venerdì 31 gennaio 2014

Scambio neonati in culla, ma non è un film

Due coppie a Lecce hanno messo al mondo i loro bimbi tra il 7 e 10 del dicembre 2013. Scambiati una femmina e un maschio. Scoppiato il dramma, si è accertato l’avvenuto scambio con il ripristino dei genitori e delle identità. Ma vi è stata una richiesta di risarcimento del danno. Per lo spavento la mamma della piccola ha perso il latte e continua ad avere attacchi di ansia.
Ha pienamente ragione. La responsabilità è dell’ospedale.

Maurizio de Tilla (da associazionenazionaleavvocatiitaliani.it del 30.1.2014)

L’8 FEBBRAIO CONVEGNO SUL DIRITTO DI FAMIGLIA

La riforma nel diritto di famiglia: 1975-2013” è il titolo del convegno organizzato dal Lions club Giarre-Riposto, che si terrà nella sala degli specchi del palazzo municipale di Giarre il prossimo sabato 8 febbraio a partire dalle ore 18. Dopo i saluti del sindaco Roberto Bonaccorsi e del presidente Lions Carmelo Di Natale, relazioneranno il notaio Filippo Patti, condirettore della scuola di notariato di Catania, ed il magistrato Giuseppe Fichera, giudice del tribunale di Catania.

giovedì 30 gennaio 2014

Avvocatura chiede modifiche su Rca e abrogazione legge Fornero

Incontro col Pd: chieste modifiche al decreto su Rc auto
e l'abrogazione legge Fornero sulle cause di lavoro

"L'incontro delle rappresentanze dell'avvocatura, tra cui Cnf, Oua, Anf, con il responsabile Giustizia del Partito democratico on. Alessia Morani è stato sostanzialmente positivo, tanto da far prevedere all'esponente dem una "istituzionalizzazione" del tavolo di confronto. Le nostre richieste sono molteplici, e tutte hanno come comune denominatore di rimediare al corto circuito che le misure inefficaci e punitive emanate dai governi negli ultimi mesi hanno creato nel funzionamento della macchina della giustizia e nella difesa dei diritti dei cittadini". Lo dichiara il segretario generale dell'Anf Ester Perifano. "Sul tavolo - continua Perifano - abbiamo posto una serie di temi assolutamente urgenti, non solo per la categoria forense, ma per tutto il sistema giustizia del Paese: nel decreto Destinazione Italia in corso di conversione occorrono modifiche consistenti con l'abrogazione delle norme punitive per i cittadini che vi sono state introdotte, a partire da quelli afferenti la Rca, come il depennamento dei risarcimenti per i cosiddetti danni lievi e la decadenza del diritto di richiesta di risarcimento in mancanza di apertura della pratica entro 90 giorni dall'incidente. Abbiamo poi chiesto - aggiunge Perifano - il ritiro, da parte del Governo, del ddl delega che contiene le modifiche del processo civile, ennesimo intervento in materia ma sempre drammaticamente scollegato dalla realtà dei tribunali italiani, che avrebbero bisogno piuttosto della attuazione delle norme gia' approvate e mai partite, ad esempio i 400 ausiliari presso le CdA previsti dal Decreto del Fare. Assolutamente inaccettabili le norme introdotte con la Legge di stabilità relative alla forte diminuzione dei compensi nel caso di patrocinio a spese dello Stato. "E da ultimo, in un'ottica di riforma del mercato del lavoro con l'annunciato Job's act,   l'abrogazione della legge Fornero per le controversie in materia di lavoro, che sotto il profilo processuale ha reso ancora più caotico il sistema di accesso alla tutela dei diritti" - conclude Perifano. L’Organismo Unitario dell’Avvocatura esprime grave preoccupazione per lo svolgimento dell’iter parlamentare per la conversione del DL “Destinazione Italia” (n.145-2013).  Alla Morani, l’Oua ha espresso la forte contrarietà per diversi emendamenti proposti in sede di conversione in Commissione, che risultano drammaticamente peggiorativi e frutto di evidenti e intollerabili pressioni lobbistiche. L'Oua, già ascoltata in Commissione Finanze alla Camera ritiene, inoltre, intollerabile la proposta di tabellare il danno da morte, ovviamente al ribasso, lasciandone la determinazione ad atti amministrativi del Ministero dello Sviluppo Economico. L’Oua ha denunciato il pericoloso tentativo di aggirare la sentenza 180/209 della Corte costituzionale mediante surrettizie modifiche dell'art.149 e 144 del Codice delle assicurazioni. “È  da respingere – sottolinea il presidente Oua, Nicola Marino -  la stravagante ipotesi emendativa volta a introdurre costosi arbitrati obbligatori nella materia RC auto, materia nella quale non è più neanche prevista la mediazione obbligatoria, col solo risultato di impedire l'accesso alla giurisdizione per i danni da circolazione stradale. Stessa considerazione – aggiunge Marino - rispetto alla previsione di introdurre improvvisate modifiche sanzionatorie penali con effetti anche sull'avvocato che difende il danneggiato in una causa civile”. Inaccettabili appaiono, pure, le limitazioni risarcitorie introdotte indirettamente attraverso la previsione di obblighi generici di condivisione dell'ammontare del danno tra danneggiato e debitore o i tentativi di imporre curiose strutture dirigiste che dovrebbero determinare la pretesa corretta determinazione dell'ammontare del danno. Forte dissenso in particolare è stata espressa per quanto riguarda la trattazione dell'art.8 in materia di RC auto. Infatti, denuncia l’Oua, con questa norma si sta consumando una vera aggressione alle garanzie e alle tutele dei cittadini.

Ecco cosa cambia per il danneggiato, ha perso il diritto:

1. di riparare l’auto dove ritiene opportuno; infatti qualora intenda farlo rimane a suo carico la differenza tra il costo di un lavoro eseguito a regola d’arte, e a prezzi di mercato, e la minor somma che l’assicuratore liquiderà parametrandola all’indeterminato importo che asseritamente verrebbe corrisposto ad un riparatore convenzionato;

2. al risarcimento del danno al mezzo nel caso di mancata riparazione;

3. all’integrale risarcimento ora limitato, quanto al veicolo, in violazione dell’art. 2058 cc, al valore commerciale del mezzo, con esclusione peraltro di fermo tecnico, spese di soccorso e traino, spese per nolo di mezzi sostitutivi e delle spese di demolizione e re immatricolazione;

4. al rimborso delle spese mediche e di cura, che dovrà effettuare presso centri medici convenzionati con le assicurazioni;

5. di cedere il credito e pertanto, in caso di riparazione presso officina non convenzionata, oltre a non venire integralmente risarcito, dovrà comunque anticipare le spese e poi attendere il risarcimento;

Non solo.

• Si prevede che la compagnia potrà attendere fino a sei mesi per formulare l’offerta, il danneggiato non potrà più prendere visione della documentazione alla base del rifiuto del pagamento e addirittura non potrà agire in giudizio prima di sei mesi;

• infine tutti i danneggiati da circolazione stradale perderanno il diritto al risarcimento se non formuleranno una richiesta danni entro 90 giorni dal fatto.

Per queste ragioni l’Oua ha inviato a tutti i Partiti un documento che ribadisce la necessità che il Parlamento in sede di conversione blocchi tutte quelle norme che favoriscono esclusivamente le Compagnie assicurative, a scapito dei diritti dei danneggiati.

