lunedì 31 gennaio 2011

Processi troppo lunghi, è tempo di aprire una vertenza

“La giustizia non funziona: è una vera e propria emergenza per il sistema-Italia, per i cittadini, per la competitività e per l’economia”.
È quanto sostiene il presidente dell’Oua, l’organismo unitario dell’avvocatura, Maurizio de Tilla, che lamenta “un’eccessiva lunghezza dei processi, un enorme arretrato giudiziario nel civile, un diritto alla difesa sempre più mortificato, una crescente incertezza della pena, una cattiva organizzazione degli uffici e un’irrisolta precarietà delle strutture, nonché una situazione di primitivismo tecnologico nei tribunali e un incompiuto processo telematico. La nostra giustizia – aggiunge de Tilla -è in perenne crisi, sempre meno efficace e sempre più inefficiente e i nostri processi troppo lunghi. Il nostro Paese si colloca al primo posto in Europa per il numero di condanne subite da parte della Corte Europea per la violazione dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e in particolare per non aver determinato un termine ragionevole per le decisioni delle controversie”. 
Per De Tilla, “questo tema dovrebbe essere una priorità, eppure a parte provvedimenti tampone e di corto respiro, cambiano i governi, cambiano le maggioranze, ma i nodi rimangono irrisolti. Nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario si assisterà a un lungo elenco di problemi ancora da affrontare, ma in questa occasione gli avvocati italiani vogliono cogliere l’opportunità per lanciare una “vertenza giustizia”, partendo dalla premessa che la giustizia non deve essere un campo di battaglia”.

(Da Mondoprofessionisti del 31.1.2011)

domenica 30 gennaio 2011

Villani: “La TARSU non è applicabile per il 2010 e il 2011”


