domenica 30 settembre 2012

Domani a Catania convegno su riforma professionale

Come già annunciato su AGA News del 20 settembre scorso, domani, lunedì 1° Ottobre 2012, alle ore 15,30, presso l’Hotel Excelsior di Catania (piazza Verga) si terrà un incontro di aggiornamento professionale, organizzato dal Consiglio dell’Ordine Avvocati di Catania, avente ad oggetto la riforma della professione forense.
Dopo l’introduzione del Presidente Maurizio Magnano di San Lio, interverranno il segretario Diego Geraci (Nuove disposizioni sul procedimento disciplinare), i consiglieri Jessica Gualtieri (Parametri in materia civile) e Fabrizio Seminara (Parametri in materia penale).
L’evento è gratuito ed accreditato per l’attribuzione di crediti formativi in materia di ordinamento professionale.
Per informazioni e prenotazioni: Segreteria Ordine Avvocati Catania, Palazzo di Giustizia, Sig. E. Amata, Tel. fax 095/503310, mail: formazione@ordineavvocaticatania.it.

Addio alla distinzione tra diritti e onorari

TAR Lombardia-Brescia, sez. I, ordinanza 10.9.2012 n° 1528

Sì alla liquidazione complessiva del compenso dell'avvocato. Lo ha stabilito il TAR Lombardia Brescia, con l'ordinanza 10 settembre 2012, n. 1528.
Come ricordato dal giudice amministrativo, la materia è disciplinata dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 agosto 2012) il quale, secondo quanto stabilito dall'art. 42, entra in vigore dal giorno successivo alla propria pubblicazione e, ai sensi del precedente art. 41, trova applicazione a tutte le liquidazioni eseguite dopo la propria entrata in vigore.
In base al combinato disposto degli artt., 1 comma 3 e 7 di tale decreto, lo stesso è comunque applicabile in via analogica a tutti i casi di liquidazione del compenso di professionisti, nella specie dell’avvocato, imponendo una liquidazione onnicomprensiva, facendo quindi venir meno la pregressa distinzione fra diritti e onorari.

(Da Altalex del 18.9.2012. Nota di Simone Marani)

sabato 29 settembre 2012

Infortunio sportivo a scuola

Cass, Civ. sent. n. 16056 del 21.9.2012
In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subito da uno studente all'interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c., non è sufficiente il solo fatto di avere incluso una gara sportiva nel programma della suddetta disciplina, essendo altresì necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella competizione e che, inoltre, la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il sinistro.

Quando l’avvocato ha facoltà di non testimoniare

L’art. 200 c.p.p. come è noto, stabilisce che gli Avvocati “non possono essere obbligati a deporre su quanto conosciuto in ragione della loro professione”, salvo i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria. Ciò al fine di tutelare la riservatezza delle informazioni apprese in ragione del proprio incarico.
Il segreto può opporsi solo su quei fatti conosciuti “per ragione del proprio ministero ufficio o professione”.
Pertanto, se uno dei soggetti indicati dalla norma ha conoscenza di un fatto quale privato cittadino, al di fuori dell’incarico professionale, egli è obbligato a deporre secondo verità.
In tema di deposizione del testimone che possa eccepire il segreto professionale la Cassazione, ha stabilito che l’obbligo sancito a pena di nullità di avvisare i testi della facoltà di astenersi, previsto dall’art. 199 co. 2 c.p.p., non è applicabile ai soggetti elencati nell’art. 200 c.p.p. inoltre, che l’esimente di cui all’art. 384 co.2. c.p.., nella parte in cui prevede l’esclusione della punibilità, se il fatto è commesso da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza, non si applica ai soggetti indicati nell’art. 200 c.p.p.(Cassazione Penale Sezione VI, 11 Febbraio 2009 n. 9866).
Con tale decisione il Supremo collegio, modificando un precedente orientamento cui aveva aderito il Giudice di prime cure, annulla con rinvio una sentenza del Tribunale di Milano che riconosceva l’applicazione dell’art. 384 comma 2 c.p. anche per i soggetti elencati dall’art. 200 c.p.p.
La vicenda trae origine dall’intervento, quale testimone in un processo civile, di un Avvocato cui il Giudice non aveva fatto menzione della facoltà di astenersi dal testimoniare su quanto conosciuto in ragione del proprio incarico.
Le dichiarazioni dell’Avvocato erano contraddette dai documenti agli atti.
Il Tribunale, pur ravvisando il reato di falsa testimonianza, ha ritenuto applicabile l’esimente di cui all’art. 384 co. 2 c.p.p. per il mancato avviso da parte del Giudice della facoltà di astenersi, pronunciando sentenza di non luogo a procedere.
Avverso tale decisione ricorre il P.M. per violazione di legge, ritenendo non sussistere alcun obbligo per il Giudice di avvisare il teste della facoltà di astenersi opponendo il segreto professionale.
La Cassazione accoglie il ricorso evidenziando come nell’art. 200 c.p.p. non si preveda alcuna nullità per l’omesso avviso della facoltà di astenersi ai soggetti ivi indicati, a differenza di quanto stabilito nell’art.199 co.2 c.p.p.
Il principio di tassatività, che informa la materia della nullità, impone di ritenere che il disposto di cui all’art. 249 c.p.c. secondo cui nel processo civile “si applicano all’audizione dei testimoni le disposizioni degli artt. 351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni”, sia da riferire esclusivamente agli artt 200-202 c.p.p. del codice del 1988.
Nessun riferimento è fatto all’art. 350 c.p.p. del 1930 la cui disciplina è oggi trasfusa nell’art. 199 c.p.p., il solo, a prevedere l’obbligo (sancito a pena di nullità) per il Giudice di avvisare i testimoni della facoltà di astenersi.
L’art. 200 c.p.p. non menziona dunque l’obbligo di avvisare l’Avvocato della facoltà di astenersi.
La ratio di tale previsione è da ravvisarsi, a giudizio della Corte, nella differente preparazione tecnica che connota un Avvocato rispetto al “quivis de populo” cui l’ordinamento viene incontro informandolo del diritto di non testimoniare in un processo in cui risulta imputato un prossimo congiunto, al fine di evitare che egli possa rendere dichiarazioni menzognere.
La Cassazione dunque, ha ritenuto di non estendere per analogia in bonam partem la causa di non punibilità di cui all’art. 384 co.2 c.p. ai professionisti contemplati nell’art. 200 c.p.p. escludendo parimenti la possibilità di un’interpretazione estensiva della norma.
Sarà onere dell’Avvocato comunicare al Giudice la propria scelta di deporre o meno su quanto in sua conoscenza.
Tuttavia, a ben vedere, la Corte non considera che il segreto professionale opponibile dall’Avvocato è pur sempre posto a tutela del proprio assistito e che quindi, come si prevede la nullità per la deposizione del prossimo congiunto non avvisato della facoltà di astenersi, parimenti dovrebbe inficiarsi della stessa sanzione la dichiarazione del legale (non edotto della possibilità di opporre il segreto professionale) che possa compromettere gli interessi del proprio cliente essendo speculare la ratio che informa gli artt. 199 e 200 c.p.p.
Il pregiudizio all’imputato può derivare sia dalla dichiarazione del familiare che dalla testimonianza dell’Avvocato il quale, proprio in ragione dell’incarico ricevuto, può conoscere informazioni la cui divulgazione risulti pregiudizievole per il proprio assistito.

