sabato 31 maggio 2014

GLI AVVOCATI DI CATANIA CAMPIONI DEL MONDO DI CALCIO




La rappresentativa degli avvocati di Catania questa sera si è laureata a Budapest campione del mondo al Mondiale di calcio per avvocati che si è svolto dal 23 Maggio e che prevede per domani, 1 Giugno, la cerimonia di chiusura.

Al Mondiale per avvocati, che si è giocato all’Accademia calcistica dedicata al grande cannoniere ungherese Ferenc Puskas, hanno partecipato 75 squadre dei cinque continenti, con oltre 1.800 professionisti suddivisi in tre categorie: Classic, Master e Legend, della quale faceva parte la squadra etnea.

Tra i protagonisti il portierone giarrese avv. Antonino Murolo, nostro socio, che a 52 anni è ancora più che degno dell’appellativo di “Uomo Ragno” con cui era stato ribattezzato ai tempi d'oro.

Congratulazioni ai colleghi!

giovedì 29 maggio 2014

Divorzio breve, in arrivo riforma

A quarant'anni dal referendum sul divorzio, approvata la riforma dello stesso con l'introduzione del cd. "divorzio breve". Una riforma come questa, che va a modificare un istituto cardine del nostro ordinamento nazionale, ovvero la famiglia, perno attorno al quale ruota tutta la struttura del codice civile, non poteva non essere esito di una concertazione bipartisan con 381 voti a favore, 30 contrari, 14 astenuti.
Stante il testo approvato, le novità introdotte da Montecitorio possono essere così riassunte:

1) Eliminazione del periodo di separazione di tre anni prima di poter chiedere il divorzio.

2) Il termine per chiedere il divorzio decorre dalla notifica del ricorso ed è pari a 12 mesi in caso di separazione giudiziale e 6 mesi in caso di consensuale.

3) Il cd "divorzio breve" sarà applicabile, come ogni reformatio in melius, anche per i procedimenti in corso.

4) La comunione dei beni si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale.


(Da ilsole24ore.com del 29.5.2014)

martedì 27 maggio 2014

Richiesta risarcimento danno biologico non comprende anche morale

Cass. Civ., sez. III, sent. n. 10524 del 14.5.2014

Il danno non patrimoniale, risarcibile a determinate condizioni e presupposti, pur sottostando al principio della non duplicazione, è scindibile in diverse voci di danno, ognuna dotata di propria autonomia.

In un caso esaminato dalla Suprema Corte, concernente la domanda di risarcimento avanzata dagli eredi di vittima di incidente stradale (vicenda processuale alquanto lunga, dato che già era intervenuta una prima pronuncia della Cassazione contemplante la formulazione del principio di diritto, quindi del rinvio alla Corte d'appello; si tenterà dunque, in questa sede, un'estrema sintesi) vi è stata richiesta di liquidazione del danno morale, di per sé indipendente rispetto al danno biologico.

Secondo la Suprema Corte la richiesta di liquidazione del danno biologico non può essere interpretata come comprensiva del danno morale (mentre, la voce "danno non patrimoniale" le comprende tutte); È quindi corretta la decisione della corte d'appello che ha rigettato la domanda degli eredi che in primo grado avevano proposto solo domanda di risarcimento per il danno biologico e non per il danno morale.

La richiesta di liquidare il danno morale in appello deve quindi essere considerata come nuova in sede d'appello e dunque dichiarata inammissibile.

La richiesta del "danno biologico terminale" avanzata dagli eredi nel primo grado di giudizio non è dunque equiparabile alla domanda di risarcimento del "danno morale terminale", collegabile agli ultimi giorni di vita sofferti dal de cuius.

Secondo la Corte, infatti, il danno morale avrebbe "piena autonomia ontologica rispetto al danno biologico, per cui la specifica richiesta di quest'ultimo non può essere riferita anche al primo". Il danno morale non costituisce un accessorio del danno biologico. Inoltre, dato che il giudizio di rinvio ha un carattere "chiuso", resta inibito alle parti il prendere decisioni e posizioni differenti rispetto a quelle mantenute nei precedenti gradi di giudizio, a meno che gli stessi non siano strettamente derivanti dalla cassazione della sentenza.

Il ricorso degli eredi è rigettato.


Licia Albertazzi (da studiocataldi.it)

lunedì 26 maggio 2014

AVVOCATURA PRONTA A SFIDA TELEMATICA

Si lavora al testo di un Protocollo uniforme per tutti i tribunali

Semplificare e fare in modo che le regole procedimentali si adeguino alla giustizia “telematica” in modo da mantenere invariato lo standard di tutela dei diritti della difesa e aumentare l’efficienza della risposta del sistema. “La digitalizzazione della Giustizia è una strada obbligata per un paese moderno e noi vogliamo dare un contributo fattivo alla realizzazione di questo obiettivo”. Così Nunzio Luciano, presidente della Cassa forense, nel corso del convegno I Fori fanno Rete, organizzato da CNF, Cassa forense e FIIF ( la fondazione del CNF incaricata di seguire il progetto Pct).  “Assieme al Consiglio Nazionale Forense abbiamo deciso di predisporre una task force per aiutare gli avvocati in questa fase di transizione che rivoluzionerà la giustizia civile rendendola più snella ed efficiente – ha spiegato Luciano – in pratica siamo pronti a mettere a disposizione le nostre risorse per abbassare il più possibile, se non azzerare completamente, il costo che ogni professionista dovrà sostenere per adeguarsi alle nuove regole, almeno per il primo anno. Quantificando, si tratta di far risparmiare ai colleghi all'incirca 300/400 euro, un aiuto concreto soprattutto per gli avvocati più giovani alle prese con le difficoltà dell’avviamento professionale. Il primo passo sarà indire una gara per affidare a una software house la messa a punto dei servizi informatici per la gestione delle pratiche legali. Per Cassa forense si tratta del primo di una serie di interventi di welfare attivo su cui il nuovo Consiglio di Amministrazione sta lavorando dall’inizio del suo mandato – ha concluso il Presidente dell’Ente – sono convinto che il compito delle casse private non sia solo quello di erogare pensioni e fornire assistenza, ma anche quello di affiancare i professionisti attraverso politiche di sostegno al reddito e formazione. In questo particolare momento storico, aiutare i professionisti a rimettersi in piedi è un obbligo a cui non possiamo sottrarci, al pari del dovere della sostenibilità economica”.  Con questo spirito il Cnf ha avanzato una serie di proposte- da attuare in via normativa ma anche-in via d’urgenza- tramite l’adozione di un Protocollo uniforme sul territorio nazionale, per rendere garantito il passaggio al digitale (dal 30 giugno diventerà obbligatorio il deposito degli atti del processo civile). Interventi che vanno dal definire il momento dell’avvenuto deposito dell’atto processuale e quello nel quale esso deve essere reso visibile anche alla controparte; o al riconoscere agli avvocati il potere di autenticazione degli atti “informatizzati” e di attestazione di conformità agli originali; e ancora stabilire anche in via tecnica cosa accade se l’atto supera i 30 megabyte.  Dalla carta al bit, la Giustizia civile cerca il riscatto dell’efficienza e l’Avvocatura ha già accettato la sfida. Gli organismi di rappresentanza istituzionale, Cnf e Cassa forense, hanno già messo in campo risorse, progetti concreti e proposte per accompagnare gli avvocati nel passaggio al digitale.  All’incontro sono intervenuti, tra gli altri, anche i rappresentanti del Ministero della Giustizia (Daniela Intravaia, direttore generale dei servizi informativi e Massimo Orlando, magistrato dell’ufficio legislativo), i rappresentanti della Corte di Cassazione e dell’Avvocatura dello stato. Tutti d’accordo nell’evidenziare che la “rivoluzione digitale” nella giustizia è innanzitutto un fatto di “cultura e di “conoscenza” dal quale si aspettano vantaggio in termini di efficienza di tutti il sistema. Tutti d’accordo, ancora, sul fatto che occorre superare- con il confronto tra i vari protagonisti e le sinergie fattive- le resistenza psicologiche, strutturali, organizzative che dovessero verificarsi.  È un dato emerso nel convegno che nei 16 tribunali nei quali valgono Protocolli stipulati su base volontaria il sistema funziona.  “L’informatizzazione potrà colmare il gap tra alto livello del nostro sistema giuridico e l’inadeguatezza del sistema organizzativo di amministrazione della giustizia” ha evidenziato il presidente del Cnf Guido Alpa. Il Cnf, anche con il supporto degli avvocati del gruppo Fiif (la fondazione coordinata da Lucio Del Paggio), hanno predisposto diversi documenti- anche video- divulgativi.   Del Paggio esprime soddisfazione per la riuscita dell’evento. “Al convegno si sono iscritti 140 avvocati; e in tanti di più hanno seguito i lavori in streaming, anche presso gli Ordini forensi. Il dibattito con i referenti informatici dei Coa è stato vivace e tutti hanno espresso apprezzamento per l’impegno di Cnf e Fiif”, ha dichiarato Del Paggio. Con la Cassa forense è stato siglato l’accordo per dotare gli avvocati degli strumenti necessari al deposito telematico. Daniela Intravaia ha evidenziato che solo l’1% dei tribunali non è pronto, e che il ministero sta lavorando a colmare questo gap. Il tavolo tecnico permanente sul Pct presso il Ministero della Giustizia, al quale partecipa il Cnf, tornerà a riunirsi domani 27 maggio.


