venerdì 30 gennaio 2015

Il Cdm approva il riordino della difesa d’ufficio

Unificato l'albo dei difensori, che diventa nazionale
Il Consiglio dei ministri si è riunito in serata, dopo il primo scrutinio per l'elezione del presidente, e ha dato il via libera definitivo al riordino della difesa d'ufficio, approvando il relativo decreto legislativo. Un ulteriore tassello per il completamento della "nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", si legge nel comunicato finale del cdm. E' prevista l'unificazione dell'elenco dei difensori d'ufficio (ora tenuto presso ciascun consiglio dell'ordine circondariale) su base nazionale, attribuendo al Consiglio nazionale forense la competenza sulle iscrizioni e sul periodico aggiornamento.
Per assicurare la qualificazione professionale, sono poi previsti criteri più rigorosi per l'iscrizione, richiedendo che i corsi di aggiornamento abbiano un'adeguata durata e un esame finale. Inoltre - tra l'altro - è elevata a cinque anni la pregressa esperienza professionale in materia penale richiesta per l'iscrizione ed è stabilito, quale ulteriore alternativa, il titolo di specialista in diritto penale, la cui regolamentazione è in via di completamento.
In via transitoria si prevede che i professionisti attualmente iscritti agli elenchi tenuti dai consigli dell'ordine siano iscritti automaticamente all'elenco nazionale con l'onere di dimostrare, alla scadenza del periodo di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, la presenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina per il mantenimento dell'iscrizione. Il testo è tornato all'esame del Consiglio dei Ministri dopo aver acquisito i pareri delle competenti commissioni parlamentari (Giustizia e Bilancio) di Camera e Senato e averne recepito le condizioni.

repubblica.it (da oua.it del 30.1.2015)

giovedì 29 gennaio 2015

La vera paura dei magistrati: il divieto di fare consulenze

Altro che battaglia per le ferie, le toghe insorgono
per il decreto Madia che vieta incarichi retribuiti
dopo la pensione (abbassata a 70 anni)

Aspiranti stakanovisti a oltranza, altro che cacciatori di ferie. Dietro la protesta anti-Renzi della magistratura nostrana, andata in scena in tutta Italia in occasione dell` inaugurazione dell`anno giudiziario, più che il «taglio» ai giorni di vacanza che spettano alle toghe potrebbero esserci le novità che riguardano i giudici introdotte dal governo con la conversione in legge del dl Madia sulla pubblica amministrazione.

In particolare, a seminare il panico e a scatenare la reazione della corporazione giudiziaria col «paravento» della polemica sul taglio delle ferie che fa «morire di lavoro» (come ha detto il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena), sono alcune norme che, al contrario, forzano centinaia di magistrati a levarsi la toga e girare i pollici, loro malgrado.

La prima è quella che costringe i giudici giunti all`età della pensione (scesa da 75 a 70 anni) a non poter più ricevere «incarichi di studio e di consulenza» nella pubblica amministrazione se non a titolo oneroso. Gli unici incarichi ancora consentiti per chi è in quiescenza sono quelli a titolo gratuito, ma anche qui la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile.

Il dl poi, occupandosi del «ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni», ha anche abrogato le norme che consentivano i «trattenimenti in servizio» dei dipendenti pubblici a far data dal 31 ottobre scorso.

Qui l` esecutivo sembra aver avuto un occhio di riguardo per i magistrati, e ha previsto per loro una temporanea eccezione «al fine di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari» che permette alle toghe - purché già in possesso dei requisiti per restare in servizio al momento del- l`entrata in vigore del decreto una deroga di 14 mesi, fino al 31 dicembre prossimo. Di fatto, però, la riforma targata Madia vara una rottamazione di massa per un gran numero di magistrati quattrocento a fine anno, un altro migliaio entro il 2018 - molti dei quali oggi occupano posizioni di vertice, e tra questi diversi che si sono distinti per le critiche contro l`esecutivo di Matteo Renzi.

Tra i nomi di chi si prepara a lasciare l`ufficio c`è lo stesso Maddalena, insieme a un’altra dozzina di procuratori generali dal nord al sud del Paese. Ma anche il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, e con lui una ventina di altri pro curatori della Repubblica e una quindicina di presidenti di Corte d`Appello (tra i quali il milanese Giovanni Canzio), oltre a quasi tutti i vertici della Cassazione, compreso il giudice che due anni fa condannò definitivamente Berlusconi, Antonio Esposito. Insomma, un vero, radicale «ricambio generazionale» che spiazza le ambizioni di molti e spedisce in pensione buona parte dei protagonisti attuali del sistema giustizia italiano. Una rivoluzione che fa tremare l`Anm perché apre le porte a centinaia di giovani magistrati, e prevede giocoforza un turnover sulle poltrone che contano che cambierà, profondamente, equilibri «politici» e giochi di correnti.

Anche perché a guidare il delicatissimo quanto massiccio avvicendamento, gestendo la girandola di nomine, sarà il Consiglio superiore della magistratura. Al cui vertice dallo scorso settembre siede Giovanni Legnini, che fino all`autunno era stato sottosegretario all`Economia nel governo Renzi. E che lunedì, chiamato a dire la sua su Mix24 di Giovanni Minoli a proposito dello «sconto» tra Maddalena e il premier, si è schierato con quest`ultimo: «Giudico quella frase sbagliata, perché questo tema delle ferie è stato enfatizzato». Già. Il problema delle toghe, forse, non è ammazzarsi di lavoro . Ma piuttosto essere costretti al riposo.


