venerdì 29 maggio 2015

Cliente non risponde a raccomandate, avvocato risarcisce danno se fa prescrivere diritto!

Cass. sent. n. 10527 del 22.5.2015

L'avvocato ha il dovere primario di tutelare le ragioni del proprio cliente con la diligenza richiesta dall'art. 1176 del codice civile e deve porre in essere atti interruttivi della prescrizione anche se il proprio assistito non risponde a una raccomandata con cui gli vengono chieste istruzioni per la promozione del giudizio.

È quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 10527/15 depositata il 22 maggio) che ha così convalidato una decisione della Corte d'Appello di Perugia.

Nell'ambito di un giudizio di responsabilità professionale, un avvocato era stato condannato a risarcire il danno al proprio assistito per il fatto di aver lasciato prescrivere un suo diritto al risarcimento di danni derivati da un incidente stradale.

La Corte di Appello aveva ritenuto che la mancata risposta alla lettera inviata al cliente non potesse giustificare l'inerzia in ordine all'interruzione della prescrizione.

L'avvocato, ricorrendo in Cassazione aveva sostenuto a sua discolpa, che il cliente si era limitato a conferirgli un incarico per la fase stragiudiziale senza averli mai rilasciato un mandato e che oltretutto non aveva risposto a una raccomandata con cui lo aveva informato dei contatti avuti con l'assicurazione precisando di restare in attesa di istruzioni sui tempi di promozione del giudizio anche ai fini della prescrizione.

In mancanza di una risposta l'avvocato aveva ritenuto che la pratica si potesse considerare chiusa.

L'Avvocato precisava inoltre che il proprio assistito aveva un bagaglio di conoscenze giuridiche derivanti dal fatto che in passato aveva svolto attività di assicuratore.

Di diverso avviso però la Corte di Cassazione secondo cui la mancata risposta del cliente alla raccomandata deve considerarsi irrilevante dato che l'attività di interruzione della prescrizione "tipica del difensore e non richiede alcuna particolare capacità tecnica né uno specifico impegno materiale".

Anche l'eventuale bagaglio di conoscenze giuridiche di cui il cliente sia dotato, per scienza personale o per ragioni di lavoro,  devono considerarsi irrilevanti e non fanno venir meno la responsabilità professionale dell'avvocato.

In buona sostanza, "l'incarico professionale, una volta conferito, investe l'avvocato della piena responsabilità della sua gestione, senza che possa attribuirsi alcuna forma di corresponsabilità a carico del cliente".


(Da studiocataldi.it del 28.5.2015)

martedì 26 maggio 2015

L'AGA su FACEBOOK!


Da qualche settimana l'Associazione Giarrese Avvocati è approdata sul noto social network FACEBOOK, come avevamo annunciato nei mesi scorsi.
Invitiamo i colleghi ad iscriversi al "gruppo chiuso" per conoscere anche tramite FB iniziative e comunicazioni varie.

No a cause di pochi euro, intasano la giustizia

La Cassazione respinge ricorso per una controversia
in cui si chiedevano 33 euro a titolo di interessi!

Sicuramente le cause di scarso valore contribuiscono a ingolfare la già di per sé lenta macchina giudiziaria. E di certo non aiutano il sistema giustizia a uscire da una situazione di cronica emergenza.

Eppure anche le cause di valore molto modesto potrebbero finire nelle aule della Suprema Corte.

Nel 2007 ad esempio la Cassazione dovete decidere in merito a una richiesta di risarcimento danni che i parenti di un defunto avevano rivolto al prete che aveva sbagliato l'orario della messa funebre nonostante avesse percepito un compenso di 10 euro. Una cosa di poco conto eppure il caso era finito nelle aule della Suprema Corte (Vedi: Cassazione: prete sbaglia orario della messa funebre? Niente risarcimento ai parenti)

E di casi di questo tipo ce ne sono davvero tanti.