(Da Mondoprofessionisti del 30.1.2014)

Basta con il balletto del pos

Il Cup chiede modifiche al decreto

Dopo il rinvio beffa al 30 giugno 2014 dell'obbligo del pos per i professionisti, la Presidente del CUP, Marina Calderone, ha annunciato la richiesta di modifiche per rendere il provvedimento più equo. "Questo balletto di date", sostiene la Presidente, "non depone bene, anche perché non è stato chiarito l'aspetto relativo ai costi di installazione, gestione e competenze varie che al momento ricadono sul professionista. La logica che sta alla base del provvedimento è di portare beneficio alla collettività. Così invece si portano risorse solo al sistema bancario".

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 30.1.2014)

Concorso pubblico e mobilità volontaria

Va dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa in relazione ad una censura inerente la violazione della disciplina in tema di pubblicità dell’avviso di mobilità. L’istituto in questione, infatti, attiene alla gestione del rapporto lavorativo e non presuppone in senso stretto l’esercizio di un potere amministrativo, che giustifichi all’indomani della privatizzazione dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione, la giurisdizione del g.a.
Al riguardo è stato richiamato l’orientamento del Cons. stato, sez. V, 12 settembre 2011, n. 5985, che riprende quello delle sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un. Ordinanza del 9 settembre 2010, n. 19251) secondo il quale:” in tema di mobilità per passaggio diretto tra pubbliche amministrazioni, disciplinata attualmente dall’art. 30 del d.lgs 30 marzo 2001 n. 165, integrando siffatta procedura una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro con il consenso di tutte le parti e, quindi, una cessione del contratto, la giurisdizione sulla controversia ad essa relativa (nella specie, instaurata dal dipendente al quale era stato preferito altro candidato al posto da coprire tramite mobilità interna) spetta al giudice ordinario, non venendo in rilievo la costituzione di un nuovo rapporto lavorativo a seguito di procedura selettiva concorsuale, e dunque, la residuale area di giurisdizione del giudice amministrativo di cui al quarto comma dell’art. 63 del d.lgs n. 165/2001.
Nel caso di controversie in cui ad agire in giudizio siano enti esponenziali di interessi collettivi ( nella specie si trattava di una associazione sindacale dei dirigenti), non può riconoscersi legittimazione attiva in presenza di un conflitto di interessi interno di detti enti (nella specie sussisteva un contrasto tra le categorie omogenee dei dirigenti e dei funzionari direttivi, i primi potenzialmente agevolati dall’originario ricorso, i secondi invece potenzialmente danneggiati dallo stesso.)
Il principio della mobilità dei pubblici dipendenti previsto dall’art. 30 comma 1 e 2 bis, d.lgs n. 165/2001, si impone anche alle Regioni, seppure con differente impatto, a seconda che si tratti di mobilità d’ufficio o di mobilità volontaria. In particolare, nell’ipotesi, di mobilità volontaria, in assenza di un fine superiore, quale quello del mantenimento dei contratti lavorativi in essere, deve riconoscersi all’Amministrazione regionale il potere di determinare quanti posti coprire mediante mobilità volontaria.
L’istituto della mobilità volontaria, la cui disciplina è contenuta nell’art. 30 d.lgs 165/2001, non si impone alle Regioni in modo tale che non sia possibile bandire un concorso a copertura dei posti vacanti in pianta organica, se non previo tentativo di reperire per tutte le necessarie risorse umane attingendo ad altre pubbliche amministrazioni, grazie all’istituto della mobilità volontaria, potendo la Regione, con congrua motivazione, precisare quali sono le ragioni per le quali si preferisce reperire sul mercato, piuttosto che tra i dipendenti già in servizio presso altre amministrazioni, le professionalità necessarie.
Un argomento che corrobora il principio affermato, secondo la sentenza in rassegna, può trarsi dalla lettura del dato testuale dell’art. 30 e da un confronto con quello dell’art. 34-bis, d.lgs 165/2001. Quest’ultima norma, infatti, dispone che le amministrazioni pubbliche, sono tenute ad utilizzare la procedura della mobilità d’ufficio prima di avviare le procedure di assunzione di personale e le eventuali assunzioni effettuate in violazione di tale previsione sono nulle di diritto.
Al contrario, l’art. 30, d.lgs n. 165/2001, dispone che: ”Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro…” e che sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale”.
Quindi, mentre nel primo caso la nullità scatta in caso di violazione della disciplina, nel secondo è l’elusione del principio del previo esperimento di mobilità, che determina la patologia dell’atto, dal chè si evince come in capo all’amministrazione regionale residui un potere discrezionale, che deve essere orientato al rispetto del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale, la cui osservanza deve essere dimostrata dall’amministrazione in sede di motivazione.

Antonino Casesa (da diritto.it del 29.1.2014)

Furto al supermercato: reato consumato se superate casse

Cass. Pen., sez. V, sent. 16.1.2014 n° 1701

Se il cliente preleva della merce dal supermercato e passa le casse senza averle pagate, si configura furto consumato e non solo tentato. E' quanto emerge dalla sentenza 16 gennaio 2014, n. 1701 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso vedeva alcune donne essere notate mentre prelevavano dai banchi di vendita delle merci, distaccandone l'etichetta identificativa, per poi superare le casse, dove avevano pagato solo prodotti alimentari. Al momento del controllo eseguito dal personale del negozio, le donne erano state trovate in possesso delle altre merci sottratte.

Con la pronuncia n. 1701/2014 gli ermellini aderiscono al più recente indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che si ritiene aderente al caso di specie, secondo il quale costituisce furto consumato e non tentato quello che si commette all'atto del superamento della barriera delle casse di un supermercato con merce prelevata dai banchi e sottratta al pagamento, a nulla rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato, incaricato della sorveglianza (Cass. pen., Sez. V, 19 gennaio 2011, n. 7086, Rv. 249842, ed altre conformi: n. 23020 del 2008, Rv. 240493; n. 37242 del 2010, Rv. 248650). Ciò nonostante il contrario orientamento della Suprema Corte, con la sentenza, Sez. V, n. 7042 del 20 dicembre 2010, Rv. 249835, secondo la quale, allorché l'avente diritto o persona da questi incaricata sorvegli l'azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento, il delitto non può ritenersi consumato neanche con l'occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e controllo diretto dell'offeso.

Il più recente indirizzo, sancito con la sentenza Sez. V del 30.3.2012, n. 30283, ravvisa il momento consumativo del delitto di furto nell’impossessamento realizzato dall'autore occultando la merce in modo da eludere i controlli del personale abilitato, ovvero asportando le placche antitaccheggio, mentre il superamento delle casse vale a rivelare la volontà di non effettuare il pagamento dovuto.