Massimo Malpica – Il Giornale (da oua.it del 29.1.2015)  

mercoledì 28 gennaio 2015

Giustizia lenta, un salasso

Nell'ultimo anno sono raddoppiati
i procedimenti: da 2.700 a 5.253
Il debito Pinto sfora i 400 milioni di euro

Il debito Pinto, maturato per l'eccessiva lentezza dei processi, sfora quota 400 milioni di euro. E per ogni condanna il ministero della giustizia si trova a pagare, di prassi, più del doppio di quanto stabilito dall'autorità giudiziaria, a causa degli ulteriori filoni di contenzioso che si moltiplicano: procedure esecutive, giudizi di ottemperanza, ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Basti pensare che i soli ricorsi al giudice amministrativo per i giudizi di ottemperanza in materia di legge Pinto, nell'ultimo anno, sono raddoppiati: passando dai 2.700 del 2013 ai 5.253 registrati al 15 novembre 2014. Sono gli ultimi, allarmanti dati resi noti dal ministero della giustizia in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015 sul capitolo legge Pinto, da anni ormai tallone d'Achille dell'Amministrazione. E non ha dato frutti neanche l'intervento normativo contenuto nel dl n. 35/2013, che si prefiggeva appunto il contenimento delle procedure esecutive.

Entriamo nel dettaglio. La materia dei ritardi della giustizia ordinaria, si legge nella relazione di via Arenula, costituisce la gran parte del contenzioso seguito dalla Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani. Il prioritario obiettivo dell'amministrazione, quindi, dovrebbe essere l'eliminazione delle condanne, per la sua incidenza sia sulle casse dello stato, sia sulla valutazione di efficienza e affidabilità. Ma il principale problema che affligge la Direzione generale resta quello delle procedure di pagamento delle condanne: l'alto numero di condanne e i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, unitamente al mancato ricorso allo speciale ordine di pagamento c.d. «in conto sospeso», hanno comportato, secondo il ministero, un forte accumulo di arretrato del debito ex legge Pinto ancora da pagare, che a metà anno 2014 ammontava a oltre 400 milioni di euro. I ritardi nei pagamenti degli indennizzi, inoltre, hanno portato, come detto alla creazione di ulteriori filoni di contenzioso in costante aumento, con l'aggravio di spese anche molto consistenti. Se poi la novella contenuta nel dl n. 35/2013 «non ha prodotto i risultati sperati», nel 2013 si è potuto, tuttavia, «stimare l'utilità, in termini di risparmio per l'Erario, della circolare varata nel gennaio 2013 dalla Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, volta a contenere i costi dei giudizi di ottemperanza, attraverso il pagamento di quanto ancora dovuto dall'Amministrazione nelle more del giudizio». In pratica, rispetto a una condanna alle spese di lite mediamente di 500 euro, con il pagamento in corso di giudizio l'Amministrazione ha ottenuto una contrazione della condanna alle spese pari a 180 euro di media. Per fronteggiare questa situazione, continua la relazione, il ministero ha presentato, nell'aprile 2014, un progetto volto al rientro del debito Pinto, «la cui realizzazione appare un obiettivo non più rinviabile, considerato soprattutto l'impatto che il suddetto debito ha sul numero dei ricorsi pendenti contro l'Italia a Strasburgo».

In questo quadro si sono iscritti, inoltre, circa mille ricorsi proposti alla Corte Edu per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi da parte del ministero della giustizia, che avrebbero comportato ulteriori esborsi a carico dello Stato per porre fine al contenzioso. Per essi, il ministero ha elaborato un Piano di rientro da attuarsi entro fine 2014, che è stato realizzato «e costituisce un risultato molto importante sia in termini di risparmio per l'Erario sia in termini di immagine dello Stato, che vedrà notevolmente contratte le sue pendenze presso la Corte Edu». 

Gabriele Ventura – Italia Oggi (da oua.it del 28.1.2015)

martedì 27 gennaio 2015

Preliminare, nullità clausola invalida intero contratto?

Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 23950 del 10.11.2014

Nullità della clausola apposta al preliminare: invalidità dell’intero contratto?

La S.C. tra il principio di conservazione del contratto e quello della valorizzazione della comune intenzione delle parti opta per quest'ultimo.

Il principio di conservazione del negozio giuridico va contemperato con quello, più generale, dell'autonomia privata e della prevalenza della comune volontà delle parti. In particolare, al fine di stabilire se la nullità di una clausola contrattuale importi la nullità dell'intero contratto, ovvero sia applicabile il principio utile per inutile non vitiatur, la scindibilità del contenuto del contratto deve essere accertata soprattutto attraverso la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all'ipotesi che nel contratto non fosse stata inserita la clausola nulla. Occorre, dunque, considerare gli strumenti negoziali prescelti dalle parti in funzione dell’interesse in concreto perseguito dalle stesse.



Commento di Daniele Minussi

Nel caso di specie veniva in considerazione un contratto preliminare di vendita immobiliare nel quale era prevista una clausola integrante patto commissorio (specificamente introducendo una dinamica per cui, a garanzia dell'adempimento dell'obbligazione di facere consistente nell'esecuzione di opere di urbanizzazione, l'impresa si vincolava a rilasciare accordi preliminari di vendita già integralmente quietanzati in riferimento ad immobili si sua proprietà). Nulla soltanto la clausola o nullo tutto il contratto? E' chiaro che il ricorso al criterio oggettivo relativo al la enunciazione del principio di conservazione del contratto (utilizzato dalla Corte d'Appello) viene a penalizzare l'intento pratico dei contraenti, con speciale riferimento a quello tra i due che aveva ritenuto (sia pure illegittimamente) di munirsi di una garanzia di tipo "reale" per il tramite della clausola nulla. Ecco perché la S.C. perviene ad esito interpretativo radicalmente difforme, valorizzando il principio cardine di ermeneutica negoziale costituito dalla ricostruzione della "comune volontà" dei contraenti.


(Da e-glossa.it del 27.1.2015)

Addebito separazione per marito autoritario e intollerante

Cass. Civ. sent. 19.1.2015 n. 753

Anche i comportamenti intolleranti e prevaricatori in un rapporto di coppia, tali da limitare la libertà d’opinione dell’altro e comunque il rispetto reciproco tra i due coniugi hanno rilievo ai fini dell’addebito della separazione.