Ora gli Ermellini sembrano aver deciso di correre ai ripari.

Dopo essere stati chiamati a decidere in merito a una controversia in cui l'oggetto del contendere aveva un valore davvero irrisorio hanno deciso di respingere il ricorso.

Insomma che si abbia ragione o no poco importa, il ricorso potrebbe essere respinto se ciò di cui si discute ha un valore  "oggettivamente minimo" ed una valenza solo economica.

Nel caso di specie (che è immediatamente finito nel notiziario dell'ANSA) si trattava di decidere in merito al riconoscimento di interessi sul capitale per un tardato pagamento di appena 15 giorni. Ritardo per quale il creditore chiedeva il riconoscimento di 33 euro.

Il no della Corte è stato deciso: cause di questo tipo rallentano la giustizia.


(Da studiocataldi.it del 20.5.2015)

Il cliente può “appropriarsi” delle spese legali!

Anche dopo la riforma forense
non commette appropriazione indebita
il cliente, vincitore della causa, che nega al legale
la somma liquidata per le spese legali

Non commette nessun reato il cliente che ha vinto la causa e si rifiuta di dare al proprio legale l’importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali. Anche a seguito della riforma della legge professionale, infatti, il legale vanta solo un credito nei confronti del cliente ma il denaro spetta allo stesso quale vincitore della causa.

Lo ha sancito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 20606/2015 depositata poche ore fa (e qui sotto allegata), escludendo la condanna di un uomo imputato per il reato di cui all’art. 646 c.p. nei confronti del proprio difensore, per aver indebitamente trattenuto la somma allo stesso spettante a titolo di onorari per l’attività prestata in una transazione.

Disattendendo le conclusioni del procuratore della repubblica del tribunale di Siena, la S.C. ha dato ragione all’imputato il quale adduceva l’assenza degli elementi necessari per integrare il reato di appropriazione indebita nel caso in cui la parte vincitrice della causa civile a cui favore il giudice ha liquidato una somma a titolo di spese legali si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato, nonché del difetto dell’”altruità” della cosa visto che, nel caso di specie, l’assegno era stato inviato dalla società soccombente direttamente all’indagato.

Per piazza Cavour il motivo è fondato.

Anche se la riforma forense (art. 13, comma 8, l. n. 247/2012) stabilisce che “le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale”, si tratta pur sempre di un’obbligazione e non di un diritto reale.

Sbaglia pertanto il tribunale ad interpretare la norma suddetta nel senso che la somma sarebbe di proprietà del difensore, il quale invece non poteva “accampare nessun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta”. In ragione, cioè, del rapporto di mandato che sorge tra l’avvocato e il proprio cliente.

Inoltre, hanno ricordato i giudici del Palazzaccio, l’avvocato ha due modi per ottenere il pagamento dei propri compensi: direttamente dal cliente e ciò indipendentemente da quanto liquidato dal giudice in sentenza (e quindi anche, in ipotesi, con somme superiori o minori) o dalla parte soccombente, ex art. 93 c.p.c. che disciplina la fattispecie della distrazione.

Il cliente, dunque, è tenuto a pagare la parcella ma la somma riconosciuta all’esito della transazione resta di sua proprietà e non esiste nessun “vincolo di destinazione” in favore dell’avvocato, come affermato erroneamente dal procuratore. Per cui il titolo in virtù del quale l’imputato ha trattenuto il denaro è legittimo e non c’è appropriazione indebita. Risultato: annullati senza rinvio sia l’ordinanza impugnata che il sequestro probatorio della somma liquidata.

All’avvocato non resta, perciò, che recuperare gli oltre 10mila euro attraverso il pagamento della parcella.