(Da Altalex del 30.1.2014. Nota di Simone Marani)

mercoledì 29 gennaio 2014

RINVIO BEFFA PER IL POS

L'obbligo del pagamento con il bancomat
per professionisti e imprese slitta al 30 giugno 2014
e non al 30 giugno 2015 come previsto in un primo momento

Contrordine ragazzi: l'obbligo del pagamento con il bancomat per professionisti e imprese slitta al 30 giugno 2014 e non al 30 giugno 2015 come previsto in un primo momento da un emendamento al Decreto legge Milleproroghe approvato ieri, al Senato.  Doccia fredda dunque per le aspettative dei professionisti. Dopo le vibranti proteste dei professionisti rappresentati dal CUP, guidati da Marina Calderone, la Commissione Affari Costituzionali del Senato aveva ieri approvato due emendamenti al Decreto Milleproroghe che spostavano di 18 mesi l'entrata in vigore dell'obbligo, per commercianti e professionisti, di installare i pos. Emendamenti che oggi, modificati, sono stati votati dall’aula di Palazzo Madama. Duro sul minirinvio, l Presidente del Consiglio nazionale degli architetti, Leopoldo Freyrie. “Se qualcuno di lor signori pensa di cavarsela in questo modo offensivo si sbaglia di grosso perché questi spiccioli di mesi di rinvio non mutano affatto la sostanza del problema: siamo in presenza di una imposizione stupidamente vessatoria che favorisce il sistema bancario e non porta alcun vantaggio ai cittadini. Complimenti anche alla Banca d’Italia – che è stata parte attiva nella stesura del Decreto attuativo della norma che ora si vuole modificare in questo modo così beffardo – perché significa che, mentre sta ancora cercando l’esistenza del bonifico bancario, noto sistema per tracciare i pagamenti, lascia si continui a far pagare a professionisti e imprese il costo di una crisi che proprio il sistema bancario - che da questa norma trarrà certamente vantaggio – ha esso stesso a suo tempo avviato.”

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.1.2014)

Slitta a giugno 2015 l'obbligo del pos

Dopo le vibranti proteste dei professionisti rappresentati dal CUP, guidati da Marina Calderone, la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha approvato due emendamenti al Decreto Milleproroghe che spostano di 18 mesi l'entrata in vigore dell'obbligo, per commercianti e professionisti, di installare i pos. Emendamenti che da oggi saranno al voto nell’aula di Palazzo Madama.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.1.2014)

IRAP professionisti e assenza di “autonoma organizzazione”

Estratto da nota a Cassazione, sent. 9.10.2013, n. 22941

Nella sentenza 9 ottobre 2013  n. 22941 la Corte di Cassazione conferma la propria giurisprudenza in materia di presupposto dell’IRAP con riguardo ai lavoratori autonomi.

Secondo l’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446/1997 “presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.

Ebbene, la sentenza in commento chiarisce il concetto di “autonoma organizzazione” applicata ai professionisti, nonché il conseguente articolarsi dell’onere probatorio.

Nella fattispecie, un avvocato, destinatario di cartella di pagamento relativa all’IRAP dell’anno 2002, impugnava l’atto in dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena. Sia la Commissione de qua sia la Commissione tributaria regionale dell’Emilia confermavano la legittimità della cartella di pagamento.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale riteneva che il contribuente “in grado di svolgere da solo la sua attività è necessariamente dotato di autonoma organizzazione”.

Il professionista ricorreva dunque in Cassazione deducendo tre motivi:

a) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446/1997, in relazione all’articolo 360, n. 3 del Codice di Procedura Civile, avendo errato la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere il ricorrente soggetto passivo IRAP non disponendo di autonoma organizzazione;

b)  difetto di motivazione della sentenza, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 del Codice di Procedura Civile non avendo il giudice d’appello motivato in ordine alla “organizzazione del ricorrente”;

c) formazione del giudicato esterno, successivo alla sentenza impugnata, con riguardo al periodo d’imposta 2003. In relazione a tale anno, infatti, è intervenuta la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia, sentenza n. 50/15/2009, divenuta definitiva, che ha accertato l’assenza in capo al medesimo contribuente di autonoma organizzazione con conseguente non assoggettabilità ad IRAP.

La Corte di Cassazione analizza per prima il motivo attinente al giudicato esterno. Secondo i giudici di legittimità “il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta non è idoneo a far stato per i successivi o i precedenti in via generalizzata e aspecifica. Simile efficacia va infatti riconosciuta solo a quelle situazioni relative a ‘qualificazioni giuridiche’ o ad altri eventuali ‘elementi preliminari’ rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti”.

Una volta escluso che la sentenza emessa con riferimento all’anno 2003 possa fare stato in relazione all’anno di imposta 2002, la Corte passa ad affrontare congiuntamente gli altri due motivi del ricorso, aventi ad oggetto l’accertamento dell’ “autonoma organizzazione”.

I giudici partono dal principio secondo cui l’esercizio delle attività di lavoro autonomo è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il relativo accertamento, evidenzia la Corte, compete al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. La motivazione del giudice di merito, in particolare, deve riguardare l’accertamento in merito all’impiego di beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale nonché l’utilizzo da parte del professionista, in modo non occasionale, di lavoro altrui.

Dal punto di vista degli oneri probatori, grava sul contribuente fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cassazione n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007).

La Corte di Cassazione, nella fattispecie, cassa la sentenza della Commissione Tributaria Regionale in quanto “la motivazione della sentenza impugnata ˗ secondo cui l’attività del contribuente ‘è anche autonomamente organizzata perché, quella piccola organizzazione che dichiara d’avere è adeguata all’attività che svolge ed è autonoma perché non dipende dal committente’ ˗ non consente di individuare i fatti ritenuti giuridicamente rilevanti in ordine alla affermata imposizione Irap, non evidenziando gli elementi considerati o i presupposti della decisione ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice”.

Aggiunge poi la Corte che “a fronte delle puntuali censure formulate dal ricorrente, con riguardo alla mancanza di una propria struttura organizzativa, della mancanza di dipendenti, della utilizzazione di modesti beni strumentali, nonché della affermazione di avere usufruito della struttura organizzativa della Cremonini s.p.a. e dell’ospitalità dello studio M. e Associati in Modena la motivazione si appalesa insufficientemente e non congruamente motivata avendo anche apoditticamente affermato che ‘il contribuente che è in grado di svolgere da solo la sua attività è necessariamente dotato di autonoma organizzazione’ “.

Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione cassa la sentenza della Commissione Tributaria Regionale rinviando ad altra sezione della stessa Commissione.


Avv. Leonardo Leo (estratto da filodiritto.com del 22.1.2014)

Anai: “Cancellieri, la giustizia è sempre più in crisi”

L'Associazione nazionale avvocati italiani mette in evidenza le contraddizioni delle dichiarazioni del ministro della Giustizia nella sua relazione. "Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014 davanti alla Corte di Cassazione - ha dichiarato il presidente Anai Maurizio De Tilla - il Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, si è auto-lodata attribuendosi alcuni meriti come la modifica della geografia giudiziaria “ridisegnandola secondo le mutate esigenze, con significativi risparmi di spesa, maggiore produttività e un recupero di credibilità capace di incidere fattivamente sulle relazioni economiche ed anche di attirare nel nostro Paese investitori internazionali”.  In realtà è accaduto esattamente il contrario con lo spreco di risorse (vedi i nuovi Tribunali di Bassano del Grappa e di Chiavari ora aboliti), con la paralisi di gran parte dei processi pendenti davanti agli uffici giudiziari soppressi, con i rinvii delle cause anche a più di quattro anni, con la negazione dei criteri a presidio di una corretta revisione (assenza di infrastrutture, criminalità organizzata, etc.). In altri termini la scriteriata e selvaggia revisione della geografia giudiziaria ha rallentato la giustizia e pregiudicato i diritti dei cittadini. La Ministra Cancellieri ha poi portato - come interventi meritori e positivi - la reintroduzione della media conciliazione obbligatoria (che sta fallendo), la possibile accelerazione dei tempi del processo per mezzo dell’adozione di una sentenza senza una completa motivazione (che costituisce una violazione della Costituzione), la revisione del meccanismo delle impugnazioni (con il filtro in appello che è quasi del tutto disapplicato per la pessima ed incomprensibile formulazione della norma e le difficoltà di applicazione). Infine la Ministra Cancellieri - ha concluso De Tilla - si è vantata per la introduzione di un processo telematico che è invece ancora in una fase preliminare ed insufficiente, con un’applicazione ed una resa a macchia di leopardo. Anche Lei, adottando una nota espressione politica, intende smacchiare il leopardo senza conoscerne la natura e senza una minima cognizione dei tempi e delle modalità dell’operazione".