La TARSU non è applicabile.
L’art. 23 della Costituzione stabilisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Alla luce di quanto sancito dalla Carta Costituzionale si ritiene legittima l’interpretazione secondo la quale la TARSU non sia più applicabile, in quanto manca una legge che ne preveda espressamente l’applicabilità.
I regimi transitori, in base ai quali, dalla data della sua abrogazione e fino al dicembre 2009, si è potuto legittimamente applicare la disciplina della TARSU sono indiscutibilmente decaduti.
L’art. 49 del D.Lgs. 22 del 5 febbraio 1997 al primo comma stabilisce che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti è soppressa a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio. Pertanto, è chiara la norma nello stabilire la decorrenza dell’abrogazione del D.Lgs. 507 del 15 novembre 1993, facendola coincidere con la decadenza del regime transitorio da disciplinarsi nel regolamento di attuazione. E, dunque, è indiscutibile che la sopravvivenza della Tarsu dipenda, per legge, solo ed esclusivamente dalla sopravvivenza di un regime transitorio che la proroghi espressamente (QUOD LEX VOLUIT DIXIT).
Il D.P.R. n. 158 del 27 aprile 1999 è il regolamento di attuazione del D.Lgs. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi). All’art. 11, lo stesso regolamento disciplinava il regime transitorio, in conformità con il dettato della norma di cui al comma 5, dell’art. 49, D.Lgs. 22/1997. Tale regime transitorio stabiliva che gli enti locali erano tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione, la cui durata era fissata nel massimo, inizialmente, in tre anni. Il passaggio dalla Tarsu alla Tia del Decreto Ronchi era, dunque, obbligato e doveva essere compiuto entro il termine massimo fissato dal regolamento stesso.
Il termine prestabilito dal legislatore nell’art. 11 è stato più volte prorogato fino al 2006, anno in cui entrava in vigore il D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, c.d. Codice dell’ambiente. All’articolo 264 il decreto appena citato stabilisce che: “ a decorrere dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto restano o sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente decreto prevede l’ulteriore vigenza: i) il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. Decreto Ronchi). Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto 5 febbraio 1997, n. 22 continuano ad applicarsi sino all’entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”.
Per l’applicazione del Codice dell’Ambiente, l’art. 238, comma 6, dello stesso D.Lgs. 152/2006 prevede l’emanazione di un regolamento di attuazione, che, a tutt’oggi, non è stato ancora emanato. Pertanto, nell’attesa del regolamento attuativo appena citato, ai fini dell’applicazione senza soluzione di continuità della normativa della TARSU rimaneva e rimane ferma la necessità di una proroga espressa del regime transitorio.
Nella realtà, con la legge L. n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007), viene implicitamente abrogato il regime transitorio così come previsto dall’art.11 del D.P.R. 158/1999.
Essendo stato abrogato il D.Lgs. 22/1997 dall’art. 264 del D.Lgs. 152/2006, viene infatti a mancare il fondamento della norma ex art. 11 appena citata, la quale disciplinava un periodo di transizione con la finalità di consentire agli enti locali il graduale adeguamento e la copertura dei costi di gestione della TIA del Decreto Ronchi.
Infatti, l’art. 1, comma 184, lett. a) della Legge Finanziaria 2007 ha stabilito che “il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun comune per l’anno 2006 resta invariato anche per l’anno 2007 e per il 2008”.
Come si evince, dunque, dalla lettera della norma, il nuovo regime transitorio non è più finalizzato alla graduale applicazione del Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), oramai abrogato dal Codice dell’Ambiente, ma, al contrario, ha lo scopo di evitare soluzioni di continuità nel prelievo della tassa sui rifiuti, nell’attesa che venga emanato il regolamento di attuazione del D.Lgs. 152/2006.
Successivamente, il D.L. n. 208 del 30 dicembre 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 27 febbraio 2009, recante “misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente” all’art. 5, comma 1, ha stabilito che il nuovo regime transitorio come previsto dal Codice dell’Ambiente era prorogato anche per il 2009»”.
Non esiste, invece, una norma di ulteriore e specifica proroga di tale regime transitorio anche per l’anno 2010 e nemmeno per il 2011.
Manca infatti un qualsiasi riferimento alla TARSU nel D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010, esattamente come era avvenuto precedentemente nel D.L. 194 del 30 dicembre 2009.
È evidente che, in assenza di un intervento da parte del legislatore, si sarebbe creata, come infatti è successo dall’01/01/2010 e come permane ancora per il 2011, la mancanza di una legge statale che legittimasse, in virtù della riserva di legge ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, l’applicazione sia della Tarsu che della Tia del Decreto Ronchi, essendo stato abrogato il D.Lgs. 22/1997 che istituiva e regolava la Tia, e conseguentemente l’art. 49 dello stesso D.Lgs. 22/1997 che prevedeva l’istituzione di un regime transitorio di proroga della Tarsu. Non potendo, peraltro, un Decreto Presidenziale dettare una disciplina sopperendo alla mancanza di una legge espressa.
La funzione di evitare un eventuale vuoto legislativo è stata svolta, in quel momento, dall’art. 264 del D.Lgs. 152 del 3 aprile 2006 e dalla L. n. 296 del 27/12/2006 (e successiva unica modifica).
L’art. 264 stabilisce espressamente che, nonostante il c.d. Decreto Ronchi sia stato abrogato, si dovranno continuare ad applicare “i provvedimenti attuativi del D.Lgs. 22/1997” e, quindi, il D.P.R. 158/1999. Pertanto, tale disposizione del Codice dell’Ambiente legittima l’applicazione dei soli criteri di determinazione della TIA, così come, appunto, previsti dal D.P.R. 158/1999. E non anche quelli della TARSU, come sostenuto da parte della dottrina.
Pertanto, è facile concludere che, vista l’abrogazione espressa, prima del D.Lgs. 507/1993 e poi del D.Lgs. 22/1997, operata da leggi successive e in conformità con quanto previsto dall’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale la norma che disciplina il regime transitorio, contenuta nella legge n. 296/2006, è l’unica fonte normativa che legittimi l’applicazione dell’una e dell’altra legge, altrimenti inapplicabili. E quindi, la sua totale mancanza comporta senza dubbio l’illegittimità del prelievo fiscale sulla base dell’una o dell’altra legge, in quanto abrogate. Ed infatti, per tale motivo, il D.L. n. 208 del 30 dicembre 2008, convertito, con modificazioni,dalla legge n. 13 del 27 febbraio 2009, ne ha prorogato gli effetti anche per l’anno 2009, prevedendo la modifica nell’art. 1, comma 184, lett. a), delle parole: «e per l’anno 2008» con le seguenti: «e per gli anni 2008 e 2009»”.
Pertanto, il regime transitorio, e quindi la lettera a) del comma 184 dell’art. 1 della L. 296/2006, è inevitabilmente decaduto.
Pertanto per il 2010 e per il 2011 non è stata prevista una norma che legittimi l’applicazione della TARSU mancando, del tutto, una norma di proroga del regime transitorio.
In seguito all’abrogazione anche del c.d. Decreto Ronchi (D.Lgs. 22 del 05 febbraio 1997), l’unica legge in vigore rimane il D.Lgs. 152 del 03 aprile 2006.
Come già evidenziato, il regolamento di attuazione del Codice dell’ambiente, tuttavia, non è stato ancora emanato. Pertanto, il regime di prelievo in esso previsto non è, a tutt’oggi, ancora applicabile.
Ciò nonostante, il Codice dell’ambiente risulta essere l’unica legge ancora in vigore.
Ed in particolare rilevano due disposizioni del D.Lgs. 152/2006:
   1.
      La prima, già esaminata, è l’art. 264 del D.Lgs. 152/2006, il quale stabilisce l’abrogazione del D.Lgs. 22/1997, e allo stesso tempo prevede espressamente che “Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto 5 febbraio 1997, n. 22 continuano ad applicarsi sino all’entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”.
Per espressa previsione di legge, quindi, fino all’emanazione del regolamento attuativo del Codice dell’ambiente restano in vigore i provvedimenti attuativi del D.Lgs. 22 del 5 febbraio 1997 ( e non anche quelli del D.Lgs. 507 del 15 novembre 1993, perché alla proroga dell’applicazione di questi provvedeva il regime transitorio).
   2.
      La seconda è il comma 11 dell’art. 238 del D.Lgs. 152 del 2006, il quale stabilisce che: “sino all’emanazione del regolamento di cui al comma 6 ( cioè quello attuativo del Codice dell’ambiente), e fino al compimento degli adempimenti per l’emanazione della tariffa, continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.

