martedì 31 gennaio 2012

OUA: "Liberalizzazioni, bavaglio all'Avvocatura"

LIBERALIZZAZIONI, UN "BAVAGLIO" ALL’AVVOCATURA
PER UNA GIUSTIZIA SENZA DIRITTO DI DIFESA PER IL CITTADINO

MAURIZIO DE TILLA, OUA: «I diritti dei cittadini vengono calpestati nei paesi senza democrazia, mettere il “bavaglio all’avvocatura” è uno degli strumenti scelti dalla politica italiana per pregiudicare i diritti dei cittadini a uso e “abuso” della legge di mercato: le liberalizzazioni selvagge rischiano di incidere negativamente sull’etica della difesa e sulla legalità del processo»

Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, la rappresentanza politica degli avvocati italiani, che ha proclamato due giorni di sciopero il 23 e 24 febbraio, con manifestazione nazionale a Roma (il 23) e in oltre 100 città italiane (il 24), spiega le ragioni della protesta simbolica rappresentata nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Napoli: «Gli avvocati – spiega - vengono imbavagliati e messi a tacere, pur rappresentando diritti sanciti costituzionalmente come quello alla difesa del cittadino, il Governo Monti, confondendo economia e giustizia, pone in essere una politica che cancella la giustizia su gran parte dei territori e che assegna agli avvocati un ruolo mercantile che è estraneo alla cultura del nostro Paese».
«Nei giorni 23 e 24 febbraio – prosegue de Tilla, illustrando le iniziative - gli avvocati si asterranno dalle udienze. Il 23 febbraio a Roma l’avvocatura italiana si unirà per una grande manifestazione nazionale che sarà ripetuta il 24 febbraio in ogni ufficio giudiziario a livello locale. Se non verranno ascoltate le istanze degli avvocati l’astensione proseguirà più dura ed incisiva, fino a bloccare anche con lo “sciopero bianco” tutta l’attività giudiziaria. È convocato per il 23 e 24 marzo a Milano il Congresso Straordinario Forense per adottare ulteriori iniziative e dare attuazione con tutte le forme consentite al tema principale. “I diritti prima del mercato”».
Il presidente dell’Oua espone, quindi, le posizioni dell’avvocatura: «Sì all’efficienza e all’eliminazione degli sprechi - sottolinea - no ai tagli per ridurre la giustizia sul territorio, alla cancellazione della funzione costituzionale dell’avvocatura, alla rottamazione della giustizia». E ricorda che nelle prossime settimane si avrà la sentenza della Corte Costituzionale su uno dei nodi critici che hanno portato allo sciopero: la mediaconciliazione obbligatoria. «Abbiamo fiducia nella pronuncia della Corte Costituzionale (probabilmente entro il prossimo marzo) sull’obbligatorietà della media conciliazione. Dopo otto mesi dalla sua entrata in vigore non sono più di tremila le conciliazioni effettivamente realizzate nel Paese con la procedura di obbligatorietà, con notevoli costi e pregiudizi all’accesso alla giustizia sancito dall’art. 24 della Costituzione e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il Governo dovrà fare passi indietro in tal senso, annullando o rinviando l’allargamento della mediaconciliazione obbligatoria alle materie del condominio e dell’infortunistica stradale.
L’Oua sottolinea che la preoccupazione degli avvocati è rivolta, appunto, a questo processo di snaturamento della centralità della giurisdizione pubblica, una posizione condivisa anche da parlamentari di tutti gli schieramenti. «Il diritto di difesa non va “imbavagliato” – continua - con norme processuali che esprimono un inaccettabile sospetto nei confronti del difensore. La Commissione Giustizia del Senato ha opportunamente cancellato alcune norme di lesione del diritto di agire del cittadino (quali la sanzione alla prima udienza per chi non si è costituito nella procedura conciliativa, la istanza per la trattazione della causa in appello e in cassazione per evitare l’estinzione del processo etc.).
Allo stesso modo si esprime dissenso rispetto al decreto legislativo sull’abrogazione o accorpamento degli uffici non circondariali dei giudici di pace, se i Comuni non provvedono ad accollarsi le spese di sede e di funzionamento. «È proprio tale formulazione della norma – rileva il presidente Oua - che ne inficia la finalità. Delle due, l’una: o gli uffici da abrogare sono inutili ed allora non si capisce perché sia stata fissata la possibilità di accollo dei costi ai Comuni; o gli uffici sono utili e funzionali allo smaltimento dei processi, ed allora perché accollarne gli oneri ai Comuni intaccando così equilibri finanziari già precari, con un giroconto che non comporta alcun risparmio da considerare nella complessiva finanza pubblica».
L’OUA su tutte queste questioni ha già incontrato il Terzo Polo e nei prossimi giorni si riunirà con i parlamentari del PD e dell’Italia dei Valori, che hanno dichiarato la propria disponibilità ad ascoltare le proposte dell’Avvocatura.
«Chiederemo con vigore la revisione dei criteri per la riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio – puntualizza - e che vengano eliminate le norme che ledono l’indipendenza dell’avvocatura, quali l’introduzione di soci di capitale nelle società professionali, con possibile “lascia passare” all’inserimento della delinquenza organizzata nella gestione della difesa dei cittadini, l’abolizione delle tariffe professionali, che costituiscono presidio imprescindibile per la regolazione del rapporto fiduciario con il cliente, oltre che per la qualità della prestazione del professionista. Eliminare le tariffe non fa crescere il PIL ed anzi mette in difficoltà i giovani professionisti».
«La giustizia è un bene pubblico – conclude de Tilla - che contrasta con le esigenze del mercato e non può consentire liberalizzazioni selvagge e rottamazione dei processi. Altri sono i rimedi per ammodernare la giustizia e smaltire l’arretrato: reale (e veritiera) attuazione del processo telematico in tutti gli uffici giudiziari; reale (e veritiera) applicazione delle prassi virtuose già sperimentate in alcuni tribunali; previsione di manager della giustizia ed eliminazione degli sprechi: incremento delle risorse economiche (senza alcun trattenimento del contributo unificato da parte del Ministero dell’Economia); varo di una legge, varo in sede di conversione del decreto legge sulla giustizia civile di una delega per la riforma e l’implementazione dei giudici laici. Come è evidente gli avvocati non solo protestano, ma anche avanzano molte proposte, peccato che gli interlocutori si sottraggono al confronto».

Comunicato stampa del 31.1.2012

Danni da sinistro stradale, credito cedibile

Il credito derivante dal diritto al risarcimento dei danni patrimoniali da sinistro stradale, può formare oggetto di cessione.
E’ quanto disposto dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, nella sentenza 10 gennaio 2012, n. 52. Il caso riguardava la cessione del diritto di credito al risarcimento dei danni materiali da sinistro stradale, esclusa dal giudice dell’appello. Avverso tale pronuncia, la società cessionaria del suddetto credito proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La Suprema Corte ha puntualizzato che l'art. 1260 c.c. pone il principio della libera cessione del credito, per cui la cedibilità dello stesso è possibile anche senza il consenso del debitore ceduto, a meno che il credito abbia carattere strettamente personale o che vi sia un divieto legale o negoziale di cessione.
Per perfezionare la cessione del credito, di solito è necessario e sufficiente l'accordo tra cedente e cessionario, che determina la successione del cessionario al cedente nel medesimo rapporto obbligatorio, con effetti traslativi immediati non solo tra di essi.
Come già evidenziato in numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità, anche il credito al risarcimento di danni patrimoniali da sinistro stradale può costituire oggetto di cessione, non essendo esso di natura strettamente personale né sussistendo specifico divieto normativo al riguardo (Cass., 13/5/2009, n. 11095; Cass., 5/11/2004, n. 21192; Cass., 21/4/1986, n. 2812).
Nella vicenda in oggetto ricorre un’ ipotesi di cessione onerosa, per cui il cedente è tenuto a garantire il nomen verum, ovvero l'esistenza del credito al tempo della cessione (art. 1266 c.c.).
La cessione del credito avviene in favore del cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie personali e reali, anche con gli altri accessori (art. 1263, 1 co., c.c.), tra i quali rientrano i poteri connessi al contenuto e all'esercizio del credito, ovvero i rimedi convenzionali contro l'inadempimento (come la clausola penale). Pertanto, il cessionario potrà esercitare tutte le azioni previste dalla legge a tutela del credito, volte cioè ad ottenerne la realizzazione, per cui può fare valere l'acquisito diritto di credito al risarcimento nei confronti del debitore ceduto non in base all'art. 144, d.lgs. n. 209 del 2005, bensì in ragione del titolo costituito dal contratto di cessione del credito, quale effetto naturale del medesimo (art. 1374 c.c.).
Nel caso in esame, il giudice dell'appello aveva disatteso il suindicato principio, escludendo la cedibilità del credito risarcitorio da risarcimento del danno patrimoniale da circolazione stradale, con effetti negativi anche sul concreto esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti.
Per tali ragioni, la Suprema Corte ha cassato l'impugnata sentenza con rinvio, in applicazione del principio di diritto, secondo cui “il credito da risarcimento del danno patrimoniale da sinistro stradale è suscettibile di cessione ex artt. 1260 ss. c.c., e il cessionario può in base a tale titolo domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto.”