(Da Mondoprofessionisti del 28.1.2014)

martedì 28 gennaio 2014

MODALITA’ PAGAMENTO CASSA 2014

Riceviamo e pubblichiamo dal delegato CF Avv. Giuseppe La Rosa Monaco

A tutti gli iscritti a Cassa Forense

Si comunica che il Consiglio di Amministrazione di Cassa Forense, nell'ottica di ampliamento dei servizi web verso gli iscritti e di perseguimento di obiettivi di riduzione di costi per l'Ente, ha deliberato di modificare le modalità di pagamento della contribuzione minima ordinaria. I bollettini per il pagamento della contribuzione minima anno  2014, con la possibilità di pagamento rateizzato in 4 rate (28 febbraio - 30 aprile - 30 giugno e 30 settembre 2014), non saranno più spediti direttamente dalla Banca Cassiera per conto di Cassa Forense, ma dovranno essere generati e stampati direttamente dall'iscritto, mediante accessi diretto sul sito internet della Cassa (www.cassaforense.it) alla sezione Accessi Riservati - Posizione Personale.

Avv. Giuseppe La Rosa Monaco
     Delegato Cassa Forense

Nulla intimazione se Equitalia deposita avviso ricevimento all’udienza

Comm. Trib. Prov. Bari, sez. XXII, sent. n. 146/22/2013

La vicenda processuale

Il contribuente adiva la CTP di Bari per l’annullamento di un’intimazione di pagamento conseguente alla mancata notifica della propedeutica cartella di pagamento.

Equitalia si costituiva solo all’udienza di merito e produceva l’avviso di ricevimento postale per comprovare la regolare notificazione della cartella.

La difesa del contribuente eccepiva l’inammissibilità e l’intempestività della produzione documentale.



La decisione della questione di rito eccepita

La Commissione barese, con la sentenza in commento, applicando la normativa sulle preclusioni processuali del processo tributario, afferma il principio secondo il quale “la documentazione depositata solo all’udienza di discussione è palesemente tardiva per cui non se ne può tenere conto” e, decide la controversia, esclusivamente sulla scorta dei documenti depositati tempestivamente dal solo contribuente. La documentazione depositata all’udienza di merito, a parere del Collegio barese, non è ammissibile né valutabile essendo stata prodotta oltre il termine preclusivo di venti giorni liberi precedenti l’udienza.

Sicché, l’avviso di ricevimento irritualmente depositato è inutilizzabile ai fini della decisione, per cui, conclude la pronuncia, l’intimazione opposta è nulla poiché non risulta offerta in giudizio la prova della notifica della cartella di pagamento.

La pronuncia non è isolata ma avvalora l’interpretazione della questione processuale già proposta da precedenti decisioni della giurisprudenza tributaria, tra le quali quella della diciassettesima sezione della stessa CTP di Bari, sentenza n. 177/17/2011 depositata il 25.09.2011.



Le implicazioni: l’impossibilità di produrre in appello i documenti già dichiarati intempestivi

La preclusione processuale di primo grado verrebbe tradita ove vi fosse la facoltà di deposito incondizionato della stessa documentazione nel corso del giudizio di appello.

Invero, il disposto del secondo comma dell’art. 58 del d.lgs n. 546/92 prevede la possibilità di depositare nuovi documenti nel corso del secondo grado del giudizio; il documento irritualmente depositato in primo grado, tuttavia, non può essere considerato un “nuovo” documento, poiché era già nella disponibilità della parte che colpevolmente lo deposita in ritardo.

Peraltro, bisogna tener presente che nel giudizio di appello, ai sensi del secondo comma dell’art. 57 del d.lgs n. 546/92, “Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio” , e, pertanto, deve escludersi la possibilità di ritenere legittima la produzione di nuovi documenti ove questi abbiano valenza di prova, poiché controparte non avrebbe la possibilità di proporre le eventuali nuove eccezioni.

Alla stessa conclusione è giunta la Suprema Corte di Cassazione civile, sez. trib. che, con la sentenza n. 23590 del 11/11/2011, vieta la produzione di nuove prove in appello ed ammette solo la produzione di ulteriori documenti ove questi non abbiano valenza di prova.

Numerose Commissioni Regionali condividono l’interpretazione della S.C. e tra queste la CTR di Bari che, con la sentenza n. 68/08/2013 depositata in data 11.10.2013, nega l’introduzione nel giudizio di appello della segnalazione di reato che avrebbe dovuto provare il raddoppio dei termini per l’accertamento ex art. 57 del d.p.r. n. 633/72.

Sulla questione, si segnala anche un recente pronunciato della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. Sez. Trib. sentenza n.20523 del 06.09.2013), secondo il quale, se il giudice di primo grado non ha dichiarato inutilizzabile il documento intempestivo, quest’ultimo potrà essere legittimamente valutato del giudice di appello, in forza del disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2.

In particolare, a parere della S.C., ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all'atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta - ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l'esercizio del diritto di difesa, onde l'inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata.

La pronuncia non è condivisibile in quanto, da una parte, al di fuori delle previsioni normative, distingue l’ipotesi dell’irrituale deposito dei documenti rilevata dal giudice da quella non rilevata dal giudice, ritenendo sanabile solo la seconda ipotesi; dall’altra non scorge la lesione del diritto di difesa del contribuente che, come precedentemente illustrato,  in secondo grado non potrà più proporre le legittime eccezioni ex art. 57 del d.lgs. n. 546/92.  

La ratio della normativa, invece, non consente limitazioni del diritto di difesa del contribuente, sicché i documenti aventi valenza probatoria depositati irritualmente in primo grado, avverso i quali il contribuente non ha potuto porre nuove eccezioni, non potranno essere utilizzati in nessun caso nel processo di appello.

Quanto testé affermato ed una corretta ed auspicabile interpretazione della normativa delle preclusioni nel processo tributario, applicato al caso esaminato dalla CTP di Bari nella sentenza in commento comporta che non sarà ammissibile la valutazione in secondo grado dell’avviso di ricevimento, documento che prova la notifica, poiché il contribuente, in virtù dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/92, non potrebbe eccepire questioni direttamente conseguenti a tale documentazione (come, ad esempio, la prescrizione del credito o la decadenza), non sollevate in primo grado a causa dell’intempestivo deposito.


Francesco Cataldi (da ilsole24ore.com del 27.1.2014)

Diffamazione via Internet: tempo consumazione reato

Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 32444 del 25.7.2013
In tema di consumazione del reato di diffamazione tramite Internet si è posto in evidenza come esso debba intendersi consumato nel momento in cui il collegamento web sia attivato, e la dimostrazione del contrario deve essere data dall’interessato, tenuto conto dell’ordinario ricorso, nella pratica web, a comunicazioni aperte all’accesso di un numero indeterminato di persone o comunque destinate, per la loro stessa natura, a tal genere di immediata diffusione.