La differente posizione di ANCI-IFEL
Nella nota esplicativa del 2 marzo 2010, l’ANCI-IFEL ha sostenuto che: “La tesi che dal 1° gennaio 2010 la TARSU sia definitivamente abrogata e che quindi i Comuni non siano più legittimati ad utilizzarla si basa su una interpretazione non condivisibile della normativa sul regime transitorio a suo tempo emanata in materia di passaggio al regime tariffario e del dettato del comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 29 gennaio 2006, n. 152 quando prevede che sino all’emanazione del regolamento attuativo della nuova Tariffa “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”.
Tra queste vanno certamente ricomprese le disposizioni regolamentari comunali. Appare pertanto sicuramente errato sostenere che resti in vigore solo la normativa regolamentare relativa alla TIA, con riferimento, tra l’altro al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 che è soltanto una norma tecnica per la determinazione dei costi del servizio e delle tariffe”.
Successivamente nella nota esplicativa ANCI-IFEL del 28 dicembre 2010, a differenza di quanto veniva affermato dalla stessa nella nota esplicativa del 02/03/2010, viene riconosciuto che la mancanza di un provvedimento che chiarisca in via normativa la possibilità di mantenere il regime della TARSU nelle more della completa attuazione della nuova TIA (art. 238, Decreto legislativo 152/2006), determina una situazione di incertezza grave.
Nella stessa nota di legge poi che: “appare, in ogni caso, del tutto condivisibile su questo punto l’orientamento espresso dalla Circolare MEF dell’11 novembre, secondo cui “per i Comuni in questione non si pongono particolari problemi, poiché possono continuare ad applicare la TARSU utilizzando eventualmente, ai fini della determinazione delle tariffe, i criteri delineati nel D.P.R. n. 158 del 1999”, come affermato non solo dallo stesso Ministero con circolare n. 25/E del 17 febbraio 2000 e dalla prassi non contestata di molti Comuni, ma anche dalla recente decisione del Consiglio di Stato, n. 750 del 10 febbraio 2009, che evidenzia l’utilità del metodo ex D.P.R. n. 158 ai fini della determinazione della partecipazione al costo del servizio di igiene urbana e della struttura del prelievo, anche in regime TARSU”.