Con questo principio, la prima sezione civile della Cassazione con sentenza n. 753 del 19 gennaio 2015, ha messo la parola fine alla vicenda di due coniugi, confermando l’addebito della separazione, attribuito dalla Corte d’Appello di Trento, al marito, per aver limitato, con carattere autoritario e intollerante, “la libertà di decisione della moglie” e qualsiasi contestazione, “al punto che, ai tentativi della donna di esprimere la propria opinione, egli reagiva con offese, attacchi d'ira e violenza, tenendo un comportamento che, nonostante la terapia di coppia cui i due coniugi si erano sottoposti, non aveva voluto mutare”.

Condividendo quanto affermato dalla corte territoriale, la S.C. ha considerato prive di rilievo le doglianze dell’uomo che lamentava la mancanza di rilevanza causale delle condotte contestate rispetto all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, avvenute in epoca successiva al manifestarsi della crisi coniugale e alla stessa decisione della donna di separarsi, nonché la mancanza di valutazione della sua condotta quale “marito e padre presente e attento alle esigenze della famiglia e dei figli”.

Si tratta, invero, di doglianze che, per i giudici del palazzaccio, non colgono nel segno. La corte di merito, infatti,  ha valutato tutti gli episodi contestati, non quale fonte dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza ma quali “indici del comportamento prevaricatore del ricorrente”, considerando inoltre l’atteggiamento positivo nei confronti dei figli generico ed estraneo al thema decidendum giacchè non avente rilievo rispetto alle ragioni della crisi del rapporto con la moglie.

Dalle risultanze di causa, infatti, ha concluso la Cassazione rigettando il ricorso, non sono state registrate soltanto delle mere diversità caratteriali tra i coniugi, ma un comportamento prevaricatore dell’uomo, “assolutamente incompatibile con il fondamento comunitario della vita familiare, giacché un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ed alle richieste dell'altro coniuge, eccessivamente rigido, può tradursi, nella violazione dell'obbligo, nei confronti dell’altro coniuge, di concordare l'indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e dolore per il medesimo, nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall'art. 143 c.c.”.


Marina Crisafi (da studiocataldi.it del 26.1.2015)

L’Ordine può richiedere risarcimento per l’avvocato minacciato

Cass. Sez. I Pen., Sent. 12.1.2015, n. 864

In questa recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’Ordine degli Avvocati può richiedere e ottenere il risarcimento del danno se un professionista riceve intimidazioni e minacce per l’esercizio della sua attività, in quanto questa è strettamente connessa al diritto di difesa, che gode di tutela costituzionale all’articolo 24.
Nel caso di specie, il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Napoli dichiarava due soggetti responsabili, in concorso tra loro, dell’omicidio di un terzo, in seguito ad un accordo stipulato con il reale mandante dell’omicidio di porto e detenzione dell’arma comune da sparo utilizzata per commettere l’omicidio; uno di questi, infine, dell’incendio dello studio professionale di un avvocato.
L’incendio, in particolare, aveva riguardato lo studio professionale dell’avvocato, ritenuto responsabile di aver creato problemi al mandante dell’omicidio compiuto dai due imputati, per alcuni abusi edilizi da questi realizzati sul terrazzo della sua abitazione: il legale in un procedimento penale aveva difeso un ufficiale di polizia giudiziaria, denunciato dal mandante dell’omicidio, per violenza privata commessa nel contesto dell’accertamento dei reati edilizi.
In relazione al rigetto della domanda risarcitoria presentata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, il giudice osservava che la legittimazione dell’ordine professionale sussisteva solo quando fosse derivato un danno patrimoniale, proprio di detto Ordine, e non quando si trattasse di difendere gli interessi morali della categoria. I danni patrimoniali subiti dal singolo professionista, in conseguenza di incarichi professionali ricevuti, non si riverberavano sull’ordine professionale cui lo stesso era iscritto.
La sentenza di primo grado è stata impugnata da più parti e, in particolare, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
Il difensore del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli ha chiesto la condanna degli imputati al risarcimento dei danni, evidenziando che l’avvocato era stato vittima dell’azione incendiaria a scopo intimidatorio, per impedirgli l’esercizio del diritto di difesa. L’Ordine, in quanto organismo giuridico pubblico rappresentante dell’insieme degli avvocati di uno stesso Foro, era titolare, unitamente al singolo, del diritto di difesa e la lesione o messa in pericolo di tale diritto legittimava l’azione risarcitoria.
Con l’impugnata sentenza la Corte di assise di appello di Napoli rigettava tutti i gravami ad eccezione di quello del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, in accoglimento del quale condannava l’autore del reato al risarcimento dei danni in favore del predetto Ordine, da liquidarsi in separato giudizio. Riteneva in proposito che il Consiglio era legittimato all’azione civile in quanto danneggiato dal reato. Il diritto all’esercizio della funzione difensiva andava riconosciuto anche all’Ordine di appartenenza in considerazione della natura pubblica dell’ente al quale il professionista era iscritto. Il comportamento illecito realizzato dall’imputato era stato diretto a limitare il diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto ed aveva pertanto leso anche l’Ordine di appartenenza del soggetto passivo del reato.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale di Napoli e l’imputato.
Il Procuratore generale deduceva che nel processo si era costituito il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, da ritenersi non legittimato in quanto la legittimazione all’esercizio dell’azione civile competeva all’Ordine professionale. Inoltre, in assenza di danno patrimoniale gli Ordini professionali non erano abilitati a costituirsi parte civile per la tutela di interessi morali della categoria.
La Corte di Cassazione ha ritenuto non censurabile la legittimazione dell’Ordine de quo a costituirsi parte civile per richiedere il risarcimento di un danno non patrimoniale dallo stesso subito. La giurisprudenza di legittimità, sul presupposto che danno ingiusto è quello che deriva dalla lesione di un interesse tutelato in via diretta ed immediata dall’ordinamento, e cioè dalla lesione di un diritto soggettivo, ha affermato che “è indubbio che anche il danneggiato del reato, a norma del combinato disposto dell’articolo 185 del Codice Penale, e articolo 74 del Codice di Procedura Penale, sia legittimato a proporre la azione civile nel processo penale per il risarcimento del danno da lui riportato, indipendentemente dalle azioni proposte o proponibili dalla persona offesa del reato, che restano autonome”.
Ha anche statuito che: “in una prospettiva notevolmente ampliativa dell’area del danno risarcibile, negli ultimi tempi si è affermata la tesi secondo cui l’articolo 2043 del Codice Civile, racchiude in sé una clausola generale di responsabilità e che ormai il danno ingiusto può identificarsi in un danno lesivo di una situazione soggettiva giuridicamente protetta, alla quale cioè l’ordinamento, a prescindere della qualificazione formale in termini di diritto soggettivo, ha attribuito rilevanza. Ad avviso del Collegio, la legittimazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ad intervenire in giudizio a tutela delle posizioni soggettive proprie deriva in via immediata dall’articolo 24 della Costituzione, che sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa, cui si correla direttamente la libertà nell’esercizio del mandato difensivo del difensore: per l’ovvia ragione che un difensore minacciato o intimidito non può garantire la pienezza della difesa dell’assistito. La Legge n. 242 del 2012, sancisce il principio che “l’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta .... b) garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti”. La libertà dei singoli avvocati è assicurata dagli Ordini di appartenenza e la lesione al diritto del singolo lede anche quello dell’organismo associativo”.