Paolo Gatto (da overlex.com)

Incompatibilità tra professione ed esercizio del commercio

Per l’efficacia degli anni di iscrizione alla cassa ai fini previdenziali, occorre che il professionista dimostri l’esercizio continuativo della professione in assenza di situazioni di incompatibilità.
In questa sede, nell’approfondire la tematica, vedremo di esaminare l’incompatibilità tra esercizio della professione forense e l’attività commerciale, attività che l’art. 3 della Legge Professionale forense (R.D.L. 27.11.1933 n. 1578, come convertito nella L. 22.01.1934 n. 36 e successive modifiche) descrive come “esercizio del commercio in nome proprio o altrui”.
L’ ‘esercizio del commercio in nome proprio’ si realizza in quei casi in cui il professionista sia titolare di impresa commerciale, sia formalmente che di fatto (imprenditore occulto).
In tali ipotesi, la ratio dell’incompatibilità viene ravvisata nel perseguimento in prima persona, con la gestione dell’azienda, di interessi strettamente personali, a rigore contrastanti col dovere professionale di tutelare in primo luogo gli interessi del cliente.
Inoltre, l’avvocato sarebbe esposto al rischio del fallimento e alle conseguenti limitazioni dei diritti civili e della capacità di agire, con pesanti rilessi sul libero esercizio della professione e sull’onorabilità della stessa.
Con l’espressione ‘esercizio del commercio in nome altrui’, invece, si devono anzitutto intendere i casi di mandato institorio o procura generale per la gestione di impresa commerciale di terzi conferiti all’avvocato. Dette ipotesi configurano sostituzione nella gestione dell’impresa ed esercizio di attività commerciale da parte del professionista in nome di altro soggetto, al perseguimento del cui interesse l’avvocato risulta legato da rapporto negoziale in grado di condizionare la libera determinazione nella tutela degli interessi del cliente.
Si ha esercizio di commercio in nome altrui anche nei casi in cui l’avvocato sia socio (anche occulto) di società semplice, in nome collettivo o accomandatario di società in accomandita semplice, svolgendo in tali casi attività di impresa in nome di un soggetto terzo (la società, per l’appunto).
L’incompatibilità viene affermata in tutti i casi in cui l’avvocato sarebbe chiamato a rispondere in proprio ed illimitatamente delle obbligazioni sociali, per il solo fatto di rivestire la qualità di socio, a prescindere dal ruolo effettivamente svolto all’interno della compagine sociale.
Quanto alle società di capitali all’interno delle quali l’avvocato rivesta cariche sociali, l’incompatibilità viene ricollegata all’effettiva titolarità di poteri di gestione, esclusi quindi i casi di mera titolarità di poteri di rappresentanza o l’appartenenza ad organi collegiali all’interno dei quali la volontà del singolo non abbia autonoma rilevanza.
Si è affermato, pertanto, che sussiste l’incompatibilità per il Presidente del Consiglio di Amministrazione (salva l’ipotesi in cui abbia mere funzioni di rappresentanza), per l’Amministratore Unico e per l’Amministatore Delegato.
Si è ritenuto, conseguenzialmente, non costituire causa di incompatibilità con l’esercizio della professione forense l’assunzione della carica di Amministratore Unico o Delegato di società commerciali immobiliari qualora gli immobili di proprietà della stessa provengano da patrimonio personale o familiare e l’attività concretamente svolta sia consistita nella mera gestione di beni finalizzata al loro godimento, senza effettivo esercizio di impresa.
Infine, non sussiste incompatibilità in relazione alla carica di liquidatore di società di capitali, tenuto conto dello scopo non imprenditoriale dell’attività liquidatoria.

Franco Smania (da CF News)

venerdì 28 settembre 2012

Riforma del condominio: il sì della Camera

Via libera della Camera dei Deputati al Disegno di Legge n. 71/2011 che si propone di modificare la disciplina degli immobili in condominio così come disciplinata dal codice civile del 1942.
La riforma della normativa in materia di condominio, che è il risultato di un lungo confronto tra diversi schieramenti politici, si pone come “necessaria e non più prorogabile”, in quanto “non vi è alcun dubbio che il corpus di norme codicistiche sul condominio oggi in vigore appare datato, ampiamente superato dall’enorme mutamento economico-sociale verificatosi negli ultimi sessanta anni, nonché incongruo rispetto alle nuove problematiche determinate dalla diversa organizzazione di vita delle famiglie, dai nuovi servizi di cui esse usufruiscono e dalle caratteristiche diverse delle abitazioni”.
La vetustà dell’impianto normativo vigente è stata solo in parte superata dall’orientamento della giurisprudenza che, in numerose occasioni, si è fatta carico di affermare un’interpretazione evolutiva necessaria a far fronte al consistente e sempre più crescente volume di contenzioso. Il risultato è che, a tutt’oggi, la disciplina della materia trova, a volte, fondamento più nelle pronunce giurisprudenziali che nelle norme del codice civile
In particolare, il nuovo disegno di legge cerca di consolidare in norme le decisioni più recenti della Corte di Cassazione in materia condominiale ma ha anche l’ambizione di creare qualcosa di totalmente nuovo (pur con i limiti di cui si è detto).
L’art. 1 del disegno di legge riscrive l’articolo 1117 c.c. individuando ed elencando meglio le parti comuni dell’edificio; elencazione che naturalmente non può essere esaustiva, stante la grande varietà di tipologie edilizie e di situazioni concrete, ma che costituisce un importante sforzo che tiene conto anche delle elaborazioni giurisprudenziali affermatesi nel tempo.
L’art. 2 introduce l’articolo 1117-bis c.c., di nuova formulazione, che consente di ampliare la nozione di condominio, includendovi espressamente anche i cosiddetti condomini orizzontali quali, ad esempio, i villaggi residenziali e i «supercondomini», quelli cioè costituiti da più condomini. Inoltre, con la nuova formulazione dell’articolo 1117-ter c.c. si prevede una più agevole decisione assembleare (la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore complessivo) per la sostituzione delle parti comuni, ovvero per la modificazione della loro destinazione d’uso, mentre con l’articolo 1117-quater si introduce un più efficace strumento di tutela delle destinazioni d’uso in caso di attività contrarie alle destinazioni stesse.
L’art. 3, nel riscrivere l’articolo 1118 c.c., disciplina i diritti dei partecipanti sulle parti comuni. In particolare prevede la possibilità per il condomino di rinunciare all’utilizzo delle parti comuni, come l’impianto di riscaldamento e di condizionamento, qualora dalla sua rinuncia non derivino notevoli squilibri di funzionamento né aggravi di spesa per gli altri condomini.
L’art. 1122 c.c., previsto dall’articolo 5 del disegno di legge, stabilisce l’impossibilità per i condomini di eseguire opere o modifiche o svolgere attività ovvero variare la destinazione d’uso, se queste recano danno alle parti comuni o alle proprietà esclusive oppure recano pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
Gli articoli 9 e 10 si occupano della figura dell’amministratore di condominio e stabiliscono le regole relative alla nomina, alla revoca e agli obblighi di quest’ultimo. I nuovi articoli 1129 e 1130 del codice civile definiscono i poteri dell’amministratore, le responsabilità su di esso incombenti ed i conseguenti casi di revoca per violazione dei suoi doveri.
Altre novità previste riguardano la durata in carica dell’amministratore che passa da uno a due anni e la possibilità di revocare anticipatamente l’amministratore in alcuni casi espressamente previsti.
Indubbiamente, dall’esame del DDL emerge la volontà di definire un profilo più responsabile e trasparente della gestione condominiale, nell’esclusivo interesse dei condomini ed a garanzia degli interessi dei terzi, in modo che il ruolo e le funzioni dell’amministratore ne escano rafforzati e al contempo i condomini possano più agevolmente controllare l’operato dell’amministratore, anche a mezzo del consiglio di condominio, con funzioni consultive e di controllo.
All’art. 14, comma 3, risultano altresì innovati i modi di costituzione e di quorum deliberativi dell’assemblea in direzione di un più snello funzionamento di tale organo, così come sono ex novo disciplinate, all’articolo 15, le regole che sovrintendono all’impugnazione delle deliberazioni.
L'articolo 16 stabilisce espressamente che "Le norme del regolamento non possono porre limiti alle destinazioni d’uso delle unità di proprietà esclusiva né vietare di possedere o detenere animali da compagnia".
Ulteriori innovazioni riguardano disposizioni di attuazione del codice civile, quali la modalità di riscossione dei contributi condominiali (articolo 18), la modalità di convocazione dell’assemblea (articolo 20), la modalità di rappresentanza e di funzionamento dell’assemblea stessa (articolo 21), di revisione delle tabelle millesimali (articoli 22-23).