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 26.5.2014)

Ordini forensi di Sicilia incontrano ministro Orlando



Le problematiche inerenti l'avvocatura siciliana sono state al centro di un incontro tra l'Unione degli Ordini forensi della Sicilia e il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ieri, a Palermo. Presenti anche i rappresentanti dell'Ordine degli avvocati di Palermo, Messina, Marsala, Agrigento, Sciacca, Termini Imerese, Siracusa, Enna e Modica, ed i delegati dell'Organismo unitario dell'Avvocatura e della Cassa forense. Il Ministro, si legge in una nota del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Palermo, "manifestando ampia disponibilità al confronto e alle richieste inoltrate dall'avvocatura siciliana, ha assicurato particolare attenzione alle criticità riguardanti l'imminente entrata in vigore del processo civile telematico, agli eccessivi costi di accesso alla giustizia, ottimizzando il ruolo dell'avvocatura nell'ambito dei tavoli di consultazione già attivati presso il Ministero. Infine - prosegue la nota -, il Ministro ha condiviso le proposte formulate dall'avvocatura siciliana in ordine alle problematiche legate alla necessaria rivisitazione della geografia ed alle attività di degiurisdizionalizzazione che offriranno nuove opportunità di lavoro alla classe forense, condividendo altresì l'opportunità di una riconfigurazione della legge Delega in materia di regolamentazione societaria interdisciplinare tra professionisti. All'esito dell'incontro - conclude la nota -, i rappresentanti degli Ordini forensi ed i delegati hanno apprezzato la disponibilità del Guardasigilli nonché il contenuto delle attente considerazioni svolte dallo stesso".


(Da Mondoprofessionisti del 26.5.2014)

Nessun obbligo di Pos, basta bonifico elettronico

CNF, circolare 20.5.2014 n° 10

Nessun obbligo di possedere un POS in studio. Piuttosto un onere per gli avvocati, in funzione di semplificazione e di facilitazione per i clienti circa le modalità di pagamento a fronte di una prestazione professionale. Modalità che possono prevedere anche -ma non solo- il pagamento elettronico, tramite POS ma anche tramite bonifico bancario.

E’ in questi termini che si configura correttamente, secondo il CNF, l’adempimento richiesto ai professionisti dall’articolo 15 del decreto legge 179/2012 (Sviluppo bis), in vigore dal 30 giugno prossimo. Che è cosa ben diversa dall’esistenza di un presunto obbligo di dotarsi di POS.

Per chiarire la portata dell’articolo 15 il CNF ha diramato una circolare agli Ordini (CNF N. 10-C-2014), chiedendone la più ampia diffusione.

Riportando il testo della norma, la circolare chiarisce che “la previsione corrisponde a chiari intendimenti di semplificazione e non stabilisce affatto che tutti i professionisti debbano dotarsi di POS, né che tutti i pagamenti indirizzati agli avvocati dovranno essere effettuati in questo modo a partire dalla data indicata, ma solo che, nel caso il cliente voglia pagare con una carta di debito, il professionista sia tenuto ad accettare tale forma di pagamento”.

La circolare, in altre parole, ribadisce la centralità della volontà della parti del contratto d’opera professionale (cliente ed avvocato) per la individuazione delle forme di pagamento. “Ad esempio, i clienti che sono soliti effettuare i pagamenti tramite assegno o bonifico bancario potranno continuare a farlo”.

Qualora, poi, il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito, e l’avvocato ne fosse sprovvisto, la circolare specifica che “si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore, che, come noto, non libera il debitore dall’obbligazione. Nessuna sanzione è infatti prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito”. Ovviamente rimangono fermi i limiti vigenti nell’ordinamento previsti da altre fonti normative , come ad esempio il divieto di pagamento in contanti oltre la soglia di mille euro, previsto dalla normativa antiriciclaggio, espressamente richiamata dalla disposizione del dl 179.


(Da Newsletter CNF 20.5.2014, n. 196)

giovedì 22 maggio 2014

P.C.T., L'AVVOCATURA CI METTE LA FACCIA

Il 24 Maggio confronto con i referenti
informatici degli Ordini e dei Tribunali

Affrontare le questioni aperte, proporre soluzioni, diffondere le best practices. Creare le condizioni per promuovere l’avvio della obbligatorietà del Processo civile telematico: il deposito telematico degli atti endo-processuali il prossimo 30 giugno. È con questo intento, innanzitutto operativo, che CNF, Cassa forense e FIIF (la Fondazione del CNF per l’innovazione e l’informatica forense) hanno organizzato un importante evento a Roma, sabato 24 maggio, “I FORI FANNO RETE- Sviluppo digitale e Processo civile telematico-I nodi da sciogliere per una giustizia più moderna” (sala Pio X- Borgo Santo Spirito in Sassia ore 10.30). L’incontro è riservato ai Presidenti dei Consigli dell’Ordine, ai referenti informatici degli stessi, ai magistrati di riferimento e ai dirigenti degli uffici giudiziari, ma potrà essere seguito in streaming collegandosi ai siti istituzionali.  Sono stati invitati i rappresentanti del Ministero della Giustizia. I lavori si apriranno con i saluti dei presidenti di CNF e Cassa, Guido Alpa e Nunzio Luciano, e dei coordinatori della FIIF, Lucio Del Paggio, e della commissione informatica della Cassa forense , Clelia Imperio.  Il gruppo di avvocati della FIIF illustrerà “Le questioni aperte” non più rinviabili; saranno analizzati i Protocolli in essere che hanno permesso ad alcune sedi giudiziarie il pieno regime del PCT; verrà esaminato lo stato di informatizzazione degli “altri” processi; chiuderà i lavori della mattinata il direttore generale dei servizi informativi del Ministero della Giustizia, Daniela Intravaia, sul futuro del PCT. Il confronto si svilupperà su tematiche anche molto concrete. Il gruppo di avvocati della FIIF ha predisposto un documento – inviato agli uffici ministeriali - nel quale illustra una serie di proposte-legislative, tecniche, interpretative- la cui adozione urgente favorirebbe l’entrata in vigore del PCT: fra queste, prevedere il potere di autentica del difensore delle copie analogiche e informatiche; di definire il concetto di domicilio informatico; di eliminare la sottoscrizioni del teste; tra le modifiche tecniche quella di definire i momenti nei quali rendere visibili sul portale le memorie; tra quelle che possono attuarsi con circolare le disposizioni di semplificazione dei pagamenti e il miglioramento dell’interfaccia del fascicolo elettronico. L’incontro si inserisce nella più ampia collaborazione avviata tra CNF, anche tramite la FIIF, e la Cassa forense anche in vista della predisposizione di un Punto di accesso al PCT per gli avvocati sprovvisti e di altri progetti al servizio degli avvocati.  E certamente da esso emergeranno proposte concrete con le quali l’Avvocatura intende contribuire a rafforzare l’efficacia del sistema Giustizia.


(Da Mondoprofessionisti del 22.5.2014)

martedì 20 maggio 2014

L'AVVOCATURA CONTRO UN P.C.T. A MACCHIA DI LEOPARDO

È ora che i protagonisti del sistema giustizia
facciano squadra nell'interesse del Paese