(Da filodiritto.com del 23.1.2015)

lunedì 26 gennaio 2015

ELEZIONI ORDINE DAL 26 AL 28 FEBBRAIO

ELEZIONI CONSIGLIO ORDINE FORENSE
QUADRIENNIO 2015-2018


L’assemblea degli iscritti negli albi professionali è convocata nei giorni 26 e 27 febbraio 2015 dalle ore 8 alle ore 17 ed il giorno 28 febbraio 2015 dalle ore 8 alle ore 13 presso la Biblioteca “Avv. Nino Magnano di San Lio” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania per procedere alla elezione dei 25 componenti il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per il quadriennio 2015 – 2018. Il numero minimo dei seggi da assicurare al genere meno rappresentato deve corrispondere almeno ad un terzo dei consiglieri da eleggere, arrotondato per difetto all’unità.

Ai sensi dell’art. 6 del Regolamento approvato con D.M. 170/2014:

1. Gli avvocati possono presentare le candidature sia individualmente che attraverso la partecipazione ad una lista. La candidatura all’interno di una lista comporta anche quella a titolo individuale.

2. Le candidature, individuali o di lista, possono essere presentate, a pena di irricevibilità, sino alle ore dodici del decimo giorno antecedente a quello fissato per l’inizio delle operazioni di voto mediante deposito presso il Consiglio dell’Ordine di dichiarazione sottoscritta dall’interessato e resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

3. La presentazione di una lista può essere effettuata da un avvocato a ciò delegato a condizione che essa risulti sottoscritta da tutti i suoi componenti.

Per partecipare alle votazioni è necessario esibire un documento di riconoscimento.


Catania, 20/01/2015

Il Consigliere Segretario                                                      Il Presidente
    Avv. Diego Geraci                                         Avv. Maurizio Magnano di San Lio

domenica 25 gennaio 2015

Le mani in tasca ai malati

Corte dei Conti, sent. n. 33/2015

I giudici contabili l’hanno definita “la corsa alla corrispondenza riparatrice”, i comuni cittadini la chiamano più semplicemente “scaricabarile”. E’ l’arte – se così possiamo dire – di addossare ad altri uffici la colpa dell’inerzia del proprio, mettendo nero su bianco il “parere contrario” ma lasciando però che le cose continuino nel solito modo, il che nella maggior parte dei casi rappresenta una danno per le casse pubbliche – cioè per le tasche dei cittadini – quando non arrivi direttamente a intaccare il loro portafogli.

E’ un vizio tutto italiano, al pari di quello di fare i furbi e magari avere un doppio lavoro; ma intendiamoci, non di quelli che si fanno per sbarcare il lunario, ma che invece alcuni medici utilizzano per lucrare sia sui pazienti che sullo Stato, mandando così definitivamente in tilt le casse pubbliche e rovinando, peraltro, anche l’immagine stessa del settore che invece è pieno di dottori volenterosi e irreprensibili. Ma non tutti sono così.

L’ultima condanna della Corte dei Conti (sentenza 33/2015) in questo senso risale ad appena qualche giorno fa, depositata il 15 gennaio scorso. Nel mirino una Asl del Lazio – quella di Frosinone – ma i magistrati hanno chiarito che è un vizio non esclusivo, purtroppo, di questa regione. In sostanza, per dieci anni – nonostante tutte le direttive nazionali e regionali imponessero un contenimento della spesa sanitaria – il blocco delle ore all’interno delle strutture non ha portato a una riorganizzazione del settore ma ad un continuo utilizzo degli straordinari, ovviamente super pagati , per mantenere gli standard di servizio all’utente. Si dirà: era necessario per garantire i malati. La risposta la dà direttamente la Corte dei Conti: “Si è assistito ad una completa inerzia operativa e ad una contrapposta cospicua e infruttuosa corrispondenza tra la Ausl di Frosinone e la Regione Lazio (oltre a quella tra i vertici interni dell’Azienda) alla quale si vorrebbe attribuire valenza di esimente dalle responsabilità alla luce dei vincoli che il Piano di rientro del disavanzo imponeva”.