Marina Crisafi (da studiocataldi.it del 19.5.2015)

sabato 23 maggio 2015

STAMANE IL CONVEGNO SULLA "CONCORRENZA"

Organizzato dalla Camera Civile di Giarre e dall’Associazione Giarrese Avvocati, stamane nell’aula magna dell’Istituto tecnico industriale “E. Fermi” di Giarre si è svolto il convegno sul tema: “DISEGNO DI LEGGE CONCORRENZA NELLE PROFESSIONI E NEI SERVIZI (20 febbraio 2015): importanti novità nelle competenze di notai, avvocati e commercialisti per i trasferimenti immobiliari e per la costituzione di Srl”.
Tantissimi gli interventi di autorevoli e competenti partecipanti: il dott. Truglio, presidente dell’Ordine Commercialisti e Periti contabili di Catania, l'avv. Chimenti in rappresentanza dell'Ordine Avvocati di Catania, il notaio Vigneri, il vicepresidente dell’Unione nazionale delle Camere civili avv. Testoni Blasco, la preside D'anna ed il sindaco di Giarre Bonaccorsi.           

I lavori, coordinati dall’avv. Alessandro Scandurra, presidente della locale Camera civile, sono stati introdotti dall’avv. Giuseppe Fiumanò, presidente dell’Associazione giarrese avvocati.

A relazionare, quindi, il prof. Giuseppe Vecchio, ordinario di Diritto privato all’università di Catania, il notaio Filippo Patti, condirettore e docente di Diritto civile alla scuola di notariato “Jacopo da Lentini” di Catania, e l’on. Alessandro Pagano, commercialista e   Componente della commissione Giustizia della Camera dei deputati.
Tutti i relatori hanno concordemente ribadito che la normativa rappresenta luci ed ombre, favorendo una liberalizzazione che di fatto può annullare alcune garanzie per i cittadini.

Sono poi intervenuti l’avv. Antonino Maria Cremona, presidente onorario delle Camere civili siciliane, e l’avv. Carmelo Calì, presidente Confconsumatori Sicilia.

martedì 19 maggio 2015

SABATO 23 CONVEGNO SULLA CONCORRENZA



Sabato 23 maggio prossimo, con inizio alle ore 9, nell'aula magna dell'Istituto "E. Fermi - Guttuso" in via Maccarrone 4 - Giarre, si terrà un evento formativo coorganizzato dall'AGA e dalla Camera Civile di Giarre, sul tema "Disegno di legge concorrenza nelle professioni e nei servizi (D.D.L. 20/2/2015)". Relatori il Prof. Giuseppe Vecchio ed il Notaio Filippo Patti.

La partecipazione all'evento dà diritto a n. 2 crediti formativi.

giovedì 14 maggio 2015

Processo on-line rischia naufragio, pc obsoleti e linee sovraccariche

Secondo il Csm la maggiore emergenza
denunciata dagli uffici giudiziari
è la inadeguatezza dell’assistenza.
Manca anche l’aggiornamento dei dipendenti

Fermare gli avanzamenti del Processo civile telematico. E prendere atto che ci sono tali e tanti problemi infrastrutturali, che la digitalizzazione del processo civile rischia di trasformarsi in un boomerang. È molto severo il Consiglio superiore della magistratura. Dopo una attenta ricognizione, il Csm ha ammonito il ministero della Giustizia che il Processo civile telematico, così com’è, non va. 

Certo, l’idea è ottima. «È un innegabile elemento di modernizzazione del sistema giudiziario e uno strumento irrinunciabile». Ma non si può fare finta che tutto vada bene: il personale non è stato adeguatamente formato, i computer sono spesso obsoleti, le linee sovraccariche. Il risultato è che «la promessa velocizzazione delle cause ha indiscutibilmente fatto i conti con l’impiego di risorse inadeguate in termini di hardware, assistenza tecnica e capacità di tenuta delle linee». 

Occorrono soldi, insomma. E guarda caso, poche ore dopo la staffilata del Csm, il ministero emette un comunicato per informare che «il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato nei giorni scorsi il decreto di variazione di bilancio». 

