giovedì 31 maggio 2012

Cani in autostrada, niente risarcimento per incidente



Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 7037 del 9.5.2012

Svolgimento del processo
Con sentenza del 16 febbraio 2009 la Corte di appello di Napoli rigettava l'appello di D.L.M.R. nei confronti della s.p.a. Autostrade Meridionali sulle seguenti considerazioni: 1) la domanda attorea di responsabilità, presuntiva, della convenuta nella determinazione dell'incidente per aver omesso la manutenzione della recinzione della sede stradale, che l'appellante desume dall'accesso in essa di due cani, per evitare i quali l'auto era andata contro il guard-rail, era infondata perchè il teste escusso non aveva confermato l'esistenza di squarci o difetti sulla recinzione, gli agenti della polstrada li avevano esclusi avendo constatato l'integrità della recinzione, vie di fuga degli animali non erano state rinvenute; 2) perciò la presenza degli animali sulla strada doveva ricondursi al caso fortuito, come ad esempio l'abbandono di essi nell'adiacente area di servizio, evento di cui la società Autostrade non poteva rispondere non potendosi esigere un onere di vigilanza nelle 24 ore dell'intero territorio autostradale e poichè la responsabilità del custode non è oggettiva, ma presuntiva, il fatto non era ascrivibile a sua colpa; 3) il mancato riconoscimento dell'insidia o trabocchetto era superato dall'astratta applicabilità dell'art. 2051 c.c., mentre se tali requisiti erano invocati per escludere la responsabilità del conducente dell'auto, erano pleonastici, non essendovi nessun addebito al medesimo. Ricorre per cassazione D.L.M.R., cui resiste la società Autostrade Meridionali che ha altresì depositato memoria.

Motivi della decisione
1.- Il secondo ed il terzo motivo di ricorso hanno priorità logica e possono esaminarsi congiuntamente.
1.1- Con il secondo motivo la ricorrente deduce: "Violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., art. 2697 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5" e lamenta che la Corte non ha valutato la testimonianza resa secondo cui imprevedibilmente ed inevitabilmente erano sbucati dal guard-rail due cani sull'autostrada che l'avevano attraversata da sinistra a destra, nè che il tratto della recinzione constatato integro dai verbalizzanti era breve, e perciò la società, custode, non aveva dimostrato il fortuito e conclude: "il libero apprezzamento delle prove e il sindacato da parte degli operatori del diritto può spingersi sino a ritenere provata una circostanza laddove questo riscontro oggettivo non vi è stato e soprattutto qualora esista una presunzione di responsabilità a carico della società convenuta in qualità di custode?".
Il motivo è infondato.
Ed infatti come riassunto in narrativa la prima ratio decidendi è che la causa petendi della D.L. - pag. 4, lett. a) della sentenza impugnata è l'omessa manutenzione da parte della società autostrade della recinzione stradale in violazione del codice della strada, fatto illecito di cui con motivazione congrua i giudici di appello hanno escluso la prova - a carico dell'attrice a norma dell'art. 2043 cod. civ. - sia diretta attraverso l'istruttoria svolta, sia presuntiva attraverso la presenza degli animali nell'autostrada, circostanza ritenuta correttamente non univoca a tal fine, potendo invece i cani esser stati abbandonati, stante anche la prossimità di un'area di servizio al luogo dell'incidente.
1.2 - Con il terzo motivo deduce: "Violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3" per non avere la società autostrade fornito la prova positiva del fortuito, ovvero dell'inadempimento contrattuale per causa non imputabile, potendosi il custode liberare soltanto dimostrando di non aver potuto impedire l'evento o di aver adottato tutte le cautele possibili. La prova liberatoria si pone sul piano oggettivo, non soggettivo essendo il fortuito un elemento esterno incidente sul nesso causale, interrompendo il collegamento eziologico tra fatto ed evento, e conclude con il seguente quesito: "avendo la Corte di merito affermato che la responsabilità del custode per omessa manutenzione della cosa, ipotizzabile anche nei confronti dei concessionari delle autostrade, non è oggettiva ma presuntiva, con la conseguenza che il concessionario non risponde dei danni causati al terzo se il sinistro non risulta verificatosi per fatto ascrivibile a colpa del custode", il richiedere il caso fortuito quale prova liberatoria, equivale a ritenere irrilevante ogni tipo di colpa soggettiva?".
La motivazione della sentenza impugnata va corretta, ma la censura è inidonea a modificare il decisum.
Costituisce infatti ius receptum quello secondo cui la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo e perchè possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione. Tuttavia tale tipo di responsabilità è esclusa dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo anche del fatto del terzo), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che è irrilevante) bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità e pertanto, provata l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, il custode, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
E questo è il caso di specie in cui la Corte di merito ha ravvisato il fortuito, in mancanza di prova di omessa manutenzione della recinzione stradale, nel probabile abbandono dei cani da parte di un terzo, desunto dalla presenza nelle adiacenze di un'area di servizio e dalla mancanza di una via di fuga per gli stessi, fatto imprevedibile ed inevitabile nel suo accadimento repentino - come prospettato anche dalla D.L. - non potendosi pretendere un continuo controllo della sede autostradale onde impedirlo.
3.- Il primo motivo, con cui la ricorrente lamenta vizio di motivazione sull'interpretazione della rinuncia alla domanda risarcitoria essendo stata limitata nel corso del giudizio di secondo grado all'accertamento della responsabilità della società autostrade, è inammissibile per carenza di interesse stante il rigetto dei due motivi, preliminari.
4.- Concludendo il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare Euro 1700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

(Da diritto.it del 31.5.2012)

Inaccettabile ridurre risarcimenti ai cittadini e penalizzare lavoro avvocati

Il Presidente OUA Maurizio de Tilla


La lunghezza dei processi è eccessiva e lo Stato non può eludere
le proprie inadempienze riducendo la portata della legge Pinto