Si è così protratto negli anni, in presenza di un’obiettiva carenza di personale prevalentemente medico, l’automatico ricorso all’acquisto di prestazioni aggiuntive che avrebbe dovuto essere straordinario e temporaneo e che invece era diventato uno strumento normale per superare ogni esigenza di soddisfazione della domanda sanitaria. Per dirla in parole povere, sarebbe stato più conveniente fare assunzioni a tempo indeterminato che pagare quegli straordinari. E’ uno di quei casi in cui la necessità di diminuire la spesa (peraltro figlia anch’essa degli sprechi degli anni precedenti) viene usata come scusa per “proteggere” una certa casta, facendosi favori reciproci. Per i giudici infatti “i dirigenti, funzionari e amministratori pubblici della Asl le hanno (le prestazioni straordinarie, ndr) tacitamente autorizzate nonché i funzionari della Regione Lazio hanno avallato tutto anche mediante il silenzio-assenso”.

Nella sanità malata capita però anche altro. Come il caso del direttore del Dipartimento medicina procreazione ed età evolutiva dell’Università di Pisa, che pur avendo un incarico di prestigio nella sanità pubblica visitava i pazienti privatamente, in assenza di autorizzazione a volte presso Centri di Cura d’eccellenza a Cagliari piuttosto che Roma, o anche presso studi medici di colleghi compiacenti, incassando direttamente i relativi proventi in violazione dell’art. 8 del regolamento emanato dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana per la disciplina dell’attività libero-professionale intramuraria. Tanto per non farsi mancare nulla, pur avendo riportato sul cartellino presenze il giustificativo “congresso”, svolgeva anche attività professionale privata o comunque non si trovava impegnato in attività di congressi o convegni.

Sia nel primo episodio che nel secondo la Corte dei Conti ha scovato l’arcano e ha condannato i medici coinvolti al risarcimento di circa 150 mila euro per caso. Ma è solo la punta dell’iceberg. Quanti furbi proseguono non visti a lucrare sulle spalle dei pazienti? Quanti contravvengono alle regole? Chi li controlla? Va modificata la cultura, iniziando a inculcare l’onestà dalle scuole (dovrebbe essere lapalissiano, ma così non è), per non dover ancora per troppi anni rincorrere gli sprechi con le sirene delle forze dell’ordine accese. In queste storie simbolo di un’Italia che deve assolutamente cambiare passo restano mille domande irrisolte. Una sola certezza: a pagare, in tutti i sensi, sono sempre e solo i cittadini.


Angelo Perfetti (da interris.it del 25.1.2015)

venerdì 23 gennaio 2015

200 € per due figli sono pochi: scatta il penale

Cass. pen. 1788/2015

Il genitore che versa un mantenimento per i figli esiguo (200 euro per due figli nel caso di specie) commette reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Non rileva che l’onerato affermi di avere delle difficoltà economiche (peraltro senza provarle in concreto), avendo comunque l'obbligo giuridico di attivarsi per trovare un lavoro, nel caso sia disoccupato. La condotta può essere scriminata solo se sussiste un vero e proprio «stato di necessità».

Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 1788, depositata il 15/1/2015, respingendo il ricorso di un padre contro la condanna a sei mesi di carcere e a pagare 600 euro di multa dalla Corte d'appello di Catania perché colpevole del reato previsto dall'articolo 570 c.p.

Secondo l’uomo, il reato non sussisteva poiché l’ex moglie non si trovava in stato di bisogno e le sue condizioni economiche non erano cambiate nel corso della separazione. Inoltre, il padre, nei momenti di minore difficoltà, aveva versato più di quanto statuito dal giudice della separazione, il che dimostrava di fatto la «natura non dolosa dell'inadempimento quando si era verificato».

La Cassazione ritiene tuttavia che il padre, nel periodo di riferimento, «si è limitato a versare solo 200 euro al mese per il mantenimento dei due figli minori, somma chiaramente insufficiente, sia per quanto dimostrato essere stato speso dalla moglie, per fronteggiare spese documentate nel medesimo periodo, sia per quanto indirettamente si desume dalla quantificazione dell'assegno nella misura di 350 euro, ad opera del giudice, in epoca successiva». Con particolare riferimento a quest'ultimo aspetto si deve evidenziare che, «la presenza di due figli minori, il cui stato di bisogno si presume, rende inidoneo a escludere il reato l'accertamento della presenza di difficoltà economiche in capo all'obbligato, che ha l'obbligo giuridico di attivarsi, anche ove sia privo di occupazione, potendo la sua condotta inadempiente essere scriminata solo dallo stato di necessità».


Valeria Mazzotta (da personaedanno.it del 16.1.2015)

giovedì 22 gennaio 2015

Ex moglie va mantenuta anche se si è laureata e lavora

Cass. Civ., ord. 17.11.2014, n. 24420

Cari ex mariti, poche storie: anche se la vostra ex moglie si è laureata ed ha trovato lavoro dovrete versarle il mantenimento. E' quanto afferma la Corte di Cassazione (ordinanza n. 24420/14 depositata il 17 novembre 2014) in cui i Giudici di Piazza Cavour ribadiscono che se c'è una sproporzione tra i redditi dei due ex coniugi l'assegno divorzile va riconosciuto sia pur in misura ridotta.

L'ex marito aveva proposto appello contro una sentenza del tribunale che aveva posto a suo carico un assegno di mantenimento di 150 euro da versare in favore della moglie.

L'uomo aveva contestato il fatto che la sua ex compagna si era laureata in scienze naturali ed era stata assunta presso un Bio Parco dove percepiva una retribuzione di circa 1.300 euro mensili, a cui andavano a sommarsi anche gli assegni familiari.

La donna inoltre aveva anche la possibilità di utilizzare un appartamento che gli era stato messo a disposizione dai genitori mentre lui, pur godendo di un reddito mensile di € 1800, ne avrebbe dovuti spendere 450 per il canone di locazione e avrebbe anche dovuto versare il mantenimento per il figlio.

La corte d'appello, rilevata la differenza di redditi tra gli ex coniugi ha ritenuto però giustificato il riconoscimento di un assegno divorzile sia pur di modesta entità.

Nel ricorso per Cassazione l'ex marito aveva sostenuto che la disparità di reddito in realtà non vi era, dato che il suo doveva essere valutato al netto del canone di locazione e delle somme che comunque doveva versare per il mantenimento del figlio.