(Da Altalex del 25.1.2012. Nota di Maria Elena Bagnato)

Allagamento da tombino, il Comune non si salva

Le disastrose conseguenze di un evento alluvionale accaduto in Lombardia nella provincia di Brescia sono oggetto della pronuncia 27 ottobre 2011, n. 22479 della Cassazione.
Il proprietario di un locale, sito in un paesino del Bresciano, citò in giudizio l’Amministratore del Condominio chiedendo il risarcimento dei danni causati dal debordo dalla strada, nel locale di sua proprietà di acque piovane cadute in rilevanti quantità.
Il locale subì ingenti danni, tali da costringere il proprietario ad un rifacimento dello stesso e stessa sorte toccò al mobilio ivi contenuto. Secondo l’Amministratore i danni erano imputabili al Comune, dovuti, a suo parere, alla mancata manutenzione del tombino, infatti la “fuoriuscita imponente dell’acqua dal tombino ne era la prova evidente”.
Nel giudizio di primo grado, il Comune, tra le molteplici motivazioni che avrebbero dovuto esentarlo da ogni addebito, incluse anche l’esimente del caso fortuito, adducendo il fatto che il danno sarebbe stato prodotto da eccezionali quantitativi di pioggia caduti nell’arco di 24-36 ore.
Il Tribunale di Brescia, quindi, dando ragione alle difese dell’Ente coinvolto, rigetta la domanda di risarcimento del proprietario del locale, il quale però, non scoraggiatosi per la suddetta sentenza, investì la corte d’Appello del successivo grado di giudizio.
In appello, la corte riformò la decisione di primo grado e stabilì la responsabilità del Comune evidenziando due elementi: “il nesso causale fra la fuoriuscita dell’acqua dal tombino (cosa in custodia del Comune) e l’allagamento” e la mancata dimostrazione, proprio da parte del Comune, “del caso fortuito”. Condannò l’Ente al pagamento dei danni occorsi al proprietario del locale.
Il Comune presenta ricorso in cassazione, per dimostrare la correttezza della propria azione e per evitare, quindi, le responsabilità per l’allagamento "incriminato". Secondo il Comune la manutenzione dei tombini era stata effettuata a regola d’arte, nessuna richiesta risarcimento a carico dell’amministrazione comunale poteva trovare fondamento. Ma manca un elemento fondamentale nella motivazione del ricorso: la concretezza. Nella sentenza d’Appello viene denunciata la violazione della norma sul “danno cagionato da cosa in custodia”, in particolare è stata affermata la responsabilità del Comune visto che “l’addensamento, pur di grande violenza, dell’acqua piovana misto a detriti lungo l’area antistante il locale danneggiato ed il successivo allagamento costituivano un fatto prevedibile e tempestivamente eliminabile mediante l’adeguamento delle opere pubbliche secondo le corrette norme tecniche, onde impedire lesioni dell’altrui proprietà”.
Conseguenza logica, quindi, è il rigetto del ricorso presentato dal Comune, costretto a risarcire i danni all’assicurazione.

(Da Altalex del 23.1.2012. Nota di Cesira Cruciani)

lunedì 30 gennaio 2012

Gli Avvocati boicottano l'anno giudiziario

Elemento comune, in tutta Italia, la protesta degli Avvocati, che hanno disertato le cerimonie e hanno letto un unico documento contro le liberalizzazioni. A Napoli quella più plateale, con gli Avvocati imbavagliati che hanno dato le spalle al palco appena ha preso la parola Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del Ministero della Giustizia. A Torino i legali hanno lasciato simbolicamente le toghe sui posti loro assegnati. Per contestare le liberalizzazioni decise dal governo Monti, gli avvocati della Camera penale del Piemonte e della Valle d'Aosta sono usciti dall'aula del Palazzo di Giustizia di Torino non appena è cominciata la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario. A Palermo, invece, gli Avvocati hanno abbandonato l'aula quando ha iniziato il suo discorso, in rappresentanza del ministero, Maria Stefania Di Tomassi, capo dell'Ispettorato generale. Insomma il mondo forense è in rivolta.  E dall’Anf viene la richiesta che venga emanato in tempi brevi “il decreto che deve stabilire i parametri per il compenso degli Avvocati nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale. Il D.L. Liberalizzazioni, che prevede l'abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, ha creato un pesante vuoto normativo che rischia di gettare nell'incertezza la grande maggioranza degli Avvocati italiani e i giudici'. Il segretario generale dell'Associazione Nazionale Forense Ester Perifano, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia Severino, per sollevare il problema e chiedere un suo rapido intervento. “L'abrogazione delle tariffe porrà  per il futuro problemi innanzitutto ai cittadini che non avranno punti di riferimento che consentano loro di valutare adeguatamente le richieste che verranno loro formulate. Il problema che si sta invece già ponendo nei tribunali italiani -spiega Perifano - è quello che investe il gran numero di Avvocati impegnati nel settore del contenzioso, per i quali la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale di compensi professionali avviene con cadenza giornaliera. Il D.L. liberalizzazioni prevede espressamente che nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, ovvero quello della Giustizia. Quello che sta accadendo nei tribunali è che i magistrati - privi dell'usuale punto di riferimento rappresentato dalle Tariffe Forensi - non potendo sottrarsi ad un obbligo loro imposto dalla legge, devono rinviare sine die, in attesa del decreto ministeriale, la liquidazione delle competenze degli Avvocati'.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 30.1.2012)