(Da Altalex del 28.9.2012. Nota di Mariantonietta Crocitto)

Legittime perquisizioni in studio di avvocato indagato

L’art. 103 c.p.p. salvaguarda il difensore in forza di specifico mandato e non chiunque eserciti la professione legale. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32909/2012.
Il caso. Il Tribunale del Riesame bocciava la richiesta proposta da un’avvocatessa avverso il provvedimento di perquisizione e sequestro probatorio: non veniva ritenuta applicabile la disciplina prevista dall’art. 103 c.p.p.. La ricorrente – nel caso di specie – sosteneva di non essere soggetta a indagini nel procedimento, unica circostanza che impedisce l’applicazione del dettato della norma stessa.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte ricorda che per «difensore» (e per l’applicazione dell’annessa disciplina speciale) deve intendersi non solo colui che assiste l’indagato nel procedimento in cui vi sia la necessità di attività di ispezione ma «anche colui che in altro procedimento ha prestato assistenza all’indagato». Le garanzie offerte dal citato art. 103 non sono pertanto volte alla tutela di chiunque eserciti la professione legale, ma solo di chi sia tout court difensore in forza di specifico mandato, conferito con tutti crismi della forma di legge. In particolare, lo scopo delle guarentigie è quello di salvaguardare la garanzia del diritto della difesa dell’imputato, quindi esse non possono trovare applicazione qualora gli atti indicati dall’art. 103 c.p.p. debbano essere svolti nei confronti di esercente la professione legale che sia lui stesso oggetto di indagini.

(Da avvocati.it del 27.9.2012)

Lecito filmare di nascosto maestra che picchia alunni

Cass. Pen. Sez. VI, sent. n. 33593 del 3.9.2012
Svolgimento del processo
1. Ricorre per cassazione C.A.A. avverso l'ordinanza emessa ex art 309 cpp dal Tribunale del riesame di Brescia in data 5-4-12, con cui era stata sostituita la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell'obbligo di dimora, per il reato di maltrattamenti pluriaggravati commessi ai danni di alcuni bambini dai sette ai dieci anni di età, con abuso dell'autorità derivante dal ruolo di maestra rivestito dalla C. nella locale scuola elementare, dal 12 settembre 2011 al 19 marzo 2012. Risulta dall'ordinanza impugnata che, a seguito della presentazione, da parte dei genitori di tre alunni, di denuncia in ordine a punizioni corporali subite dai figli ad opera della maestra, il P.M. aveva emesso, il 1 marzo 2012, decreto con il quale si disponeva l'effettuazione di videoriprese all'interno dell'aula dove la maestra C. teneva le sue lezioni, al fine di filmare la sua condotta. L'attività di monitoraggio veniva svolta nel periodo 3- 19 marzo 2012, consentendo agli operanti di assistere in diretta a numerosi atti di violenza posti in essere dall'indagata ai danni dei bambini (schiaffi al volto e alla nuca, strattoni, poderose tirate d'orecchi e di capelli).
2. La ricorrente deduce, con unico motivo, nullità dell'ordinanza impugnata, per violazione degli artt. 191, 266, 267 e 268 c.p.p., poichè il Tribunale illegittimamente aveva rigettato l'istanza formulata dalla difesa e volta alla declaratoria di inutilizzabilità di tutte le videoriprese effettuate nell'aula della scuola elementare ove la C. svolgeva la propria attività lavorativa giacchè l'attività di ripresa difettava di idoneo provvedimento autorizzativo di natura giurisdizionale. La specificità del luogo in cui l'attività di monitoraggio era stata effettuata e la natura dei comportamenti che erano stati filmati, comunicativi di gesti ed atteggiamenti, imponeva che la raccolta d'immagini venisse previamente autorizzata dal giudice competente. Il P.M. può infatti disporre soltanto videoriprese in luoghi pubblici o aperti al pubblico, giacchè la natura del luogo in cui si svolge la condotta registrata comporta un'implicita rinuncia alla riservatezza. Al contrario, l'attività di monitoraggio effettuata in luoghi in cui il soggetto sottoposto a verifica svolga attività destinate a rimanere riservate -luoghi garantiti dalla previsione di cui all'art. 14 Cost.
- necessita della preventiva autorizzazione prescritta in materia di intercettazioni ambientali, soprattutto laddove la ripresa abbia ad oggetto "comportamenti comunicativi" tra presenti. Al riguardo, erroneamente l'ordinanza censurata ha ritenuto di qualificare l'aula scolastica come "luogo aperto al pubblico" poichè la maestra esercita, all'interno di tale struttura, uno ius excludendi, sia pur limitatamente al periodo di tempo in cui si svolgono le proprie lezioni, nei confronti di qualunque estraneo, e gode quindi di una propria riservatezza ed autonomia. Sarebbe stata dunque necessaria l'autorizzazione del Gip, in mancanza della quale le videoriprese raccolte sono inutilizzabili. Si chiede quindi annullamento dell'ordinanza impugnata con declaratoria di inutilizzabilità delle videoriprese in disamina.