La Cassazione ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per tutto ciò che riguarda le contestazioni di merito mentre ha ritenuto infondati i motivi del ricorso laddove si censura la corretta applicazione dei criteri indicati dall'art. 5 della legge n. 898/1970 (legge sul divorzio) dato che, una volta accertata la disparità reddituale, anche se modesta, è possibile liquidare un assegno divorzile e non appare fondata la deduzione secondo cui dovrebbe detrarsi solo dal solo reddito del marito il contributo al mantenimento del figlio che anche la moglie sostiene.


(Da studiocataldi.it)

"Nuovo regime dei minimi, è ora di passare ai fatti!"

di Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili 

L’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili sollecita un intervento correttivo urgente alla legge di Stabilità, al fine di apportare le modifiche necessarie per rendere più equo e meno discriminatorio il “nuovo regime dei minimi”.
Nonostante l’Ungdcec avesse fornito nei mesi scorsi delle precise indicazioni al fine di migliorare il regime di favore previsto dal D.L. n. 98/2011 (il “vecchio regime dei minimi”), è costretta ad intervenire nuovamente considerato che il Governo non solo non ha ascoltato i suggerimenti proposti ma è riuscito nella diabolica impresa di danneggiare ulteriormente migliaia di giovani professionisti, tartassati e beffati dalle novità introdotte.

L’Ungdcec chiede al Presidente del Consiglio Renzi un immediato intervento volto quantomeno a ripristinare l’imposta sostitutiva al 5%, ad uniformare, per ogni settore di attività contraddistinto in base ai codici Ateco, il limite di ricavi o compensi percepibili ai fini dell’accesso e della permanenza nel regime (portandolo comunque ad un valore non inferiore a Euro 30.000), ridurre le percentuali di redditività, rendendole standard per ogni settore di attività.   

L’Ungdcec chiede, inoltre, che si ripristini anche per il 2015 l’aliquota per gli iscritti alla gestione separata Inps senza altra copertura previdenziale al 27,72%, aumentata, in spregio alla crisi, addirittura di tre punti percentuali. L’Ungdcec nel prendere atto dell’ammissione degli errori da parte del Governo, sollecita quindi un rapido intervento correttivo e ribadisce ancora una volta la necessità di un confronto continuo nell’interesse dell’intero Paese.  


(Da Mondoprofessionisti del 22.1.2015)

martedì 20 gennaio 2015

Attenzione ai siti di richiesta preventivi per prestiti

Garante Privacy, provvedimento 9.10.2014, n. 447

Un recente provvedimento del Garante ha censurato l’attività di raccolta dati di una società, esercitata tramite un sito web per l’inoltro, da parte degli interessati, di richieste di preventivi per prestiti personali.

I dati personali forniti dagli interessati attraverso la compilazione del form del sito, venivano conservati e successivamente comunicati agli intermediari abilitati ad erogare i prestiti personali.

L’informativa presente nel sito è risultata inidonea al vaglio del Garante, in quanto priva di alcune indicazioni fondamentali. L’articolo 13 del Codice Privacy, infatti, delinea chiaramente qual è lo scopo dell’informativa e quali informazioni risultano necessarie ai fini del suo raggiungimento.

La società titolare del sito, nell’informativa resa agli utenti al momento della registrazione, menzionava esclusivamente le attività di informazione (newsletter), promozionali, pubblicitarie e di studi statistici e di mercato, ma taceva in merito alle modalità con cui si sarebbero svolte, non indicava le attività di conservazione e successiva comunicazione dei dati a soggetti terzi e neanche la natura obbligatoria o meno del conferimento dei dati.

Ulteriore motivo di censura rilevato dal Garante è stato il modo di acquisizione del consenso degli utenti. Il form di raccolta dati prevedeva, infatti, un unico ed indistinto consenso a fronte delle più eterogenee finalità dichiarate nell’informativa, peraltro con il flag preinserito. Anche in questo caso emerge la non conformità al dettato del Codice Privacy, che all’articolo 23 definisce i caratteri fondamentali del consenso che deve essere espresso, libero, preventivo, informato, documentato per iscritto e specifico.

Il Garante, pertanto, riscontrate le suddette violazioni, con provvedimento n. 447 del 9 ottobre 2014, ha disposto il blocco del trattamento e ha prescritto alla società le misure necessarie da adottare ai fini dell’adeguamento dell’informativa e dell’acquisizione del consenso.


Marco Dettori (da filodiritto.com del 16.1.2015)

lunedì 19 gennaio 2015

Linea telefonica studio interrotta? Sì a risarcimento

Trib. Roma, sez. VIII, sent. 15.11.2014 n° 22789

L’interruzione improvvisa e non causata dal fruitore del servizio, della linea telefonica, ad uso affari in ragione dell’utilizzo professionale, è idonea ad arrecare danni e disagi che, pertanto, devono trovare ristoro mediante il risarcimento dei danni.

Così il Tribunale di Roma nella decisione del 15 novembre 2014.

Nella fattispecie concreta sottoposta all’attenzione del giudicante, lo stesso ha precisato che il rapporto contrattuale dedotto in giudizio tra le parti è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione a prestazioni corrispettive ed efficacia obbligatoria.

Gli obblighi nascenti da tale tipo di rapporto impongono, di conseguenza, ogni forma di assistenza, correttezza e diligenza alla luce (costituzionalmente orientata) degli artt. 1175, 1375 e 1176, comma 2, c.c.

Già altri precedenti sul tema (cfr. Tribunale Brindisi, sez. Ostuni, sentenza 30 dicembre 2011) avevano precisato che la sospensione del servizio in assenza di congruo preavviso è affetta da illiceità; pertanto, in ragione dell’uso professionale della linea telefonica deve ritenersi, in applicazione di una regola di esperienza di difficile smentita, che l’interruzione improvvisa della medesima sia idonea ad arrecare disagi e danni.