domenica 29 gennaio 2012

Ricambi auto “tarocchi”, no sanzione penale

Cass. Pen. Sez. V – Sent. 20.12.2011, n.47081

La Cassazione Penale ha affermato il seguente principio di diritto:
"Ai fini dell'applicazione degli alticoli 473 e 474 Codice Penale, la contraffazione penalmente sanzionabile è solo quella che attiene al marchio nella sua funzione distintiva. E' legittima, invece, nei casi e con i limiti indicati in sentenza, la riproduzione dei marchi con funzione estetico-descrittiva", e ha disposto l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Brindisi che, annullando l'ordinanza di revoca del Gip, ha ripristinato il sequestro, basandosi su un'interpretazione della norma penale in contrasto con il principio sopra affermato. Per effetto dell'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Brindisi, rivive l'ordinanza del Gip di revoca dell'originario decreto di sequestro, ragion per cui non è necessario assumere alcun ulteriore provvedimento di revoca; al fine di far cessare il vincolo del sequestro, è però necessario che l'ufficio di Procura curi l'esecuzione del provvedimento del Gip del 30.3.2011, disponendo il ripristino dei sitl internet in sequestro.
Il caso di specie è molto interessante e ricorrente in Internet: pubblicizzazione e commercializzazione di copricerchioni provenienti da produttori indipendenti. In sostanza, secondo la Corte non integra il delitto di commercio di prodotti con segni falsi il soggetto che pone in vendita ricambi per auto non originali sui quali sia stato riprodotto, quale elemento estetico presente sul componente originale, il marchio del costruttore del veicolo.
Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.
"Si deve, dunque, concludere che il marchio riprodotto sulle componenti dell'automobile assume una duplice portata: ha una funzione identificativa per quanto riguarda il bene complesso, mentre svolge una funzione solamente estetico-descrittiva con riferimento al ricambio; ne consegue che, per poter essere penalmente sanzionabile, l'uso del marchio altrui deve essere idoneo ad ingenerare errore in relazione all'oggetto che il marchio identifica. Si veda, in proposito, una non recente sentenza della suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I, Sentenza n. 2692 del 29/05/1978, Rv. 392078): "A configurare l'ipotesi di una contraffazione di marchio è necessario che essa investa quegli elementi, costitutlvl e caratteristici, che adempiono alla specifica funzione di identificare il prodotto contrassegnato nella sua consistenza merceologica e nella sua provenienza imprenditoriale".
Perciò, sarebbe penalmente sanzionabile l'imprenditore che apponesse sulle proprie automobili il marchio di un altro costruttore, perché così farebbe credere ai terzi che quel bene proviene da un altro produttore. Analogamente, tornando al settore dei copri cerchioni, sarebbe sanzionabile la riproduzione di prodotti alternativi creati da terzi, ove diversi da quelli originali e provvisti del marchio del produttore indipendente. Qui non siamo più propriamente nell'ambito dei ricambi, quanto degli accessori after market, per cui non valgono più le relative deroghe alle privative di carattere industriale o commerciale; in questo caso, nei confronti del produttore indipendente, il copri cerchione non è ricambio ma un prodotto finito, per cui l'apposizione del marchio diverso da quello del costruttore dell'automobile serve anche ad identificare la provenienza di quel bene, che si distingue dalle altri componenti scelte e prodotte (o fatte produrre a terzi su commissione) dal costruttore stesso. Il terzo che riproduce il copri cerchione non originale - che costituisca una scelta creativa ed originale e che rechi il marchio del produttore indipendente del solo cerchione - integrerebbe certamente il reato di contraffazione del marchio identificativo, perché a quel punto vi sarebbe concreta confusione sulla provenienza del componente specifico.
Ma quando il copri cerchione è quello originariamente montato dal costruttore, l'eventuale presenza del marchio svolge la sua funzione distintiva con riferimento al bene nel suo complesso, posto che tutte le componenti dell'auto hanno geneticamente la medesima provenienza. Quindi la riproduzione del marchio può essere penalmente sanzionata solo con riferimento al bene identificato dal marchio stesso (cioè l'automobile) e non con riferimento al singolo ricambio (nei confronti del quale, lo si ripete, la raffigurazione del marchio è necessitata dalla esigenza di riprodurre fedelmente l'originale e svolge quindi una funzione meramente estetica).
Qui si pone un altro problema, che è stato sollevato dal provvedimento impugnato, e cioè quello della riconoscibilità della provenienza del ricambio; posto che non vi sono indicazioni del produttore sulla parte visibile del componente - dice il Tribunale di Brindisi - il consumatore e la generalità dei consociati possono comunque essere tratti in errore sulla sua provenienza che, in mancanza di diversa indicazione, potrebbe essere attribuita al costruttore del bene complesso.
Il discorso è suggestivo e non privo di ragionevolezza, sotto un profilo astratto, ma non si deve dimenticare che sarebbe del tutto svuotata di significato la norma che autorizza la riproduzione del ricambio uguale all'originale se poi si chiedesse al ricamblsta di evidenziare in modo ben visibile sul prodotto il proprio marchio o le indicazioni sulla reale provenienza industriale del bene; questo perché i prodotti in cui riveste un'importanza fondamentale l'immagine non tollerano, per evidenti motivi commerciali, l'inserimento di elementi estranei, che ne rovinerebbero l'aspetto estetico.
La funzione distintiva del singolo ricambio è, allora, assicurata tramite modalità differenti. In fase commerciale si deve operare sia sulla pubblicità, sia sulla confezione del prodotto; in entrambi i casi può essere messo bene in evidenza che il ricambio non è originale e che proviene da un certo produttore, senza che ciò incida su una piena utilizzazione finale. Quanto al momento dell'uso, l'identificazione non può che avvenire, come normalmente avviene, tramite una stamplgliatura interna (se fosse visibile all'esterno, infatti, ne pregiudicherebbe irreparabilmente l'estetica).
La identificabilità del produttore reale del bene viene assicurata con queste modalità, non potendosi anche pretendere che la stessa sia immediatamente percepibile su un semplice ricambio; d'altronde, è notorio che vi sono plurlmi ricambisti che riproducono le singole componenti delle auto e ciò è anche ritenuto legittimo, come si è visto, dalla legge e dalla giurisprudenza, per cui chi vede passare un'automobile sa già che il copri cerchione può essere un prodotto non originale e deve sapere che l'indicazione della sua provenienza non risiede nel marchio del costruttore eventualmente riprodotto, bensì nelle indicazioni stampigliate sulla faccia non visibile del prodotto.
A questo punto, considerato che nel caso in esame non viene in discussione la mancata indicazione di provenienza in sede di commercializzazione - dato che è pacifico che sui siti internet oggetto di sequestro era ben evidenziato che si trattava di prodotti non originali - né vi sono questioni sull'esistenza del marchio del produttore sulla faccia interna del copriruota (circostanza pacifica), tenuto conto di quanto affermato in punto di diritto, non si può che concludere per la piena legittimità, quantomeno ai fini penalistlci, della condotta dell'indagato".

(Da filodiritto.com del 22.1.2012)

Divorzio e figli: quel che è detto, è detto

Cassazione conferma sentenza Corte d’Appello di Genova
sulle spese per l’assistenza alla figlia disabile

La Corte d'appello di Genova ha confermato il rigetto della domanda proposta da un uomo tesa a ottenere la condanna dell'ex coniuge, da cui si era separato, alla restituzione della somma pari alla metà delle spese da lui sostenute nel tempo per il mantenimento della figlia affetta da disturbi psichici e a lui affidata. In fase di separazione, l'uomo si era infatti accordato nel senso di farsi carico di tutte le spese relative alla figlia, salvo poi chiederne la restituzione. E fatta salva invece la revisione delle condizioni economiche in sede di divorzio.
La Cassazione fa notare che "il soggetto aveva assunto a proprio carico esclusivo la figlia sia in sede di separazione personale dalla moglie che nel giudizio di divorzio, ove dichiarò di rinunciare a esigere alcunché dalla stessa e di non aver pretese a titolo di mantenimento della fanciulla, ancora all'epoca minorenne, che le relative statuizioni non avevano sancito alcun obbligo solutorio della madre in relazione alle esigenze della figlia".
Così, data la sua rinuncia al contributo del coniuge, pienamente valida in quanto relativa a un diritto disponibile, la sequenza di comportamenti dell'uomo attraverso i quali egli ha provveduto, nel tempo e continuamente, ai bisogni della figlia, ancora non autosufficiente, "rappresentano atti di liberalità non ripetibili".
E in conclusione: "Se la definizione delle condizioni patrimoniali della separazione non subisce adeguamenti, sempre possibili nel giudizio di divorzio, ovvero in seguito non venga attivato da parte del coniuge interessato il procedimento di modifica di quelle condizioni, confermate in sede di divorzio... quell'assetto resta definitivamente consacrato in quei termini, dunque immutato sino a che non ne venga richiesta la revisione".