Motivi della decisione
3. Le censure formulate dalla ricorrente sono infondate. Al riguardo, le Sezioni unite (Sez un. 28-3-2006, n. 26795, Prisco) hanno stabilito che le riprese visive sono prove documentali, ex art. 234 c.p.p., quando siano formate fuori dal procedimento, mentre, allorchè vengano formate mediante l'opera della polizia giudiziaria, come nel caso in disamina, costituiscono prove atipiche. Le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare, ai fini del procedimento penale, sono prove atipiche acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili. La tutela costituzionale del domicilio va tuttavia limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un rapporto stabile, sicchè, quando si tratti di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può essere ammessa con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. Non sono pertanto ammissibili riprese visive effettuate, ai fini del processo, in ambito domiciliare mentre vanno autorizzate dall'autorità giudiziaria procedente (p.m. o giudice)
le riprese visive che, pur non comportando un'intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (come, ad esempio, le riprese effettuate dalla polizia giudiziaria in un bagno pubblico).
3.1. Nel caso in disamina, deve escludersi che un'aula scolastica possa essere considerata un domicilio, ai fini che interessano nella presente sede. Trattandosi infatti di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone (alunni, professori, preposti alla sorveglianza e alla direzione dell'istituto, familiari degli alunni), essa va qualificata, come questa Corte ha avuto modo di stabilire (Cass. Sez 3, 8-5-1969 n. 994, C.E.D. Cass. n. 112623, in tema di atti osceni in luogo pubblico) come luogo aperto al pubblico.
A quest'ultima qualificazione non è d'ostacolo la ravvisabilità, in capo all'insegnante, di uno ius excludendi che certamente gli compete ma che è preordinato non alla tutela della sua riservatezza o comunque di prerogative personali del docente, ma all'ordinato svolgimento dell'attività didattica, che certamente potrebbe venire turbato dall'indebita intromissione di estranei, e dunque esclusivamente alla migliore esplicazione della funzione.
Correttamente, pertanto, nel caso in disamina, il p.m. ha emesso un provvedimento motivato, con il quale ha dato atto delle ragioni per le quali era necessario procedere all'attività di videoregistrazione, sulla base degli elementi allo stato desumibili dalle attività d'indagine fino a quel momento svolte (dichiarazioni dei genitori di alcuni alunni; registrazione di un file audio per mezzo di telefono cellulare da parte di una della mamme dei minori), in merito al reato di maltrattamenti, senza alcuna necessità di richiedere l'autorizzazione al gip.
4. Il ricorso va dunque rigettato, siccome infondato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

giovedì 27 settembre 2012

Esame avvocato e giudizi d’insufficienza illogici

TAR Puglia Sez. I, sent. n. 575 del 20.9.2012

Esame avvocato: vanno sospesi i giudizi di insufficienza formulati dalla Commissione se palesemente contraddittori ed illogici.
E’ questo il principio con cui il TAR Lecce ha accolto l’istanza incidentale di sospensione connessa al ricorso principale, con cui il ricorrente aveva impugnato i giudizi di insufficienza (numerici e motivazionali), assegnati dalla Commissione per l’esame di abilitazione alla professione forense.
In particolare, per il TAR salentino i giudizi di insufficienza apposti sugli elaborati del ricorrente appaiono, a un sommario esame proprio della fase cautelare, contenere la dedotta contraddittorietà e illogicità.
Ed infatti: “l’obiettiva disamina dei compiti evidenzia,…che: a) quanto al parere motivato di diritto civile non risulta venire alla luce la rilevata “mediocre padronanza del lessico italiano e giuridico” attesa la intelligibilità della terminologia utilizzata sia pur nella sua semplicità e pragmaticità; b) quanto al parere di diritto penale, il compito pur non esprimendo una esaustiva chiosa dell’istituto preso in considerazione, appare però concludere per una chiara linea difensiva (del resto l’approccio metodologico richiesto nella stesura di un parere pro-veritate deve tendere a fornire la soluzione giuridica alla problematica presa in esame e non già una dissertazione analitica dell’istituto tipica di un tema ove invece occorre analizzare oltre ai principi generali anche le connesse tesi dottrinali e giurisprudenziali applicabili); c) infine, anche l’atto giudiziario di diritto penale pur
risentendo dello stile pragmatico del ricorrente appare presentare un’appropriata soluzione metodologica (rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale) indicando gli elementi costituivi del reato di peculato e, nella fattispecie concreta esaminata, l’assenza di offensività della condotta ponendo in rilevo l’assenza del danno patrimoniale per la P.A. e quindi gli elementi essenziali richiesti”.

(Da diritto.it del 26.9.2012)

mercoledì 26 settembre 2012

L'OUA: "Geografia giudiziaria incostituzionale"

PRONTI ALTRI RICORSI TAR SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE

De Tilla: "Incostituzionale la legge delega che sopprime 31 tribunali
e oltre 800 uffici giudiziari. Un ricorso necessario alla Suprema Corte,
che verrà accompagnato da altre iniziative

L'Assemblea dell’OUA ha deciso di sollevare le questioni di incostituzionalità ed illegittimità della legge delega sulla geografia giudiziaria e dei decreti legislativi che hanno stabilito la soppressione di 31 Tribunali minori, 220 Sezioni Distaccate e più di 600 uffici di Giudici di pace.
"L’OUA - spiega il presidente, Maurizio de Tilla - insieme al Coordinamento Nazionale dei Fori minori, ai Consigli degli Ordini territoriali, ai Sindaci, alle Istituzioni locali, agli Avvocati ed ai Cittadini promuoverà iniziative giudiziarie, impugnando immediatamente innanzi al TAR i primi provvedimenti di esecuzione della criticata linea di soppressione.
Sono in fase di preparazione i ricorsi contro i provvedimenti dei Presidenti dei Tribunali di Tempio Pausania e di Oristano che hanno accelerato i tempi della soppressione stabilendo che tutti gli affari già di competenza delle Sezioni Distaccate di La Maddalena e Olbia, di Macomer e Sorgono, iscritti o pervenuti dopo il 13 settembre 2012, o per i quali comunque, alla stessa data, non sia stata fissata udienza, devono essere trasmessi alla cancelleria competente preso la sede centrale, per la nuova iscrizione".
"È di grande evidenza l'illegittimità della normativa fissata dalla legge delega e dai decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012 per violazione degli artt. 70, 72 e 77 della Costituzione sulla geografia giudiziaria - conclude de Tilla - sia a livello formale e strutturale che a livello sostanziale. La nostra iniziativa è necessaria per restituire ai cittadini e alle imprese quella giustizia di prossimità, fortemente compromessa da un intervento irrazionale, inutile, controproducente per le finalità di riduzione della spesa pubblica, nonché incostituzionale".

Comunicato Stampa OUA del 24.9.2012

Rifiuto cambio di orario non giustifica licenziamento

Illegittimo il licenziamento del dipendente part-time non sorretto da giustificato motivo oggettivo ma adottato solo in ragione del rifiuto del lavoratore di modificare l’orario di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14833/2012.
Il caso. Un lavoratore part-time alle dipendenze di una società veniva licenziato e impugnava il licenziamento. Il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, accoglievano la domanda, ordinando la reintegrazione del lavoratore nel proprio posto oltre al pagamento da parte della società delle retribuzioni non corrisposte dal giorno del licenziamento. La Corte territoriale rilevava, poi, che il licenziamento era stato adottato perché il lavoratore, assunto part-time, si era rifiutato di modificare l’orario di lavoro. La società ricorreva per cassazione.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte, nel confermare la decisione di secondo grado, ribadisce che, in base alle risultanza documentali prodotte nel giudizio di merito, il licenziamento risulta in effetti adottato perché il lavoratore si era rifiutato di modificare l’orario di lavoro. Infine, precisa piazza Cavour, l’onere di provare l’esistenza del requisito occupazionale, circostanza che impedirebbe l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto del lavoratori, grava sul datore di lavoro. Nel caso concreto, alla società ricorrente - contumace in primo grado – è stato correttamente precluso in sede d’appello fornire la prova della sussistenza del requisito dimensionale. Per questi motivi la Cassazione respinge il ricorso addebitando le spese alla società soccombente.

