, paladino e strenuo difensore della Mediazione Obbligatoria, come Istituto giuridico capace “di dirimere le controversie con notevole risparmio di tempo e di soldi”, non abbia ritenuto di contrastare la domanda nella sede a lui più congeniale e rispondere o rendere conto delle frasi offensive e denigratorie pubblicamente pronunciate nei confronti degli Avvocati italiani e della Classe Forense.

Carlo Selmi (da Mondoprofessionisti del 23.11.2012)

Redditest ed accertamento sintetico

Con comunicato stampa del 20 novembre 2012 l'Agenzia delle Entrate da il via al ReddiTest per misurare la coerenza tra reddito familiare e spese. Tutti i contribuenti possono verificare la compatibilità tra reddito familiare e spese sostenute grazie al ReddiTest, il software disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate - www.agenziaentrate.it - da scaricare direttamente sul proprio pc, senza lasciare alcuna traccia sul web, presentato nel corso di una conferenza stampa all’Agenzia delle Entrate.
Durante l’incontro, inoltre, è stato illustrato il nuovo accertamento sintetico (c.d. nuovo redditometro), che sarà utilizzato dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate per i controlli relativi al periodo d’imposta 2009 e successivi.
Il ReddiTest - E’ uno strumento di compliance che serve a orientare il contribuente sulla coerenza tra il reddito del proprio nucleo familiare e le spese sostenute nell’anno.
Per dare inizio al test occorre indicare la composizione della famiglia e il comune di residenza. Vanno poi inserite le spese più significative sostenute dal nucleo familiare durante l’anno. Le voci di spesa sono state aggregate in 7 macro-categorie: abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, spese varie, investimenti immobiliari e mobiliari netti. Terminata la compilazione, appare un messaggio di coerenza (“semaforo” verde) o di incoerenza (“semaforo” rosso).
Sul canale YouTube dell’Agenzia, “Entrate in video” - www.youtube.com/entrateinvideo - sono disponibili un filmato che illustra passo dopo passo il funzionamento del ReddiTest e un cartoon che risponde ai dubbi dei contribuenti sul nuovo software.
Il nuovo accertamento sintetico - Il nuovo strumento previsto dal Dl n. 78/2010 si applica a partire dall’anno di imposta 2009 e tiene conto inoltre di 100 voci di spesa. Si tratta di un metodo di ricostruzione del reddito che, a differenza del passato, non si basa su presunzioni originate dall’applicazione di coefficienti, bensì su dati certi (spese sostenute) e situazioni di fatto (spese medie di tipo corrente, risultanti dall’analisi annuale dell’Istat).
Alla molteplicità delle informazioni utilizzate si aggiunge la garanzia del doppio contraddittorio obbligatorio. L’Agenzia è, infatti, tenuta a dialogare con il contribuente:
- in fase preventiva, chiedendogli di fornire chiarimenti e di integrare, con i dati in suo possesso, le informazioni a disposizione dell’Amministrazione;
-  in una eventuale seconda fase, per definire la ricostruzione del reddito in adesione.
In questo modo il contribuente può sempre fornire la prova contraria prima della quantificazione della pretesa.

(Da fiscoetasse.com del 20.11.2012)