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 25.1.2012)

Prima di tutto, la mamma

La Cassazione dice di no alle adozioni troppo facili e frettolose

No alle adozioni facili. Il monito della Cassazione giunge forte e chiaro dopo aver esaminato il caso di una mamma dal passato difficile che, messi alle spalle i guai, ha voluto che le fosse concessa una seconda possibilità con il figlio naturale.
Il Procuratore generale aveva presentato ricorso in Cassazione chiedendo il ripristino dello stato di adottabilità di un bambino musulmano, sulla base di comportamenti intemperanti della madre. Con ordinanza n. 330/2012, la Corte ha voluto porre l'accento proprio sulla concessione della possibilità alla donna di prendersi nuovamente cura del figlio.
Ovviamente, solo dopo aver riscontrato come "il processo di autonomia e di maturazione della donna stia procedendo con esiti positivi, grazie non soltanto all'impegno suo e del compagno, ma anche al lungo e faticoso lavoro di assistenti sociali, educatori e responsabili della comunità di accoglienza, i quali hanno dato un fondamentale sostegno alla diade madre-figlio, consentendo al minore di assorbire senza eccessivo disagio le intemperanze comportamentali della madre, certamente turbolenta, anche per il suo difficilissimo passato e a volte delegante, ma mai abbandonica verso il figlio che, come osservato dagli operatori, è un bambino sereno, sorridente, senza alcun problema psico-fisico ed evolutivo".

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 23.1.2012)

sabato 28 gennaio 2012

"E UORA COMU U FAZZU U PRECETTU?"

Dal "sesquipedale" consigliere dell’Ordine Avv. Antoni Ciavola riceviamo e pubblichiamo:

Cari colleguzzi,
dopo l'approvazione con decreto legge della manovra "Cresci Italia", contenente l'abrogazione di tutte le tariffe professionali, la domanda più ricorrente - paradossalmente - è quella del titolo.
Dico paradossalmente perchè l'abrogazione della tariffa è dirompente sull'esercizio della professione e sul rapporto avvocato/cliente, mentre la questione del precetto sembra marginale; comunque, è un problema pratico serio.
La scelta di fondo è: passare ai forconi o accettare il cambiamento?
L'OUA - secondo le parole di De Tilla che ho incontrato giovedì - si sta battendo per la soppressione dell'infausta novità, pressando sul Parlamento in fase di conversione del decreto legge.
Sembra che il nostro amato Governo non capisca - o finga di non capire - che mentre le tariffe minime erano a tutela dei professionisti (ma la loro obbligatorietà è scomparsa nel 2006) le tariffe in genere sono a tutela di chi paga, che così non rischia di essere alla mercè del professionista, che senza alcun parametro potrebbe chiedere ciò che vuole (magari approfittando di un particolare momento di disperazione).
Ma arriviamo al precetto.
Esso è redatto in autoliquidazione sulla base della tariffa; pertanto, mentre restano salve tutte le prestazioni rese in vigenza della tariffa e cioè prima della pubblicazione del d.l., oggi tale autoliquidazione non sarebbe più consentita.
Le ipotesi percorribili sono tre:
1) sbattersene della norma e precettare secondo i consueti canoni, sperando che nessuno faccia opposizione.
Ciò presupporrebbe una categoria professionale unita e compatta a difesa delle tariffe, quindi mi sembra (come si dice) strada che non spunta. Personalmente ho subito opposizioni a precetto anche con contestazioni di singole voci (del tipo: quei 12 euro non sono dovuti ecc.).
2) (più coerente col dato testuale) precettare indicando solo sorte capitale, spese liquidate (o spese di protesto), interessi, spese di notifica e registrazione, senza onorario nè diritti; questi resterebbero a carico dell'intimante e se ne potrebbe chiedere la liquidazione in fase di esecuzione.
3) (dato testuale, prospettiva evolutiva) pattuire col cliente per iscritto e forfettariamente il compenso per il precetto, farsi pagare e fatturare; inserire tra le voci intimate "costo del presente atto, come da fattura n. x/2012". In caso di opposizione, vedremo cosa faranno i giudici.
Osservazione finale: il liberismo sfrenato porta alla competizione e alla determinazione dei compensi senza alcun parametro diverso dal libero mercato; come si concilia questa scelta (coerente con l'abrogazione delle tariffe) con il preventivo? e come redigere un preventivo, senza tariffe?
Sarò più chiaro: se mi scrivono sostituzione sportello x, verniciatura sportello y, manodopera w, questi x y w non sono arbitrari, ma derivano da prontuari simili a tariffe, ... se si pretendono trasparenza e preventivi, cosa li garantisce meglio delle sane tariffe (anche se derogabili)??
 
Antoni Ciavola

Severino: priorità sfoltire i tempi dei processi

Nel giorno dell'inaugurazione dell'anno giudiziario che si celebra nelle corti d'Appello di tutta Italia, il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha scelto di essere a Catania, "un esempio virtuoso, dimostrativo del fatto che il recupero di efficienza della giustizia prescinde dalle localizzazioni geografiche". 
In una intervista al Messaggero il ministro oggi delinea alcune delle priorità del suo mandato, in particolare per sfoltire i tempi interminabili dei processi. E a questo proposito specifica: "Il tema della prescrizione non è un tabù. Piuttosto bisogna valutare se il problema della prescrizione rappresenti la causa o la conseguenza della lentezza dellagiustizia".
Insomma se allungare i termini di prescrizione diventa indispensabile per sanare i processi troppo lunghi, è evidente, dice il ministro, che il problema va risolto "dalle cause e non dagli effetti, dalla testa e non dalla coda, prevedendo come ho già detto misure deflattive e interventi sistemici sulla misura della pena". D'altro canto limitarsi a dichiarare prescritti i processi "da un lato scontenta le esigenze di difesa sociale" e dall'altro "non rispetta il sacrosanto diritto di un innocente ad essere riconosciuto tale con una sentenza che non si limiti a dichiarare l'estinzione del reato".
Come trovare l'equilibrio fra la crescente sensazione di insicurezza dei cittadini e la necessità di svuotare le carceri e abbreviare i tempi della giustizia? Per il ministro Paola Severino, essenziale è evitare la legislazione d'emergenza e valutare bene i reati di cui si parla per applicare misure alternative al carcere dove sia possibile. "Un punto di equilibrio può essere trovato" dice in una intervista al Messaggero il Guardasigilli "nella previsione di misure alternative che, filtrate sempre dal giudice, consentano di valutare la pericolosità dell'individuo" perché "una sanzione fortemente afflittiva come quella penale deve essere applicata solo quando altre sanzioni siano inefficaci".
"Ciò che invece si deve evitare" avverte il ministro "è la rincorsa alla legislazione cosiddetta di emergenza per affrontare l'allarme sociale suscitato dai singoli casi". Del resto, osserva, "questo governo ha tempi che ci obbligano a selezione le sole priorità realizzabili nel breve termine".

(Estratto da tiscali.it del 28.1.2012)

Santacroce: magistrato non cerchi vetrine visibilità

Una "idea di magistrato avulso da frequentazioni inopportune, dalla ricerca di vetrine di visibilità e da coinvolgimenti esterni può sembrare anacronistica e fuori dal tempo. Ma rimane l'unica via praticabile per evitare che il magistrato non abdichi alla sua fondamentale funzione di garanzia e di controllo della legalità, che costituisce il fondamento del suo ruolo istituzionale, venendo meno al dovere di essere soggetto soltanto alla legge".
Così argomenta il presidente della corte d'appello di Roma, Santacroce, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario.
Poco prima, nel documento, aveva spiegato che "il magistrato deve manifestare ogni giorno la sua indipendenza, accettando anche una serie di limitazioni alla sua vita privata. Non si dimentichi che non c'è potere senza responsabilità".