Si è tenuto nella serata di ieri il previsto incontro con il ministro di Giustizia, Andrea Orlando (e il suo ufficio), sul processo telematico. Presenti le rappresentanze degli avvocati e dei magistrati e dei dirigenti. Per l’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha partecipato il presidente, Nicola Marino, che alla fine della riunione ha espresso soddisfazione per le modalità del confronto: “Continuiamo sulla strada del dialogo, come sta già avvenendo tanto con il “Tavolo dell’Avvocatura”, quanto in quello sul processo civile. Non poteva, quindi, mancare, anche un ambito di riflessione comune sul nodo strategico dell’innovazione e della modernizzazione della macchina giudiziaria, a partire dal processo telematico e dalla prossima entrata in vigore dell’obbligatorietà del nuovo meccanismo a luglio. Purtroppo – continua il presidente Oua – non possiamo, però, eludere la realtà strutturale del Paese: l’informatizzazione è in alcune zone inesistente e in altre le connessioni sono lentissime (con conseguenti interruzioni). Per depositare documenti corposi o comprensivi di fotografie l'invio può impiegare anche ore. Bisogna innanzitutto, e necessariamente, intervenire, quindi, sul sistema telematico per evitare eventuali interruzioni del servizio, con conseguenti danni per il lavoro dei legali e per l’esercizio stesso del diritto di difesa. Sul piano, quindi, degli attori del processo – aggiunge - esistono anche altre criticità: molte volte le cancellerie comunicano solo il dispositivo dei provvedimenti, obbligando così gli avvocati a prendere visione della motivazione e della copia integrale ancora con il sistema cartaceo. Va aggiunto che molti giudici continuano, spesso, a scrivere a mano i documenti, i quali devono essere poi scannerizzati e spesso non sono totalmente leggibili. Altra nota dolente è quella della formazione: non si è lavorato adeguatamente tanto con gli avvocati, così come con i funzionari. Serve l’impegno di tutti per costruire la "giurisdizione 2.0", con norme attuative e transitorie (vedi le altre criticità esposte di seguito), anche dopo l’entrata in vigore dell’obbligatorietà – conclude, quindi, Marino – ma sono necessarie risorse straordinarie sul piano infrastrutturale (connessioni e software adeguati e presenti in modo omogeneo in tutti i presidi di giustizia) e una vera e forte iniziativa per la formazione di tutto il personale: magistrati, funzionari e avvocati. Ma anche una seria modernizzazione e razionalizzazione degli uffici, anche con una implementazione del personale di cancelleria. Crediamo che possa essere utile, in tal senso, guardare alle best practices, come quella del Tribunale “tecnologico” di Sulmona che ha riconvertito la sua organizzazione e raggiunto livelli esemplari di efficacia nella risposta alla domanda di giustizia dei cittadini già nel triennio 2010-2013, proprio sulla base di uno storico progetto dell'Oua. In queste settimane, inoltre, abbiamo dato un nostro ulteriore contributo propositivo (grazie all’impegno del delegato Oua per i master, Vittorio Mormando) con la stipula del protocollo di intesa con l’Università dell’Aquila per l’organizzazione di due master di I livello, uno su: “Processo telematico e linguaggi giudiziari”, l’altro su: “Indagini giudiziarie e computer forensics”, proprio con il fine di fornire agli operatori e professionisti di ambito giuridico-legale adeguate conoscenze giuridiche e tecniche, in materia di informatica e sistemi informatici, nonché di utilizzo del WEB, idonee a svolgere le fasi di acquisizione, gestione, utilizzo dei dati provenienti da sistemi informatici fissi e mobili, nonché dalla rete nell’ambito di indagini penali e amministrative oppure nell'ambito di svolgimento delle attività proprie della professione forense”. Per Ester Perifano, segretario generale dell'Associazione Nazionale Forense “Il processo civile telematico è una fondamentale occasione di crescita, culturale prima che economica, e dunque è estremamente importante che questa misura, che innoverà profondamente i tribunali e la giustizia italiana, prenda il via senza tentennamenti il 30 giugno. No dunque a soluzioni a macchia di leopardo , l'Avvocatura si sta preparando coscienziosamente a raccogliere la sfida e confidiamo che facciano lo stesso anche le altri parti che concorrono al funzionamento della macchina della giustizia. Gli ordini forensi – continua Perifano - sono chiamati a svolgere un ruolo importante e ci aspettiamo che sappiano fare la loro parte sui territori, senza incertezze. Le Associazioni, dal canto loro, sono pronte a collaborare fattivamente. L'Anf ha chiesto in particolare che si metta immediatamente mano alle modifiche del codice di procedura civile necessarie per rendere compatibile il processo civile con le modalità telematiche, poiché vi sono una quantità di norme processuali da adeguare. Infatti, uno dei rischi legati all’entrata in vigore del PCT è che, per molte parti, il suo funzionamento non è compatibile con le norme dell’attuale codice di rito. È, quindi, importante, gestire attentamente la transizione, pensando anche alla soluzione di problemi che già esistono. Riscontriamo con soddisfazione che questa nostra proposta è stata ripresa, condivisa e supportata anche dal CSM. Il processo civile telematico – conclude Perifano - è una grande opportunità e una risposta fattiva alla cronica lentezza della giustizia italiana, ma per sfruttare al massimo le potenzialità occorre la piena collaborazione di tutte le componenti. È ora che il composito mondo dei protagonisti del sistema giustizia facciano squadra nell’interesse del Paese".  “Aiga ha partecipato al tavolo ministeriale sul PCT portando i dati divulgati alla Conferenza di Parma – dichiara il presidente Nicoletta Giorgi –. In base a questi dati chiediamo interventi precisi ed efficaci affinché la partenza del 30 giugno possa essere seguita in tempi brevi dal recupero dei Tribunali che oggi non sono ancora pronti. È importante avere la certezza che la data del 30 giugno verrà rispettata, ma è altrettanto importante che il Governo investa sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari e il Pct potrà essere l’occasione per portare questo importante risultato. È stato infatti apprezzata da tutte le componenti del sistema giustizia la proposta Aiga per una maggiore efficienza della stessa dove tra gli elementi riformatori si indica proprio la riorganizzazione degli organici di magistrati e amministrativi e una nuova modalità manageriale di gestione degli uffici”.

Ecco alcune specifiche criticità riscontrate dall’Oua:

1) subito dopo il deposito telematico dell'atto (memoria conclusionale o memorie ai sensi dell'art.183cpc) lo stesso solitamente è immediatamente pubblicato con la possibilità per l'avvocato di controparte di leggerlo e quindi predisporre la propria memoria, in risposta di quella già pubblicata; sarebbe opportuno predisporre un filtro o altro sistema per fare in modo che siano pubblicate contemporaneamente, evitando di dare così vantaggio a una delle parti costituite;

2) talvolta la cancelleria apre e pubblica con ritardo la memoria inviata, non consentendo di farla conoscere alla controparte tempestivamente riducendo, quindi, di fatto, i giorni di lettura e di risposta;

3) le cancellerie, soprattutto nei grandi centri o nelle Corti di Appello, lamentano una mancanza di corsi pratici. I corsi dovrebbero svolgersi in orari straordinari, ma al funzionario non viene riconosciuto lo straordinario e quindi, di fatto, spesso, non si svolgono. Quando si effettuano vengono fatti da un solo tecnico avanti a un solo computer e cioè in pessime condizioni;

4) molti uffici giudiziari anche nello stesso distretto non ancora sono pronti. Alcuni Tribunali sono all'avanguardia altri non ancora prevedono neppure il depositi dei ricorsi per decreto ingiuntivo;

5) necessario prevedere una riforma in ordine alla " domiciliazione" e ai diritti e doveri ad essa correlati.


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 20.5.2014)

lunedì 19 maggio 2014

P.C.T., inefficienze rischiano di ricadere su avvocati

Si chiama "Watson" ed è un personal computer pensante al quale stanno lavorando da qualche tempo alla IBM. Ancora il progetto è nella fase sperimentale, ma i ricercatori della nota azienda americana non disperano di riuscire a creare a breve un'intelligenza artificiale che sia in grado di elaborare dati in maniera ragionata e di dare risposte a domande del tipo «la vendita di videogame violenti dovrebbe essere vietata ai minori?». 

La scadenza

In Italia invece sarebbe al termine della fase di sperimentazione il deposito telematico degli atti processuali o, più enfaticamente, il «processo civile telematico». Il 30 giugno, infatti, diventerà obbligatoria la trasmissione in via telematica degli atti endoprocessuali (per essere chiari, tutti gli scritti difensivi successivi alla costituzione in giudizio) e dei ricorsi per decreto ingiuntivo.

In realtà la certezza della data sta cominciando a vacillare perché da più parti si stanno innalzando grida di allarme sul ritardo del Ministero nel completamento dei lavori per la informatizzazione di tutti i tribunali italiani.

I ritardi e gli errori

Stando ad una recente indagine dell'Aiga, effettuata su un campione di 80 uffici giudiziari, saremmo in presenza di «una situazione "a macchia di leopardo" che rende momentaneamente zoppo il processo telematico stesso, tanto da far legittimamente ritenere impraticabile l'effettivo avvio alla data del 30 giugno 2014 dell'obbligo del deposito telematico degli atti in sede civile» (Guida al Diritto on-line del 12 maggio 2014).

In realtà la zoppia del progetto dipende non solo dai ritardi dell'amministrazione della giustizia, ma anche – forse – dal fatto, come hanno ben evidenziato in tanti, di averlo immaginato pensando al processo disciplinato dall'attuale codice di rito.

Un esempio svetta su tutti: la necessità, affinchè il deposito dell'atto possa considerarsi completato, che il cancelliere verifichi la busta e la accetti.

Ciò costringerà gli avvocati ad un snervante "test di gravidanza" (normalmente ogni redattore attribuisce alle diverse fasi dell'invio differenti colori che mutano a seconda degli esiti) e che appare sin d'ora una complicazione davvero incompatibile con le ambizioni del processo civile telematico, prima tra tutte quella di semplificare e rendere più efficiente il funzionamento della amministrazione giudiziaria.

Tanto più poi se, come è abbastanza prevedibile, le cancellerie saranno in grado di evadere questi controlli solo a distanza di giorni dalla data della trasmissione.

Non minori difficoltà si registreranno nell'invio degli allegati, a causa della loro dimensione e della capienza massime (30 mega) della "busta".