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (Oua) in audizione in Commissione Giustizia del Senato ha esposto le proprie critiche sui progetti di legge di modifica della Legge Pinto. La delegazione composta dal presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla, e da Gaetano Amoroso, coordinatore Oua della Commissione Lavoro.
Per de Tilla, l’attacco alla legge Pinto è inaccettabile: «Da un lato lo Stato è incapace di garantire la ragionevole durata dei processi, dall’altro incalzato dalle continue condanne degli organismi europei, è stato costretto ad approvare una legge, la Pinto, per risarcire i cittadini vittime di questo disservizio. Eppure, dopo anni, invece, di mettere mano a riforme per rendere efficiente la macchina giudiziaria, ricorre a stratagemmi per ovviare il problema. Aumenta il contributo unificato, introduce la mediaconciliazione obbligatoria, cerca ,di fatto, di ridurre l’accesso dei cittadini al sistema giustizia, nonostante ciò non riesce a sciogliere il nodo della lunghezza dei procedimenti. E allora, ecco, che decide di “barare”, intervenendo proprio sulla legge Pinto (con il ddl n. 3125), e snaturando, così i principi alla base delle decisioni già prese sul tema dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e pienamente recepiti dalla Corte Suprema di Cassazione. Quattro osservazioni di merito. La prima – continua – non è possibile che si sia come misura iniziale ridotto a 500 euro il punto di partenza di quantificazione dell’indennizzo è offensivo nei confronti dei cittadini che così subiscono il danno due volte: prima con un processo troppo lungo, poi con un indennizzo “ridotto”. La seconda: non è accettabile mortificare il lavoro degli avvocati e prevedere nella misura del 5%, in caso di accordo (10% in caso di contenzioso), il compenso previsto per la liquidazione dell’attività professionale prestata dal legale. Sarebbe di fatto un ulteriore attacco al rapporto fiduciario tra cittadino ricorrente e avvocato, infatti oltre ad essere risibili i parametri indennitari, il che sarebbe sicuramente rimediabile per via giudiziaria, si pone il problema delle spese legali. Infatti, non c’è avvocato che potrebbe assistere un cliente per così poco: pari alla retribuzione oraria secondo contratto nazionale dei lavoratori domestici. Di fatto la norma tenderebbe, proprio per la previsione dell’assistenza obbligatoria del legale, a disincentivare i ricorsi, poiché si potrebbe verificare il paradosso per cui l'intero indennizzo andrebbe a coprire le spese legali, specie con il patto di quota-lite che l’avvocatura respinge sul piano morale, senza alcun ristoro per il ricorrente, ovvero a far si che il ricorso debba essere proposto impropriamente dall’interessato senza le necessarie cognizioni giuridiche, rivolgendosi ad organizzazioni che dispongono di assistenza legale disposta a prestare la propria opera per cause connotate da serialità e magari con contratto di lavoro subordinato (avvocato dipendente). Oltretutto, è concretamente immaginabile che a fronte di indennizzi inadeguati ed irrisori, le Corti di Appello sarebbero comunque intasate di impugnazioni non risolvendo così il problema». 
La terza osservazione è relativa alle anticipazioni apparse sui media sulla proposta contenuta nel prossimo decreto sviluppo di delegare ai prefetti la liquidazione dei risarcimenti: «Gli stessi prefetti hanno già sottolineato le difficoltà di un sistema del genere – aggiunge il presidente Oua – non comprendiamo, quindi, come si possa percorrere una strada senza uscita che già si sa, non porta a risolvere alcun problema». 
La quarta osservazione è di carattere generale: «Lo sforzo del Legislatore tende a rendere efficiente la macchina della giustizia, ma l'inefficienza, come avviene con un’impresa privata che non funziona ha un costo e delle conseguenze, ed è, quindi, giusto che, anche lo Stato sia tenuto a pagare per un danno/disservizio che si traduce in un diniego di giustizia.  Il principio è chiaro: come un cittadino paga per i ritardi, per esempio nel pagamento delle tasse, allo stesso modo le istituzioni pubbliche sono tenute allo stesso comportamento. Si deve dare l’esempio. Credo – conclude de Tilla - che sia invece doveroso puntare sulla necessità di indagare sul perché di tutti questi ricorsi pendenti e sul perché ci vogliono anni per dei giudizi di equa riparazione che la legge prevede debbano essere decisi in 45 giorni. Si dovrebbe indagare sul perché i ricorsi per equa riparazione hanno una durata di quasi tre anni anziché dei 45 giorni previsti. E non aggirare gli ammonimenti della Corte di Giustizia Europea. Infine: la legge Pinto, attualmente in vigore è senza ombra di dubbio ben strutturata, semmai si sentisse, come sembra, la necessità di modificarla, andrebbero introdotti automatismi e conseguenze sul piano disciplinare per il giudicante qualora i ritardi si caratterizzino a causa di inutili rinvii e per richieste istruttorie improprie, le quali siccome ingiustificate appaiono solamente utili ad uno scopo dilatorio. L’Oua propone che si acceleri la procedura con l’applicazione del rito sommario semplificato e con la devoluzione al Tribunale della determinazione degli indennizzi a favore dei cittadini danneggiati».

(Da Mondoprofessionisti del 30.5.2012)