Via libera alla revisione dei parametri degli avvocati

Si è tenuto martedì l'incontro tra l'Oua e le associazioni forensi e il ministero della giustizia sulla revisione dei parametri dei compensi per gli avvocati. Il guardasigilli ha recepito le istanze della categoria all'interno di un progetto di restyling dei valori. Queste le linee direttrici: aumentare i valori per il procedimento monitorio e per l'atto di precetto; introdurre una voce di compenso denominata spese generali; eliminare la previsione secondo cui l'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso. Il progetto prevede poi: un meccanismo di parametrazione più preciso per lo scaglione di valore superiore a 1,5 milioni di euro; eliminare la previsione della «fase esecutiva» e inserire una voce autonoma per il processo esecutivo; tagliare la riduzione del compenso sino alla metà prevista dagli artt. 9, 10 e 12, comma 5; eliminare il comma 5 dell'art. 4 che sancisce un aumento del compenso in caso di raggiunta conciliazione; integrare l'art. 4, comma 1 e la tabella A con la fase della mediazione e inserire nella tabella B la fase dell'investigazione difensiva. Ma anche di integrare all'art. 4, comma 7 «nella liquidazione delle spese di soccombenza il giudice deve tenere in considerazione il contratto stipulato tra la parte vittoriosa e il suo difensore e, mediante provvedimento motivato, può discostarsi dal compenso in esso pattuito solo nel caso in cui lo stesso sia sproporzionato rispetto ai parametri del presente decreto». Invece, rimane irrisolta la modifica della retroattività della norma. La richiesta della categoria era quella di un cambiamento dell'art. 41 prevedendo che i parametri si applicassero esclusivamente all'attività svolta successivamente al 22 agosto 2012.

(Da Mondoprofessionisti del 22.11.2012)

Bisogna dare voce a chi non ha voce


De Tilla infiamma la platea del Petruzzelli

Una maggiore unità della categoria, ma anche più democrazia e partecipazione, dando spazio ai giovani e alla base. È questo il messaggio di Maurizio de Tilla, presidente dell’Oua , la rappresentanza politica forense, nel corso del suo intervento nella relazione di apertura del XXXI Congresso Nazionale Forense a Bari. De Tilla ha poi rivendicato con veemenza l’autonomia del Congresso e la sua sovranità nel definire le direttrici politiche dei prossimi anni. Un’avvocatura sana, moderna e capace di interloquire con i Partiti, senza inciuci e cedimenti, per rilanciare la professione forense e la difesa della giustizia pubblica e universale, per la tutela della Costituzione e dei diritti dei cittadini: «La giustizia è in grave crisi e la politica in stato confusionale. Ma anche l’avvocatura – continua - deve ritrovare la sua forza e identità nei valori della democrazia e della partecipazione. Dobbiamo sanare un frattura sempre più ampia tra l’avvocatura d’élite e quella che vive in condizioni di grave difficoltà economica e che è marginalizzata dalle grandi decisioni che coinvolgono il destino della categoria, sempre più povera e mortificata. Soprattutto i più giovani e le donne. Si dia voce a chi non ce l’ha. In questo contesto – aggiunge - con una contrazione dei redditi e un endemico ritardo dei pagamenti da parte degli enti pubblici, ma anche dei privati, nonché del gratuito patrocinio e della difesa d’ufficio: di 230 mila legali, sono iscritti alla Cassa solo 168mila e di questi oltre il 22% guadagna meno di 10mila euro, è mancata una seria politica di sostegno dei Governi. Si è allo stremo. Non si va più avanti. Infine una nota di speranza – conclude de Tilla - la ritrovata volontà di dialogo del ministro Severino che ha dato diversi segnali incoraggianti: la proposta sul numero programmato all’accesso all’università, dell’ipotesi prospettate, la seconda è quella più convincente, la revisione dei parametri dei compensi. È positivo che il Parlamento abbia accantonato l’emendamento dei Poteri forti che voleva reintrodurre l’obbligatorietà nella mediazione, una dissimulata privatizzazione della giustizia».

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 22.11.2012)