Quei professionisti che da un anno e mezzo si cimentano con gli incarichi di curatore fallimentare, conoscono perfettamente il problema e sanno quanta fatica e tempo sono necessari per riuscire a depositare in cancelleria in via telematica le istanze dei creditori di insinuazione al passivo corredate di tutta la documentazione.

La ‘copia di cortesia'

Se poi, come sembra stia già accadendo, tanto che i protocolli che si stanno predisponendo nei singoli tribunali cercano di stabilire alcune regole, ciascun avvocato dovesse pure depositare una ‘copia di cortesia' per il magistrato, perché la visualizzazione a video degli atti non ne consente una comoda e veloce consultazione, sarebbe definitivamente vanificato anche il modesto vantaggio di non dovere più accedere nelle cancellerie per curare l'incombente del deposito.

Con evidenti duplicazioni di costi per gli avvocati, che già oggi stanno sostenendo esborsi per adeguare i propri studi alle nuove necessità e che auspicherebbero, tanto più con questi chiari di luna per quanto concerne i redditi, che questi investimenti almeno semplificassero la vita professionale.

Gli oneri per gli avvocati

Ben vengano, infatti, i preventivati risparmi di spesa che riuscirà a conseguire il ministero, dopo che avrà ammortizzato l'investimento iniziale della informatizzazione della giustizia civile, ma non sulle spalle degli avvocati attraverso la consueta esternalizzazioni di tutta una serie di fasi che sino ad oggi sono state di competenza degli uffici.

C'è da augurarsi, quindi, che il processo civile telematico, certamente una opportunità se realmente finalizzato alla efficienza e se realmente studiato per sfruttare al massimo le potenzialità delle "macchine", sia implementato rimuovendo quelle farraginosità che oggi ne limitano la attuazione.

Certo, se poi un giorno divenisse realtà il computer in grado di dare risposte, anche alla domanda di giustizia, allora la società potrebbe fare anche a meno dei magistrati e degli avvocati. Lo Stato Italiano ed i cittadini risparmierebbero senz'altro, ma vivremmo davvero in un mondo migliore?

Giuseppe Sileci (da ilsole24ore.com del 19.5.2014)

Ingiuria a mezzo sms

Cass. Pen., sez. V, sent. 15.4.2014 n° 16382

Ai fini della configurabilità del reato di ingiuria, anche a mezzo sms, non è richiesta la sussistenza dell’animus iniurandi, essendo sufficiente il dolo generico che può anche assumere la forma del dolo eventuale in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di espressioni o parole socialmente interpretabili come offensive.

Con la sentenza n. 16382 del 13 gennaio - 15 aprile 2014 la Corte di Cassazione, sez. V penale, confermando la sentenza del Tribunale di Trento sostiene la configurabilità del reato di ingiuria commesso a mezzo di sms.

Nel caso di specie, difatti, la Suprema Corte, afferma, sulla base di costante giurisprudenza di legittimità, che le regole, dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Inoltre, ai fini della configurabilità del reato di ingiuria non è richiesta la sussistenza dell’animus iniurandi, essendo sufficiente il dolo generico che può anche assumere la forma del dolo eventuale (v. Cass. Sez. V 19 ottobre 2012, n. 6169), in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di espressioni o parole socialmente interpretabili come offensive, cioè utilizzate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (nella specie il seguente messaggio a mezzo telefono cellulare: “troia, vai con altri...”).

Si ricorda che SMS è l’acronimo di Short Message System e fa capo alla tecnologia innestata sui telefoni cellulari la quale consente di inoltrare e ricevere brevi messaggi di testo tra utenti. La diversa tecnologia “Movement Monitoring System” (MMS), invece, abilita ai servizi multimediali: video, audio, immagine (photo).

In particolare la tecnologia SMS abilita un servizio di trasmissione di messaggi brevi tra telefoni cellulari GSM (Global System for Mobile) e consente l’invio di short messages di testo da un telefono cellulare all’altro o da una pagina Web che supporti il servizio.

L’art. 594 c.p. nel condannare l’offesa all’onore ed al decoro di una persona prevede che il fatto offensivo possa essere commesso anche mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti al destinatario. In tal modo, quindi, la norma, avuto riferimento alla comunicazione telefonica intesa in senso ampio, è direttamente applicabile nel caso di specie, anche se il legislatore, per ovvi motivi temporali, nemmeno poteva immaginare l’sms. Proprio per questi motivi bisogna sottolineare che le sempre maggiori potenzialità degli attuali cellulari, oggi veri e propri computer, impongono un adeguamento di tutte quelle norme nate in epoca antecedente all’attuale progresso tecnologico. Tale considerazione ovviamente vale per tutti i dispositivi tecnologici di recente introduzione.


(Da Altalex del 24.4.2014. Nota di Michele Iaselli)

venerdì 16 maggio 2014

Sospeso notaio che legge solo atto delegando istruttoria a impiegati

Cass. Civ., sez. II, sent. 4.4.2014 n° 8036

Un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione è intervenuta nella regolamentazione dei rapporti tra notaio e collaboratori, precisando che il notaio è tenuto a svolgere le funzioni ad esso competenti nella ricezione degli atti notarili, senza delegare tali funzioni ai collaboratori di studio.

La sentenza muove dal procedimento penale promosso dalla Procura della Repubblica di Savona nei confronti di un notaio, in relazione ai reati di riciclaggio e ad altri connessi, per il quale veniva disposta la misura cautelare interdittiva della sospensione dall'esercizio della professione, successivamente revocata.

A seguito della comunicazione di tali provvedimenti al Consiglio Notarile Distrettuale di Savona, detto organo, avendo ritenuto che nel corso delle indagini svolte in sede penale era emersa una organizzazione del lavoro da parte del notaio incompatibile con il disposto dell'art. 47, comma 2, L. N. in quanto caratterizzata da un amplissimo ricorso alla delega a favore dei suoi numerosi collaboratori con conseguente elusione del carattere personale della prestazione professionale, deliberava l'apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del V. per la violazione della norma sopra menzionata.

Esaminando i motivi del ricorso, gli Ermellini sottolineano innanzitutto l’importanza di quanto riportato agli art. 36 e 37 dei Principi di Deontologia Professionale, con riferimento al rapporto personale del professionista con le parti, che permette al notaio di farsi assistere dai collaboratori, ma non in misura tale da lasciare al professionista la sola lettura dell’atto senza sincerarsi personalmente circa la reale volontà delle parti trasfuse poi nell’atto, come invece avveniva per il professionista in causa (“Art 36: L'esecuzione della prestazione del notaio è caratterizzata dal "rapporto personale" con le parti. La facoltà di valersi di collaboratori non può pregiudicare la complessiva connotazione personale che deve rivestire l'esecuzione dell'incarico professionale. - Art. 37: In ogni caso compete al notaio svolgere di persona, in modo effettivo e sostanziale, tutti i comportamenti necessari: per l'accertamento della identità personale delle parti, con utilizzazione di tutti gli elementi idonei e con prudente esame dei documenti di identificazione in relazione al tipo e alla loro possibilità di falsificazione; per l'indagine sulla volontà delle parti, da svolgere, in modo approfondito e completo, mediante proposizione di domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della determinazione volitiva come prospettatagli; per la direzione della compilazione dell'atto nel modo più congruente alla accertata volontà delle parti): viene confermato così l'orientamento espresso dalla Suprema Corte circa i doveri del notaio di audizione delle parti, di informazione delle stesse, di imparzialità ed equidistanza tra di esse, che secondo gli Ermellini vanno adempiuti dal professionista sia prima che dopo la stesura dell'atto da leggere alle parti, dovendo quindi escludersi che il notaio possa sistematicamente delegare le suddette attività preparatorie ai propri collaboratori, senza incorrere in responsabilità disciplinare (Cass. 18 marzo 2008, n. 7274; vedi anche Cass. 30 novembre 2006, n. 25487); inoltre, in tema di responsabilità disciplinari a carico di notai costituisce illecito deontologico il comportamento del professionista che proceda all’accertamento della volontà delle parti ed alla direzione nella compilazione dell'atto, ma ometta di interessarsi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito, trattandosi di violazione prevista dall'art. 138 della L. N. come sostituito dal D.Lgs. 1° agosto 2006, n. 249, art. 22 (Cass. S.U. 31 luglio 2012, n. 13617).

Concludendo, secondo la Suprema Corte “deve ribadirsi che il notaio è tenuto a svolgere personalmente tutte le funzioni ad esso attribuite dall'ordinamento in riferimento al ricevimento degli atti notarili e con specifico riguardo alle indagine relativa alle individuazione delle volontà delle parti, dalla fase delle attività preparatorie a quella delle attività successive al compimento degli atti, senza possibilità di delegare integralmente ai suoi collaboratori dette attività, e senza alcuna distinzione tra atti "routinari" ed atti non "routinari", accogliendo in tal modo le doglianze del Ricorrente.


(Da Altalex del 18.4.2014. Nota di Mauro Lanzieri)

giovedì 15 maggio 2014

AUGURI, SICILIA!