Inammissibile il risarcimento irrisorio ai parenti della vittima


Cass. Civ. Sez. III, sent. 14.5.2012 n° 7499

Ai congiunti di una persona vittima di un incidente stradale non può spettare un risarcimento irrisorio. Lo ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 14 maggio 2012, n. 7499.
Il caso vedeva una persona, vittima di un incidente stradale, perdere la vita dopo dodici ore dal verificarsi del sinistro. In conseguenza di cià, i prossimi congiunti agivano contro l'assicurazione al fine di ottenere il risarcimento del danno morale e del danno biologico, quest'ultimo quantificato dall'autorità giudiziaria, in un secondo momento, in una misura ritenuta, dai ricorrenti, troppo esigua.
Secondo il giudice nomofilattico, i giudici di merito non hanno tenuto conto nella determinazione del danno risarcibile, in primo luogo, dei fattori di personalizzazione che in tal caso debbono valere in modo assai elevato, perché si verte in tema di lesioni di valori inerenti alla persona ed in quanto tali privi di contenuto economico, e, secondariamente "non hanno considerato l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza ed ogni altra utile circostanza, quali l'abitudine di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, mostrando, invece, di privilegiare, in ordine al risarcimento in tal modo da liquidare, una sua funzione reintegratrice di una diminuzione patrimoniale e non già, come è, la sua funzione compensativa del pregiudizio non economico".
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la quantificazione in via equitativa va operata in relazione al pregiudizio sofferto, le cui caratteristiche peculiari consistono nel fatto che si tratta di un danno alla salute, il quale, sebbene temporaneo, è massimo nella sua identità ed intensità.
Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale inteso quale sofferenza fisica soggettiva causata dal reato, che si trasmette agli eredi. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo e può sussistere sia da solo sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali.
Il giudice di merito, in definitiva, non ha considerato che sia il danno biologico che quello morale, che ormai costituiscono una sola categoria di danno non patrimoniale, comprendono anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima che in questo caso è sopravvissuta dodici ore dal verificarsi del sinistro, ovvero per un periodo sufficiente a cagionarle un danno degno di un risarcimento non irrisorio.

(Da Altalex del 24.5.2012. Nota di Simone Marani)

Giustizia, protocollo d'intesa Anci-CNF


Esprimere la forte preoccupazione in ordine all'ipotesi di riduzione dei presidi giudiziari in assenza di criteri programmatici con i quali le spese sono determinate e avviare un lavoro comune, con la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto, per completare il censimento per quanto riguarda costi e fabbisogni circa la geografia giudiziaria e per realizzare un'analisi dei territori in relazione ai costi generati dalla riduzione delle circoscrizioni giudiziarie in termini di logistica, trasporti, sedi, impatto ambientale e fasi transitorie.
Sono queste le principali finalità alla base del Protocollo d'intesa siglato da Anci e Consiglio nazionale forense. Dalle due rappresentanze istituzionali dei comuni e dell'avvocatura arriva infatti una richiesta al Governo: prima di proporre la chiusura degli uffici giudiziari di primo grado (tribunali sub provinciali-sezioni distaccate-uffici del giudice di pace) calcoli bene i costi e i risparmi effettivi per la collettività di tutta l'operazione, altrimenti si rischieranno più danni che benefici.
Con la firma di questo protocollo l'Anci e il Consiglio nazionale forense intendono porre alcune richieste all'Esecutivo quali : avviare il controllo di gestione ai fini della trasparenza della spesa corrente che viene oggi addebitata automaticamente ai comuni; applicare il criterio dei costi standard e non più quello della spesa storica per valutare l'efficienza del servizio; adottare un modello di misurazione dei fabbisogni standard; avviare un'analisi del territorio per calcolare i costi della revisione giudiziaria.

(Da Mondoprofessionisti del 24.5.2012)

mercoledì 30 maggio 2012

Deposito originale appello entro prima di trattazione


La procura conferita in primo grado è valida anche per il giudizio di appello se nel mandato ne è fatta espressa menzione. L'attore può costituirsi nel giudizio di appello mediante deposito di una "velina" dell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado purché, entro la prima udienza di trattazione, depositi l'originale munito di relata di notifica. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6912/2012.
Il caso. Il giudice di secondo grado dichiarava l'improcedibilità dell'appello perché: 1) l'appellante aveva depositato prima una copia dell'atto d'appello e, dopo, oltre i termini ex art. 165 c.p.c., l'originale con prova di notifica; 2) non era stata rinnovata la procura alle liti ma semplicemente richiamata la procura depositata nel giudizio di primo grado, pur comprensiva del mandato per il giudizio di appello. L’appellante, al momento della costituzione in giudizio, depositava - nel termine assegnato di 10 giorni - una velina dell'atto introduttivo al posto dell'originale con prova di notifica. Tale circostanza scaturiva dalla mancata riconsegna, da parte degli ufficiali giudiziari in favore dell'avvocato, dell'originale munito di relata di notifica. Secondo la Corte territoriale, «il deposito dell'atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all'atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l'improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c.». Detta pronuncia non è condivisa dalla Cassazione.
Il giudizio di legittimità. In particolare, la S.C. ha statuito che se la procura conferita nel giudizio di primo grado comprende anche il giudizio di secondo grado, nel giudizio di appello sarà sufficiente depositare l'originale della procura, deposito che, ex art. 348 e 182 c.p.c., può avvenire anche mediante trasferimento d'ufficio del fascicolo di primo grado. Orbene, la cassazione ha accertato che la procura conferita al difensore nel giudizio di primo grado estendeva il mandato difensivo anche al giudizio d'appello. Inoltre, ha accertato che la procura era pervenuta al tribunale (giudice di secondo grado) con la migrazione d'ufficio del fascicolo formato innanzi al giudice di pace. Per l'effetto, anche sotto questo profilo, il giudizio d'appello era stato correttamente introdotto e non sussisteva alcuna violazione dello ius postulandi. In conclusione, piazza Cavour accoglie il ricorso.

(Da avvocati.it del 28.5.2012)

martedì 29 maggio 2012

Vigili in borghese? Multa illegittima


Tribunale Camerino, sentenza 13.4.2012

La vicenda posta all’attenzione del tribunale marchigiano concerne la questione della legittimità di un provvedimento sanzionatorio per violazione al Codice della Strada elevato da un agente di Polizia Municipale in abiti civili e fuori servizio.
Sulla scorta di quanto già affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 5771/2008, il giudice conclude che “a differenza di altri corpi (quali la Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza ecc. i quali operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio) gli agenti della Polizia Municipale rivestono la qualifica di agenti di polizia giudiziaria solo nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e limitatamente al tempo in cui sono in servizio”.
Da ciò il tribunale inferisce l’illegittimità della contestazione nel caso di specie.