giovedì 22 novembre 2012

Condominio, la riforma è legge

Ieri (martedì, NdAGANews) la Commissione Giustizia del Senato ha approvato in sede legislativa il progetto di legge così com'era stato modificato alla Camera. In particolare, il testo prevede che non si possa più vietare nei condomini la presenza di animali e detta anche nuove regole per la figura dell'amministratore.
Queste, in sintesi, le principali novità.
Amministratori di condominio: l'amministratore resterà in carica due anni; dovrà avere requisiti di formazione e onorabilità, non dovrà essere stato condannato per delitti contro la P.A.. Inoltre, dovrà avere almeno il diploma di maturità, aver frequentato un apposito corso e, ove ciò sia richiesto dall'assemblea, stipulare una speciale polizza assicurativa a tutela dai rischi derivanti dal proprio operato. L'amministratore potrà essere licenziato prima della fine del mandato qualora abbia commesso gravi irregolarità fiscali o non abbia aperto o utilizzato il c/c condominiale. Dovrà indicare quanto chiede come compenso al momento della nomina. In caso di condomino 'moroso', l'amministratore potrà procedere con l'ingiunzione senza chiedere una preventiva autorizzazione dell'assemblea e potrà comunicare ai creditori i dati di chi non paga. Questi così potranno agire in prima battuta sui 'morosi'. Se la mora dura più di 6 mesi dovrà sospendere il condomino debitore dalla fruizione dei servizi comuni.
Riscaldamento: Chi si vuole 'staccare' dall'impianto centralizzato potrà farlo senza dover attendere il benestare dell'assemblea, ma a patto di non creare pregiudizi agli altri e di continuare a pagare la manutenzione straordinaria dell'impianto condominiale.
Quorum: cala il quorum, che dovrà essere pari alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà dei millesimi, per deliberare, ad esempio, l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio. Uguale il quorum per deliberare l'installazione di impianti per la produzione di energia eolica, solare o comunque rinnovabile, anche da parte di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune. Stessa maggioranza anche per deliberare l'attivazione, a cura dell'amministratore e a spese dei condomini, di un sito internet del condominio, ad accesso individuale protetto da una password, per consultare e stampare in formato digitale i rendiconti mensili e gli altri documenti dell'assemblea. Basteranno i quattro quinti dei consensi, infine, per il cambio di destinazione d'uso dei locali comuni. Potranno impugnare le delibere assembleari, per annullarle, anche i condomini che si sono astenuti. Prevista la mediazione obbligatoria in caso di controversie.
Animali: non si potrà più vietare a nessuno di tenere animali in casa, purchè questi siano 'domestici'.
Condomini molesti: per chi viola il regolamento condominiale la sanzione è stata aggiornata: da 0,052 euro  a 200 euro. In caso di recidiva si arriva a 800 euro.

(Da avvocati.it del 21.11.2012)

Dorme nudo in auto: atti osceni?

Nota a Cass. pen., sez. III, 22.05.2012, dep. 13.6.2012, n. 23234

di Antonio Di Tullio D'Elisiis (da diritto.it del 22.11.2012)