Reato di stalking, innovazioni giurisprudenziali

Il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 (c.d. “Decreto sicurezza”), convertito con la legge 24 aprile 2009 n. 38, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di “Atti persecutori”, disciplinato dall’art. 612-bis c.p., meglio noto negli altri ordinamenti col termine di “stalking”.
Con l’introduzione di detta disposizione il legislatore ha inteso arginare un fenomeno sempre più diffuso che colpisce ogni anno un elevato numero di vittime in caso di liti domestiche, soprattutto donne.

A norma dell’art. 612-bis c.p., dunque, soggiace alla pena prevista per il reato di atti persecutori (reclusione da sei mesi a cinque anni) “colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

La pena prevista è poi aumentata qualora il fatto sia commesso nell’ambito familiare (art. 612-bis, comma 2) o qualora sia commesso in danno di particolari soggetti c.d. deboli, quali i minori, le donne in stato di gravidanza o i disabili (art. 612-bis, comma 3).

La disposizione in esame, dunque, consente oggi di sanzionare condotte reiterate di minaccia o molestia prima riconducibili esclusivamente al meno grave delitto di minaccia (art. 612 c.p.) o alla contravvenzione di molestie (art. 660 c.p.), fattispecie queste ultime dimostratesi di fatto inidonee a fornire un’adeguata tutela in favore delle vittime.

Finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione della norma incriminatrice in esame, come recentemente affermato dai giudici della S.C. di Cassazione, è quella di tutelare il singolo “da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, con il fine di garantire alla personalità dell’individuo l’isolamento da influenze perturbatrici”. (Cass. pen. Sez. III, 20 marzo 2013 n. 25889).

Elemento costitutivo della fattispecie è quindi la reiterata commissione di condotte persecutorie

che determinano nella vittima, alternativamente, un perdurante e grave stato di ansia, un fondato timore per la propria incolumità o comunque per quella di persone ad essa affettivamente legate, la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, non permettendogli di far fronte in maniera serena alle liti ingenerate.

Il reato di stalking rientra dunque nella categoria dei reati abituali ed, in particolare, è qualificabile come reato abituale c.d. proprio (Cass. pen. Sez. V, 27 novembre 2012 n. 20993), per la cui configurabilità è sufficiente la commissione di “anche due sole condotte di minaccia o molestia” purché di fatto sufficienti ad ingenerare nella vittima il fondato timore di subire un’offesa alla propria integrità fisica o morale (da ultimo, Cass. pen. Sez. III, 14 novembre 2013 n. 45648). Quanto al contenuto di predette condotte, a mero titolo esemplificativo, si osserva come la giurisprudenza ha ritenuto “atti persecutori” configuranti il delitto di stalking nelle liti, ripetute telefonate, l’invio di buste, s.m.s., e-mail e messaggi tramite internet, nonché la pubblicazione di messaggio o video a contenuto ingiurioso o sessuale su social network.

Per quanto attiene il rapporto con altre fattispecie penalmente rilevanti, si osserva brevemente come restano assorbite nel più grave reato di cui all’art. 612-bis le condotte di minaccia e molestia singolarmente sanzionate dagli artt. 612 e 660 c.p., mentre è ipotesi speciale rispetto a tale reato il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.), essendo necessaria per la sua consumazione non solo l’induzione del predetto stato d’ansia e timore, ma anche la finalità di costringere altri a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, impedendone la libera determinazione.

Quanto alle conseguenze scaturenti dalle condotte persecutorie ed, in particolare, al “perdurante e grave stato di ansia” sofferto dalla vittima, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha più volte ritenuto che, al fine della sussistenza del reato di cui all’art. 612-bis, non è necessario che detto turbamento emotivo determini nella persona offesa uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante dell’equilibrio psicologico della vittima.

Quanto poi all’elemento soggettivo richiesto dalla norma in esame, la giurisprudenza è concorde nel ritenere sufficiente, ai fini della sussistenza del delitto di atti persecutori, il dolo generico, il quale è integrato dalla “volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l'integrazione della fattispecie legale”. Non è invece richiesta la rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, “la costante consapevolezza dei precedenti attacchi e dell'apporto che ciascuno di essi arreca all'interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte dell’agente della sfera privata della persona offesa” (Cass. pen. Sez. V, 27 novembre 2012 n. 20993).

Così delineati gli elementi oggettivi e soggettivi configuranti il delitto di stalking, è interessante soffermarsi ora sulla peculiare figura del c.d. stalking condominiale, così come delineato dalla giurisprudenza della S.C. di Cassazione.

Con il termine “stalking condominiale” si intende definire le serie di condotte reiterate e sistematiche di minaccia e molestia poste in essere dall’agente nel contesto condominiale.

Detta fattispecie, di origine giurisprudenziale, è stata per la prima volta tipizzata dai giudici della Cassazione nella sentenza 25 maggio 2011, n. 20895 con cui la Suprema Corte ha rigettato il ricorso promosso da un condomino avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino in cui veniva condannato per il reato di cui all’art. 612-bis c.p. per aver posto in essere ripetute condotte di minaccia e molestia indistintamente a danno di soggetti di sesso femminile facenti parte di un condominio, provocando agli stessi uno stato di ansia.

La Corte, nel motivare il rigetto del ricorso, ha rilevato come sia indubbio che la condotta persecutoria rivolta indistintamente nei confronti di alcune donne - tutte residenti nel medesimo stabile - per il semplice fatto di appartenere al genere femminile, possa riflettersi negativamente su tutte le donne ivi residenti, per il

solo fatto di rappresentare “potenziali vittime” dell’agente.

In particolare, i giudici di legittimità hanno osservato che “è evidente che l'offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi di per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro tal altra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all'evidenza il turbamento di entrambe”.

Partendo da detto assunto, i giudici di legittimità hanno, quindi, confermato la sentenza di appello che condannava il condomino – affetto da forte sindrome maniacale – per il delitto di stalking ai danni di tutti i soggetti di sesso femminile residenti nel condominio, benché gli atti persecutori fossero stati rivolti direttamente solo ad alcune donne, in quanto la condotta tenuta dall’agente – per il suo carattere sistematico e persecutorio – aveva di fatto ingenerato nelle altre donne uno stato di paura ed ansia costringendole a modificare sensibilmente le proprie abitudini di vita.

Con la sentenza in esame, dunque, la Cassazione ha fornito un’interpretazione estensiva della norma contenuta nell’art. 612-bis c.p. di fatto riconoscendo uno strumento di tutela in favore delle vittime c.d. indirette del reato di stalking, le quali, pur non subendo in prima persona le condotte offensive, ne patiscono tuttavia gli effetti negativi.


Alessandra De Tommaso (da diritto.it del 14.5.2014)

lunedì 12 maggio 2014

Avvocati, redditi in picchiata

"Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutande". Il destino dell'avvocatura è ben descritto dal titolo del film ad episodi di Sergio Martino? L'avvocato, insieme al parroco, al farmacista e al maresciallo dei carabinieri, era una istituzione, una figura alla quale chiedere sempre consiglio. Un tempo era una professione ambita, rispettata e remunerata. Ora non sembra più così. C'è chi la chiama "generazione call center". Sono i giovani avvocati che ogni anno si gettano nella mischia di udienze, citazioni, comparse e precetti. Avvocati che a fine mese racimolano qualcosa come 400 o 500 euro. Ben lontano dal passato «quando con una bella causa civile, magari con le assicurazioni di mezzo nel momento in cui incassavi la parcella potevi costruirti una villetta» ricorda un avvocato con tanti anni di professione alle spalle. I dati di questa catastrofe economica delle toghe disegnano un quadro allarmante e fanno emergere un lato in penombra della professione: il reddito medio di un avvocato, nel corso degli ultimi 15 anni, si è ridotto del 15%. Secondo alcune stime (ufficiose), si arriverebbe addirittura ad un crollo del 50%. Se nel 1985 gli iscritti all'Ordine di Perugia erano poco meno di 500, adesso il numero di avvocati supera i 2mila. E in tempi di crisi si moltiplicano le offerte a prezzi bassi di avvocati (più o meno giovani) che pur di accaparrarsi un cliente accettano cause e processi a prezzi scontati alimentando una concorrenza sleale in cui le prestazioni sono offerte a prezzi abbordabili o trattabili. Un avvocato per sopravvivere economicamente deve avere una cinquantina di cause l'anno. Secondo i dati dell'ultimo anno giudiziario nel civile spetterebbero 12 cause ad avvocato; nel penale 2,7. L'automatica iscrizione alla Cassa Forense per tutti gli avvocati è un'altra tegola sulla professione. Il testo prevede infatti che, con un reddito inferiore ai 10.300 euro si debbano versare 850 euro di contributi per i primi 7 anni; poi si sale a 3.700 euro, pur dichiarando redditi inferiori.