L’iter argomentativo posto a fondamento della tesi della illegittimità del verbale di contestazione
Il Tribunale si pronuncia nel senso della illegittimità del provvedimento sanzionatorio, facendo propria la trama motivazionale elaborata dalla sopracitata decisione della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2008, n. 5771). In quell’occasione i giudici di Piazza Cavour avevano stabilito che “in virtù del combinato disposto degli articoli 13 della legge n. 689 del 1981 e 1 della legge n. 65 del 1986, i vigili della Polizia Municipale sono competenti all'accertamento di tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative: alla Polizia Municipale sono altresì attribuite, in virtù dell'art. 5 della 1. n. 65 del 1986, funzioni di polizia giudiziaria”.
Orbene, argomentava la Corte, giacchè l’art. 57 c.p.p. comma 2 lett. b) dispone che le guardie delle province e dei comuni sono da considerarsi agenti di polizia giudiziaria limitatamente al tempo in cui sono in servizio nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, l’accertamento di una violazione effettuato da un agente di Polizia Municipale al di fuori del servizio è da ritenersi illegittimo.
In altre parole, l’assunto della Suprema Corte, condiviso dalla decisione in commento, è il seguente: l’art. 13 della Legge 689/1981 attribuisce agli organi di polizia giudiziaria il potere di accertare tutte le violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, tra le quali rientrano le violazioni in materia di circolazione stradale. Orbene, gli agenti ed ufficiali di Polizia Municipale, rivestono, sì, la qualifica di organi di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 5 comma 1 lett. a) Legge 65/1986., ma con le limitazioni previste dall’art. 57 c.p.p.: essi cioè, sono agenti di polizia giudiziaria soltanto nel territorio comunale di competenza e limitatamente al tempo in cui sono in servizio.
Ne deriva che l’accertamento di una violazione al Codice della Strada compiuto da un agente di polizia municipale al di fuori del tempo del servizio è illegittimo.

(Da Altalex del 29.5.2012. Nota di Filippo Di Camillo)

Illegittima inerzia della PA? Sì a indennizzo per danno lecito da processo


Consiglio di Stato, sez. V, sent. 17.5.2012 n° 2821

Nel caso di ingiustificata inerzia della PA in ordine ad una domanda di accesso agli atti, alla parte interessata spetterà un indennizzo per danno lecito da processo.
E’ quanto stabilito dalla Sezione Quinta Giurisdizionale,  del Consiglio di Stato, nella sentenza 17 maggio 2012, n. 2821.
Nel caso di specie, la ricorrente aveva impugnato dinanzi al Consiglio di Stato la sentenza con cui il Tar, in accoglimento del suo ricorso in materia di accesso agli atti, non si era pronunciato sulla richiesta di condanna del Comune al  pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 26, comma 2, c. p. a.  Occorre puntualizzare che l’Articolo 26, comma II°, C.p.a., ha introdotto nel sistema della giustizia amministrativa un indennizzo per il “danno lecito da processo”, ovvero il pregiudizio patito dalla parte vittoriosa per l’esistenza e la durata del Giudizio, da liquidarsi in via equitativa.
Nella vicenda in esame, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto sussistente ed illegittima l’inerzia della Pubblica Amministrazione in ordine alla domanda di accesso agli atti dell’interessata, atteso che, la pubblicazione delle delibere all’albo del Comune non incideva sul diritto di accesso dell’interessata, la quale non aveva chiesto la semplice presa visione di documenti, bensì l’estrazione degli stessi.
In effetti, non sussistevano ragioni valide per giustificare la compensazione delle spese tra ricorrente e P. A, diversamente da quanto disposto dal TAR.
Pertanto, merita accoglimento la tesi dell’appellante, relativa alla circostanza che, la disposizione di cui all’art. 26, comma 2, cod proc. amm., come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera f) del d.lgs. n. 195 del 2011, è da ritenersi applicabile soltanto ai giudizi introdotti, in primo grado, dopo la sua entrata in vigore (arg. ex art. 92, comma 2, c. p. c. e L. 69/09), e non anche al caso de quo. Infatti, la fattispecie in oggetto traeva origine da un’ istanza di accesso del maggio 2011 e da un ricorso al TAR deciso con l’impugnata sentenza del 27.10. -16.11.2011, per cui dovrà essere applicato l’art. 26, comma 2, c.p.a., nel testo previgente.
Per tali ragioni, “l’indennizzo per danno lecito da processo” ex art. 26, comma 2, c. p. a., dovrà essere calcolato secondo il criterio della “percentuale sulle spese di lite” (Cons. St. , V, sent. n. 3083/11), tenendo anche presente la natura del giudizio.
In conclusione il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ha accolto il ricorso in appello e, per l'effetto, condannato il Comune appellato alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

(Da Altalex del 29.5.2012. Nota di Maria Elena Bagnato)