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ritenuto, qualora una persona sia rinvenuta nuda mentre dorme all’interno di un automobile:
1.non configurabile il reato di atti osceni posto che una condotta di tal tipo di per sé non ha una inequivoca attinenza alla sfera sessuale;
2.qualificabile questo fatto invece come reato di atti contrari alla pubblica decenza, siccome tale comportamento è “idoneo piuttosto ad offendere il sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza”.
Nel caso di specie, gli Ermellini si sono avvalsi di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale "il criterio di distinzione tra il reato di atti osceni e quello di atti contrari alla pubblica decenza va individuato nel contenuto più specifico del delitto di atti osceni che si richiama alla verecondia sessuale, rispetto al contenuto del reato di cui all'art. 726 c.p. che invece sanziona la violazione dell'obbligo di astenersi da quei comportamenti che possano offendere il sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza (…)”[1] dal momento che "ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 527 e 726 c.p. le nozioni di osceno e di pudore non sono riferite ad un concetto considerato in sè, ma al contesto ed alle modalità in cui gli atti o gli oggetti sono compiuti o esposti"[2].
Infatti, "il criterio discretivo va individuato nel contenuto più specifico del delitto di atti osceni, che si richiama alla verecondia sessuale, rispetto a quel complesso di regole etico-sociali, che impongono a ciascuno di astenersi da tutto quanto possa offendere il sentimento collettivo della più elementare costumatezza. Ne consegue che il nudo integrale - considerando il sentimento medio della comunità ed i valori della coscienza sociale e le reazioni dell'uomo medio normale - assume differenti valenze..."[3].
Inoltre, i Giudici di legittimità, per pervenire a siffatta conclusione, hanno richiamato altri casi trattati in sede di legittimità e segnatamente:
1.la sentenza con cui si è ritenuto integrante “il delitto di atti osceni in luogo pubblico, e non la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza, la condotta consistente nello sbottonarsi i pantaloni ed esporre in pubblico i genitali, toccandoli, in quanto l'intenzionalità di tali gesti ha inequivoca attinenza con la sfera sessuale piuttosto che con il comune senso di decenza"[4];
2.la pronuncia con la quale è stato rilevato che “l'esibizione dell'organo genitale maschile con palpeggiamento simulatorio di una masturbazione, in quanto tale condotta lede palesemente il comune sentimento del pudore attinente alla verecondia sessuale"[5].
Viceversa, i Giudici di “Piazza Cavour”, sempre in questa occasione, hanno ravvisato la diversa ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 726 c.p., sulla scorta dei seguenti orientamenti nomofilattici ovvero:
1.quello secondo cui si "configura l'ipotesi prevista e punita dall'art. 726 c.p.... la completa denudazione del corpo, poichè ha l'attitudine a destare disagio e repulsione o curiosità erotica, nell'osservatore dotato di comune sensibilità"[6];
2.quello secondo il quale “"poichè la pubblica decenza va commisurata secondo un criterio storico-sociologico al sentimento comune dell'uomo medio e non alla particolare sensibilità di un singolo, la nudità integrale in luoghi pubblici o aperti al pubblico, al di fuori della particolare situazione dei campi di nudisti, integra comunque gli estremi del reato di cui all'art. 726 c.p., non rilevando che il denunciante abbia dichiarato di non aver provato disgusto"[7].
Di talchè la Corte, partendo dal presupposto secondo cui nella specie, era “pacifico che l'imputato, pur essendo nudo, si trovava assolutamente immobile all'interno della vettura mentre dormiva profondamente”, è pervenuta alla
conclusione secondo la quale egli aveva tenuto “un atteggiamento idoneo piuttosto ad offendere il sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza”.
Quindi, la Cassazione, in conformità rispetto a quanto motivato, ha provveduto, come anzi detto, a riqualificare il fatto “contestato ed accertato dai giudici del merito” “non come delitto di atti osceni di cui all'art. 527 c.p., bensì come contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza ai sensi dell'art. 726 c.p.”.