La diffusione del contenuto informativo tramite internet deve essere temporalmente ricondotta al momento in cui il collegamento viene attivato. In quel tempo il reato di diffamazione può essere considerato come perfezionato, facendone prova i files di log che "marcano" informaticamente la pubblicazione di un contenuto nella rete.

Il punto nodale della pronunzia è costituito dall'affermazione in base alla quale non occorre la prova della concreta percezione diffusa del messaggio pubblicato, ma questa si presume fino alla prova contraria, che deve essere data dall'interessato (in senso contrario cfr.Tribunale di Teramo 06 febbraio 2002).

Nel caso di specie era stato pubblicato su un blog un messaggio con il quale un soggetto aveva compilato un comunicato a nome di altri implicitamente assumendo di avere un orientamento omosessuale.


Daniele Minassi (da e-glossa.it del 28.1.2014)

Spazi destinati a parcheggio nei condomini

Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 26253 del 22.11.2013
In assenza di volontà contraria, gli spazi destinati a parcheggio vengono a ricadere - per effetto del vincolo pertinenziale - fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c.. In proposito, è appena il caso di ricordare che il diritto di condominio su un bene comune presuppone la relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione. Al fine di stabilire se siano stati o meno esclusi dal novero delle cose comuni previste dall’art. 1117 c.c. ovvero se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui alla norma citata, va fatto riferimento esclusivamente all’atto costitutivo del condominio, e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell’originario unico proprietario dell’intero fabbricato - comportante il frazionamento della proprietà dell’edificio: peraltro, da tale atto devono risultare in modo chiaro ed inequivocabile elementi rivelatori della esclusione della condominialità del bene, non potendo tali beni successivamente essere sottratti alla loro destinazione comune.


La pronunzia mutua dalla disciplina speciale di cui all'art.41 sexies della l.1150/1942 (come plurimamente modificata) nonchè dalla elaborazione giurisprudenziale della medesima il principio della natura pertinenziale dei posti auto rispetto alle unità abitative che compongono il condominio. Da siffatto elemento, in assenza di una differente risultanza del titolo di acquisto della proprietà (che ben potrebbe diversamente disporre) viene dedotta la natura comune del bene, nella specie costituito da un'area costituente un piano interrato dell'edificio.

Da rimarcare come, introdotta la riforma del condominio di cui alla legge 11 dicembre 2012 n.220, il nuovo testo dell'art.1117 cod.civ. annovera espressamente i posti auto negli enti comuni.


Daniele Minassi (da e-glossa.it del 25.1.2014)

lunedì 27 gennaio 2014

ANNO GIUDIZIARIO SENZA AVVOCATI

Nei distretti di Corte d'appello con il suo silenzio
il mondo forense ha fatto sentire la sua voce di dissenso

Sette giorni dopo la protesta contro i provvedimenti del governo Letta e del suo ministro Cancellieri che non ha partecipato alla VII Conferenza dell’Avvocatura il mondo forense è sceso ancona in campo per manifestare la sua decisa opposizione alle ultime riforme, che violano i diritti di difesa dei cittadini ed ostacolano il loro accesso alla Giustizia. L’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua) ha organizzato infatti, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, una serie di mobilitazioni ed i rappresentanti dell’avvocatura hanno letto un documento di protesta ed hanno poi abbandonato l’aula. Le iniziative di protesta degli avvocati proseguiranno nei prossimi giorni con assemblee a livello locale e culmineranno il 18-20 febbraio con l’astensione dalle udienze e con una manifestazione nazionale a Roma il 20. «Al ministro Cancellieri oggi (ieri ndr.) ho ribadito, vista l’assenza di elementi nuovi e di gesti concreti, la mia indisponibilità a incontrarla il prossimo 28 gennaio e confermato l’astensione dalle udienze il 18-20 febbraio», ha affermato il presidente dell’Oua, Nicola Marino. A Cagliari, dove è intervenuta il ministro Cancellieri, alla fine dell’intervento Marino è uscito dalla sala per testimoniare il disagio della categoria. Le richieste degli avvocati sono numerose, ma soprattutto si battono contro la riduzione dei compensi per il gratuito patrocinio, che di fatto nega ai più poveri il diritto di essere difesi, essendo ormai economicamente insostenibile per un avvocato assumere la loro difesa; contro l’aumento del costo delle marche da bollo; si dichiarano ancora contrari alla norma che impone alla parte soccombente il pagamento di un osceno balzello per vedersi riconosciuto il proprio diritto di conoscere le motivazioni della sentenza di primo grado e contro la responsabilità in solido dell’avvocato con il cliente, per lite temeraria.   Capofila della protesta ancora una volta Napoli con le mani legate e con una fascia tricolore con la scritta "in difesa dei diritti". Gli avvocati hanno iniziato la loro protesta prima della relazione del presidente della corte d'Appello, Antonio Buonajuto. A Roma il presidente dell’ordine, Mauro Vaglio, indossando sulla toga una fascia tricolore con la scritta “a difesa della democrazia” ha letto un documento sottoscritto da tutti gli ordini d’Italia. “Protestiamo contro le difficoltà di accesso alla giustizia sempre più onerosa ed all’appannaggio dei più ricchi”. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce, ida parte sua, ha deliberato di non partecipare, per le note ragioni di protesta, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, invitando tutti gli avvocati del distretto a fare altrettanto.“ Gli avvocati abruzzesi, invece, hanno abbandonato per protesta la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario, all'Aquila, denunciando «la condizione in cui versa la giustizia». Analogo il comportamento degli avvocati di Potenza. Proteste anche degli avvocati calabresi: a Catanzaro hanno abbandonato la cerimonia; a Reggio Calabria sono invece rimasti in aula. Nel capoluogo siciliano gli avvocati hanno contestato l’operato del ministro del Guardasigilli. «Il ministro Cancellieri se ne vada. Ha dimostrato di essere inadeguata al compito», ha detto Francesco Greco, presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo. E a Cagliari, all’inaugurazione era presente il ministro Cancellieri, gli avvocati penalisti non sono intervenuti alla cerimonia nell’aula magna del palazzo di giustizia. Sit-in di protesta davanti al Palazzo di Giustizia con i manifestanti che hanno consegnato volantini di protesta sulla situazione della giustizia in Italia. E proprio a Cagliari sono intervenuti i vertici dell’avvocatura.  Il primo a parlare è stato il consigliere segretario del Consiglio Nazionale Forense, Andrea Mascherin. “Non possiamo non denunciare – ha esordito - come sia in atto anche nel nostro Paese una sfida culturale che rischia d’essere senza ritorno. Da una parte la banca mondiale degli investimenti, le multinazionali, gli speculatori finanziari, gli adoratori del mercato e della concorrenza selvaggia nel nome di un sistema, anche sociale, che tutto deve sacrificare all’economia; sistema nel quale la giustizia è un bene di lusso che paga un super bollo. Dall’altra chi crede, come gli Avvocati, che la solidarietà e la giustizia non siano valori da sacrificare al mercato. “L’Avvocatura ha certamente il diritto di protestare e ha il diritto di sentirsi tradita dal ministro, dal suo ministro, se questi diserta gli incontri con la stessa, se non l’ascolta e pare preferire ascoltare tecnocrati, burocrati, economisti, creatori di valori consumisti e non di valori solidali”, ha sottolineato Mascherin. Che nel contempo ha richiamato l’attenzione sull’ “impegno responsabile, costruttivo, propositivo” degli avvocati. “L’Avvocatura italiana, all’ultima conferenza tenutasi a Napoli, ha messo sul tappeto progetti concreti, articolati in ogni aspetto, pronti a svolgere la propria efficacia da domani, se adottati dal Parlamento e dall’Esecutivo”, ha ricordato Mascherin. Per un processo civile snello e garantito, affidato a percorsi professionali e competenti: la negoziazione assistita, disegno di legge già giacente alle Camere, che consentirebbe, con l’accordo delle parti e con l’ausilio degli avvocati, di semplificare la conclusione degli accordi e di prevenire le liti; e la translatio judicii, che consentirebbe, previa istanza congiunta delle parti, di trasferire i procedimenti giudiziali alle camere arbitrali istituite presso gli Ordini e previste dalla riforma professionale”.  Duro l’intervento della segretaria dell’Anf, Ester Perifano: "Il suo Governo, come quelli che lo hanno preceduto – ha detto la Perifano rivolgendosi al ministro - ha scelto la linea di comprimere il diritto di difesa , costituzionalmente garantito, peraltro non assumendosene la responsabilità politica, ma adottando misure che sembrano occuparsi d'altro, ma che in realtà colpiscono al cuore la nostra civiltà giuridica. ad esempio triplicando in pochi mesi i costi per accedere alla giurisdizione, favorendo norme processuali oggettivamente odiose, allontanando fisicamente i cittadini dai tradizionali luoghi di amministrazione della giustizia, riducendo talmente i compensi per il patrocinio a spese dello Stato da lasciar intendere che ormai la giustizia è solo per i ricchi. Anziché demonizzare una componente essenziale come l'Avvocatura – ha continuato Perifano - è giunta l'ora di sceglierla come interlocutrice privilegiata, uscendo dal grigiore delle stanze di via Arenula per confrontarsi direttamente sul territorio, dove il disagio e le difficoltà dei cittadini si stanno pericolosamente saldando con la rabbia e il senso di impotenza che si diffonde a macchia d'olio tra gli avvocati. Gli avvocati sono pronti a contribuire alla soluzione dei problemi, ma hanno diritto ad una interlocuzione effettiva e non solo di facciata. Il Ministro , però, faccia la sua parte. Ad esempio pubblicando subito il DM per la modifica dei parametri. E ci faccia conoscere al più presto le sue idee sui 15 regolamenti ministeriali che la riforma forense gli affida. Ad oggi, non è riuscito a vararne nemmeno uno”.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 27.1.2014)