In ragione dell’uso professionale e sistematico della linea il Giudice, nella menzionata decisione del 2011, ha argomentato che “deve ritenersi, in applicazione di una regola di esperienza di difficile smentita, che l’interruzione improvvisa della linea telefonica (…) sia stata idonea ad arrecare disagi e danni all’attore”.

In particolare, nel caso in esame il Giudice identifica: il danno emergente nelle spese relative alla divulgazione del nuovo recapito telefonico; il lucro cessante nella perdita di clientela per l’impossibilità di ricevere le prenotazione mediante l’uso del mezzo telefonico.

Nella decisione che si commenta del Tribunale di Roma del 15 novembre 2014 il Giudice ha, altresì, rilevato che, all’esito delle risultanze istruttorie, è stata provata l’inadempienza contrattuale da parte del gestore del servizio telefonico, per non avere assicurato la regolare fruizione del servizio stesso, alle condizioni contrattuali concordate.

Da ciò ne consegue il pagamento da parte della società telefonica dell’indennizzo (in favore dell’attore) proporzionato al disservizio subito.

Tutto ciò da calcolarsi in base alle condizioni generali di abbonamento.

Il giudice precisa, inoltre, che per quanto concerne il profilo del danno non patrimoniale non è stato provato alcun pregiudizio esistenziale idoneo a superare la soglia di sufficiente gravità e compromissione della sfera personale (come individuata dalle Sezioni Unite con le sentenze gemelle del 2008), quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale.


(Da Altalex del 3.12.2014. Nota di Manuela Rinaldi)

venerdì 16 gennaio 2015

ORDINE, ELEZIONI RINVIATE

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CATANIA
VERBALE DI RIUNIONE DEL CONSIGLIO
L'anno 2015, il giorno 9 del mese di gennaio, alle ore 12.30, si è  riunito, nella propria sede presso il Palazzo di Giustizia di Catania - Sala Riunioni "Nino Magnano di San Lio", dietro rituale convocazione del 7 gennaio 2015, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Catania, composto dai Signori Avvocati:
MAURIZIO MAGNANO DI SAN LIO          Presidente
DIEGO GERACI       Consigliere Segretario
SANTO LIVOLSI      Consigliere
ROBERTO CARUSO         
ANTONINO G. DISTEFANO “
ANTONINO CIAVOLA         Consigliere Tesoriere
ALBERTO GIACONIA         Consigliere
MARCO TORTORICI          
GIUSEPPE CALVO                     
JESSICA GUALTIERI        
SALVATORE WALTER TORO “
IGNAZIO DANZUSO           
ESAMINATO il primo punto all’ordine del giorno
Vista la nota datata 24 dicembre u.s., con cui il Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli Affari di Giustizia - Direzione Generale della Giustizia Civile ha segnalato che la decisione del TAR Lazio in ordine alla domanda di incidente inibitorio proposta nell'ambito dell'impugna-zione proposta avverso il D.M. n. 170/2014 (Regolamento sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi a norma dell'art. 28 L. n. 247/2012) , la cui discussione è prevista per l'udienza camerale del 14 gennaio 2015, "potrebbe incidere sull'iter del procedimento elettorale", raccomandando agli Ordini circondariali di "adoperare le cautele necessarie ad evitare che l'espressione del diritto di voto possa essere in qualche modo frustrata da una pronuncia del giudice amministrativo che dovesse incidere sulla fonte secondaria che regola il procedimento", nonchè di valutare "la possibilità di svolgere le elezioni quando la cornice normativa sarà connotata da maggiore chiarezza per effetto della pronuncia, sia pure in sede cautelare, del giudice amministrativo";
ATTENZIONATA
la decisione 7 gennaio 2015 del Sig. Presidente della I Sezione del T.A.R. Lazio di sospensione del Regolamento Elettorale per il rinnovo della composizione dei Consigli degli Ordini (D.M. 10 novembre 2014, n. 170);
ATTENZIONATA ANCORA
la nota 8 gennaio 2015 del Direttore Generale del Ministero della Giustizia Dipartimento per gli Affari di Giustizia, che invita alla so-spensione dei procedimenti elettorali in attesa della definizione del quadro normativo 
RILEVATO CHE
Il provvedimento di sospensione ha ricadute dirette ed immediate sul procedimento elettorale emergente dal gravato regolamento ministeriale, incidendo sulle concrete modalità di formazione delle liste, di espressione del voto e di interpretazione della volontà del singolo elettore;
RILEVATO ANCORA CHE
con comunicazione inviata a mezzo posta elettronica certificata, il Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Catania, ha richiesto al CN.F., precise indicazioni sulle procedure, relativamente agli argomenti in discussione, ma che, ad oggi, niente è stato precisato sul punto
RITENUTO CHE
appare opportuno - avuta a mente la scadenza del termine utile per la presentazione delle candidature, fissata con determinazione consilia-re del 2 dicembre 2014, per il giorno 12 gennaio 2015 (giorni 10 antecedenti alla convocazione dell'Assemblea fissata per l'inizio delle operazioni di voto) dispone il differimento delle operazioni di voto medesime e di ogni adempimento ad esse connesso a data successiva alle decisioni da adottarsi in sede giurisdizionale amministrativa, ovvero in ambito istituzionale - legislativo, sussistendo molteplici ragioni di interesse pubblico per soprassedere allo svolgimento delle operazioni elettorali, anche al non secondario fine di evitare il consolidarsi dell'affidamento in capo agli iscritti interessati alla competizione elettorale;
delibera
all'unanimità di:
1.         disporre il differimento delle elezioni dei componenti di questo Consiglio dell'Ordine per il quadriennio 2015/2018, in attesa che le questioni controverse, indicate in preambolo, siano ri-solte in sede giurisdizionale amministrativa ovvero in ambito istituzionale - legislativo, riservando all'esito l'adozione di ogni altro provvedimento;
2.         comunicare il presente deliberato nelle forme di legge.