(Da avvocati.it del 25.9.2012)

martedì 25 settembre 2012

Assenza ingiustificata alla mediazione: atto in frode alla legge

Tribunale di Siena, sentenza 25.6.2012

La mancata presentazione della parte istante, senza giusto motivo, al procedimento di mediazione, è atto in frode alla legge. E' quanto ha stabilito il Tribunale di Siena, con la sentenza 25 giugno 2012.
Il caso faceva riferimento ad una opposizione a decreto ingiuntivo, nella quale i giudici avevano assegnato il termine ex art. 5, primo comma, D.Lgs. 28/2010, per poter presentare la domanda di mediazione. La parte opponente si limitava a depositare l'istanza, senza partecipare all'incontro e senza versare le indennità previste dalla legge. Una volta invitata a giustificare tale comportamento, la stessa non aveva presentato alcuna giustificazione per la mancata partecipazione.
La mediazione obbligatoria, come ricordato dai giudici territoriali, senza violare il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, introduce un ulteriore strumento di tutela dei diritti, la cui effettività, potenzialmente non minore di quella giurisdizionale, necessita rebus sic stantibus del presidio della obbligatorietà.
Anche il Parlamento Europeo, al punto 9 della Risoluzione del 13 settembre 2011, n. 2011/2026(INI), ha osservato che i risultati raggiunti, in particolare in Italia, Bulgaria e Romania, ha dimostrato come la mediazione possa contribuire ad una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie attraverso procedure adeguate alle esigenze delle parti.
La prescrizione legale del previo esperimento della procedura conciliativa, intesa allo scopo della deflazione del contenzioso mediante l'offerta di un'effettiva ed attuale possibilità di definizione stragiudiziale della controversia anteriormente alla trattazione della medesima, non può ritenersi soddisfatta da un mero formalistico deposito di domanda cui non faccia seguito alcun comportamento della parte proponente idoneo a perseguire né l'instaurazione di un effettivo ed integro contraddittorio di fronte al mediatore, né l'effettiva fruizione del servizio da quest'ultimo erogato, che trova il suo corrispettivo nel pagamento delle competenze del mediatore.
Di conseguenza, "il comportamento della parte attrice integra gli estremi di atto in frode alla legge, che, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, viene identificato con il perseguimento in via di fatto di un risultato vietato dalla legge con norma imperativa".
Infatti, atto in frode alla legge è quello diretto a raggiungere fini contrari alla legge o ad ovviare a divieti tassativi di legge; nella specie, lo scopo di eludere, sia sul piano della funzione processuale sia dei suoi riflessi pecuniari, l'obbligatorietà della mediazione è stato efficacemente perseguito dalla parte attrice, in contrasto con la normativa processuale.

(Da AltaMediazione.it. del 25.9.2012. Nota di Simone Marani)

Il 12 convegno nazionale Camere Minorili





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Convegno Nazionale dell'Unione Nazionale Camere Minorili
Che ne sarà di noi?
L'Europa dei Minori: tutela e difesa dei diritti


Catania, venerdì 12 ottobre 2012
Grand Hotel Excelsior
ore 08.30 Registrazione dei partecipanti
ore 09.00 Welcome coffee
ore 09.30 Presentazione
Maurizio Benincasa - Presidente della Camera Minorile di Catania
Saluti delle Autorità
Alfio ScutoPresidente della Corte d'Appello di Catania
Giovanni TinebraProcuratore generale presso la Corte d'Appello di Catania
Bruno Di MarcoPresidente del Tribunale di Catania
Giovanni Salvi - Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania
Maria Francesca PricocoPresidente del Tribunale per i Minorenni di Catania, Consigliere Direttivo AMMF
Agostino Fera - Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Catania
Maurizio Magnano Di San LioPresidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Catania
Introduce e modera 
Luca MugliaPresidente dell'Unione Nazionale Camere Minorili
I SESSIONE ore 10.00 - 13.00
Interventi
Guido AlpaPresidente CNF
Maurizio de TillaPresidente OUA
Dario GrecoPresidente AIGA
Ferdinando Testoni BlascoVice Presidente UNCC
Milena Pini Presidente AIAF
Roberto CosioPresidente AGI Sicilia
Fabrizia BagnatiPast President UNCM, Avvocato, Docente presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli
Isabella Mastropasqua Dirigente del Dipartimento Giustizia Minorile, Ufficio studi e ricerche
Vittoria PuglieseCoordinamento Gruppo CRC, Unità Advocacy SAVE THE CHILDRENPartecipa e interviene
Vincenzo SpadaforaGarante Nazionale Infanzia e Adolescenza

ore 10.30 Lectio magistralis
Pietro BarcellonaFilosofo del diritto
INFANZIA, ADOLESCENZA E CRISI ECONOMICI: ANALISI DEL FENOMENO
II SESSIONE ore 15.00 - 19.30
Relazione introduttiva
Joseph MoyersoenGiudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, Presidente IAYFJM (International Association of Youth and Family Judges and Magistrates)
UN'EUROPA A MISURA DI BAMBINO? LA POLITICA LEGISLATIVA EUROPEA A TUTELA DEI MINORI
Ore 15.30 Tavola rotonda
IL CONTRIBUTO DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO ALL'EVOLUZIONE DEL DIRITTO MINORILE E DI FAMIGLIA
Grazia Cesaro - Responsabile del Settore Civile UNCM
a colloquio con 
Paola Accardo - Giudice, Rappresentante del Goveno Italiano presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
IL MINORE: RIFLESSIONI SULLA GIURISPRUDENZA EUROPEA IN MATERIA PENALE
Tiziana Petrachi - Responsabile del Settore Penale UNCM
a colloquio con 
Alice Pisapia - Avvocato, Dottore di ricerca in Diritto dell'Unione Europea presso l'Università degli Studi di Udine, collaboratore scientifico del "Centro Studi di Diritto Penale Europeo" (Como)
L'IMPEGNO DELL'UE NEI CONFRONTI DI BAMBINI E ADOLESCENTI: QUALI CONSEGUENZE IN MATERIA DI POLITICHE SOCIALI E DI LEGISLAZIONE COMUNITARIA ALLA LUCE DEL TRATTATO DI LISBONA
Katia Di Cagno - Responsabile del settore Psico-Sociale UNCM
a colloquio con
Roberta Ruggiero - Ricercatore, Children's Rights Unit, University Institute Kurt Bösch, Sion
Testimonianza di
Pino Maddaloni - Oro olimpico judo, Sidney 2000
"PROGETTO SCAMPIA TRIP": IL RAPPORTO TRA SPORT, LEGALITÀ, DEVIANZA MINORILE E LOTTA ALLE MAFIE
Ore 19.00 Conclusioni
Luca MugliaPresidente dell'Unione Nazionale Camere Minorile

Iscrizioni
Per formalizzare l'iscrizione è necessario effettuare la registrazione on line sul sito 
www.medeacom.com

LA REGISTRAZIONE E' OBBLIGATORIA

L'iscrizione sarà convalidata solo se accompagnata dal versamento della seguente quota 
- 30 € IVA inclusa per gli iscritti alle camere minorili
- 50 € IVA inclusa per i non iscritti

La copia del versamento dovrà essere inviata alla segreteria organizzativa a mezza fax o via e-mail.