Ebbene, tale percorso ermeneutico è sicuramente consono ad un consolidato orientamento nomofilattico che sin dal 1978, considera, tra gli “atti contrari alla pubblica decenza” intesi come “quelli contrastanti con le più elementari regole di garbo e di costumatezza”, “l'integrale nudità”[8].
Inoltre, nella fattispecie in esame, è sussistente anche l’elemento soggettivo previsto per l’art. 726 c.p..
Infatti, v’è da segnalare a tal riguardo un orientamento ermeneutico il quale sostiene che, per quanto riguarda fatti eguali a quello in oggetto, non è ravvisabile il reato di atti osceni (e quindi, a maggior ragione, anche per quello previsto dall’art. 726 c.p.) solo “nel caso in cui siano mancate cautele ed opportuni accorgimenti per evitare di essere visti (Sez. 3 6309/92, 4954/00, 12419/08 cit.)”[9].
Ebbene, tale approdo ermeneutico non sembra essere riferibile al caso in questione dato che, nel caso di specie, l’autovettura era “parcheggiata in una pubblica strada” e un passante aveva notato all’interno di essa, senza particolari difficoltà visive, “un uomo senza vestiti e una donna con qualche vestito”.
Del resto, a conferma della sussistenza di tale elemento costitutivo, v’è altra giurisprudenza la quale afferma che l’ interno di un'automobile costituisce un “luogo esposto al pubblico” posto che, la parte interna di un’autovettura, “quantunque non sia accessibile al pubblico, è innegabilmente visibile dalle persone che si trovano a passare, per l'agevole, ma non contestabile, rilievo che l'auto si trova (eventualmente anche in movimento) su una pubblica strada e con dei vetri trasparenti[10].
In effetti, "tale visibilità può essere esclusa solo in relazione a particolari aspetti del fatto storico, nel caso in esame non ravvisabili (quali, ad esempio, la "copertura" dell'atto con determinati accorgimenti o, anche, al limite, una velocità sostenutissima dell'auto, ecc.)”[11].
Inoltre, proprio perché si trattava di reato contravvenzionale, l’unico dubbio residuo sarebbe stato quello di capire se, in quella situazione, all’imputato potesse essere imputata la colpa di quanto avvenuto.
Difatti, “non è necessario che il soggetto agisca con l’intento di attentare o di porsi in contrasto con la pubblica decenza, ma è sufficiente la semplice distrazione o negligenza”[12].
Per giunta, anche sul versante nomofilattico e precisamente, sulla falsariga dell’interpretazione ermeneutica dell’art. 527, co. II, c.p., è evidente, argomentando a fortiori, che, per il delitto previsto dall’art. 726 c.p., l’ipotesi colposa è ravvisabile “qualora l'agente per negligenza o imprudenza abbia tenuto la sua condotta in un luogo che possa assumere in concreto il carattere di visibilità”[13] dato che, come è noto, anche per quest’ultima norma, è previsto che la condotta deve essere commessa “in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico”.
Orbene, dalla lettura della sentenza in esame, è evidente la sussistenza di tale elemento psicologico considerato che l’imputato è stato trovato nell’autovettura insieme con “una ragazza con addosso solo qualche abito”.
E’ evidente dunque che questo individuo ben avrebbe potuto coprirsi prima di addormentarsi, essendo evidente che un comportamento di tal tipo avrebbe potuto essere osservato e segnalato alle autorità di pubblica sicurezza da chiunque fosse transitato in loco (come infatti è avvenuto).
Sicchè ne consegue come la soluzione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione in questo decisum, sia ineccepibile in quanto frutto di una lettura della norma prevista dall’art. 726 c.p. conforme all’orientamento nomofilattico prevalente.
Da ultimo, in punto de iure condendo, sarebbe auspicabile tuttavia che questa fattispecie contravvenzionale venisse depenalizzata.
Infatti, a sostegno di questo assunto, militano:
1.il principio della sussidiarietà che connota il diritto penale come “extrema ratio”[14] e quello di “proporzionalità” il quale a sua volta, “ammette il ricorso a misure restrittive dei diritti dei singoli solo nei casi di stretta necessità, vale a dire quando queste risultino indispensabili per la salvaguardia del bene comune”[15];
2.ragioni di uniformità normativa posto che non ha senso che la più grave fattispecie di atti osceni nella forma colposa sia stata depenalizzata mentre, per quella mena grave di cui si discute[16], essa sia ancora qualificata alla stregua di un illecito penale (seppur contravvenzionale).