Conclusioni
Come si è già chiarito, a tutt’oggi, non esiste il regolamento di attuazione del Codice dell’Ambiente, e cioè del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Tale circostanza però non ha alcuna ripercussione sulla esistenza o meno della TARSU nel sistema normativo vigente. Comporta, invece, soltanto che, in assenza di un regolamento di attuazione, il Codice dell’Ambiente, continua ad essere inapplicabile, e che, pertanto, i Comuni dovranno (e NON potranno) applicare esclusivamente la TIA, come disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997 (c.d. Decreto Ronchi), in quanto dall’ 01/01/2010 e ancora per tutto il 2011 tale disciplina è l’unica in vigore e, quindi, applicabile (essendo venuta a mancare la disciplina della TARSU).
Infine, non è affatto vero che i due regimi, quello della TARSU e quello della TIA, a partire dalla data 01/01/2010, possano coesistere, poiché, allo scopo di una tale coesistenza, sarebbe necessaria una precisa norma specifica che proroghi la TARSU, e che, invece, al momento non esiste. In assenza della suddetta norma, la TARSU è legislativamente decaduta al 31/12/2009, venendo meno, così, qualsiasi possibilità di coesistenza con la TIA del Decreto Ronchi.
A prescindere da quanto fin qui detto, si ribadisce la necessità di un celere intervento normativo che chiarisca la situazione. Ed in questo si concorda con la posizione espressa nella nota esplicativa di ANCI-IFEL.

Maurizio Villani (da Altalex del 13.1.2011)

sabato 29 gennaio 2011

Va sempre in ferie all'estero e si ammala: la ricaduta fa scattare il licenziamento

Recesso lecito se il riaffiorare della patologia è dovuto all'imprudenza del lavoratore

Ognuno è libero di trascorrere le vacanze dove vuole, anche in capo al mondo. Le ferie, tuttavia, servono al lavoratore per ritemprare le sue energie: al termine del periodo di assenza dal servizio il datore vanta una legittima aspettativa al normale svolgimento della prestazione da parte del dipendente. Non può quindi dolersi del licenziamento per giusta causa il lavoratore che, dopo la malattia tropicale contratta nei suoi frequenti viaggi in Africa, chiede un periodo di ferie adducendo motivi familiari e, come già in passato, resta di nuovo a lungo lontano dal lavoro per la ricaduta nella patologia che lo affligge. È quanto emerge dalla sentenza n. 1699 del 25 gennaio 2011 della sezione lavoro della Cassazione.
È vero: l'articolo 2110 Cc pone a carico del datore, sia pure entro precisi limiti, il rischio che la prestazione del lavoratore risulti momentaneamente impossibile per malattia. Ma non bisogna dimenticare che il contratto di lavoro va interpretato all'insegna dei principi correttezza e buona fede da entrambe le parti. Deve dunque essere confermato il licenziamento irrogato al dipendente: il riaffiorare della patologia va addebitato all'imprudenza del lavoratore che torna nel Paese estero dove ha contratto la malattia endemica esponendosi alla «altissima probabilità» di una ricaduta. Insomma: il dipendente viene meno al dovere di «diligente correttezza» cui deve essere ispirata la sua condotta anche durante le ferie.

(Da cassazione.net del 27.1.2011)

Spetta al conduttore verifica conformità immobile per le autorizzazioni

Cass. civ., Sez. II, 25 gennaio 2011, n. 1735

Nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati a uso non abitativo grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per svolgere le attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle autorizzazioni amministrative indispensabile alla legittima utilizzazione del bene locato. Ove il conduttore non riesca ad ottenere le suddette autorizzazioni non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al proprietario, anche qualora il diniego di autorizzazione sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato.