lunedì 28 maggio 2012

Ente locale incarica il legale? Non occorre la gara


Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11.5.2012 n° 2730

Gli Enti locali possono conferire al professionista un incarico di patrocinio legale senza ricorrere alla procedura concorsuale, in quanto il suddetto mandato non rientra nella categoria di contratto di appalto di servizi legali, trattandosi di un autonomo contratto d’opera intellettuale.
E’ quanto disposto dalla Sezione V, Consiglio di Stato, nella sentenza 13 aprile - 11 maggio 2012, n. 2730.
Nel caso de quo, un avvocato aveva presentato ricorso avverso il provvedimento con cui la Provincia di Frosinone aveva affidato un incarico legale a due avvocati, senza ricorrere previamente alla procedura comparativa prevista per il conferimento degli incarichi esterni.
I Giudici di prime cure avevano accolto il ricorso e, per l’effetto, annullato gli atti impugnati.
Avverso tale decisione, la Provincia di Frosinone ha proposto appello, accolto dal Consiglio di Stato.
Il Tribunale di primo grado aveva aderito all’orientamento secondo cui sia l’attività di assistenza e consulenza giuridica di carattere continuativo sia il conferimento del singolo incarico di patrocinio legale sarebbero annoverabili nell’unica ed omnicomprensiva nozione di “servizi legali” di cui al punto 21 dell’allegato II B del Codice degli appalti.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, sposando le argomentazioni dell’appellante, ha ritenuto che la tesi sostenuta dal Tribunale non avesse considerato la rilevante differenza ontologica tra l’ espletamento del singolo incarico di patrocinio legale, e l’attività di assistenza e consulenza giuridica, caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione, dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata. In particolare, a differenza dell’incarico di consulenza e di assistenza a contenuto complesso, il conferimento dell’incarico episodico, non rientra nella fattispecie di appalto di servizi legali, ma costituisca un mero contatto d’opera intellettuale che esula dalla disciplina del codice, in materia di procedure di evidenza pubblica.
Tutto ciò si uniforma a quanto disposto dalla normativa comunitarie ( direttiva 2004/18/CE; direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), secondo cui “la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; nel caso in cui la prestazione del servizio si fondi su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, detta prestazione esula dal campo d'applicazione della presente direttiva”(direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995).
Il contratto di appalto è caratterizzato da un quid pluris, sotto il profilo dell’organizzazione, della continuità e della complessità rispetto al contratto di conferimento dell’incarico legale, che si delinea come contratto d’opera intellettuale, species del genus contratto di lavoro autonomo, e come tale, non rientra nella nozione di contratto di appalto. Pertanto, perché l’incarico legale sia assimilabile alla categoria dell’appalto, occorre sia presente un elemento di specialità, per prestazione e per modalità organizzativa, rispetto alla prestazione di patrocinio legale.
Nel caso in esame, l’incarico legale conferito al professionista, consisteva in una singola prestazione di lavoro autonomo, per un periodo di tempo limitato e dietro pagamento di un corrispettivo determinato, per cui in accoglimento dell’appello proposto dall’Ente locale ricorrente, il Consiglio di Stato ha escluso l’applicazione delle norme di tema di appalti di servizi.

(Da Altalex del 23.5.2012. Nota di Maria Elena Bagnato)

domenica 27 maggio 2012

Paziente muore d’infarto: omicidio colposo per medico che sbaglia diagnosi


Il giudizio di probabilità logica sull’effetto salvifico delle condotte omesse è rapportato alle specifiche contingenze dell’occorso. E’ quanto si evince dalla sentenza n. 14930/2012.
Il caso. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un medico condannato per omicidio colposo a causa di un approccio terapeutico e diagnostico negligente ed erroneo che aveva portato alla morte di un paziente. Il camice bianco, dopo ben due visite compiute in una settimana, aveva escluso che i persistenti dolori al petto riferiti fossero determinati da problemi cardiaci e per contro aveva diagnosticato una gastrite e problematiche ansiose, ritenendo superflua una più approfondita visita ospedaliera. Il medesimo giorno della seconda visita, a causa di un peggioramento delle condizioni, il paziente si era recato in ospedale dove l’acutizzarsi dell’infarto, in atto da giorni, lo portò alla morte. Nel ricorso il medico lamenta l’impossibilità, in assenza di autopsia, di identificare le patologie tra la prima e la secondo visita e la mancata considerazione da parte dei giudici di merito delle valutazioni peritali che non avevano riscontrato errori professionali nelle visite domiciliari.
Il giudizio di legittimità. In realtà, sostiene la S.C., tutti gli elementi, le testimonianze e le diagnosi degli ospedalieri convergono senza alcuna incoerenza sulla grave mancanza del medico di famiglia che, oltretutto, aveva sì consigliato una visita cardiologica ma non con urgenza bensì rinviabile alla settimana seguente. Se ne inferisce una grave imprudenza concretatasi nel non valutare i sintomi chiaramente indicativi di una grave patologia cardiaca. «Tale apprezzamento è logicamente appropriato e vale a collocare correttamente l’indagine eziologica nella cornice condizionalistica della causalità omissiva; sicché il giudizio di probabilità logica sull’effetto salvifico delle condotte omesse è rapportato alle specifiche contingenze dell’occorso e conduce a  ritenere ragionevolmente dimostrata la risolutività di una condotta conforme alla leges artis».

(Da avvocati.it del 25.5.2012)

Testamento olografo e padri indegni


E' possibile diseredare un padre indegno?
Il caso
Può una figlia escludere il padre dal proprio testamento in quanto indegno alla successione, non essendosi lo stesso mai preoccupato di provvedere al suo mantenimento?
La soluzione
Dal punto di vista giuridico, le cause di indegnità sono poche e tassative (art. 463 c.c.).
Quindi non si può definire giuridicamente indegno il genitore che non provvede al mantenimento. Al genitore, in assenza di figli, la legge riserva una quota; però sarà onere del genitore "escluso" agire giudizialmente per ottenere la quota.
Nulla toglie quindi che possa redigere testamento omettendo il genitore; se costui vorrà impugnerà poi il testamento medesimo. Il consiglio però è quello di non scrivere: "diseredo Tizio" , ma semplicemente di beneficiare altri, in quanto la diseredazione non esiste nel nostro codice civile.

(Da avvocati.it del 24.5.2012)

sabato 26 maggio 2012

Interpretato il contributo unificato


Con la circolare interpretativa n. 10 dell'11 maggio 2012, il Ministero della Giustizia, dipartimento per gli affari di giustizia, è intervenuto a far chiarezza in materia di contributo unificato dopo le modifiche apportate dal decreto n. 98/2011 e dalla legge n. 138/2011.

Lavoro. L’introduzione del contributo unificato per le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie ed in quelle individuali di lavoro e concernenti rapporti di pubblico impiego è prevista dall’art. 9, comma 1-bis, Testo Unico sulle Spese di Giustizia, introdotto dall’art. 37, comma 6, d.l. n. 98/2011 (convertito nella legge n. 111/2011). Per questi procedimenti è prevista una soglia comune di esenzione soggettiva pari a 3 volte il reddito di accesso al gratuito patrocinio: 10.628,16 x 3 = 31.884,48 euro.

Esecuzione. L’esenzione vale anche per i procedimenti relativi all’esecuzione immobiliare e mobiliare delle sentenze e ordinanze emesse nei giudizi di lavoro, nonché per quelli relativi al recupero crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure fallimentari, di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa. La circolare, comunque, specifica che l’esenzione riguarda solo le persone fisiche.