(Da Mondoprofessionisti del 12.5.2014)

Processo telematico: le nuove regole tecniche

Min. Giustizia, provv. 16.4.2014 su G.U. 30.4.2014

Il 30 aprile 2014 sono state pubblicate in G.U. le nuove specifiche tecniche del 16 aprile 2014, previste dall’art. 34 del D.M. n. 44/2011, che sostituiranno, dal 15 maggio 2014 (data di entrata in vigore), quelle emanate il 18 luglio 2011.

A seguire si evidenziano le novità più importanti introdotte dalle nuove specifiche tecniche.

Nuove modalita’ di autenticazione (Artt. 2 e 6). Viene introdotta una nuova modalità di autenticazione (autenticazione a due fattori) che si basa sull’utilizzo congiunto di due metodi di autenticazione individuale, ossia che combina un’informazione nota (ad esempio un nome utente e una password) con un oggetto a disposizione (ad esempio, una carta di credito, token o telefono cellulare).

Ai sensi e per gli effetti del nuovo articolo 6, l’identificazione informatica per i soggetti abilitati esterni e gli utenti privati avviene:

    sul portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia (PST), nelle stesse modalità previste dall’art. 6 delle specifiche tecniche del 18 luglio 2011 e quindi tramite TOKEN, CIE (carta d’identità elettronica) e CNS (carta nazionale servizi);

    sul PDA (punto di accesso), invece, tramite TOKEN crittografico (smart card, chiavetta USB o altro dispositivo sicuro) in conformità all’articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 o, così come previsto dal contenuto del nuovo articolo 6 delle specifiche tecniche pubblicate il 30 aprile 2014, mediante autenticazione a due fattori come sopra descritta.

Indirizzi pec delle Pubbliche Amministrazioni (Art. 9 bis). Tale articolo, introdotto in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 16 comma 12 del D.L. 179/2012, convertito nella L. 17.12.2012 n. 221, stabilisce che la PA deve comunicare il proprio indirizzo PEC per la ricezione delle comunicazioni e notificazioni inserendo tale indirizzo sul portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, avendo cura di inviare a DGSIA un documento contenente l’indicazione del soggetto incarico di inserire e modificare gli indirizzi PEC della PA medesima, la descrizione, il codice fiscale, i recapiti del soggetto incaricato, il nominativo, il codice fiscale e l’indirizzo PEC di eventuali dipendenti tramite i quali la PA sta in giudizio personalmente; tali soggetti alimentano il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici.

L’elenco è consultabile dagli uffici NEP attraverso i sistemi informatici a disposizione dei soggetti abilitati esterni e dagli avvocati sul ReGIndE (registro generale degli indirizzi elettronici).

Si osserva che l’art. 30 n. 4 delle nuove specifiche tecniche dispone che le pubbliche amministrazioni dovranno comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata entro il novantesimo giorno dalla pubblicazione delle nuove specifiche tecniche sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ma le stesse potranno comunicare detto indirizzo anche successivamente alla scadenza del citato termine; il medesimo articolo prevede che l'indirizzo sarà reso consultabile dagli uffici giudiziari a partire dal 91° giorno dalla pubblicazione delle nuove specifiche tecniche sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Formati di firma (Art. 12 n. 2). Viene introdotta una nuova modalità di firma, denominata PAdES-BES (o PAdES Part 3) oltre a quella già prevista dalle precedenti specifiche tecniche del 2011, CAdES-BES per la quale però è ora fatto divieto di inserire, nella busta crittografica, le informazioni di revoca riguardanti il certificato del destinatario; tale divieto è stato introdotto per limitare, alleggerire, le dimensioni (contenuto) della busta che, come noto, non possono superare i 30 MB così come stabilito dall’art. 14 n. 3 delle nuove specifiche tecniche che confermano quanto già stabilito con il medesimo articolo dele precedenti specifiche tecniche del 18 luglio 2011.

Si conferma la possibilità che uno o più soggetti firmino, ognuno con il proprio dispositivo, lo stesso documento (o contenuto della busta).

Formati dei documenti informatici allegati (Art. 13). Alla busta telematica se da una parte non è più possibile allegare file in formato .odf dall’altro è ora possibile inserire i formati .eml e .msg .

I due nuovi formati (.eml e .msg) consentiranno, quindi, di poter allegare alla busta telematica i files necessari per poter fornire la prova, mediante deposito telematico dell’atto e degli allegati notificati dall’avvocato tramite PEC ex L. 53/94 nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9 n. 1 della citata legge.

Comunicazioni e notificazioni per via telematica (Art. 17). L’articolo 17 delle specifiche tecniche del 18 luglio 2011 prevedeva che il gestore dei servizi telematici inviasse le comunicazioni o le notificazioni per via telematica provenienti dall’ufficio giudiziario, alla casella di posta elettronica certificata del soggetto abilitato esterno destinatario, recuperando il relativo indirizzo sul ReGIndE; il nuovo articolo 17 prevede adesso che il gestore dei servizi telematici provvede ad inviare le citate comunicazioni o le notificazioni per via telematica recuperando il relativo indirizzo dai pubblici elenchi ai sensi dell'art 16-ter del decreto legge del 30 ottobre 2012, n. 179 oppure ai sensi dell'art 16 comma 7 del medesimo decreto.

Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati (Art. 19 bis). Viene precisato che l’atto da notificarsi tramite PEC dovrà avere, come unico formato consentito, il formato PDF e ciò sia per l’atto predisposto come documento originale informatico ottenuto dalla trasformazione di un documento testuale senza scansione e per il quale si precisa che non è ammessa la scansione di immagini, sia per le copie informatiche, anche per immagine, di documenti analogici.

Il documento informatico da notificarsi potrà essere sottoscritto o con firma PAdES-BES (o PAdES Part 3) o con firma CAdES-BES avendo cura di osservare quanto previsto all’art. 12 comma 2 (ad es. divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del destinatario).

Si precisa che la trasmissione (deposito) in via telematica all'ufficio giudiziario delle ricevute previste dall'articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché della copia dell'atto notificato ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della medesima legge, è effettuata inserendo l'atto notificato all'interno della busta telematica di cui all'art 14 e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione.

La ricevuta di avvenuta consegna dovrà essere quella completa, così come disposto dall’art. 18 del DM 44/11.

Requisiti di sicurezza (Art. 24). Il comma 10 di tale articolo prevede ora che il punto di accesso possa consentire l'accesso a soggetti delegati da un utente registrato (soggetto delegante), con le stesse modalità di cui ai commi 7, 8 e 9, purché il soggetto delegante abbia predisposto un atto di delega, sottoscritto con firma digitale, che il punto di accesso conserva per cinque anni unitamente alla tracciatura di ogni accesso effettuato su delega; le informazioni e gli atti di cui sopra sono forniti su richiesta al Ministero della Giustizia.

Il punto di accesso dovrà fornire al Ministero della giustizia, su richiesta, i dati di censimento sul ReGlndE di cui articolo 8 comma 1 per i casi di iscrizione dei professionisti non iscritti in albi di cui articolo 9 comma 1 e dovrà verificare l'effettiva funzionalità e adeguatezza del sistema di sicurezza almeno una volta l'anno e provvedere ad inviare l'esito delle stesse, unitamente ad eventuali variazioni nei contenuti del piano, all'indirizzo di posta elettronica certificata del responsabile per i sistemi informativi automatizzati: prot.dgsia.dog@giustiziacert.it.

(Da Altalex del 7.5.2014. Nota di Maurizio Reale)

sabato 10 maggio 2014

L'AVV. MUROLO AI MONDIALI DI CALCIO AVVOCATI

Le nostre congratulazioni al collega e socio Antonino Murolo che è stato convocato nella rappresentativa etnea che parteciperà tra pochi giorni, a Budapest, ai Mondiali di Calcio per Avvocati.
 
http://www.liberajonianews.it/giarrese-murolo-mondiale-calcio-avvocati/

venerdì 9 maggio 2014

IL PRESIDENTE FIUMANO' SU NOMINA LEGALI GIARRE

DAL SITO DELLA TESTATA GIORNALISTICA 
"LIBERA JONIA NEWS"
PROPONIAMO LA SEGUENTE INTERVISTA 
AL PRESIDENTE DELL'AGA
SUGLI INCARICHI DEL COLLEGIO DI DIFESA 
DEL COMUNE DI GIARRE

http://www.liberajonianews.it/collegio-difesa-giarre-commento-dellavv-fiumano/

giovedì 8 maggio 2014

Avvocato sospeso incontra detenuti, esercizio abusivo

Cass. Sez. VI pen., sent. 6.5.2014 n. 18745

Incorre nell'esercizio abusivo della professione l'avvocato sospeso - a seguito di una sanzione disciplinare - che continui a incontrare i detenuti suoi assistiti. Il colloquio in carcere costituisce, infatti, un atto tipico e riservato agli avvocati, né può scriminare la condotta sostenere di aver parlato d'altro, in quanto gli incontri sono stati comunque resi possibili dal «rapporto difensivo». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la decisione 18745/2014.