La quota di iscrizione comprende:
welocme coffee
kit congressuale
attestato di parteciapzione

ULTIMO GIORNO UTILE PER L'ISCRIZIONE: 7 OTTOBRE 2012
Segreteria Organizzativa
Medea Comunications srl
via Livorno, 65 - 95026 Aci Trezza (CT)
Tel. 095 377412
Cell. 348 9604567
Fax 095 7225495
E-mail: v.damore@medeacom.com
Crediti formativi
L'evento è accreditato dall'Ordine degli Avvocati di Catania per la formazione continua degli Avvocati con l'attribuzione di 6 crediti formativi.
Comitato Scientifico
Avvocati Luca Muglia, Grazia Cesaro, Tiziana Petrachi, Katia Di Cagno.
Informazioni
Avv. Rita Perchiazzi
segretario@camereminorili.it

UNIONE NAZIONALE CAMERE MINORILI
Via Caldarola, 147
70126 Bari
www.camereminorili.it
info@camereminorili.it


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lunedì 24 settembre 2012

Panni stesi ad asciugare, evitare sgocciolamento

In assenza di una servitù di stillicidio, acquisibile anche per usucapione o destinazione del padre di famiglia, attenzione a come stendere i panni all’aria aperta: occorre, infatti, evitare lo sgocciolamento sul terrazzo sottostante. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14547/2012.
Il caso. La proprietaria di un appartamento conveniva in giudizio la proprietaria dell’appartamento soprastante, a causa della sua cattiva abitudine di appendere la biancheria fresca di bucato fuori dalle finestre affacciate sul cortile interno e, soprattutto, sul terrazzo dell’attrice. I panni bagnati, infatti, sgocciolavano sul terrazzo di quest’ultima che lamentava perciò l’illegittima costituzione di una servitù di stillicidio. Il Tribunale di Brescia respingeva la domanda, ammettendo l’esistenza di una servitù di ‘sgocciolamento’ per destinazione del padre di famiglia, derivante dall’installazione ad opera del precedente proprietario dell’appartamento ‘di sopra’ dei supporti metallici su cui tendere il filo da bucato. Invece, la Corte d’Appello negava la sussistenza della servitù di stillicidio sul terrazzo di pertinenza della ricorrente.
Il giudizio di legittimità. La Cassazione, respingendo il ricorso della vicina del piano di sopra, qualifica l’azione proposta della vicina ‘di sotto’ come negatoria servitutis, diretta cioè ad ottenere la rimozione dei fatti posti in essere dal vicino che afferma così un diritto di natura reale sulla terrazza. Inoltre, proseguono gli Ermellini, per valutare l’esistenza di una simile servitù  occorre far riferimento al principio di apparenza, facendo riferimento a segni visibili dell’effettiva presenza del vincolo; in concreto, occorre valutare se i supporti metallici su cui tendere i fili da bucato siano considerabili obiettivamente destinati all’esercizio della medesima servitù. Ebbene, tali oggetti, nella valutazione della Corte territoriale confermata in sede di legittimità, non rivelano in maniera in equivoca l’esistenza del peso gravante sul fondo servente. Ne consegue che la proprietaria del balcone oggetto dello sgocciolamento, al momento dell’acquisto dell’appartamento, non poteva intendere con chiarezza che si volesse assoggettare il suo immobile alla servitù oggetto della controversia.

(Da avvocati.it del 24.9.2012)

Danno biologico con tabelle locali se non provata sproporzione

Per l'infortunio nell'ora di ginnastica paga la scuola quando il docente
non ha imposto le misure di sicurezza tipiche dello sport praticato

Quando si tratta di pagare neanche la pubblica amministrazione mette mano volentieri al portafoglio. Eppure l'ente che risulta danneggiante nella lite per l'infortunio avvenuto a scuola non può censurare utilmente la liquidazione disposta in base alle tabelle per il danno biologico in uso nel tribunale locale se non spiega per quale motivo quegli standard non consentirebbero un risarcimento adeguato. Ancora. In caso di infortunio nella competizione agonistica disputata durante l'ora di educazione fisica è l'amministrazione a risultare responsabile quando lo stesso docente a ammettere, sia pure implicitamente, di non aver fatto rispettare tutte le regole di sicurezza tipiche della disciplina sportiva: nessuna quota di concorso di colpa si può addebitare al danneggiato che si è adeguato alle istruzioni dell'insegnante. È quanto emerge dalla sentenza 16056/12, pubblicata il 21 settembre dalla terza sezione civile della Cassazione.
Onere della prova
Niente da fare per la Provincia di Bolzano che vuole risparmiare nel risarcimento alla ragazzina ferita durante l'incontro di baseball in una scuola sudtirolese. Il punto è che dalla stessa relazione del docente di educazione fisica emerge che le regole di sicurezza da rispettare in casi del genere non sono state osservate: il battitore deve posare la mazza in un sostegno subito dopo il colpo, i corridori non devono stare dietro la linea del battitore; risultato: durante il gioco una studentessa è colpita rovinosamente al volto dalla mazza. In questi frangenti il danneggiato deve provare di essersi infortunato perché vittima dell'azione colposa di un compagno e la scuola è tenuta a dimostrare di non aver potuto evitare il danno pur avendo apprestato tutte le misure di sicurezza. E non è questo il caso perché dagli atti emerge che non sono state adottare le cautele tipiche della disciplina sportiva praticata durante quell'ora di ginnastica.
Ragioni oscure
Veniamo ora al risarcimento. La Provincia altoatesina contesta l'applicazione delle tabelle del Triveneto per la liquidazione del danno biologico, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto tener conto del disposto dell'articolo 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57, in ordine ai postumi micropermanenti. Ma non chiarisce le ragioni per le quali le tabelle non consentirebbero una liquidazione effettivamente adeguata alle circostanze del caso concreto e darebbero invece (si deve intuire) risultati sproporzionati per le sue tasche. Risultato: l'amministrazione paga le spese di giudizio.

Dario Ferrara (da cassazione.net)