Il Consigliere Segretario Avv. Diego Geraci         
Il Presidente Avv. Maurizio Magnano di San Lio

Tar: nessuno stop al regolamento Cnf su formazione continua

Al momento non si ravvisano elementi di criticità all'avvio delle attività di aggiornamento professionale secondo quanto stabilito per gli ordini forensi dal regolamento per la formazione continua approvato dal Consiglio Nazionale Forense nel luglio scorso. Lo ha deciso la terza sezione del Tar del Lazio, respingendo le richieste con le quali l'Ordine degli Avvocati di Roma sollecitava la sospensione del regolamento.
I giudici amministrativi hanno considerato che «ad una prima sommaria delibazione propria della presente fase - si legge nell'ordinanza - il ricorso non presenta elementi che facciano prevedere un suo possibile accoglimento, atteso che il regolamento impugnato non sembra in palese contrasto con i principi stabiliti dalla legge n. 247/2012 (quello che ha stabilito la "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense" ndr), introducendo un sistema di aggiornamento e formazione sufficientemente dettagliato quanto a modalità organizzative e criteri di valutazione delle attività formative alle quali sono chiamati a partecipare gli iscritti al Consiglio ricorrente».

In più, per il Tar, «allo stato non si ravvisano gli elementi di criticità in ordine all'avvio delle attività di formazione e aggiornamento professionale evidenziati nel ricorso e ribaditi in camera di consiglio dai patroni dell'ordine degli avvocati di Roma».


(Da ilsole24ore.com del 15.1.2015)

domenica 11 gennaio 2015

PROBLEMI COL PCT? TRANQUILLI, C'E' L'AGA

Nel corso della riunione del Consiglio Direttivo dell'AGA, svoltasi Sabato 10 Gennaio, a fronte delle richieste ancora pervenute da parte di molti soci e colleghi, è stato deciso di organizzare, col supporto del nostro partner informatico "Service One" di Giarre, un ulteriore incontro "pratico" sul PCT.
Sin d'ora si precisa che tale corso NON attribuirà alcun credito formativo, ma vuole essere d'aiuto ai tanti colleghi -la maggioranza- che ancora hanno problemi con l'invio telematico degli atti.
Per sapere con precisione data e luogo dell'incontro, controllate AGA NEWS.

Clausole vessatorie: conta anche la tecnica redazionale

Trib. Reggio Emilia, ord. 30.10.2014


Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto, comprese quelle prive di carattere vessatorio, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell'art. 1341 comma 2 c.c., di quelle onerose, poiché il richiamo così effettuato integra un riferimento generico che priva l’approvazione della specificità e della separatezza richieste, rendendo difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto realmente vessatorio, essendo necessaria non solo la sottoscrizione separata, ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate.

Così ha deciso il Tribunale di Reggio Emila nella sentenza 30 ottobre 2014.

Nella fattispecie, una società, quando era in bonis, aveva stipulato un contratto di leasing con una Banca, versando nel tempo circa l’86% dei canoni complessivamente stabiliti. A seguito del mancato pagamento di alcuni canoni, la Banca aveva risolto il contratto, rientrando nel possesso dei beni. Pertanto, il fallimento della società conveniva in giudizio la Banca chiedendo la restituzione dei canoni versati, con deduzione solo dell’equo compenso per l’uso, sul presupposto dell’applicazione analogica dell'articolo 1526 c.c.

La Banca eccepiva preliminarmente l’incompetenza territoriale del Tribunale adito, per essere esclusivamente competente il Tribunale di Milano, così come indicato nelle condizioni generali di contratto pattuite tra le parti, espressamente sottoscritte ex articolo 1341 c.c.

Ma, osserva il Tribunale di Reggio Emilia, nella fattispecie tutte e ciascuna delle diciotto clausole delle condizioni generali di contratto, comprese anche quelle non vessatorie, sono richiamate nel modulo unilateralmente predisposto dalla Banca per la specifica approvazione per iscritto.

Ciò basta a far ritenere l’approvazione inefficace, poiché un’approvazione di tutte le clausole del contratto, comprese anche quelle non vessatorie, integra un riferimento generico che priva l’approvazione della specificità e della separatezza richiesta dall'art. 1341 c.c., rendendo difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto realmente vessatorio.

La norma in argomento, infatti, richiede non solo la sottoscrizione separata, ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate.

Quanto al merito, viene confermata la natura traslativa del leasing oggetto di causa, atteso che il contratto stipulato dalle parti prevedeva, dopo il pagamento dell’ultimo canone locatizio, l’automatico acquisto della proprietà da parte dell’utilizzatore.

Ciò comprova come i canoni fossero in parte destinati a compensare il godimento ed in parte destinati a pagare il prezzo di riscatto.

Pertanto, correttamente parte attrice ha richiesto la restituzione dei canoni versati, con detrazione del giusto prezzo spettante per il godimento.


(Da Altalex del 10.12.2014. Nota di Giuseppina Mattiello)

EVENTI FORMATIVI AGA DEL 2014

Per consentire una più comoda compilazione della dichiarazione riguardante l’obbligo formativo, di seguito –come ad ogni inizio d’anno- pubblichiamo l’elenco degli eventi formativi accreditati dall’Ordine Avvocati Catania, organizzati dall’AGA e svoltisi nel 2014.
Ricordiamo che la partecipazione ad ogni evento ha attribuito n. 3 crediti formativi, per l’ultimo di Dicembre in Deontologia.


28 Giugno – “Disciplina delle aree a parcheggio: parcheggio 
                     a pagamento (strusce blu”

12 Luglio – “Il processo civile telematico: dalla teoria alla 
                   pratica”

18 Ottobre – “Il reato e l’esecuzione della pena”

15 Novembre - “L'utilizzo della Pec e il processo civile 
                        telematico”

6 Dicembre – “L’impatto della Giurisprudenza di merito e di 
                      legittimità nei giudizi innanzi al Giudice 
                      di Pace”

20 Dicembre – “Nuovo Codice Deontologico Forense e 
                        Consigli Distrettuali di Disciplina”.