(Da ilsole24ore.com del 6.5.2014)

mercoledì 7 maggio 2014

Acquisizione opere abusive, parere del CGA Sicilia

MASSIMA
Edilizia – opere abusive – acquisizione patrimonio comunale – sindaco quale ufficiale di governo – nullità testuale e strutturale – rilevabilità d’ufficio

C.G.A. per la Regione Siciliana, Parere 14.1. 2014, n. 267 (Est. e Rel. Cons. Antonino Lo Presti)

Il potere in base al quale l’Amministrazione comunale ha disposto l’acquisizione delle opere edilizie abusive, già interessate da ordine contingibile ed urgente di demolizione per essere state realizzate coprendo una parte di torrente, è viziato da sviamento di potere e inesistenza della causa, per essere stato esercitato per finalità diverse da quelle per le quali è stato conferito, e di conseguenza l’atto emanato è nullo.
Le opere abusive di copertura del torrente, infatti, non minacciano l’integrità urbanistica, bensì la pubblica incolumità e la sicurezza, di talché il Sindaco avrebbe dovuto dar seguito all’ordine inizialmente impartito, con i medesimi strumenti predisposti all’uopo dall’ordinamento in materia di protezione civile, idonei a legare il potere esercitato all’atto emanato e al fine perseguito.
Secondo il pacifico indirizzo giurisprudenziale, trattandosi di potere affidato (e già esercitato prima facie) al Sindaco in qualità di Ufficiale di Governo, nel caso di specie si configura il difetto dei requisiti essenziali dell’atto emanato, rendendosi applicabile l’art. 21 septies, Legge 241/90, nelle figure sintomatiche della nullità testuale e strutturale, sanzione quella della nullità, rilevata dal Collegio d’ufficio.
NOTA A PARERE C.G.A. N. 267 DEL 14 GENNAIO 2014
La pronuncia che si annota, resa dalle Sezioni Riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con Parere n. 267 del 14.01.2014 (relatore ed estensore, Cons. Antonino Lo Presti), è rilevante per la disamina affrontata in tema di nullità del provvedimento amministrativo rilevabile d’ufficio dal giudice amministrativo.
Il fatto
Il fatto trae origine da un’ordinanza contingibile ed urgente resa dal Sindaco in materia di abusivismo edilizio, ma finalizzata alla tutela della pubblica incolumità, emessa, quindi, in qualità di Ufficiale di Governo cui competono le funzioni in materia di protezione civile, in conseguenza dell’accertamento dell’esecuzione di opere edilizie realizzate senza titolo e consistenti nella copertura di un tratto di torrente per ricavarne un cortile di pertinenza di una privata abitazione.
Accertata l’opera abusiva, il Sindaco emetteva a carico degli interessati ordinanza per la demolizione del manufatto. Detta ordinanza veniva gravata per l’annullamento da ricorso straordinario, e rimaneva pertanto ineseguita.
Successivamente, verificata la mancata esecuzione dell’ordine demolitorio impartito, l’Autorità comunale, in persona del dirigente compente, emetteva una successiva ordinanza, con cui disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del manufatto abusivamente realizzato, ai sensi dell’art. art. 7, L. n. 47/1985 (la cui pedissequa riproduzione all’interno dell’art. 31 del D.P.R. 380/01, comporta la sostanziale continuità del dettato legislativo).
Avverso l’ordinanza di acquisizione gratuita gli interessati hanno proposto ricorso straordinario “per motivi aggiunti” al ricorso già pendente avverso l’ordine demolitorio precedente, contestando una serie di violazioni di legge e procedurali a carico del provvedimento avversato, tipiche dei vizi sintomatici degli atti amministrativi.
Il C.G.A., nel valutare il ricorso straordinario sottoposto al proprio esame, ha colto le peculiarità distintive del potere esercitato dall’Amministrazione comunale nell’ambito specifico delle finalità di tutela dell’assetto urbanistico ed edilizio del territorio – regolato dal d.P.R. n. 380/2001 – rispetto a quello differente di cui all’Ordinamento degli Enti Locali, espresso attraverso il potere esercitato dal Sindaco quale Ufficiale di Governo nella prevenzione di pericoli per la pubblica incolumità – come nel caso di specie è il rischio idrogeologico che potrebbe derivare dall’alterata funzionalità di un torrente a causa della mancata rimozione di opere abusive di copertura.
Di talché, le Sezioni Riunite del massimo Consesso amministrativo siciliano hanno dichiarato d’ufficio la nullità dell’ordinanza oggetto di impugnazione, poiché hanno ritenuto che il Sindaco avesse “usato il potere che la legge gli attribuisce (repressione dell’abuso edilizio per garantire l’incolumità e la sicurezza pubblica), per raggiungere uno scopo pur sempre pubblico ma diverso da quello stabilito (acquisizione gratuita al patrimonio), alterando, di fatto, il nesso eziologico che lega la fonte del potere esercitato e la causa tipica dell’atto che risulta così ‘sviata’ e stravolta rispetto all’interesse pubblico (incolumità e sicurezza) che in origine si intendeva tutelare”.
Le questione giuridiche
Prima di addentrarci negli aspetti di maggiore interesse del parere in esame, pare opportuno spendere alcune parole sulle molteplici questioni giuridiche trattate (ordine di demolizione e acquisizione gratuita, e poteri del Sindaco quale autorità locale o ufficiale di governo), e sugli strumenti a disposizione dell’Autorità comunale in materia di repressione dell’abusivismo, diversificando a seconda che si tratti di attività connessa al controllo edilizio, ovvero dell’attività connessa alla prevenzione od eliminazione di pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini.
L’interesse pubblico, ovvero dell’ordinamento, alla repressione dell’abusivismo edilizio è in re ipsa.
Differenti sono, tuttavia, le ragioni e, di conseguenza le modalità di esercizio del potere repressivo, a seconda del “nesso eziologico che lega la fonte del potere esercitato e la causa tipica” del diverso abuso edilizio, in quanto diversificate sono le fonti che si sono succedute in materia.
In materia di vigilanza edilizio-urbanistica, sia l’art. 4 della L. n. 47/1985, inserito nell’art. 27 del Testo Unico dell’Edilizia, D.P.R. n. 380/2001, che l’art. 7 della L. n. 47/1985, confluito nell’art. 31 del d.P.R. cit., evidenziano come, accertata l’assenza di idoneo titolo edilizio o la difformità da esso delle opere eseguite, dopo l’adozione da parte dell’Autorità di un ordine demolitorio, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune è conseguenza che si produce ex lege per il solo effetto della mancata spontanea esecuzione dell’interessato. Da ciò scaturisce una prima conseguenza: l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, quale ulteriore sanzione edilizia, è un atto dovuto, privo di qualsivoglia contenuto discrezionale, che non può essere contestato se non per vizi suoi propri.
Ricorrendo tale caso, il provvedimento amministrativo tipico previsto dalle su richiamate leggi è l’ordinanza, poiché attraverso tale atto è impartito l’ordine di demolizione delle opere accertate come abusive. Essa non va esente dalle guarentigie procedimentali all’uopo previste affinché al privato sia data la possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione, trattandosi di atto recante effetti potenzialmente lesivi della sfera giuridica. Infine, la competenza all’emanazione dell’ordinanza di demolizione, dopo la riforma dell’ordinamento degli enti locali, è del dirigente competente a ciò delegato “a monte” dal Sindaco.
In taluni casi, l’abusivismo edilizio interseca differenti interessi “pur sempre pubblici”, per i quali l’ordinamento mette a disposizione poteri differenti, qual è il caso delle ordinanze di protezione civile come nella fattispecie.
Si tratta dei provvedimenti d’urgenza, che al pari delle altre categorie di provvedimenti amministrativi, rappresentano strumenti offerti alla pubblica amministrazione per produrre autoritativamente modificazioni nella sfera dei diritti soggettivi nei confronti dei destinatari cui sono rivolte.
Questa tipologia di provvedimenti, proprio in quanto svincolati dal consenso dei soggetti cui sono diretti, devono trovare copertura (e quindi legittimità) dalla finalità attribuita loro dalla legge, consistente, in ultima analisi, nella tutela dell’interesse pubblico e, nel caso di specie, la tutela dell’incolumità e della sicurezza dei cittadini.
In buona sostanza, tali strumenti attribuiscono all’autorità (il Sindaco nel caso che c’impegna), un generale potere extra ordinem che si espande in ambito locale e trovano la loro regolamentazione nel Testo Unico Enti Locali, in specie nell’art. 54 (attribuzioni del Sindaco nei servizi di competenza statale): “il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini; per l’esecuzione dei relativi ordini può richiedere al Prefetto, ove occorra, l’assistenza della forza pubblica”).
L’OEL non specifica con contorni precisi le materie in cui il potere sindacale può dispiegarsi, ancorché, trattandosi di poteri affidati al Sindaco in qualità di ufficiale di governo, si desume debbano riguardare i profili di pericolosità intrinseca per la pubblica incolumità e sicurezza relativamente a sanità, igiene, edilizia e polizia locale.