(Da TMNews del 28.1.2012)

Continua protesta avvocati per Giustizia e liberalizzazioni

Per Maurizio de Tilla, presidente dell’Oua, la rappresentanza politica degli avvocati italiani, che ha indetto lo sciopero del 23 e 24 febbraio e lanciato le 14 iniziative di protesta contro le liberalizzazioni selvagge e la rottamazione della giustizia civile, è di grande importanza anche l’apertura di un confronto con i Partiti sulle iniziative lanciate dall’avvocatura:
«Ieri (giovedì, NdAGANews) nell’incontro con una delegazione del Terzo Polo, presenti gli onorevoli Giulia Bongiorno e Roberto Rao, abbiamo chiesto un impegno serio a tutela dei diritti dei cittadini e per la riforma della giustizia e della professione forense. Tanti i punti toccati, dal fallimento della mediaconciliazione obbligatoria alla delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, dagli interventi vessatori per i cittadini al processo civile, ora parzialmente modificati dalla Commissione Giustizia del Senato ai reiterati provvedimenti pseudo liberalizzatori contro l’avvocatura, come la delegificazione dell’ordinamento forense e il tirocinio. Un giudizio che ovviamente non riguarda solo questo Governo, ma anche i precedenti. Su tre questioni c’è stata una particolare attenzione: l’abolizione delle tariffe che danneggia tanto i cittadini quanto i giovani avvocati, entrambi vittime di un abbassamento della qualità e di una corsa alla concorrenza sleale che darà benefici solo ai grandi clienti e che produrrà fenomeni di pubblicità ingannevoli, nonché di truffe. No al taglio scriteriato degli uffici dei giudici di pace che produrrá il caos nei grandi tribunali aumentando a dismisura il carico giudiziario. Infine no alla possibilitá che soci di capitale possano essere azionisti degli studi legali, con tutte le implicazioni derivanti dagli evidenti conflitti di interesse che si verranno a creare».
«Il calendario di incontri –aggiunge de Tilla - prosegue la prossima settimana con l’Italia dei Valori (il 2 febbraio), con il Pdl e con il Partito Democratico. Rispetto a quest’ultima forza politica non possiamo che salutare positivamente la recente presa di posizione degli onorevoli Cavallaro e Iannuzzi contro, appunto, la perdita di autonomia del professionista e i conseguenti conflitti di interesse connaturata con l’introduzione dei soci di capitale negli studi legali, più volte denunciata dall’Oua, che in più occasioni ha anche sottolineato il rischio di inquinamento delle organizzazioni mafiose». «Domani, infine – conclude- manifestazioni in tutta Italia nelle cerimonie di inaugurazione nelle Corti di Appello»

Comunicato stampa OUA del 27.1.2012

Valida notifica impugnazione ad altra Agenzia Entrate

In tema di procedimento tributario, la notifica da parte del contribuente dell'atto di impugnazione - nel caso di specie dell'appello - presso un ufficio dell'Agenzia delle entrate non territorialmente competente, perchè diverso da quello che aveva emesso l'atto impositivo, non comporta nè nullità nè decadenza dell'impugnazione.
A tale conclusione si giunge sia per il carattere unitario della stessa Agenzia delle entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità, sia, infine, per il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato (cfr. Cass. Civ. sez. tributaria, sent. 17.12.2008 n° 29465).

(Massimario.it - 4/2012)

Accertamento tributario, applicazione cpc per notificazione

Gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa, entro l'ambito del domicilio fiscale (art. 145 c.p.c., c. 1). Qualora tale modalità risulti impossibile, si applica il successivo comma 3 e la notifica dovrà essere eseguita ai sensi degli art. 138, 139 e 141 c.p.c. alla persona fisica che rappresenta l'ente. In caso d'impossibilità di procedere anche secondo questa modalità, la notifica dovrà essere eseguita secondo le forme dell'art. 140 c.p.c., ma se l'abitazione, l'ufficio o l'azienda del contribuente non si trovino nel comune del domicilio fiscale, la notifica dovrà effettuarsi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, c. 1, lett. e), e si perfezionerà nell'ottavo giorno successivo a quello dell'affissione del prescritto avviso di deposito nell'albo del Comune.
La natura sostanziale e non processuale dell'avviso di accertamento tributario infatti non osta all'applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l'applicazione, per l'avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l'applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l'effetto di sanare la nullità della notificazione dell'avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell'atto, ex art. 156 c.p.c. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza - previsto dalle singole leggi d'imposta - per l'esercizio del potere di accertamento (cfr. Cass. Civ. sez. tributaria, sent. 31.5.2011 n° 12007).

(Massimario.it - 29/2011)

venerdì 27 gennaio 2012

Domani il ministro Severino a Catania

Le relazioni dei presidenti di corte d'appello sull'amministrazione della giustizia aprono le cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario nei 26 distretti italiani. In ogni sede prende la parola, fra gli altri, un rappresentante del ministro. 
La guardasigilli Paola Severino interviene al Palazzo di Giustizia di Catania, dopo la relazione del presidente della corte d'appello Alfio Scuto.

(Estratto da giustizia.it)

Dichiarazione obblighi formativi e corsi

Ricordiamo ai Signori Colleghi che, ai fini della redazione della dichiarazione attestante la frequentazione ai corsi per la formazione obbligatoria, nella sezione "Documenti" del sito, e precisamente in settima posizione, è disponibile un fac-simile dell'apposito modulo; inoltre, tra le prime notizie pubblicate in Gennaio su queste "news", c'è proprio l'elenco di tutti i corsi organizzati dall'AGA nel 2011, utilizzabile per l'eventuale compilazione della suddetta dichiarazione.
La stessa va poi presentata all'Ordine a Catania.

Semplificazioni, 333 leggi abrogate

Abolizione totale o parziale di 333 leggi emanate tra il 1947 e il 2006: lo prevede la bozza del decreto semplificazioni oggi all'esame del Consiglio dei Ministri.
Tra le misure previste dal testo provvisorio ricordiamo:
mantenimento del credito d'imposta fino al 2013 per lavoratori a tempo indeterminato nel Mezzogiorno;
autorizzazione unica ambientale;
ritorna la social card per i comuni con piu' di 250.000 abitanti (risorse stanziate per 50 milioni di euro);
riduzione delle limitazioni alla circolazione dei tir (solo giorni festivi);
semplificazione nel rilascio/rinnovo dei documenti di identità;
abrogazione dell'autorizzazione necessaria all'apertura di locali da ballo e circoli privati.

(Da Altalex del 27.1.2012)

Immobile in usufrutto, nudo proprietario non paga spese condominiali

In tema di ripartizione degli oneri condominiali tra nudo proprietario e usufruttuario dell’unità abitativa, è il secondo a dover pagare le spese condominiali. Infatti, il nudo proprietario non è obbligato neanche in via solidale o sussidiaria. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26831/2011.
Il caso. Un condominio otteneva un decreto ingiuntivo del Giudice di pace per oneri condominiali. L’intimata, però, si opponeva, sostenendo di non essere tenuta al pagamento, in quanto nuda proprietaria dell’appartamento condominiale. Il Giudice di pace, pronunciandosi sul giudizio instaurato a seguito dell’opposizione, revocava il decreto e condannava l’usufruttuaria, trattandosi dell’unico soggetto obbligato. La sentenza veniva, quindi, impugnata per cassazione dal condominio.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte, pur non potendo pronunciarsi compiutamente sulle sentenze del giudice di pace emesse secondo equità e di valore contenuto, precisa comunque che l’esistenza di diritti reali o personali di godimento sulla singola unità immobiliare non è affatto irrilevante in relazione ai rapporti tra proprietario e condominio. E in proposito richiama le norme che attribuiscono poteri di intervento in assemblea e di voto, tanto al conduttore quanto all’usufruttuario, in misura diversa. Infine, relativamente alla ripartizione delle spese condominiali, il nudo proprietario non è tenuto, neanche in via solidale o sussidiaria, al pagamento delle spese condominiali.