venerdì 28 gennaio 2011

Riflessioni in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario

di Maurizio De Tilla, presidente OUA

La giustizia non funziona, è una vera e propria emergenza per il sistema-Italia, per i cittadini, per la competitività e per l’economia: con un’eccessiva lunghezza dei processi, un enorme arretrato giudiziario nel civile, un diritto alla difesa sempre più mortificato, una crescente incertezza della pena, una cattiva organizzazione degli uffici e un’irrisolta precarietà delle strutture, nonché una situazione di primitivismo tecnologico nei tribunali e un incompiuto processo telematico. La nostra giustizia è in perenne crisi, sempre meno efficace e sempre più inefficiente e i nostri processi troppo lunghi. Il nostro paese per essere ancora più chiari si colloca al primo posto in Europa per il numero di condanne subite da parte della Corte Europea per la violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e in particolare per non aver determinato un termine ragionevole per le decisioni delle controversie. Questa questione dovrebbe essere una priorità, eppure a parte provvedimenti tampone e di corto respiro, cambiano i Governi, cambiano le maggioranze, ma i nodi rimangono irrisolti. Nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, domani, si assisterà a un lungo elenco di problemi ancora da affrontare, ma in questa occasione gli avvocati italiani, con il suo organismo di rappresentanza politica, l’Oua, vogliono cogliere l’opportunità per lanciare nove temi di confronto perché si apra una “Vertenza giustizia. La premessa è che la giustizia deve smettere di essere un campo di battaglia con un perenne scontro tra magistratura e politica. In questa direzione va l’impegno dell’Oua affinché avvocatura e magistratura procedano uniti per salvare dal disastro la macchina giudiziaria. Una prima tappa in questo senso è stata la sottoscrizione del “Patto per la giustizia e per i cittadini. L’OUA, inoltre, ha presentato un “Decalogo per la riorganizzazione della macchina giudiziaria” e una proposta di riforma della magistratura laica e contro la modifica della Legge Pinto. Allo stesso tempo si è chiesto un impegno forte sull’arretrato giudiziario, respingendo, però, iniziative sbagliate come l’ausiliario del giudice, che sarebbero una vera e propria “rottamazione dei processi .  In prima linea, anche, contro un provvedimento come il decreto legislativo sulla media conciliazione obbligatoria, che ha profili di incosituzionalità e che è un vero e proprio ostacolo all’accesso alla giustizia civile per i cittadini. Su questo fronte, in questi giorni, l’Oua ha lavorato con successo affinché al Senato venissero presentati degli emendamenti al Milleproroghe per far slittare di un anno l’entrata in vigore dell’obbligatorietà, in attesa delle necessarie modifiche. Battaglia che ha visto la risposta positiva di parlamentari tanto del centrodestra che del centrosinistra.  L’Oua  come ulteriore contributo di approfondimento porterà in tutte le inaugurazioni dell’anno giudiziario anche le conclusioni del Congresso Nazionale Forense, tenutosi nel novembre scorso a Genova. Un lavoro di elaborazione e di sintesi che ha coinvolto oltre mille delegati e che ha portato all’approvazione di alcune mozioni che sono a disposizione di tutti gli operatori del settore, nonché delle forze politiche, del Parlamento del Governo. Tra queste, quella approvata all’unanimità contro l’obbligatorietà della mediaconciliazione. Il ministro della Giustizia deve ascoltare gli avvocati. Ma molte sono le questioni su cui costruire la giustizia del futuro e molte le sfide sui cui anche gli avvocati sono chiamati a dimostrare lungimiranza e capacità di modernizzazione: la proposta di avvocatura soggetto costituzionale nella giurisdizione e la riforma dell’ordinamento forense, il numero chiuso o programmato all’università, i provvedimenti per la difesa e per la tutela del lavoro dell’avvocato (e l’abrogazione della Bersani), ed in particolare delle donne dei giovani.

(Da Mondoprofessionisti del 28.1.2011)

CONSENTITO RECUPERO DI 15 CREDITI FORMATIVI ENTRO 31 LUGLIO

Con (quanto mai opportuna) delibera del 22.1.2011, di cui diamo contezza nel precedente comunicato stampa, il Consiglio nazionale forense ha deciso che, fermo restando, in ogni caso, l’assolvimento dell’obbligo di formazione continua per il triennio 2011-2013, gli avvocati che non hanno maturato i 50 crediti formativi del corso del primo triennio (2007-2010) di applicazione del regolamento sulla formazione permanente potranno parzialmente risolvere il problema recuperando fino a 15 crediti mancanti entro il 31 luglio 2011.