OUA: confermate tutte le iniziative di protesta

Nicola Marino, presidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura-Oua, alla fine della Cerimonia di Inaugurazione presso la Cassazione a Roma, ha riaffermato le ragioni della protesta della categoria. "La Cancellieri comprenderà che la strategia delle polemiche e dello scontro può anche distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica, ma la realtà è fin troppo evidente, come dimostrano i dati ufficiali sullo stato della giurisdizione: dopo un decennio di interventi contro il diritto di difesa e gli avvocati, 17 in 8 anni, e nonostante la chiusura di 1000 tra tribunali, sedi distaccate e uffici di giudici di pace, la giustizia e' sempre in piena emergenza e gli sprechi continuano".
“La situazione è gravissima - continua il presidente Oua, citando i dati esposti ieri dall'Osservatorio dell'avvocatura sulla giurisdizione - le entrate da contributo unificato (a carico dei cittadini) sono aumentate enormemente, crescendo del 55% per il primo grado, del 119% in appello e del 182% in Cassazione e i tempi continuano ad essere ''irragionevoli''. Se nel 2005 la durata media del processo davanti al tribunale e alla Corte d'appello era di 5,7 anni, nel 2011 si è passati a 7,4 anni. Per essere ancora più chiari, le riforme pasticciate, senza dialogo con gli avvocati, hanno portato a un deterioramento ulteriore del nostro sistema”. Conferma le tre giornate di astensione (18-20 febbraio) e una manifestazione nazionale a Roma il 20 febbraio.

(Da ilsole24ore.com del 27.1.2014)

SHOAH, GIORNATA DELLA MEMORIA


PER NON DIMENTICARE. MAI.

Trattiene somme dell'assicurazione e non paga l'avvocato: non è reato!

Trib. Salerno, Ufficio GIP, ord. 10.12.2013

Non risponde di appropriazione indebita l'assicurato che trattenga la somma liquidata in proprio favore dalla compagnia assicuratrice, a titolo di rifusione delle spese legali, e che rifiuti di consegnarle al proprio avvocato.

E' quanto emerge dall'ordinanza 10 dicembre 2013 emessa dal GIP presso il Tribunale di Salerno.

Al riguardo, deve rilevarsi, in primo luogo, che la Suprema Corte (Cass., sez. II, 25 maggio 2011, n. 25344) ha statuito, in caso analogo, che “non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria. Ciò in quanto le spese legali sono liquidate in sentenza in favore della parte vincitrice e non del professionista che l’assiste, il quale può farsi pagare direttamente dal cliente in virtù del rapporto di mandato che li lega, ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza”.

Negli stessi termini si è espressa la giurisprudenza di merito più recente (cfr. Corte di Appello di Catanzaro 4 aprile 2012), secondo la quale “Non ricorre il reato di appropriazione indebita quando il cliente si appropria di somme pagategli dall’assicurazione a titolo di ristoro del danno e di copertura delle spese legali, appartenendo il denaro all'assicurato che può attribuirgli qualunque destinazione in quanto non vi è presente alcun vincolo di destinazione, pur rimanendo lo stesso obbligato verso il suo legale di fiducia, senza che quest'ultimo abbia titolo per vantare una legittima pretesa su tale somma.”

Tale recente impostazione, che vede concorde anche il GIP di Salerno, supera l’orientamento previgente, (sostenuto da Trib. La Spezia, 13 ottobre 2011, n. 970) per cui “in tema di appropriazione indebita, integra la fattispecie contestata la condotta di colui il quale, cliente di uno studio legale, trattiene indebitamente una somma di denaro che sia pacificamente spettante quale compenso professionale al difensore e della quale egli si sia trovato in possesso in quanto liquidatagli unitamente alle somme a lui destinate, alla luce anche della costante giurisprudenza formatasi sul caso opposto, relativa cioè alle somme trattenute dal difensore in danno del cliente” (si fa riferimento a Cass. pen., Sez. II, 18 giugno 2009, n. 41663, secondo la quale “Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell'esercente la professione forense che trattenga somme riscosse a nome e per conto del cliente”). Infatti, a seguito del sinistro, sorge un unico rapporto giuridico tra il soggetto danneggiato ed il danneggiante, quest'ultimo surrogato dall'assicurazione, ai sensi degli artt. 1882 c.c. e ss., mentre il rapporto tra danneggiato ed il proprio legale segue una separata vicenda liquidatoria, indipendentemente da quanto liquidato dall’assicurazione.