(Da avvocati.it del 27.1.2012)

giovedì 26 gennaio 2012

OUA: “Ok emendamenti Senato al processo civile”

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (Oua) esprime un giudizio parzialmente positivo sugli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia del Senato.
Per Maurizio de Tilla, presidente Oua, «prevale il buonsenso, almeno fino al momento; si eliminano alcune delle storture contenuto nel decreto originario e si ritorna a mettere al centro della norma la tutela del cittadino e il diritto di difesa oltre che il buon funzionamento del processo civile, sul quale, però c’è ancora molto da fare».
“Gli emendamenti approvati – continua il presidente Oua - recepiscono alcune delle osservazioni espresse nel corso dell’audizione dell’Avvocatura presso la Commissione Giustizia. È, innanzitutto, positivo l’emendamento approvato finalizzato a sopprimere quelle norme del Decreto Legge destinate a disciplinare le crisi da sovraindebitamento, prevedendone la sostituzione con le disposizioni del Disegno di legge presentato dal Senatore Centaro già approvato in prima lettura dal Senato ed allo stesso Senato rimesso, a seguito delle modifiche introdotte dalla Camera dei Deputati”.
«Ma andiamo nel merito degli ulteriori argomenti – aggiunge De Tilla. - Positivi tutti gli emendamenti finalizzati ad eliminare, ovvero a rendere meno gravi per il cittadino, le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione. Anche se la nostra proposta principale continua ad essere l’abrogazione dell’obbligatorietà della media-conciliazione, un sistema fallimentare, ingiusto e all’esame della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea. Registriamo, inoltre, un importante passo in avanti sulla riforma del giudice laico; è stato presentato, infatti, un emendamento che prevede la delega al Governo in materia di ordinamento della Magistratura Onoraria».
«Infine – sottolinea – bene tutti quegli emendamenti approvati che mirano alla soppressione della norma che impone alla parte di presentare un’istanza a propria firma per la prosecuzione dei giudizi di impugnazione pendenti da tre anni e quelli che riguardano l’istanza di trattazione delle cause pendenti in Corte d’Appello e presso la Corte di Cassazione».
L’OUA, invece, esprime forte contrarietà all’emendamento, a firma dei Senatori Centaro e Caliendo, che, senza che vi sia stato alcun confronto, mira ad introdurre il sistema della motivazione della sentenza civile “a pagamento”.
Per de Tilla sarebbe, «l’ennesimo tentativo di incentivare la deflazione del contenzioso, esclusivamente attraverso l‘innalzamento indiscriminato dei costi di accesso alla Giustizia. Così come netta opposizione alla proposta del Governo che prevede la possibilità che la prova testimoniale sia svolta dai Cancellieri, fuori dall’ordinario orario d’ufficio e con costi aggiuntivi – anche rilevanti – per le parti».
«Si tratta di ulteriori balzelli – conclude de Tilla – finalizzati a rendere ancora più costoso l’accesso alla giustizia civile».

Comunicato stampa del 25.1.2012

Lasciato prima delle nozze, niente risarcimento danni morali

Chi rompe la promessa di matrimonio senza alcun giustificato motivo deve risarcire al partner abbondanato solo le spese sostenute in vista della cerimonia e non anche i danni morali subiti per l'improvvisa e inaspettata rottura. E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la ordinanza n. 9/2012.
Il caso. Un promesso sposo, 2 giorni prima del 'si'', aveva mandato all'aria il matrimonio senza alcun motivo valido. L'ex fidanzata però non aveva reagito molto bene alla rottura, tanto da decidere di ricorrere dal giudice. Sia in primo che in secondo grado, la ragazza aveva ottenuto la condanna dell'uomo a risarcirle 9.875 euro per le spese sostenute in vista delle imminenti nozze e per le "obbligazione contratte" sempre in vista dell'evento. In appello la donna aveva ottenuto anche 30.000 euro a titolo di risarcimento dei danni morali patiti per la rottura. In Cassazione il promesso sposo ha chiesto di non pagare i danni morali in quanto "il recesso dalla promessa di matrimonio non costituisce illecito dal momento che la legge vuol salvaguardare fino all'ultimo la piena libertà delle parti di decidere se contrarre o non contrarre matrimonio".
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte ha replicato che in realtà "il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data ed all'affidamento creato nell'altra persona, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti". Tuttavia,  è pur vero che "la legge vuol salvaguardare fino all'ultimo la piena ed assoluta libertà di contrarre o non contrarre le nozze". Pertanto anche il "recesso senza giustificato motivo non va incontro alla piena responsabilità risarcitoria" poiché "un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione di chi ha promesso di sposare qualcun altro, nel senso dell'accettazione di un legame non voluto". Così statuendo, Piazza Cavour ha cassato il riconoscimento dei 30.000 euro per i danni morali in favore della donna, confermando, però, la liquidazione dei 9.875 euro di spese vive "dal momento che sarebbe ingiusto che il danno subito da chi incolpevolmente viene lasciato a ridosso della data fissata per le nozze rimanga del tutto irrisarcito".

(Da avvocati.it del 25.1.2012)

Verifiche fiscali e previa autorizzazione Procura

Le attività di accertamento relative a verifiche, controlli ed ispezioni effettuate dagli uffici finanziari e dalla Guardia di Finanza, sono dettagliatamente disciplinate dall’art. 52 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 e dall’art. 33 del DPR del 29 settembre 1973, n. 600.
In sostanza, nel citato D.P.R. n. 600 del 1973 si evincono le attività che possono essere svolte dagli uffici preposti al controllo fiscale dei contribuenti e le diverse modalità operative connesse. In particolare, rientra nell’attività degli uffici:
controllare le dichiarazioni dei redditi e dei sostituti d’imposta;
vigilare sul rispetto degli obblighi previsti dalle norme sulle imposte dei redditi nonché degli obblighi relativi alla tenuta delle scritture contabili;
irrogare le sanzioni a seguito della violazione delle norme tributarie applicabili.
Al fine di svolgere la suddetta attività gli Uffici possono procedere ad accessi, ispezioni e verifiche. Mentre per accessi si intende la facoltà di entrare in un luogo e soffermarsi anche senza il consenso di chi ne ha la disponibilità, le ispezioni riguardano un controllo riferito alla contabilità e le verifiche consistono in un riscontro della contabilità oggetto di ispezione.
Dal canto suo, l’art. 52 del D.P.R. n. 633/72 stabilisce che i verificatori, al fine di poter accedere ai luoghi destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole o professionali per poter eseguire controlli devono essere muniti di un’apposita autorizzazione del capo dell’ufficio di diretta dipendenza; qualora, però, si tratti di locali adibiti anche ad abitazione sarà, altresì, indispensabile l’autorizzazione del procuratore della Repubblica.
Inoltre, se l’accesso avviene in locali diversi dai precedenti, e nello specifico in quelli adibiti esclusivamente ad abitazione, è sempre necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica che può concederla soltanto in caso di gravi indizi di violazione delle norme tributarie nonché allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.
Per quanto attiene l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, occorre rilevare come essa, per costante giurisprudenza (Cass. SS. UU. 21 novembre 2002, n. 16424; Cass. 9 novembre 2005, n. 21745) costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell'atto impositivo; ciò comporta da una parte la non impugnabilità della stessa, dall’altra la possibilità per il contribuente di far valere una sua eventuale illegittimità in sede di impugnazione dell’atto relativo alla pretesa tributaria, di cui si contesta la legittimità, innanzi al giudice tributario.
Ed infatti, l’illegittimità dell’accesso inficia gli avvisi di accertamento o di rettifica motivati con riferimento a dati acquisiti, o “prove reperite”, dall’amministrazione finanziaria a seguito di accessi nell’abitazione dei contribuenti che non siano, o siano illegittimamente, autorizzati dal Procuratore della Repubblica (Cass. n. 16690/2004; n. 15230/2001).
In applicazione delle norme e dei principi innanzi espressi, con sentenza n. 6908 del 25 marzo 2011, la Corte di Cassazione ha statuito che “è invalido l’accertamento che si basa su documenti che sono stati sequestrati nell’abitazione o nello studio del commercialista contribuente, qualora il sequestro non sia stato autorizzato dalla Procura”.
Nello specifico il caso riguardava un commercialista il quale aveva subito una perquisizione da parte della Guardia di Finanza nel proprio studio dove, peraltro, aveva anche la residenza anagrafica; in tale occasione i verificatori avevano rinvenuto alcuni documenti riguardanti una società e sulla scorta di essi era stata contestata una dichiarazione dei redditi infedele.
Ebbene, la Corte, confermando quanto già statuito in appello, a seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito che “la circostanza secondo cui nell’immobile ove la perquisizione è stata eseguita il commercialista avesse solo la residenza anagrafica, senza in realtà abitarvi, è meramente affermato dal fisco, senza alcuna prova. Resta il fatto che non è contestato che ivi il commercialista avesse (anche) la residenza e quindi sussiste la violazione del secondo comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, rilevata dal giudice tributario”.
Nello stesso senso si è espressa la Corte anche successivamente con sentenza n. 16570 del 28 luglio 2011, riaffermando ancora una volta i vecchi principi secondo cui <<in tema di accertamento dell’Iva, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, 1° e 2° comma, DPR n. 633/1972 ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria>>.