Formazione avvocati: recupero dei debiti formativi e riesame del regolamento specializzazioni

Circolare 25.1.2011 del Cnf agli Ordini forensi
Inviato anche un questionario su mediazione e formazione permanente

Recupero dei debiti formativi nella misura di 15 entro il 31 luglio prossimo; riesame del testo delle specializzazioni con l’invito agli Ordini forensi di riassumere le proprie osservazioni entro il 28 febbraio; invio di un questionario su mediazione e formazione permanente per verificare lo stato dell’arte presso gli Ordini in vista di eventuali supporti da parte del Cnf. 
Sono queste tre delibere che il Consiglio nazionale forense ha assunto nella seduta amministrativa del 22 gennaio scorso e che sono state comunicate oggi agli Ordini forensi con due circolari (nn. 2-C-2011 e 3-C-2011). Le delibere sono frutto della riflessione emersa nel corso della riunione del Cnf con i presidenti degli Ordini e delle Unioni regionali, nella quale si è ribadito l’impegno comune delle istituzioni forensi sulle materie di interesse dell’avvocatura. Vediamole in dettaglio.
Regolamento specializzazioni. Il Cnf ha deliberato di riesaminare il testo del regolamento sulle specializzazioni, la cui entrata in vigore è prevista per il 30 giugno 2011. A questo fine, il Cnf chiede agli Ordini di inviare il riepilogo delle osservazioni già avanzate in sede di dibattito prima e dopo il Congresso di Genova entro il 28 febbraio. Questo al fine di consentire una disamina più dettagliata di tutti i profili segnalati nel corso degli ultimi mesi, tenendo il passo con le scadenze temporali connesse ai procedimenti in atto. Nella more, il Cnf acquisirà le opinioni delle Associazioni forensi e successivamente si riunirà con gli Ordini per poi definire il testo del regolamento.
Recupero debiti formativi. Gli avvocati che non hanno maturato i 50 crediti formativi del corso del primo triennio (2007-2010) di applicazione del regolamento sulla formazione permanente potranno colmare per una parte questo gap recuperando entro il 31 luglio prossimo 15 crediti mancanti. Fermo restando in ogni caso l’assolvimento dell’obbligo di formazione continua per il triennio 2011-2013. La decisione del Cnf consegue alla considerazione che il primo triennio ha costituito una fase sperimentale “impegnativa” quanto alle modalità di offerta e di assolvimento dell’obbligo, invitando a considerare con “necessario buon senso” l’aspetto deontologico. Nella delibera il Cnf ha dato atto dell’impegno profuso dai Consigli dell’Ordine per superare le difficoltà organizzative incontrate nell’offrire ai propri iscritti la possibilità di partecipare ad eventi formativi tendenzialmente gratuiti; oltre che della circostanza che ormai sia diffusa la convinzione che la formazione e l’aggiornamento siano “attività imprescindibili per l’esercizio della professione”. Il Cnf ricorda tuttavia che è “doveroso procedere a una prima verificare attenta e puntuale sull’assolvimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti per avere una quadro dello stato della formazione ma anche per la presenza di riflessi deontologici dell’adempimento dell’obbligo”.
Questionario. Sempre nell’ottica di rendere “più proficuo e intenso” il rapporto con gli Ordini, il Cnf ha costituito la commissione Servizi agli Ordini e agli avvocati, coordinata da Carla Broccardo, che sta avviando una ricognizione sulle necessità/opportunità manifestate in sede locale. Come prima iniziativa, il Cnf ha inviato un questionario in materia di mediazione e formazione continua per conoscere dagli Ordini l’intenzione di accreditarsi come organismo di conciliazione o come ente formatore; la messa a disposizione dei locali nei tribunali; l’avvenuta stipula della polizza assicurativa. Sulla formazione il Cnf intende conoscere quanti eventi formativi sono stati organizzati; l’eventuale quota a carico degli iscritti; se il Consiglio ha proceduto alle verifica dell’assolvimento dell’obbligo formativo e con quali modalità; l’eventuale incidenza dell’inadempimento; la valutazione circa la fissazione in 90 dei crediti formativi previsti dal regolamento a regime.