[1] Cass. Pen., sez. 3, 13.5.2004, n. 26388.
[2] Cass. pen., sez. 3, 3.7.1997, n. 8959.
[3] Ibidem.
[4] Cass. pen., sez. 3, 25.3.2010, n. 15676.
[5] Cass. pen., sez. 3, 5.11.2008, n. 46356.
[6] Cass. pen., sez. 3, 22.9.1982, n. 10824.
[7] Cass. pen., sez. 3, 27.6.2006, n. 31407.
[8] Cass. pen., sez. VI, 4/07/78.
[9] Cass. pen., sez. III, 14/07/11, n. 30242.
[10] Cass. pen., sez. III, 12/03/97, n. 3855.
[11] Ibidem.
[12] Manzini V., “Trattato di diritto penale”, a cura di Nuvolone e Pisapia, X, Torino, 1986, 1086.
[13] Cass. pen., sez. III, 23/04/96, n. 1901.
[14] Fiandaca – Musco, “Diritto penale – Parte generale”, Bologna, Zanichelli editore, 2004, pag. 28.
[15] Ibidem, pag. 29.
[16] Ossia: il reato di atti contrari alla pubblica decenza.

mercoledì 21 novembre 2012

Mr. Smith va a … Bari

Da domani Bari ospiterà il XXXI Congresso forense. L’appuntamento cade in un momento di particolari disagio e difficoltà per l’avvocatura. Le ragioni sono numerose e molto diverse tra loro. Proviamo ad elencarne alcune: la coincidenza con una gravissima crisi economica internazionale della quale non si riesce a vedere la fine, una produzione legislativa sempre più irrazionale ed erratica, riforme e provvedimenti demagogici, che hanno frustrato e mortificato la funzione difensiva, una giurisprudenza sin troppo mutevole e “creativa”, che disorienta anziché offrire un riferimento affidabile, la sempre più diffusa convinzione che non sia possibile mutare questo stato di cose e arrestare l’allarmante, progressivo declino della giustizia e della professione. Tutto ciò ha finito per determinare nell’avvocatura stati d’animo fortemente contrastanti anche con riferimento alla sua più autorevole espressione. Accanto ai buoni propositi, alle ottime intenzioni che molti, nonostante la situazione, continuano a manifestare per l’istituto congressuale, convive e monta in altri un sempre più marcato senso di malessere e di insoddisfazione per un’assise sentita anch’essa come estranea, avulsa dalle difficoltà quotidiane, lontana dalle problematiche e dai bisogni concreti della categoria. Così, mentre certuni continuano a considerare il congresso luogo privilegiato di confronto, elaborazione, crescita, si moltiplicano preoccupanti segnali di insofferenza di un’altra parte, si intensificano i moti di impazienza di chi lo reputa ormai un vuoto esercizio di retorica, una paludata liturgia autocelebrativa, l’insopportabile esibizione e parata dei “soliti noti”. Un solo sentimento, forse, riesce ad accomunare i contrastanti sentire della classe forense: il timore per il domani, la preoccupazione per un futuro sentito aleatorio ed insicuro come non mai. Un senso di precarietà, di incertezza, che non riguarda solo la tenuta dei diritti, l’effettività del diritto di difesa, ma che investe anche il versante economico della professione, il riscontro reddituale dell’attività, che risulta ormai in aperta, costante flessione. Difficile costruire qualcosa sulla paura; l’ansia alimenta il risentimento e la rabbia, non aiuta la razionalità. Eppure, forse proprio la drammatica congiuntura che stiamo attraversando, la marginalizzazione di una professione che si è impoverita anche intellettualmente, le attuali prospettive negative che sembrano chiudere l’orizzonte, dovrebbero indurci a cercare di guardare anche più in là. Persuaderci a compiere uno sforzo di volontà progettuale e creativa. Sollecitarci verso un pragmatismo ideativo che si spinga al di là delle difficoltà contingenti. Convincerci che si possa e si debba vedere anche oltre gli ostacoli del momento per offrire la visione di un domani possibile (da inventare e da costruire, è vero, ma non è già stato fatto in passato dopo devastanti rovine e lutti?), che torni a consegnare il destino nelle nostre mani.   Ecco allora che, non solo il congresso di Bari, ma ogni occasione di riflessione, dibattito, confronto (e di scontro, perché no? Se franco e aperto può contribuire a chiarire e migliorare le idee) possono tornare ad essere quello che dovrebbero rappresentare: luogo fecondo di creazione di progetti, crogiuolo di idee, fucina di proposte. Pensiamo solo alla mediazione assistita e alle possibili linee di sviluppo, anche professionale, delle Adr ove correttamente gestite; alle svariate, piccole riforme sulle quali potremmo puntare per trovare nuovi sbocchi occupazionali, soprattutto per le giovani leve; alla stessa legge professionale, che, se finalmente approvata nonostante l’incombente scioglimento delle Camere (pur se insoddisfacente in più punti), potrebbe comunque costituire l’ossatura provare ad innestare una nuova avvocatura, più moderna e dinamica. Una professione aperta al futuro, pur nel rispetto della propria funzione; garante dei diritti, ma anche soggetto attivo dei cambiamenti sociali; capace e titolata a rivendicare la propria centralità sociale; finalmente in grado di rivendicare con orgoglio la coscienza e il prestigio del proprio ruolo, oggi drammaticamente smarriti. Questo, però, ad una condizione: che si sappia ritrovare una reale ed effettiva unità di intenti.   Che, pertanto, abbiano a cessare polemiche e tatticismi; che ci si confronti riconoscendosi reciprocamente come legittime parti del medesimo corpo sociale; che venga posto termine a divisioni e lotte interne; che si rifugga da pratiche di potere, da gestioni accentratrici ed autocratiche; che si abbandonino le contrapposizione personali e “a prescindere”. Non è più tempo per dedicarsi al proprio, esclusivo orticello: c’è un grande campo che si può provare a coltivare assieme. Chi se la sentirà di dare l’esempio? Che si assumerà la responsabilità di raccogliere per primo una così grande, ma al tempo stesso affascinante, sfida? Che avrà il coraggio di chiudere con il passato e di aprirsi verso quello che, se ora può sembrare un sogno, potrebbe schiudere nuovi orizzonti per la professione ed inaugurare una nuova stagione di progresso dei diritti? Ricordando un celebre film di Frank Capra, ci sarà un Mr. Smith capace, prima di andare a Washington, di passare per Bari?