domenica 23 settembre 2012

Art Attack: facciamo un precetto con i nuovi parametri e le vecchie tariffe

Ciao ragazzi, benvenuti ad Art attack il programma che vi dimostra che bisogna essere anche un po’ artisti per fare i giuristi.
E allora… all’attacco.
Oggi faremo un precetto alla luce dei “nuovi” parametri per i compensi degli avvocati contenuti nel D.M. 20 luglio 2012 n. 140 (entrato in vigore il 23 agosto 2012).
Scommetto che nel vostro studio si stanno accumulando i precetti da fare e che vi sono sorti dubbi su che importi includere dopo l’abrogazione delle vecchie tariffe forensi senza rischiare opposizioni.
Non ci crederete, ma farlo è molto semplice.
Procuratevi un foglio uso bollo, una penna biro, un paio di forbici e della colla vinilica.
Cominciamo leggendo l’art. 41 del D.M. 20 luglio 2012 n. 140.
«Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore».
Fatto?
State pensando che ogni atto di precetto successivo al 22 agosto 2012 (anche per titoli esecutivi ottenuti antecedentemente quindi) non possa prescindere dall’applicazione dei parametri e che non sia quindi più possibile applicare le abrogate tariffe?
La prospettiva non vi piace affatto vedendo drasticamente decurtati gli importi a remunerazione della vostra attività?
Non disperate!
Passate per ora alla tabella A avvocati del nuovo decreto ministeriale.
Per il precetto sono previsti i seguenti scaglioni e importi:
Scaglione da euro 0 a euro 5000: da 20 a 100 euro
Scaglione da euro 5001 a euro 500000: da 150 a 350 euro
Scaglione da euro 500001 a euro 1500.000: da 400 a 600 euro
Scaglione oltre euro 1500000: da 700 a 900
Cosa dite?
Manca la previsione dei compensi per gli scaglioni tra euro 5000 e 5001 e tra euro 500000 e 500001;vi sono quindi in pratica due altri micro-scaglioni per i quali non sono quantificati i compensi per il precetto?
Eh, ma che pignoli!
Sono affari del vostro cliente che non interessano a nessuno.
E poi quanti casi del genere capiteranno mai? Suvvia!
Vorrà dire che oggi non proveremo a fare uno di quei precetti, andiamo avanti e smettetela di interrompere.
Tagliate una strisciolina di carta della tabella A che ricomprenda lo scaglione in cui ricade il vostro precetto e incollatelo appena dopo il “protocollo”(la parte iniziale) del precetto,le premesse e la intimazione che avrete avuto cura di scrivere in precedenza con la vostra penna biro.
Scegliete ora un valore tra il minimo e il massimo del compenso previsto per detto scaglione.
Quale?
Quello che abbia una certa proporzione tra il valore del vostro titolo e quello dello scaglione di riferimento della Tabella.
Quale altro criterio vorreste utilizzare per giustificare la scelta tra un valore piuttosto che un altro per un atto come il precetto? non dite la difficoltà, per favore.
Adesso prendete l’articolo 11 comma 7 del decreto del ministro vigilante:
“Nella fase esecutiva, fermo quanto previsto nella richiamata tabella A - Avvocati, per l'atto di precetto, sono ricompresi, a titolo di esempio: la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al precetto, l'esame delle relative relate, il pignoramento e l'esame del relativo verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali, l'esame dei relativi atti, le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo”.
Come avete letto, prevede tante attività alle quali è ricollegata nell’allegata tabella A un’unica quantificazione di importi.
Alcune di queste nemmeno riguardano il precetto essendo proprie della fase esecutiva vera e propria (il pignoramento e l'esame del relativo verbale, le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo) ed alcune sono oltretutto addirittura solo eventuali (iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali, l'esame dei relativi atti).
Altre mancano invece del tutto (es. richiesta copia titolo esecutivo, ritiro detto, ecc…).
Non è un problema, non perdetevi d’animo, prendete le forbici e tagliate tante striscioline di carta quante sono le attività proprie tipiche del precetto previste in detta fase e incollatele con della colla vinilica sul vostro atto.
Quante sono? tre (la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso, l'esame delle relative relate)? Bene.
Fate senza quelle che mancano. Anche questo è un modo per rilanciare l’economia,pazienza se a discapito del creditore.
A questo punto prendete l’importo previsto nella tabella A per lo scaglione della fase esecutiva in cui ricade il valore del vostro titolo.
Dividetelo per le attività previste per detta fase e moltiplicatelo per tre.
Fatto?
Bene, ora scrivete con la penna questo importo sul vostro foglio protocollo esattamente alla destra delle tre striscioline che avete incollato in precedenza avendo cura di anteporvi una parentesi graffa.
Completate il tutto aggiungendo a biro,subito dopo, il solitoavvertimento che, in mancanza di adempimento a quanto intimato, si procederà ad esecuzione forzata.
Fate ora essiccare il vostro lavoro.
Complimenti avete costruito il vostro nuovo atto di precetto!
Vi avevamo detto prima di non disperare di poter utilizzare almeno in parte le abrogate tariffe.
Infatti nella fase di autoliquidazione delle voci di precetto si potranno indicare anche le attività ricomprese nelle abrogate tariffe forensi se effettivamente svolte prima del 23 agosto2012 (art. 9, comma 3 della legge 24 marzo 2012 n. 27).
Il momento della (auto)liquidazione del resto qual è?
Ehi ragazzi, avete indovinato.
È quello in cui sia stata compiuta la specifica attività.
Non quello che coincide con la notificadel precetto,purnecessaria e strumentale rispetto all'atto da notificarsi (MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 1987, 47) che costituisce un atto comunque distinto anche quando è posto in essere dal legale autorizzato alle notifiche in proprio piuttosto che dall'ufficiale giudiziario.
In pratica ogni volta che pongo in essere un’attività solitamente (ma, come vedremo tra poco, non necessariamente) ricompresa nel precetto la autoliquido con la tariffa in quel momento vigente.
La "nascita" del precetto, il suo perfezionamento,non corrisponde alla notifica che è solo una mera attività con la quale lo si porta a conoscenza della controparte al fine della produzione dei suoi effetti.
Non può negarsi del resto che, proprio dopo il provvedimento definitivo del giudice, vi siano attività che l'avvocato della parte vittoriosa pone normalmente in essere per adempiere il suo mandato professionalediligentemente e con scrupolo (Cass.civ., sez. III 20 giugno 2011 n. 13482). Si pensi alla richiesta della copia integrale del titolo, alla consultazionedel cliente sull'opportunità o meno di porlo in esecuzione o di notificarlo ai fini dell'attivazione del termine breve per l'impugnazione.
In difetto del compimento di tali attività prodromiche (e della loro relativa autoliquidazione con i compensi pro tempore vigenti) la parte vittoriosa non otterrebbe la completa refusione di quanto anticipato per far valere il suo diritto mentre l'ordinamento assicura a chi ha ragione il conseguimento del bene della vita riconosciutogli come dovuto (così ancora Cass.civ., sez. III 20 giugno 2011 n. 13482), o quantomeno non renderebbe definitiva nel breve periodo la pronuncia ottenuta a suo favore.
Del resto, il mandato ad litem conferito per la fase di cognizione si estende normalmente, salvo che non consti una contraria o diversa volontà del mandante anche ad ogni altra che della prima sia la naturale prosecuzione.
Ma tale specifica attività professionale puòsenz’altro compiersilegittimamente anche a prescindere da un precetto proprio nella fase di transizione tra quella di cognizione, culminata nella pronuncia del titolo, e quella eventuale, successiva.
Non si vede come la mera facoltatività della redazione del precetto potrebbe elidere il diritto al compenso nei confronti del soccombente per un'attività comunque normalmente riconducibile ad una prestazione concretamente posta in esseredal difensore.
Ma se si tratta di un atto facoltativo com’è possibile ricollegare necessariamente ad esso l’autoliquidazione del compenso del legale per le attività svolte nell’interesse del cliente dopo l’ottenimento del titolo?
Il precetto, proprio in quanto atto eventuale, non pare, in conclusione, poter mai corrispondere con il momento in cui provvedere alla c.d. autoliquidazione dei compensi del legale del precettante  che dovrà quindi essere retrodatata al momento dell’effettivo compimento di ogni singola attività.
In definitiva, dunque, il diritto a vedersi ricompensate queste attività non può che maturare ed essere quantificato in una fase antecedente alla redazione del precetto, nell’esatto momento temporale in cui siano state poste concretamente in essere.
Per non parlare del fatto che il precetto potrebbe comunquenon essere stato nemmeno predisposto in un unico momento ma completato in più riprese.
Se non si aderisse alla tesi che vede il momento in cui autoliquidare le spese di un’attività poi ricompresa nel precetto in quello nel quale è stata concretamente posta in essere, a quale si dovrebbe fare in sua vece riferimento?
A quello in cui si aggiunge l’ultima svolta (dato che l’art. 480 c.p.c. non prevede un elenco tipico di attività da ricomprendervi)? A quello in cui firmiamo il precetto?
Insomma e concludendo questa puntata sarà ben possibile aggiungere a biro sul vostro foglio uso bollo,a fianco delle striscioline di carta ritagliate dai nuovi parametri,anche alcune voci delle abrogate tariffe.
Bello vero?
A questo punto firmate pure il vostro capolavoro e, per finire, portatelo alla notifica.
Perfetto.
Ah dimenticavo, caso mai vi facessero opposizione all’esecuzione chiedete lumi e aiuto al ministro vigilante.
E’ lei che ci ha fornito il materiale per registrare questa puntata di Art attack.