Di conseguenza, l'eventuale dicitura "“di cui per spese di patrocinio” enunciata nella nota dell'impresa assicuratrice, di fianco alla indicazione “euro 800,00” quale quota parte dell’indennizzo liquidato in favore del danneggiato, non può ritenersi idoneo, di per sé, ad implicare la costituzione di un vincolo di destinazione sulla somma in questione.


(Da Altalex del 22.1.2014. Nota di Simone Marani)

Separazione per diversità culturali e caratteriali

Basta! Voglio la separazione! Non ti amo più!!! Questo e' sicuramente il leitmotiv (motivo conduttore) ripetuto più volte da uno dei coniugi quando ormai il matrimonio e' colato a picco.
Spesso il non amare più il coniuge e' legato al fatto che l'altro coniuge si sia innamorato di un'altra persona. E' vero anche che questi momenti di disorientamento possono passare ma altre volte sono definitivi al punto che proprio per questo si decide di cambiare vita scegliendo di stare accanto ad un'altra persona.
Altre volte però un matrimonio tende a fallire semplicemente perché i coniugi presentano differenze caratteriali, culturali, di gusto e di scelte tali da rendere la convivenza intollerabile; quindi, l'insieme di tutti questi elementi, conditi con una mancanza di comunicazione, portano alla frattura irreversibile del matrimonio.
Quindi, per poter chiedere la separazione non è necessario che il conflitto relazionale sia attribuibile ad entrambi i coniugi e' sufficiente che il sentimento di insoddisfazione e di disaffezione dipenda da uno soltanto anche se l'altro, nonostante le evidenti difficoltà comunicative, decida comunque di continuare il rapporto.
Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1164 del 21.1.14.
In buona sostanza un coniuge non è obbligato a vita a stare con l'altro coniuge  quando le differenze caratteriali, culturali, religiose siano tali da rendere la convivenza intollerabile.
L'amore di un coniuge verso l'altro può spegnersi definitivamente proprio per queste ragioni senza che vi sia necessariamente  l'intromissione sentimentale di un'altra persona; il vivere quotidianamente silenzi o conflitti dettati dalla mancanza di comunicazione determinano inevitabilmente la "morte" di un matrimonio.
Ovviamente, al coniuge che decide di separarsi per questi motivi non può essere addebitata la separazione, quindi, se la decisione viene presa dalla moglie, e la stessa non sia dotata di redditi propri (cioè non autosufficiente economicamente), ha diritto comunque all'assegno di mantenimento da parte del marito.

Barbara Pirelli (da studiocataldi.it del 23.1.2014)

Occasionali maltrattamenti in famiglia: non c'è reato

Quando le violenze sono episodiche ed occasionali non c'è reato di maltrattamenti in famiglia.
Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione, sezione VI, sul ricorso proposto avverso l'ordinanza di misura cautelare di cui all'art.282, c.p.p., disposta dal Gip del Tribunale competente, nei confronti di un uomo indagato del reato di maltrattamenti in famiglia.
Già il Tribunale del riesame, alla luce dei fatti e delle testimonianze raccolte, confermava l'applicazione della misura cautelare de quo; con ciò ritenendo sussistenti in capo all' uomo presunto responsabile dei maltrattamenti in danno dei familiari, i gravi indizi di colpevolezza per il reato ascrittogli.
Nella specie, i fatti denunciati, si riferivano a tre episodi di violenza: due avvenuti nei confronti del figlio minore e l'ultimo ai danni della moglie.
Il primo aveva luogo nel 2010 e si concretava in un pugno violentemente sferrato dall'uomo al figlio, il quale riportava come conseguenza della aggressione un evidente ematoma.
Il secondo, più violento, avveniva soltanto nell'anno 2011 e si concretizzaava nelle forme di una "brutale aggressione" a seguito della quale - come poi, attestato dal referto medico e dalla testimonianza di una persona estranea al contesto familiare, la  vittima riportava tumefazione e sanguinamento del labbro, oltreché la mobilità di due denti e dolore alla mandibola.
Tra questi due episodi si collocava, infine, l'ultimo, quello cagionato ai danni della donna sua convivente, nonché coniuge.
Ebbene, la gravità dei fatti e delle circostanze portava il Tribunale del riesame di Roma, a confermare la misura cautelare adottata.
Ciò nonostante e contrariamente a quanto sin ora premesso, la Cassazione concludeva per l'accoglimento del ricorso e, per l'effetto, dichiarava l'annullamento della misura cautelare de quo.
Queste le argomentazioni.
Alla luce della ricostruzione dei momenti salienti della vicenda (...) "sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti provocatori e/o violenti ascritti all'indagato si riducano a tre nell'arco di un triennio, in un contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell'allentamento del vincolo coniugale determinante l'instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della donna".
"Così fissati i termini fattuali della vicenda e ferma restando la sussistenza di un sufficiente quadro di gravità indiziaria ad essi riferita, non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall'art. 572 c.p".
"Il reato de quo, richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivo dell'integrità psico-fisica, dell'onore, del decoro o do mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell'agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati in una corince unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all'art. 572 c.p. (Cass. pen., sez. VI, N. 37019 del 27/05/2003; sez. VI, n. 45037 del 2/12/2010)".
Se deduce pertanto che i giudici del riesame hanno fatto cattiva applicazione dell'art. 572 c.p., "specie in un contesto familiare, caratterizzato dal progressivo indebolimento dei rapporti coniugali (denunziante e indagato essendo oggi separti per iniziativa del ricorrente) pur inframezzato da tentativi pi o meno concreti di riavvicinamento affettivo degli interessati".
L'ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata.

Sabrina Caporale (da studiocataldi.it del 23.1.2014)

L'abito fa l'avvocato?

E' convinzione piuttosto diffusa che gli avvocati vestano in modo noioso: abiti neri e camicie bianche per gli uomini, pantaloni/gonne nere e camicie con colletto bianco per le donne. Si tratta tuttavia di una mezza verità perché, fortunatamente, il dress code del "perfetto avvocato" non è sempre così rigoroso (e noioso!). In una riunione con i clienti, o in un'aula di Tribunale, una cravatta ben annodata e un abbigliamento adatto all'occasione, sono quasi imprescindibili perché, diciamocelo, il look non è solo una questione di gusto o di moda. Con un outfit curato e "be studiato", si dà una buona prima impressione a clienti e colleghi. E' forse triste, ma vero: i giudizi e, conseguentemente, le (buone o cattive) impressioni, sono formulate sull'apparenza.
Gli stilisti offrono spesso consigli su come vestirsi al lavoro e su quale look puntare per suscitare rispetto, ispirare fiducia e trasmettere una immagine professionale.
In molti sostengono che l'abbigliamento possa svolgere un ruolo importante in questo senso: per un avvocato, la stima di un cliente e la benevolenza dei colleghi, passa dunque anche dall'abito. Un solo dettaglio (una cravatta storta o un paio di scarpe sgualcite), può fare la differenza.
Anche la scienza sembra avvalorare tale posizione, suggerendo di fatto, che "tu sei quello che indossi". Una recente ricerca condotta dalla Northwestern University negli Stati Uniti sostiene che l'abbigliamento può influenzare il modo in cui gli individui si comportano e, successivamente, condizionare i rapporti e le dinamiche nei luoghi di lavoro. Lo studio ha esaminato il concetto di "enclothed cognition" , definito come "l'influenza sistematica che i vestiti hanno sui processi psicologici di chi li indossa" e, conseguentemente, sull'ambiente in cui i soggetti operano. La stessa performance individuale può essere influenzata dall'abito che si sceglie di indossare. Vien da chiedersi se il vecchio adagio "l'abito non fa il monaco" abbia ancora oggi un senso.
Un passo falso che molti avvocati compiono è quello di "vestirsi seguendo un cliché". D'accordo:la professionalità prima di tutto! Ma lasciate che vi dia un consiglio: scegliete l'outfit con attenzione se volete distinguervi dalla folla, ed aggiungete tocchi di personalità al vostro look di tutti i giorni. Perché non puntare sulla cravatta? Vi è una gamma completa tra cui scegliere (diverse larghezze e modelli) ma assicuratevi che non siano troppo eccentriche o fantasiose, di quelli che farebbero venire le vertigini o la nausea ai colleghi. O, magari, su un accessorio come l'orologio, che si può abbinare facilmente con tutto ciò che indossate, o una scarpa di pelle lucida. Per le donne: non provate a indossare tacchi su cui non riuscireste a compiere più di 100 metri. Non solo fanno male, ma vi farebbero camminare come un dinosauro. In fondo, non c'è niente di sbagliato nello scegliere zeppe o scarpe basse, sempre comode e pratiche.
Anche se ho detto che bianco e nero sono colori "noiosi", restano sempre un "must have". Avrete bisogno di almeno un paio di pantaloni/gonna neri e una camicia bianca per quei giorni in cui vi alzate la mattina per andare al lavoro e vi sentite troppo pigri per pensare all'outfit da indossare!