Fabio Sportelli (da Mondoprofessionisti del 21.11.2012)

Approvazione riforma previdenziale

Riceviamo dal Consigliere dell'Ordine Avv. Giuseppe La Rosa Monaco, delegato per la Cassa Forense. e pubblichiamo:

A tutti gli iscritti

Si comunica che con provvedimento dei Ministri del Lavoro, dell’Economia e della Giustizia è stata approvata la riforma previdenziale deliberata dal Comitato dei Delegati, superando quindi il test di sostenibilità a 50t’anni imposto dall’art. 24 comma 24 del D.L. 201/2011 convertito in legge 214/2011.
Di seguito le novità apportate ai Regolamenti dei Contributi e delle Prestazioni così come formulate dal Comitato dei Delegati:
- L’aliquota unica per il calcolo delle pensioni è stata fissata all’1,40% e agganciata alle tavole di sopravvivenza specifiche della categoria;
- La base reddituale di riferimento è ora costituita dalla media di tutti i redditi professionali dichiarati durante l’intera vita lavorativa, fino al tetto pensionabile;
- L’aliquota del contributo soggettivo si attesterà al 14% dal 1°/01/2013, al 14,5% dal 1°/01/2017 e al 15% dal 1°/01/2021, in coincidenza con l’entrata a regime dell’età pensionabile a 70 anni;
- Il contributo integrativo resta confermato al 4% del volume di affari IVA;
- La contribuzione modulare, prevista dall’1% al 10% del reddito professionale dichiarato, viene resa interamente facoltativa e finanzierà una quota di pensione calcolata con il sistema contributivo;
- Nessun intervento è stato previsto sulle pensioni in essere, fermo restando il contributo di solidarietà del 7%, condizionandolo alla valorizzazione del relativo montante, a carico dei pensionati che proseguano nell’esercizio professionale.