Maurizio Villani (da diritto.it del 26.1.2012)

Graduatoria, concorsi pubblici e giudice competente

Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 113 dell’11.1.2012

Qualora sorga una controversia in ordine all'inserimento in graduatoria di coloro che sono in possesso di determinati requisiti, anche sulla base della pregressa partecipazione a concorsi, e che è preordinata al conferimento di posti che si rendono via via disponibili, deve escludersi qualsiasi attività autoritativa sulla base di valutazioni discrezionali. L'assenza di un bando, di una procedura di valutazione e di una approvazione finale di graduatoria che individui i vincitori, dunque, preclude di configurare una procedura concorsuale, ai sensi dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, attribuite alla cognizione del Giudice Amministrativo.


(Da diritto.it del 25.1.2012)

mercoledì 25 gennaio 2012

Novità per il rilascio dei certificati comunali

Dall'Ufficio Stampa del Comune di Giarre riceviamo e pubblichiamo:



CERTIFICATI COMUNALI

            Cambiano le regole per il rilascio dei certificati. L’assessore ai Servizi Demografici, Giuseppe Cavallaro, rende note alcune modifiche salienti sui certificati comunali, già in vigore a partire dal 1 gennaio 2012.
           
            CERTIFICATI SOLO NEI RAPPORTI TRA PRIVATI

            Sui certificati, innanzitutto è presente la dicitura “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi.           
                       
            - Non si potrà più autocertificare la proroga della validità dei certificati presentati alla Pubblica Amministrazione o ai gestori di pubblici servizi.
            - È disposto l’obbligo di acquisire d’ufficio non più certificati, ma le notizie atte ad accertare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive, comprese quelle relative alla regolare contributiva.
(Se ad esempio l’INPS richiedeva uno stato di famiglia al cittadino, era il cittadino a procurarsi il certificato, ora non più, il cittadino produrrà una dichiarazione sostitutiva di certificazione nel quale attesterà il suo stato di famiglia, sarà poi l’INPS che provvederà a verificare le dichiarazioni presentate)
RISCHIO PER IL CITTADINO: procedimento penale se dichiara il falso
I certificati e gli atti di notorietà, non potendo essere rilasciati per uso di altra Pubblica Amministrazione, dovranno quindi essere sostituiti da dichiarazioni sostitutive (non più una facoltà per il cittadino ma un obbligo).
A seguito delle modifiche al DPR 445/200 art. 15 Legge 12/11/2011 n. 183 in vigore dal 01/01/2012 art.40: le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati.
Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli art. 46/47.
            Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena nullità, la dicitura: Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi. I certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni attestanti stati, qualità e fatti non soggetti a modificazione (es. nascita, decesso) hanno validità illimitata.

Le restanti certificazioni hanno validità di sei mesi (6) dalla data di rilascio (se disposizioni di legge non prevedono altra scadenza).
COSTITUISCE VIOLAZIONE DEI DOVERI DI UFFICIO LA MANCATA ACCETTAZIONE DELLE DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI CERTIFICAZIONE O DI ATTO DI NOTORIETA’ RESE A NORMA DELLE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE 12/11/2011 N. 183
Non vengono modificate le norme relative all’imposta di bollo e diritti di segreteria, e le esenzioni valgono per tutto ciò che non è “certificazione”, come le autentiche di firme e le copie conformi.
SINTESI:
            il cittadino ha diritto a richiedere ed avere i certificati dalle amministrazioni certificanti, questi verranno rilasciati in BOLLO  ed avranno la dicitura: Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi.
            Il cittadino potrà avvalersi comunque di certificazioni e delle relative esenzioni previste per usi non contemplati nella nuova dissezione di legge (tabella B  DPR 642 26/10/1972) ovvero:
1) I certificati da produrre agli uffici giudiziari (non sono soggetti al DPR 445/2000): ADOZIONE, DIVORZIO, SEPARAZIONE, PROCESSO PENALE ECC. e rientrano nella precedente tabella B per le esenzioni.
2) I certificati da produrre a PRIVATI per cui le norme prevedono già delle esenzioni: ASSOCIAZIONI ONLUS, ASSOCIAZIONI SPORTIVE AFFILIATE AL CONI, DATORI DI LAVORO, BORSE DI STUDIO PRESSO ENTI PRIVATI, CERTIFICATI USO SUCCESSIONE PER NOTAI O ISTITUTI DI CREDITO (tabella B  DPR 642 26/10/1972)
          l’imposta di bollo è pari a 14.62 euro.

martedì 24 gennaio 2012

Indice Istat al 3,2%

L'indice Istat per il mese di dicembre 2011 è fissato a 3,2 %.
Lo rende noto l'istituto di statistica con il comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 21 gennaio 2012.
Tali dati, che rappresentano gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, sono utilizzati per aggiornare il canone di locazione.

(Da Altalex del 23.1.2012)

Borsa di studio Camera Europea di Giustizia

Con delibera del 20 Gennaio scorso, l’Associazione Culturale “Camera Europea di Giustizia” di Napoli, in conformità con quanto stabilito dallo Statuto dell’Associazione ed in linea con gli scopi scientifici di quest’ultima, ha indetto per l’anno 2012 il concorso a n. 1 borsa di studio inerente l’assegnazione del “Premio Camera Europea di Giustizia” per incoraggiare gli studi e le ricerche nel settore delle scienze giuridico-sociologiche.
Le domande di ammissione, ed i relativi elaborati, dovranno essere consegnati entro il 20 Giugno 2012 secondo le modalità indicate dal regolamento di concorso.
Gli interessati possono consultare il sito www.cameradigiustizia.com.

False ricevute di pagamento per evitare distacco telefono: è tentata truffa

Responsabile penalmente per il "tentativo" di trarre in inganno la compagnia telefonica

L'utente che esibisce al personale addetto false ricevute di pagamenti delle bollette telefoniche è responsabile del reato di tentata truffa nei confronti della compagnia telefonica.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza numero 2730 del 23 gennaio 2012, ha accolto il ricorso del PM contro un'utente che ha provato a truffare la Telecom esibendo ricevute di pagamento di bollette telefoniche artefatte.
La seconda sezione penale non ha ritenuto corretto il giudizio della Corte di merito secondo cui il fatto non sussisteva, perché, nella specie, la falsa rappresentazione dell'avvenuto pagamento della morosità pregressa (presupposto indispensabile per continuare a fruire del servizio telefonico) effettuata tramite la presentazione al personale competente delle ricevute contraffatte, presentava "all'evidenza l'attitudine a far conseguire detto vantaggio patrimoniale e quindi a determinare l'evento del reato di truffa, sicché deve considerarsi integrato il requisito dell'idoneità degli atti. E poiché, non potendo essere fine a sé stessa, la simulazione non può avere altro scopo che quello fraudolento, secondo quanto impone di ritenere la comune esperienza, risulta integrato anche il requisito dell'univocità degli atti, che sono tali quando, considerati in sé medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza rivelino, secondo l'id quod plerunque accidit, l'intenzione dell'agente". Così, al riguardo, la Corte di legittimità ha osservato che il danno patrimoniale per la vittima e il vantaggio per il truffatore potevano consistere, alternativamente o cumulativamente, nella prosecuzione dell'erogazione di un servizio che altrimenti si sarebbe dovuto sospendere per mora del cliente e nell'archiviazione della pratica di riscossione delle bollette insolute. Ora la parola al Tribunale di Catanzaro per una nuova analisi del caso.

Vanessa R. (da telediritto.it del 24.1.2012)

Pignorabili nei limiti del quinto i crediti derivanti dal rapporto di agenzia

Cass. Sez. III Civile, Sent. 18.1.2012, n.685

"In tema di espropriazione forzata presso terzi, le modifiche apportate dalle leggi n. 311 del 2004 ed 80 del 2005 (di conversione del D.L. n. 35 del 2005) al D.P.R. n. 180 del 1950 (approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni) hanno comportato la totale estensione al settore del lavoro privato delle disposizioni originariamente dettate per il lavoro pubblico. Ne consegue che i crediti derivanti dai rapporti di cui al n. 3 dell'art. 409 c.p.c. (nella specie, rapporto di agenzia) sono pignorabili nei limiti del quinto, previsto dall'art. 545 c.p.c.".