(Da Altalex del 17.9.2012. Articolo di Andrea Bulgarelli)

sabato 22 settembre 2012

Successo dell’astensione degli avvocati

DALLA X CONFERENZA NAZIONALE DELLA CASSA FORENSE,
L’OUA SI RIVOLGE AL PRESIDENTE DEL SENATO, SCHIFANI:
SERVONO LEGGI URGENTI PER SOSTENERE
UNA CATEGORIA IMPOVERITA DALLA CRISI ECONOMICA
E PRECARIZZATA DAGLI INTERVENTI SULLE LIBERALIZZAZIONI
APPELLO AL GOVERNO: NECESSARIO CAMBIO DI ROTTA SULLA GIUSTIZIA.
NO A DEMOLIZIONE DEI DIRITTI E A CHIUSURA DI 1000 UFFICI GIUDIZIARI

Il presidente del’Oua, Maurizio de Tilla, intervenendo alla X Conferenza Nazionale della Cassa Forense, ha sottolineato il successo di adesione dell’astensione del 20 e 21 della categoria e ha ricordato l’appuntamento di ieri pomeriggio, presso la Cassa Forense – Via E. Quirino Visconti 8 – Primo Piano) con gli Stati Generali dell’Avvocatura per discutere delle prossime iniziative: “Una partecipazione massiccia allo sciopero che dimostra la grande preoccupazione e sofferenza della categoria. Con l’abolizione delle tariffe abbiamo avuto ribassi del 60% dei compensi: oltre il 50% guadagna meno di 16mila euro. Gli avvocati, soprattutto i più giovani, sono in una situazione di grave difficoltà. In questo contesto, assistiamo alla delegificazione dell’ordinamento forense, allo stallo sull’approvazione di una riforma che, però, deve essere all’altezza delle sfide della modernità, ai continui attacchi all’autonomia della cassa previdenziale, all’ingerenza dei soci di capitale negli studi professionali».
«Non solo – continua il presidente Oua - con la chiusura di mille uffici giudiziari, l’applicazione fallimentare della media-conciliazione obbligatoria, la rottamazione del processo civile (filtro in appello, revisione della legge Pinto), si sta demolendo il servizio giustizia per i cittadini».
«Ora basta, servono dialogo e riforme – conclude de Tilla - mi rivolgo in questa sede al Presidente del Senato, Renato Schifani, per rappresentare questa grave situazione. Al Parlamento e al Governo il compito di approvare interventi urgenti e invertire la rotta. Oggi pomeriggio, quindi, Stati Generali dell’Avvocatura: l’obiettivo è continuare a tenere alta l’attenzione coinvolgendo tutta la categoria in un dibattito ampio, aperto e trasversale, crediamo che con la forza della protesta e della proposta si possa vincere questa battaglia».

Adattato dal comunicato stampa OUA del 21.9.2012

Debutta parcella oraria in contratto-tipo Cnf

Informative obbligatorie
Il cliente dovrà dichiarare di aver ricevuto l'informativa sulla privacy (articolo 13, Dlgs 196/2003) che abilita il legale ed i suoi collaboratori all'utilizzo dei dati personali... ma anche della possibilità di ricorrere al procedimento della mediazione e dei relativi benefici fiscali (articolo 4, comma 3, del Dlgs 28/2010). In ultimo, scatta anche l'informativa sugli obblighi in materia di riciclaggio (articoli 2, 3 del Dlgs 56/2004) che obbliga gli avvocati a segnalare le operazioni sospette.
Collaborazione del cliente
Massima collaborazione dovrà essere fornita dal cliente che si impegna, in relazione all'incarico conferito, a fornire al difensore tutti i documenti e le informazioni necessarie per l'espletamento dell'incarico.
Ulteriori spese
Un altro punto prevede l'accordo preventivo delle parti affinché l'avvocato possa avvalersi, sotto la propria responsabilità, di sostituti e collaboratori per lo svolgimento della prestazione. Mentre il legale si impegna ad informare sempre per iscritto il cliente della nomina di consulenti e/o di investigatori. Non è prevista invece una voce "spese di consulenza" ovvero una voce "spese per investigazioni", in quanto oggetto di un diverso contratto che intercorrerà tra cliente e consulente ovvero tra cliente e investigatore.
Compenso per fasi
Attività stragiudiziale - Via libera dunque alla liquidazione della parcella per fasi con l'indicazione puntuale della cifra da corrispondere. Per l'attività stragiudiziale oltre al compenso pattuito vi sarà una voce per "oneri di segreteria/oneri collaboratori/oneri domiciliatari", ed un'altra per spese per mezzo di trasporto, pernottamento ecc. che possono essere determinate in modo forfettario ovvero in base alla documentazione che verrà prodotta successivamente (indicando, però, un tetto massimo o riferimenti al mezzo di trasporto - es. treno, aereo, autovettura -, classe, categoria alberghiera).
Attività giudiziale (civile, giudiziaria e amministrativa) - Qui le voci di spesa, sempre per fasi, sono: attività prestata nella procedura di mediazione, fase di studio, cautelare, introduttiva, istruttoria, decisoria, esecutiva, contributo unificato, marche.
Attività giudiziale penale - Fase di studio, indagini preliminari, attività correlate all'eventuale applicazione delle misure cautelari, attività l'udienza preliminare, per il giudizio di primo grado/per riti alternativi.
Liquidazione oraria - In alternativa, però le parti possono concordare che il compenso sia calcolato sulla base del tempo dedicato dall'avvocato alla causa secondo una "tariffa professionale oraria", da pattuire. In caso di accordo transattivo, è previsto, oltre al compenso per l'attività effettivamente svolta, una ulteriore somma (da concordare), che secondo il Cnf dovrà essere tanto più alta quanto prima si raggiunga l'accordo.
Scadenze pagamenti - Da definire anche le scadenze per le richieste di pagamento sulla base delle fatture emesse dal legale. Il cliente dovrà versare gli importi concordati entro quindici giorni dal preavviso di parcella. Il mancato pagamento degli acconti richiesti o la mancata rifusione delle spese anticipate dall'avvocato costituiscono causa di risoluzione del presente contratto.
Liquidazione giudiziale - Il cliente è tenuto a corrispondere all'avvocato l'intero importo, indipendentemente dalla minore liquidazione giudiziale e dall'onere di refusione posto a carico della controparte. Se, invece, l'importo liquidato giudizialmente è superiore a quanto pattuito, la differenza sarà riconosciuta a favore dell'avvocato. L'avvocato potrà farsi versare direttamente dalla controparte le spese legali poste a carico di quest'ultima e trattenerle a titolo di compensazione. In caso di rinuncia al mandato o di revoca o per altra causa estintiva, il cliente verserà quanto pattuito per l'attività fino a quel momento svolta.
Clausole a doppia firma
Doppia firma poi per le clausole più impegnative per il cliente e cioè quelle su costi e complessità dell'incarico; circostanze prevedibili e non; risoluzione del contratto in caso di ritardo nei pagamenti; regole relative alla liquidazione giudiziale delle spese legali.

Francesco Machina Grifeo (da Guida al Diritto)