Giudizio di legittimità. Per quel che riguarda i procedimenti per decreto ingiuntivo e opposizione a decreto ingiuntivo il contributo è ridotto alla metà, mentre «per i giudizi instaurati dinanzi alla Suprema Corte in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria e per i procedimenti in materia di lavoro o di pubblico impiego, vi è una precisa deroga all’esenzione per reddito applicabile negli altri gradi di giudizio». Di conseguenza – si legge nella circolare– «dinanzi alla Suprema Corte si applicherà il contributo unificato previsto dall’art. 13, comma 1, d.p.r. n. 115/2002 escludendo, altresì, la ulteriore riduzione di cui al successivo comma 3, del medesimo articolo 13». E ancora.

Separazione e divorzio. L’anticipazione forfettaria di 8 euro (art. 30 d.p.r. n. 115/2002) è esclusa per i procedimenti di separazione e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sia in sede consensuale che contenziosa. La legge n. 111/2011 ha voluto introdurre il solo contributo unificato in materia e, pertanto, non devono ritenersi soggetti all’anticipazione degli 8 euro «tutti quei procedimenti disciplinati da norme speciali, non abrogate dal d.p.r. n. 115/2002, per i quali è prevista in maniera chiara e non equivoca l’esenzione da ogni tipo di tributo e spesa». Ciò vale «per le procedure esecutive e cautelari dirette ad ottenere la corresponsione o la revocazione degli assegni».

Fallimento. Infine, per il reclamo promosso avverso la sentenza dichiarativa di fallimento è previsto l’aumento del 50%.

(Da avvocati.it del 25.5.2012)

IL 23 GIUGNO ELEZIONI AGA


In applicazione dell'art. 2 del regolamento elettorale dell'AGA, col presente avviso si annuncia che le elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo -biennio 2012/2014- si terranno, presso la sala Avvocati del Tribunale di Giarre, Sabato 23 Giugno 2012, dalle ore 9 alle ore 11.
Chi volesse candidarsi, purchè in regola con l'iscrizione, deve comunicarlo per iscritto al Presidente uscente Avv. Fiumanò entro e non oltre il 13.6.2012 (art. 4 Reg. elett.).
Per ulteriori chiarimenti ed informazioni si rimanda al Regolamento elettorale approvato il 17.4.2008, visionabile nella sezione "Documenti" del sito.

TUTELA DAGLI ABUSI FAMILIARI


Si è concluso tre ore fa il quarto evento formativo organizzato quest’anno dall’AGA.
L’Avv. Carmelo Minnella, esperto in diritto di famiglia e minorile ed autore di molti saggi, ha tenuto un’interessante conferenza sul tema "La tutela civile e penale delle vittime di abusi e reati nelle relazioni familiari".
Dopo l’introduzione del nostro Presidente Avv. Pippo Fiumanò, a presentare il brillante relatore è stato il Magistrato Dirigente di Giarre Dott.ssa Maria Pia Urso.
Quindi, l’Avv. Minnella ha trattato degli strumenti previsti dall’ordinamento per la tutela immediata delle vittime di illeciti e violenze in famiglia, analizzando il microsistema cautelare, civile e penale, orientato alla tutela della vittima, inaugurato dal legislatore con le leggi nn. 149 e 154/2001 e proseguito col D.L. n. 11/2009 (convertito in L. 38/2009), che ha trovato vasta applicazione in Giurisprudenza.

venerdì 25 maggio 2012

Riforma forense al rallentatore

I troppi emendamenti fanno slittare l'inizio dell'esame a mercoledì

Altra battuta d’arresto per la riforma forense. Dopo mesi di quiescenza, ieri la Camera ha ripreso in mano il disegno di legge di riforma della professione forense. Ma chi si credeva che si fossero finalmente riavviati i motori si è subito ricreduto. Il gran numero di emendamenti, la maggior parte dei quali presentati lo scorso ottobre e superati da alcune importanti disposizioni legislative nel frattempo entrate in vigore e gli ulteriori emendamenti stati presentati da oltre una settimana hanno indotto sia il relatore che il rappresentante del Governo a chiedere un rinvio di una settimana per consentire alla Commissione di procedere nell’esame di un provvedimento relativo a una riforma attesa oramai da anni, come dimostrano le diverse sollecitazioni esterne alle quali ciascun deputato della commissione è sottoposto.  Si è quindi deciso di chiedere a ogni gruppo si faccia carico di identificare gli emendamenti più rilevanti presentati dai propri deputati. La segnalazione dei gruppi debba pervenire non oltre martedì prossimo, per consentire alla Commissione di esaminare gli emendamenti a partire dalla seduta di mercoledì 30 maggio.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 25.5.2012 )

Non dimentichiamo il modello 5!


Estratto da Cassa Forense Newsletter n. 5 del Maggio 2012

La comunicazione obbligatoria, di cui all'art. 17 della legge n. 576/80, come modificato dall’art. 9 della legge n. 141/92 (modello 5), rappresenta uno strumento fondamentale del rapporto previdenziale avvocato/Cassa Forense.
Il professionista, con il modello 5, comunica alla Cassa, entro il 30 settembre di ciascun anno, i propri dati reddituali e procede all'autoliquidazione di eventuali contributi dovuti, in eccedenza rispetto ai contributi minimi già versati con i M.A.V. alle scadenze di febbraio, aprile, giugno e settembre,che provvederà a corrispondere in unica soluzione, entro il 31 luglio, ovvero in due rate di pari importo, di cui la prima, entro il 31 luglio, e la seconda, entro il 31 dicembre di ciascun anno.