                     Cordialità

Avv. Giuseppe La Rosa Monaco

Messaggio di De Tilla (Oua) per il Congresso di Bari

Giovedì si apre il XXXI Congresso Nazionale Forense al Teatro Petruzzelli, ospiti della sapiente ospitalità del Consiglio dell'Ordine di Bari, colgo questa occasione per rivolgermi a te per rappresentare i temi salienti di questa importante assise e nel contempo per lanciare un messaggio all'opinione pubblica, non sempre adeguatamente sensibilizzata alle battaglie dell'avvocatura per la tutela dei diritti dei cittadini e per la difesa della Costituzione.  Come ben sapete, la Giustizia italiana è da anni in uno stato di perenne emergenza, sono costanti le denunce sull’eccessiva lunghezza dei processi, sul mastodontico arretrato da smaltire e per le ricadute negative sul Paese in termini di Pil e di occasioni di sviluppo.  Eppure sono decine le ipotesi di lavoro concrete avanzate dall’avvocatura, e dall’Oua, per rispondere ai diversi problemi che colpiscono la macchina giudiziaria. La Politica, però, elude queste proposte, rifiuta il confronto con gli Avvocati, cioè con coloro che operano in prima linea nei tribunali e non riesce ad avviare serie riforme, insistendo con interventi frammentari, sterili e spesso con chiari profili di incostituzionalità, come avvenuto con l’intervento legislativo teso a chiudere 1000 uffici giudiziari, contrastato dall’Oua, con ricorsi ai Tar presentati in quasi tutte le Regioni (e già oggetto di un rinvio alla Consulta a Pinerolo), ma anche con l’obbligatorietà della mediazione, quest’ultima, giustamente già bocciata dalla Corte Costituzionale. Proprio in queste ore ci stiamo opponendo con forza a un ulteriore tentativo delle lobby della “giustizia privatizzata” di reintrodurla con un emendamento al decreto Sviluppo al Senato. Non cederemo, siamo disposti a riscendere in piazza e proclamare altri dieci giorni di sciopero. Ma da respingere sono anche altri provvedimenti che comprimono i diritti del cittadino, tra questi: l’aumento del contributo unificato e l’introduzione del filtro in appello. Allo stesso tempo l’avvocatura, ha continuato a subire attacchi alla propria indipendenza, con provvedimenti legislativi che tendono a equiparare il lavoro di un legale a quello di una semplice impresa. Abbiamo assistito all’abolizione delle tariffe, all’introduzione dei soci di capitale nelle società professionali, alla delegificazione dell'ordinamento forense. È stata una manovra a tenaglia, avviata nel 2006 dal Governo Prodi, con la legge Bersani, e continuata successivamente con i provvedimenti varati dall'Esecutivo Monti. Una linea rossa unisce politiche che subordinano il diritto di difesa a logiche mercatiste e che mette in discussione la giustizia come bene pubblico e universale. Senza, oltretutto, attaccare quelle storture che, invece, sono alla radice del cattivo funzionamento del sistema giudiziario e che sono un ostacolo non solo alla competitività del Paese, ma alla soddisfazione di diritti fondamentali dei cittadini.  Questo XXXI Congresso in questa meravigliosa città di Bari, è un'occasione da non perdere per la classe forense. Può e deve essere il punto di partenza di una sera politica riformista sulla giustizia basata sull’efficienza e la modernità, attraverso la riorganizzazione della macchina giudiziaria (manager, aziendalizzazione, tribunali tecnologici, estensione prassi positive), l’autogestione delle risorse del settore, il processo telematico, la riforma dell’appello e della magistratura onoraria, una seria revisione della geografia giudiziaria (il contrario di quanto fatto fino ad ora), l’implementazione della mediazione facoltativa e di qualità, lo smaltimento straordinario dell’arretrato (senza rottamare cause). Ma anche per il rilancio della professione forense con un’attenzione forte ai giovani e alle pari opportunità. Ma soprattutto garantendo una maggiore dinamicità all’avvocatura, senza però mettere in discussione l’indipendenza della categoria e intervenendo sull’accesso, con l’introduzione del numero programmato all’Università.

(Da Mondoprofessionisti del 20.11.2012)