 (Da filodiritto.com del 23.1.2012)

Farmaci prescritti dietro compenso, è corruzione

Cass. pen., Sez. VI, ud. 26.9.2011 - dep. 16.1.2012, n. 1207

Il medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale che prescriva ai pazienti farmaci segnalati da promotori di ditte farmaceutiche dietro compenso di somme di denaro per ogni singolo pezzo prescritto, stante la qualità soggettiva di pubblico ufficiale rivestita, pone in essere una condotta idonea alla configurabilità del delitto di corruzione. Una tale qualità soggettiva riveste, invero, elemento specializzante, sotto il profilo della qualità dell'agente, rispetto al reato di comparaggio, ex T.U.L.S. (R.D. n. 1265 del 1934), che contempla quale destinatari tutti quanti, indifferenziatamente, esercitino una professione sanitaria.
La condotta rilevante ai fini dell'art. 123, D.Lgs. n. 219 del 2006, sanzionata a norma dell'art. 147, comma quinto, del medesimo provvedimento, deve ritenersi prodromica rispetto a quella, denominata di comparaggio di cui agli artt. 170-172, R.D. n. 1265 del 1934, dato che in questa è contenuto l'ulteriore elemento dello scopo dell'agente di agevolare la diffusione di specialità medicinali. Sicché il rapporto fra le due fattispecie incriminatrici si configura secondo lo schema del cd. reato necessariamente progressivo, che rende applicabile solo la fattispecie più ampia.

(Da telediritto.it del 20.1.2012)

lunedì 23 gennaio 2012

L'ascensore fa rumore, risarcimento al condomino

E' pur sempre un "fatto illecito", anche nel condominio, il superamento delle soglie minime di rumorosità stabilite dalla normativa antirumore del 1997, anche nel caso in cui lo sforamento della soglia massima consentita non superi il decibel. A sottolinearlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26898/2011.
Il caso. Ad una signora, infastidita dall'ascensore installato nel condominio dove abitava che soprattutto di notte la svegliava con l'apertura e chiusura delle porte, dopo la totale vittoria in primo grado, veniva negato in appello sia il diritto al risarcimento dei danni patiti che quello ad ottenere l'esecuzione di lavori "diretti a contenere la rumorosità dell'impianto". Secondo la Corte d'Appello, i limiti di accettabilità erano superati solo per 0,8 decibel e pertanto il lieve sforamento "non era di per sé sufficiente ad integrare l'intollerabilità dei rumori, anche in considerazione del fatto che gli stessi erano discontinui e rari in periodo notturno e che la signora era risultata essere un soggetto particolarmente sensibile ai rumori". Inoltre, secondo i giudici di seconde cure, la donna avrebbe fatto meglio a "valutare, all'epoca dell'acquisto dell' appartamento, le condizioni acustiche dell'impianto e delle mura dell'immobile". Di diverso avviso è la Cassazione.
Il giudizio di legittimità. Secondo la Suprema Corte, nemmeno "il contenimento delle emissioni, di qualsiasi genere, entro i livelli massimi fissati dalle normative di tutela ambientale e nell'interesse della collettività, costituisce circostanza sufficiente ad escludere in concreto l'intollerabilità dei rumori", pertanto, e a maggior ragione, "deve ritenersi senz'altro illecito, per converso, il superamento di detti livelli, da assumersi quali criteri minimali di partenza ai fini del giudizio di tollerabilità. La diretta ed immediata esposizione, per motivi di vicinanza, alle fonti di emissione acustica, ove queste siano normativamente fissate, giustifica in ogni caso il vicino a chiedere la tutela inibitoria e risarcitoria".

(Da Avvocati.it del 23.1.2012)

Liberalizzazioni, governo approva DL

Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime. Il professionista al momento del conferimento dell'incarico dovrà consegnare al cliente un preventivo contentente tutti gli oneri ipotizzabili.
E' quanto prevede il decreto sulle liberalizzazioni approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 20 gennaio 2012.
Tra le altre norme previste:
articolo 18: nessuna proposta di modifica;
assicurazione auto: disincentivi a ricevere risarcimenti in denaro; sconti a chi fa installare gratuitamente la cosiddetta scatola nera sulla propria auto; obbligo dell'assicuratore di sottoporre al cliente i preventivi di almeno altre 3 compagnie concorrenti;
banche: fissato un tetto a commissioni su prelievi bancomat; costi tendenti a zero per i conti correnti a limitata operatività, obbligo per le banche di presentare almeno due offerte di gruppi assicurativi differenti nei casi in cui si costringe il cliente alla stipula di polizze a copertura del mutuo;
carburanti: liberalizzazione degli orari self-service e possibiità per il titolare di autorizzazione petrolifera a rifornirsi del 50% del fabbisogno dal produttore/rivenditore che preferisce;
energia: sei mesi di tempo per procedere alla separazione di Snam Rete Gas da Eni;
farmaci: fissato il nuovo parametro di una farmacia ogni 3.000 abitanti (prevista l'apertuna di 5.000 nuovi esercizi),  liberalizzazione di turni ed orari di apertura; medici obbligati, salvo eccezioni, ad indicare l'esistenza del farmaco generico;
giornali: soppresso il limite minimo di superficie per la vendita di stampa periodica;
imprese: semplificazione delle procedure per la creazione di un'azienda e tribunale delle imprese (ampliamento di funzioni per le già esistenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale);
infrastrutture: misure di incentivazione per i capitali privati;
notai: 1.500 posti in più entro tre anni (500 nel 2012, 500 nel 2013 e 500 nel 2014);
nucleare: velocizzazione delle procedure di smantellamento dei vecchi siti;
taxi: aumento del numero delle licenze, possibilità per ciascun titolare di averne più di una, liberalizzazione degli orari, extraterritorialità, introduzione della licenza part-time.

(Da Altalex del 21.1.2012)

Redditometro, torna la presunzione legale

Il redditometro si fonda su una presunzione legale relativa.
Così hanno precisato i giudici della Cassazione nella sezione tributaria con la sentenza 19 dicembre 2011, n. 27545.
Le risultanze derivanti dai coefficienti ministeriali (relativi, appunto, al c.d. redditometro) rappresentano presunzioni legali, per cui si avranno questi effetti, ossia:
da un lato il contribuente non potrà impugnare il coefficiente di redditività oggettivamente considerato;
dall’altro lato, il giudice non potrà togliere, sua sponte, la capacità contributiva presunta dai decreti, ma solamente valutare la prova contraria come indicata dal contribuente (ossia il possesso dei redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte).
Con la sentenza che qui si annota la Corte ha fatto un “passo indietro” rispetto al precedente orientamento (Cass. civ. 13289/2011) secondo cui la difesa contro gli accertamenti da redditometro poteva essere strutturata come se le risultanze dei coefficienti fossero una presunzione semplice.
Da ciò ne conseguiva che la capacità contributiva presunta non poteva che formarsi nel contraddittorio tra le parti.
E’ opportuno specificare che fino al 2010, la giurisprudenza ha sempre affermato che l’accertamento da redditometro (applicabile fino al periodo di imposta 2008) si basava su una presunzione legale relativa con inversione dell’onere probatorio, addossato sul contribuente.
Restando fermo il fatto che gli studi di settore individuano i ricavi presunti ed il redditometro il reddito complessivo presunto, questo “dietro front” della giurisprudenza “costringe” il contribuente a fornire prova della provenienza reddituale o meno delle somme necessarie al fine di mantenere i beni individuati dal redditometro.
Non resta, quindi, che attendere, allo stato attuale, il giudizio delle Sezioni Unite, visto che la Corte è tornata indietro riaffermando la natura di presunzione legale dei coefficienti.

(Da Altalex del 30.12.2011. Nota di Manuela Rinaldi)