Fisco corregga suoi errori in tempi brevi


Respinto il ricorso di una donna che chiedeva il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del ritardo dell’ammissione della erroneità di una richiesta dell’Agenzia delle Entrate e del provvedimento di sgravio, anche se per l’obbligatorietà dell’autotutela l’Amministrazione finanziaria ha il dovere di agire in tempi brevi, seppure in assenza di un termine specifico. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6283/2012.
Il caso. Una donna si vede recapitare dall’Agenzia delle Entrate una richiesta di pagamento di imposte. La pretesa è priva di fondamento e la donna agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla ritardata ammissione della erroneità della richiesta e del conseguente provvedimento di sgravio. Il giudice di pace le dà ragione, ma successivamente il Tribunale riforma la sentenza: in particolare, ritiene insussistente la colpa, considera lo sgravio meramente facoltativo e non rileva alcun ritardo data l’assenza della previsione di un termine preciso. La donna non ci sta e ricorre in Cassazione, ma senza successo.
Il giudizio di legittimità. Ribadisce la Suprema Corte, «l’Amministrazione finanziaria non può essere chiamata a rispondere del danno eventualmente causato al contribuente sulla base del solo dato oggettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, essendo necessario che la stessa, nell’adottare l’atto illegittimo, abbia anche violato le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che costituiscono il limite esterno della sua azione». In tema di responsabilità civile della P.A., dunque, l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa, ma è compito del giudice appurare che sussistano: un evento dannoso, l’ingiustizia del danno, la riferibilità dell’evento ad una condotta della P.A. e l’imputabilità dello stesso alla P.A.. Tuttavia, le considerazioni del Tribunale sono in parte sbagliate poiché in realtà le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione impongono alla P.A., una volta informata dell’errore, di compiere le verifiche e di annullare il provvedimento riconosciuto illegittimo senza spazio alcuno alla discrezionalità che, in caso contrario, sconfinerebbe nell’arbitrarietà. Ne deriva che la P.A. deve riconoscere in tempi ragionevoli il diritto del contribuente anche quando non sia previsto uno specifico termine per l’adempimento. Tuttavia, la valutazione circa la ragionevolezza del tempo impiegato spetta al giudice di merito.

(Da avvocati.it del 24.5.2012)

DOMANI CORSO AGA SU ABUSI IN FAMIGLIA


Domani Sabato 26 maggio, nell'androne del Palazzo di Giustizia di Giarre, dalle ore 9 alle 12, si terrà l'evento formativo "La tutela civile e penale delle vittime di abusi e reati nelle relazioni familiari", relatore l’Avv. Carmelo Minnella.
La partecipazione all'evento, gratuita per i soci AGA, dà diritto a n. 3 crediti formativi.

giovedì 24 maggio 2012

SOPPRIMERE I MINI-TRIBUNALI NON FA RISPARMIARE


Il Presidente del CNF Guido Alpa

Il Consiglio nazionale forense ha stimato i veri risparmi derivanti
 dall'intervento sulla geografia giudiziaria annunciato dal Governo

Risparmi inferiori a quelli stimati dal Governo, ulteriore perdita di efficienza del servizio giustizia ed elevati costi a carico della collettività, in termini non solo di minor tutela dei diritti ma anche di maggiori esborsi per accedere al servizio giustizia.
È l’allarme che l’Avvocatura rimette al Governo, dopo aver raccolto dati e incrociato cifre e numeri.
“Fin da quando è stata approvata la Manovra che ha conferito la delega al Governo per la revisione della geografia giudiziaria, il Cnf ha sostenuto la necessità che i cittadini possano usufruire di una giustizia di prossimità efficiente e razionale e ha sempre rilevato che per affrontare una questione così importante è necessario disporre di tutti i dati e i numeri utili - dichiara il presidente del Cnf Guido Alpa (nella foto). E i risultati ai quali è giunta la commissione interna all’uopo istituita conferma la bontà del nostro approccio. La giurisdizione costituisce una componente irrinunciabile di ogni sistema democratico. Tramite essa si realizzano almeno due diritti costituzionali: quello alla difesa e quello all’uguaglianza. I diritti dei cittadini non sono merce e l’auspicato obiettivo della corretta allocazione delle risorse e dell’efficienza, che l’avvocatura condivide, deve tener conto dei costi gravi di una riduzione della loro tutela”.
Il calcolo dei costi del Cnf
L’allarme lanciato dall’Avvocatura parte da uno studio complesso sui flussi dei procedimenti giudiziari e sui costi (raccolti direttamente sul territorio dalle commissioni di manutenzione stante il silenzio dell’amministrazione centrale, al netto delle spese del personale) di 48 tribunali sub-provinciali sui 57 in odore di soppressione.
Lo studio è stato condotto dalla commissione del Cnf per la revisione della geografia giudiziaria, coordinata da Enrico Merli, che ha evidenziato come finora il Governo non abbia applicato al comparto della Giustizia i criteri della spending review previsti dalla legge di Stabilità (n.98 del 2011). Inoltre il Governo, rileva il Cnf, si accinge a operare "tagli trasversali" senza aver prima determinato i costi standard e i fabbisogni standard nella Giustizia,come invece è avvenuto nella Sanità e in altri settori della Pubblica Amministrazione.
Dall’incrocio dei dati è emerso che:
a) Risparmi reali. Contro gli 80 milioni di risparmio stimati dal ministero della giustizia, a fronte della eventuale chiusura di 48 tribunali sub-provinciali (su 57 in totale) e 160 sezione distaccate, il risparmio reale sarebbe di poco più di 41 milioni, (sommando i circa 25 milioni di euro derivanti dalla soppressione di 48 tribunali ed i circa 16milioni derivanti dalla soppressione delle sezioni distaccata).
Governo = -80 milioni euro Cnf= -41 milioni di euro
Volendo calcolare il risparmio relativo alla chiusura dei 37 tribunali, individuati applicando i criteri legislativi previsti dalla delega n. 148/2011, il risparmio sarebbe di 17 milioni, al quale andrebbero sommati i circa 16 milioni relativi alle 160 sezioni distaccate, per un totale di circa 33milioni di euro (37 tribunali+ 160 sezioni distaccate); cifra sempre ben lontana dalla stime governative.
b) Efficienza reale. Sia in materia civile che in materia penale i procedimenti esauriti nei 48 tribunali sono superiori a quelli sopravvenuti.
Civili sopravvenuti: 209.181           Civili esauriti: 213.481
Penali sopravvenuti: 276.160         Penali esauriti: 281.050
c) Costi trascurati. Nei calcoli, il ministero ha OMESSO di conteggiare gli investimenti che servirebbero per garantire il passaggio di personale e attività ai tribunali provinciali.
Uno studio condotto sulle 4 sezioni distaccate del tribunale di Trento ha fatto anche emergere che: a fronte di un costo attuale-strutturale di 90mila euro (dunque di possibile risparmio) la collettività (cittadini e personale giudiziario) spenderebbe 2milioni446mila920 euro (in termini di spostamenti). L’impatto ambientale, calcolato in emissione di Co2 derivanti dagli spostamenti necessarie per raggiungere la sede provinciale, sarebbe di circa 700mila Kilogrammi di anidride carbonica.
Il Cnf peraltro ha iniziato una grande campagna di mobilitazione sul territorio e di comunicazione su questo delicatissimo tema, recandosi in alcune sedi emblematiche per raccogliere le testimonianze degli interessati al fine di realizzare alcuni video che saranno pubblicati sul sito www.consiglionazionaleforense.it.
Mobilitazione che culminerà in un evento nazionale per rappresentare ai massimi vertici istituzionali il lavoro dell’Avvocatura. Rientra in questo impegno istituzionale, volto a sensibilizzare l’Esecutivo su alcune scelte che, pur dettate da pressanti esigenze di natura economica, rischiano di trasformarsi in un costo pesante per la collettività, la tutela dei diritti e anche per l’efficienza dello stesso servizio Giustizia, il Protocollo siglato con l’Associazione nazionale dei Comuni.