Nadia Fusar Poli (da studiocataldi.it del 27.1.2014)

domenica 26 gennaio 2014

Quando utilizzabili intercettazioni da diverso procedimento

Cass. sez. II Pen., sent. n. 3253 del 23.1.2014

In tema di intercettazioni di conversazioni, devono ritenersi utilizzabili a fini cautelari i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte a seguito di captazione eseguita in diverso procedimento, di cui non sia stato acquisito l’originario provvedimento autorizzativo, né sia stato effettuato alcun deposito ex art. 270 c.p.p., in quanto le risultanze dell’intercettazione del procedimento a quo influiscono sulle autorizzazioni relative al procedimento ad quem come mero presupposto di fatto, incidente sulla motivazione dei successivi, autonomi provvedimenti autorizzativi solo sotto il profilo della loro rilevanza ai fini della verifica dei gravi indizi di reato, richiesta dall’art. 267, comma 1, c.p.p.

sabato 25 gennaio 2014

Presidente Cassa su polizza tutela sanitaria

Comunicazione Cassa Forense del 24.1.2014


A TUTTI GLI ISCRITTI

LORO SEDI



Caro Collega,

Ti comunico che la copertura assicurativa della Polizza di tutela sanitaria base "grandi interventi chirurgici e gravi eventi morbosi", stipulata con Unisalute S.p.A. ed in scadenza al 31 dicembre 2013, è stata prorogata al 31 marzo 2014, in attesa di definire gli aspetti contrattuali ancora sub judice a seguito del contenzioso in essere avverso l'aggiudicazione della gara europea per il triennio 2014/2016.

In particolare:

    per la polizza sanitaria "grandi interventi chirurgici e gravi eventi morbosi" la proroga è stata concordata con Unisalute alle seguenti condizioni:

        ai professionisti che risultano iscritti alla data del 1.1.2014 viene garantita copertura assicurativa sia diretta che rimborsuale a decorrere dall'1.1.2014, con premio a carico di Cassa Forense;

        per l'estensione ai familiari, che potrà essere perfezionata esclusivamente in favore di coloro che erano già in copertura per l'annualità 1.1.2013 - 31.12.2013, il termine per il pagamento del premio pari ad euro 32,50 a familiare è fissato improrogabilmente al 31.1.2014 secondo le modalità che verranno direttamente comunicate da Unisalute. La Compagnia garantisce la decorrenza dell'assistenza diretta dal giorno di ricezione dell'avvenuto pagamento del premio mentre la garanzia rimborsuale viene garantita con continuità dal 1.1.2014;

    per la polizza sanitaria integrativa, i professionisti che avevano aderito al relativo piano sanitario per l'annualità 2013, potranno scegliere tra le seguenti due opzioni:

        rinnovare la copertura integrativa alle condizioni in essere per l'anno 2013 per altri 12 mesi, (1.1.2014 - 1.1.2015); anche in questo caso il premio, a carico dell'iscritto, dovrà essere versato entro il 31.1.2014 con le modalità che verranno direttamente comunicate da Unisalute.

        interrompere la copertura con ripresa delle prestazioni all'esito definitivo del giudizio, aderendo alla nuova copertura integrativa posta a base di gara in un momento successivo.

Per gli iscritti alla Cassa che non avevano aderito alla polizza integrativa e/o all'estensione ai familiari della polizza base, sarà possibile beneficiare di tali coperture assicurative su base volontaria solo una volta definito il contenzioso in essere avverso l'aggiudicazione della gara europea espletata dalla Cassa.

Per qualsiasi ulteriore informazione potrai contattare il Servizio Assistenza e Servizi Avvocatura della Cassa (tel. 06.36205000; e-mail convenzioni@cassaforense.it).

Cordiali saluti.



      Il Presidente

Avv. Nunzio Luciano

venerdì 24 gennaio 2014

OUA sollecita approvazione parametri forensi

di Anna Costagliola

Le Presidenze di Senato e Camera hanno assegnato la bozza di decreto del Ministro della Giustizia recante i nuovi parametri per la determinazione del compenso dell’avvocato, in attuazione della legge forense, alle rispettive commissioni Giustizia per il prescritto parere.

Lo schema di decreto, che tiene conto sostanzialmente dell’impianto proposto dall’Avvocatura, appare condivisibile, pur richiedendo talune modifiche migliorative per promuovere ancor maggiore chiarezza e trasparenza per operatori e cittadini.

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA) ha rivolto un appello ai due presidenti delle Commissioni Giustizia di Senato e Camera per una rapida trattazione del decreto governativo per i parametri dei compensi forensi. Il provvedimento è in calendario in Commissione al Senato per i prossimi giorni e per questa ragione il presidente dell’OUA, Nicola Marino, ha inteso sollecitare la relativa trattazione ricordando come molti avvocati versino in una difficile situazione economica a causa della crisi, dei mancati pagamenti, nonché degli aumenti dei costi della giustizia.

I compensi vigenti, ritiene il presidente OUA, sono irrisori, per cui servono nuovi parametri che, seppur con alcune criticità e contraddizioni, possano dare una risposta alle difficoltà dell’Avvocatura.

L’iter di approvazione del D.M. è iniziato quasi un anno fa, quando cioè, nel febbraio scorso, il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha messo a punto la bozza di regolamento da proporre a Via Arenula, in attuazione della riforma forense (art. 13, co. 6, L. 247/2012). Ormai in dirittura di arrivo, pur se, come sostiene la stessa Avvocatura, non rappresenta la soluzione ideale, tuttavia l’atteso decreto contribuisce a mitigare notevolmente il danno derivato agli esercenti della professione forense, oltre che dalla situazione di stallo normativo che si è determinata all’indomani dell’abrogazione delle previgenti tariffe, dalla grave situazione economica in cui versa il Paese.


(Da diritto.it del 24.1.2014)