Dal Fondo unico giustizia (alimentato con le confische giudiziarie) arriveranno 30 milioni di euro per «lo sviluppo e implementazione del processo telematico (19,53 milioni), il rafforzamento delle misure di sicurezza degli uffici giudiziari (3 milioni), il potenziamento degli Uffici per la esecuzione penale esterna (0,5 milioni), il miglioramento delle strutture penitenziarie (3 milioni) e l’ammodernamento degli automezzi destinati al trasporto dei detenuti (2,5 milioni) nonché per garantire lo svolgimento delle missioni nazionali del personale del Corpo di polizia penitenziaria (2 milioni)». 

Con 19,5 milioni, insomma, il ministro Orlando corre ai ripari per salvare il Processo civile telematico. La lista della spesa, in fondo, è quella del Csm: «Occorrono non solo pc, scanner e video di dimensioni sufficienti», ma anche stampanti veloci individuali e tutto ciò che serve per meglio gestire l’udienza come «doppi monitor e tastiere aggiuntive». 

Bisogna mettere mano alla «lentezza delle reti e dei sistemi», se non peggio alle «continue interruzioni nella fornitura dei servizi». Guai a sottovalutare la manutenzione: «la maggiore emergenza» denunciata dagli uffici giudiziari è la «inadeguatezza dell’assistenza», affidata a operatori esterni all’amministrazione, i cui interventi sono «spesso del tutto intempestivi» rispetto alle richieste e «non risolutivi». E poi serve personale giovane e all’altezza della sfida tecnologica: è perciò «fondamentale» assumere «nuovo e qualificato personale amministrativo», visto che il blocco del turn-over ha avuto l’effetto di chiudere le porte ai giovani che hanno maggiore dimestichezza con le nuove tecnologie. 

Serve poi l’aggiornamento dei dipendenti già in servizio per tutti i giudici civili. In attesa di strumenti più evoluti, secondo il Csm va mantenuto il fascicolo cartaceo come strumento «imprescindibile» per garantire al giudice lo studio accurato degli atti e andrebbe rinviata la scadenza del 30 giugno per la digitalizzazione (che per ora vale solo per i tribunali di primo grado) nelle Corti di appello. Già, perché il responso è grave: «Si è ancora molto lontani dalla creazione del fascicolo telematico pensato e voluto dal legislatore».


Francesco Grignetti (da la stampa.it del 14.5.2015)

martedì 12 maggio 2015

Sì a liquidazione sopra i minimi se non provato scarso impegno

Cass. Civ. Sez. II, Sent. 7.5.2015 n. 9237

In tema di liquidazione del compenso per l'esercizio della professione forense, è il cliente che deve fornire la prova che l'avvocato abbia svolto l'attività difensionale affidatagli con imperizia o comunque con impegno inferiore alla comune diligenza, altrimenti le singole voci ben possono essere liquidate al di sopra del minimo tariffario. Solo se chieda compensi al di sopra del massimo previsti, il professionista deve fornire, a norma dell'art. 2697 cod. civ., la prova degli elementi costitutivi del diritto fatto valere, cioè delle circostanze che nel caso concreto giustifichino detto maggiore compenso, restando in difetto applicabile la tariffa nell'ambito dei parametri previsti.

(Da quotidianogiuridico.it del 12.5.2015)

Interessi delle parti parametro validità del “preliminare di preliminare”

Cass. Sez. Unite Civ., Sent. 6.3.2015, n. 4628

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha elaborato il principio per cui, se in materia di compravendita, la contrattazione preliminare è scandita in due fasi, il giudice dovrà stabilire se il primo accordo intercorso tra le parti è già di per sé un contratto preliminare idoneo a produrre effetti. Inoltre, ha aggiunto che il giudice dovrà ritenere produttivo di effetti anche quel previo accordo con cui le parti si obbligano alla stipula di un successivo contratto preliminare, qualora sussista l’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto. Conseguentemente, la violazione di tale accordo darà luogo a responsabilità di natura contrattuale per violazione della buona fede per la mancata conclusione del contratto definitivo.