(Da Mondoprofessioniosti del 24.5.2012)

Fisco: impugnabili avvisi e comunicazioni bonarie


Cass. Civ. Sez. Tributaria, sent. 11.5.2012 n° 7344

L’elenco degli atti che possono essere impugnati in commissione tributaria non è più esaustivo.
Il contribuente ha la possibilità di contestare qualsiasi decisione della pubblica amministrazione, che abbia risvolti fiscali; come, ad esempio, la comunicazione di irregolarità.
Così hanno precisato i giudici della Cassazione, nella sezione tributaria, con la sentenza 11 maggio 2012, n. 7344.
L’Agenzia delle Entrate aveva, invece, già espresso il principio secondo cui gli avvisi bonari non sono impugnabili, in quanto (cfr. Risoluzione n. 110/E del 22 ottobre 2010) non contengono una pretesa tributaria definita, ma sono solo un semplice invito a fornire chiarimenti in via preventiva.
Come già precedente giurisprudenza sul tema aveva evidenziato (cfr. Cass. 21045/2007) l’elencazione degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario non esclude l’impugnabilità di atti non compresi nel novero ma, comunque, contenenti la manifestazione di una compiuta pretesa tributaria.
Nella fattispecie in commento la Cassazione ha dato ragione ad una banca cui era stata notificata una comunicazione di irregolarità concernente l’imposta regionale sulle attività produttive; l’istituto aveva, quindi, impugnato l’atto, ma la commissione tributaria (provinciale e regionale) aveva ritenuto l’azione inammissibile, poiché “quel tipo di attività del fisco non è contenuta nell'elenco contenuto nell'articolo 19 D. Lgs. 546/1992”.
Tale tesi, però, è stata puntualmente smentita dai giudici di legittimità, secondo cui sono “ricorribili” tutti gli atti che portano nella sfera di conoscenza del contribuente una pretesa fiscale.

(Da Altalex del 24.5.2012. Nota di Manuela Rinaldi)

Aumenta contributo unificato per il fallimento


Circolare Ministero Giustizia 11.5.2012 n° 10

Il contributo unificato sui decreti ingiuntivi in materia di lavoro, previdenza, assistenza e pubblico impiego è ridotto della metà.
E' quanto chiarisce la Circolare 11 maggio 2012, n. 11 con la quale il Ministero della Giustizia fornisce alcune indicazioni in merito alle modifiche introdotte dall'articolo 37, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111) e dall'articolo 28, Legge 12 novembre 2011, n. 183.
Il provvedimento spiega inoltre che nel caso del fallimento lo stesso contributo aumenta del 50%.
Il contributo unificato è dovuto nei procedimenti di opposizione all’esecuzione ed in quelli di opposizione agli atti esecutivi relativi ai giudizi di lavoro.
Non è invece dovuto per i procedimenti relativi a:
esecuzione immobiliare e mobiliare delle sentenze o ordinanze emesse nei giudizi di lavoro;
recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure fallimentari;
concordato preventivo;
liquidazione coatta amministrativa.
Per tutti i procedimenti di cui all'articolo 9,comma 1-bis, DPR 115/2002 non è dovuto l’anticipo forfettizzato di 8 euro stante l'espressa previsione normativa dell'articolo 30 del Testo unico sulle spese di giustizia.

(Da Altalex del 23.5.2012)

Tamponamento con torto


Come può un automobilista tutelarsi se il danneggiato si reca al pronto soccorso il giorno dopo il sinistro stradale?
Il caso
Come può un automobilista tutelarsi nell’ipotesi in cui dopo aver tamponato – a torto - un’altra vettura scopre che nei giorni seguenti la passeggera che affiancava il conducente, sentitasi poi male, avrebbe avuto bisogno delle cure del pronto soccorso? Può trattarsi di un tentativo finalizzato a "recuperare" un pò di soldi dall’assicurazione del danneggiante?
La soluzione
L'evento occorso è piuttosto frequente in Italia. Statistiche alla mano siamo il Paese in Europa che ha la più alta frequenza di sinistri stradali con lesioni (e non quindi con solo danni ai veicoli) e l'incidenza delle patologie al rachide cervicale, tipica del tamponamento, vanta numeri molto elevati. Non si può escludere che - anche in presenza di un urto lieve - l'energia cinetica sprigionata possa determinare una distorsione anche lieve che, sul piano medico, determinerà la valutazione di postumi molto modesti (di solito nell'ordine massimo del 3%).
Ovviamente anche in queste cose si vede la civiltà delle persone. Si dovrebbe comprendere che i maggiori costi sulle liquidazioni dei sinistri stradali si riversano poi direttamente sull'incremento dei premi assicurativi che ogni anno si registrano e che quindi globalmente si genera un danno per la collettività.

(Da avvocati.it del 22.5.2012)