La giurisprudenza amministrativa concorda nel rilevare che “se è vero che nella nozione di incolumità dei cittadini può includersi anche il caso di minaccia grave e attuale alla incolumità di soggetti privati che si verifichi esclusivamente entro ambiti di proprietà privata, senza riflessi diretti sulla pubblica incolumità, vale a dire senza che il pericolo minacci anche aree di pubblico transito e accesso, è altresì vero che, in siffatte, eccezionali evenienze, il pericolo deve presentare una consistenza e una evidenza particolarmente gravi e univoche, tali in definitiva da non consentire neppure la prosecuzione dell’uso o dell’abitazione dello spazio o del volume di pertinenza privata interessato dallo stato di pericolo, sì da giustificare piuttosto lo sgombero, e non il mero ordine di esecuzione dei lavori”.
Nel caso, quindi, in cui mediante attività privata si siano realizzati manufatti privi di titolo abilitativo in area soggetta a pericolo idrogeologico, ferma restando l’iniziale confluenza (o prevalenza) della disciplina edilizia – sfociante nell’emissione di ordinanza di demolizione e rimessione in pristino dell’area torrentizia occupata da opere abusivamente realizzate – a fronte dell’inerzia del privato il prosieguo del potere amministrativo deve essere esercitato in conformità della “causa” tipica del fenomeno che si vuole arginare, con la quale sono perseguiti autonomi interessi pubblici con valenza sostanziale e non meramente formale.
Pertanto, ove il potere che la legge attribuisce all’Autorità per reprimere gli abusi edilizi con finalità di garanzia dell’incolumità e della sicurezza pubblica, sia utilizzato per raggiungere uno scopo (e cioè l’acquisizione gratuita al patrimonio) diverso da quello prestabilito, si “altera” l’equilibrio che deve collegare il binomio “fonte del potere-causa dell’atto”, che viene in tal modo a caducarsi.
La linea di demarcazione è molto sottile, dunque, il parere in esame spicca maggiormente per l’acume con cui ha colto la patologia del provvedimento avversato e, ravvisata l’originaria inidoneità dell’atto a produrre effetti, e ne ha dichiarato d’ufficio la nullità.
La nullità del provvedimento amministrativo e l’art. 21 septies della L. n. 241 del 1990.
Prima della novella apportata dalla L. n. 15 del 2005 alla L. n. 241 del 1990, l’annullabilità costituiva lo stato viziato più ricorrente nell’ambito del diritto amministrativo, mentre alla nullità era riservato un ruolo marginale, circostanza che rendeva la legge sul procedimento amministrativo una “legge imperfetta”.
La svolta in senso riformista della disciplina sul procedimento amministrativo, ha avvicinato sempre più l’ambito del diritto amministrativo al diritto comune. Ciò ha influito anche sulla patologia dei provvedimenti amministrativi, per i quali, mutuando dalle norme del codice civile (in particolare gli articoli 1325 e 1418), sono stati delineati in modo più marcato i requisiti dalla cui mancanza o illiceità o indeterminabilità si ha la nullità.
In termini generali, solo l’atto conforme al suo paradigma normativo, produce effetti giuridicamente riconosciuti e tutelati. Per contro, la difformità dell’atto al diritto, determina, a seconda della gravità, la sanzione della nullità – che opera automaticamente – o dell’annullabilità – che richiede, invece, l’intervento giudiziale.
È noto come la nullità costituisca il più marcato stato patologico invalidante in cui può versare un provvedimento amministrativo, poiché si configura quando l’atto manchi di qualcuno degli elementi essenziali che lo compongono.
L’art. 21 septies della novellata L. n. 241 del 1990 ha stabilito che sono cause di nullità del provvedimento amministrativo la mancanza di elementi essenziali, il difetto assoluto di attribuzione, la violazione o elusione del giudicato, nonché le altre cause di nullità previste dalla legge.
Il primo comma dell’art. 21 septies, prevede la nullità strutturale dell’atto, per cui “ è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”.
In dottrina è stata individuata una interessante partizione dei casi di nullità individuati dal legislatore: ricorre, in particolare, la nullità c.d. “strutturale”, quando difettano i requisiti essenziali dell’atto amministrativo, vale a dire se vi sia mancanza, impossibilità o illiceità di uno degli elementi essenziali del negozio, la nullità c.d. “testuale o nominativa”, nei casi in cui si ravvisi violazione di una norma sanzionata con la nullità dalla legge, e la nullità c.d. “virtuale”, per violazione di norme imperative, ovvero quando l’atto si ponga in contrasto con una norma che, seppure non colleghi alla propria violazione la nullità, sia da ritenere imperativa, con la conseguente applicazione dell’art. 1418, primo comma, c.c..
Il C.G.A., nel caso di specie, ha ravvisato nel provvedimento sottoposto al suo vaglio la nullità sub specie “strutturale”, ovvero ha ritenuto difettare i requisiti essenziali dell’atto (causa, oggetto, soggetto, forma). Al provvedimento amministrativo avversato ha dunque applicato la disciplina riguardante gli stati patologici del negozio privatistico, collegando l’entità della sanzione alla patologia stessa, applicando le regole processuali sull’actio nullitatis, fra cui la rilevabilità d’ufficio.
L’introduzione dell’istituto della “nullità strutturale” nel diritto amministrativo, non va esente comunque da problematiche interpretative in ragione del fatto che, da un lato, non sono definiti, a livello generale, gli elementi essenziali del provvedimento, e dall’altro lato, la struttura del provvedimento amministrativo ha peculiarità proprie, armoniche con l’esercizio della funzione amministrativa radicata nella norma, da cui trae la propria essenza ed il proprio fine.
La decisione delle Sezioni Riunite del C.G.A
Il giudice amministrativo siciliano, prescindendo dunque dalle censure di parte, ha rilevato d’ufficio la nullità.
Fermo restando che occorre prestare attenzione a non sconfinare “extra o ultra petita”, sanzionando un vizio più grave di quello richiesto dalla parte, con la decisione che si annota il giudice relatore ha riconosciuto nell’atto emanato dal Sindaco un potere a questi conferito in qualità di organo dello Stato, “per finalità completamente diverse da quelle che di regola perseguono le amministrazioni a tutela dell’assetto edilizio e urbanistico del territorio”, e per tale ragione il provvedimento è stato “scrutinato tenendo in non cale alcuno dei criteri di valutazione ordinariamente seguiti nell’analisi dei vizi degli atti amministrativi, adottati nell’ambito specifico degli atti di controllo e di sanzione dei fenomeni tipici di abusivismo edilizio”.
Egli, dunque, ha posto al centro del giudizio “la validità dell’atto impugnato in rapporto alle sue determinazioni fenomenologiche ed in specie alle finalità da esso perseguite, in esecuzione del potere di cui l’Amministrazione risulta investita”, evidenziando come dalla lettura del provvedimento impugnato emergesse che “il potere in base al quale l’Amministrazione procedente ha disposto l’acquisizione delle opere abusive, non trova fondamento in alcuna delle norme che conferiscono ai Sindaci la potestà di vigilanza sull’attività urbanistico edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizione degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nella concessione o nella autorizzazione, come previsto dall’art. 4, L. n. 47/85, ss.mm.”.
Un potere diverso, dunque. “Invero, le opere abusive (…) gravano sull’assetto idrogeologico della zona considerata”, poiché dalla copertura di parte del torrente ne deriva la compromissione del “normale deflusso dell’acqua” con necessità di eliminare mediante il corretto uso del potere pubblicistico, il “rischio per l’incolumità delle persone”.
Pertanto, se il potere di ordinanza contingibile ed urgente era stato correttamente utilizzato dal Sindaco per la rimessa in pristino, egli “avrebbe dovuto dare seguito a quel provvedimento con i mezzi messi a disposizione dall’ordinamento generale (esecuzione in danno) e da quello specificamente introdotto dalle ordinanze di protezione civile richiamate in quell’atto, e rimuovere senza indugio (…) le opere che mettono a rischio l’incolumità e la salute pubblica”.
Al contrario, il Sindaco “ha usato il potere che la legge gli attribuisce (…) per raggiungere uno scopo, pur sempre pubblico, ma diverso da quello stabilito, alterando, di fatto, il nesso eziologico che lega la fonte del potere esercitato e la causa tipica dell’atto, che risulta così ‘sviata’ e stravolta rispetto all’interesse pubblico (incolumità e sicurezza) che in origine si intendeva tutelare”.
Il giudice ha così ravvisato nel provvedimento avversato lo sconfinamento “dai limiti oggettivo-causali”, sia sotto il profilo dello sviamento di potere, sia sotto il correlato profilo di inesistenza della causa, e di conseguenza l’assenza degli elementi essenziali, rilevando d’ufficio la nullità dell’atto in quanto ha inteso lo “sviamento di potere come un vero e proprio difetto della causa”, riconducibile alla sanzione della nullità strutturale di cui all’art. 21 septies, primo comma, della L. n. 241/90.

Antonella Trentini (da filodiritto.com)