Nel caso di specie, i promittenti venditori di una porzione di fabbricato agivano in giudizio per chiedere l’esecuzione specifica dell’accordo preliminare intercorso con i promissari acquirenti, i quali resistevano, sostenendo che questo era da qualificarsi come una mera puntuazione, insuscettibile come tale di esecuzione in forma specifica. Il tribunale in primo grado rilevava che il suddetto accordo prevedeva l’impegno delle parti a stipulare un preliminare di compravendita, allorquando fosse stata cancellata l’ipoteca gravante sul fabbricato e che pertanto era da qualificarsi come “preliminare di preliminare”, nullo per difetto di causa. Anche la Corte di Appello confermava la decisione, precisando che la nullità in questione era da ricondursi alla circostanza per la quale il secondo preliminare intercorso tra le parti aveva ad oggetto le medesime condizioni e il medesimo bene del precedente accordo.

Il fulcro della questione verteva in particolar modo sull’incertezza del confine tra atto preparatorio e contratto preliminare nell’ambito della contrattazione immobiliare. Ovvero era necessario stabilire, se ed entro quali limiti, era riconosciuto nell’ordinamento un accordo negoziale che rimandava o obbligava i contraenti a un contratto preliminare propriamente detto.

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, rilevata l’incertezza di contorni caratterizzanti la figura del “preliminare di preliminare”, interpellava nel merito le Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite hanno esaminato il precedente giurisprudenziale della stessa Cassazione costituito dalla Sentenza 2 aprile 2009, n. 8038, secondo cui il “preliminare di preliminare” era da considerarsi nullo per difetto di causa in concreto, in quanto l’accordo di “obbligarsi ad obbligarsi” dava luogo ad una “superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente”.

Tuttavia, le Sezioni Unite hanno ritenuto che tale orientamento possa essere parzialmente superato sia guardando alla causa in concreto quale “sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato”, sia alla luce della teoria moderna che fa leva sul riconoscimento della libertà delle parti di determinarsi e di fissare un nucleo di interessi che si mantengono invariati nei diversi passaggi contrattuali. Solo in questa nuova prospettiva si può meglio comprendere il fenomeno della progressiva differenziazione in più fasi della contrattazione immobiliare (proposta irrevocabile - contratto preliminare - rogito notarile e saldo del prezzo). Tale prospettiva consentirebbenon solo una più esauriente determinazione del contenuto contrattuale, ma al contempo di realizzare al meglio l’interesse delle parti sotteso al contratto.

Alla luce delle suddette considerazioni, la Cassazione ha ritenuto fondamentale vagliare caso per caso quale sia l’interesse delle parti e la loro volontà e soprattutto ha escluso che sia connotata da disvalore la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali, se corrispondente ad un “complesso di interessi che stanno alla base dell’operazione negoziale”. Infine, ha evidenziato che l’assenza di causa ravvisata nel “preliminare di preliminare” era da riferirsi non tanto al primo accordo, quanto piuttosto al secondo.

Alla luce del suddetto iter argomentativo, le Sezioni Unite nel caso di specie hanno rilevato che la Corte d’appello aveva omesso di valutare correttamente la qualificazione del primo accordo intercorso tra le parti, nonché di interrogarsi sulla invalidità del secondo. La Corte territoriale sanciva, infatti, la nullità del contratto propedeutico al successivo preliminare solo in quanto inserito in una sequenza procedimentale differenziata, senza verificare la sussistenza di una causa in concreto, come tale meritevole di tutela.

Per queste ragioni, le Sezioni Unite hanno cassato la sentenza rimettendo la questione ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.


Federica Franchetti (da filodiritto.com dell’11.5.2015)

giovedì 7 maggio 2015