Claudia Morelli Responsabile Comunicazione e rapporti con i Media

Il marito deve garantire alla ex moglie gioielli e abiti firmati

La Cassazione con sentenza n. 1612 del 24 gennaio 2011 ha stabilito che se durante il matrimonio i coniugi hanno goduto di un elevato tenore di vita, l'ex marito deve continuare ad assicurare alla moglie gioielli ed abiti firmati anche dopo la separazione.
Nel caso in questione a seguito dello scioglimento del matrimonio, il Tribunale di Brescia riconobbe alla ex moglie un assegno mensile di 7.500 euro. Le motivazioni di tale statuizione risiedevano nel fatto che la donna, essendo priva di redditi  non era in grado di mantenere l'elevato tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, desumibile dal consistente patrimonio del marito, nonché dal complessivo stile di vita della coppia e dal possesso di abiti firmati e gioielli da parte della donna. La decisione del Tribunale bresciano veniva confermata dalla Corte di Appello.
L'ex marito ha presentato ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso dell'uomo confermando quanto deciso sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello di Brescia.
In particolare i giudici di legittimità  affermano che il tenore di vita goduto dai coniugi durante il matrimonio deve essere comunque garantito da chi è obbligato a versare l'assegno di divorzio.

(Da Avvocati.it del 28.1.2011)

giovedì 27 gennaio 2011

La riforma forense riprende il cammino

Ci siamo. Il viaggio tormentato della riforma forense è ricominciato. Alla Camera, ieri il relatore Roberto Cassinelli (Pdl), ha svolto, davanti alla commissione giustizia, la relazione di apertura. “La figura dell'avvocato non verrà rivoluzionata – ha detto Cassinelli - ma cambieranno le regole di accesso e di permanenza nella professione forense: avremo una maggior equità all'interno degli Ordini. La riforma – ha aggiunto -  prevede misure sulle quali difficilmente si può dissentire. Verrà sottolineato l'obbligo per l'avvocato di curare il suo continuo aggiornamento per assicurare la qualità della prestazione offerta alla clientela.  L'avvocato, inoltre, potrà fregiarsi del titolo di specialista solo dopo un corso di due anni al termine del quale ci sarà un esame: questa norma porrà fine a improvvisati specialisti che fingono di conoscere materie che ignorano. Sarà possibile per i difensori dare informazione sulla propria attività in maniera reale e veritiera: quindi stop alle pubblicità false e ingannevoli. I minimi tariffari, aboliti dal decreto Bersani, saranno reintrodotti per porre fine alla mercificazione e allo svilimento della professione forense e per restituire ai cittadini il diritto ad una assistenza legale seria e qualificata. Ma la cosa più importante – ha concluso Cassinelli - sarà la rivalutazione complessiva della figura dell'avvocato quale libero professionista che opera con autonomia e indipendenza per la tutela dei diritti delle persone in attuazione degli articoli 4 e 35 della nostra Costituzione”. Cassinelli ha quindi fatto notare che “Il testo trasmesso dal Senato è il risultato di un lungo ed approfondito lavoro che ha preso spunto da un testo elaborato dal consiglio Nazionale forense. Anzi, si tratta di un testo che, come è stato sottolineato nel corso del dibattito in Senato, al quale per la prima volta tutte le componenti significative dell’avvocatura italiana si sono riconosciute.  E' anche opportuno sottolineare come l’esigenza secondo la quale qualsiasi riforma professionale non debba risolversi  in una ottusa difesa corporativa non possa tradursi, come qualcuno sostiene, in una deregulation dell’intera materia. Nel caso della professione forense, ad esempio, qualsiasi forma di deregulation contrasterebbe  con la circostanza che si tratta di una professione volta a garantire diritti di rilevanza costituzionale dei cittadini estremamente delicati, come quello di difesa e quello di vedere assicurata in concreto la certezza del diritto. Vi è anche un’altra considerazione da fare. Attualmente risultano iscritti all’Albo  230.000 avvocati. È un dato allarmante se paragonato a quello degli Paesi europei. Il nuovo ordinamento professionale deve porsi, quindi, anche l’obiettivo di scongiurare che l’Albo rappresenti una sorta di  un’area di parcheggio della disoccupazione giovanile. L’iscrizione all’Albo deve essere riservata a coloro che con professionalità effettivamente esercitano la professione forense. Strettamente legato a tale ragionamento vi è quello sulla deontologia e, quindi, sull’applicazione delle sanzioni disciplinari  nel caso in cui non siano osservati doveri deontologici superando qualsiasi logica di casta”. Soddisfazione per la ripresa dell’iter del provvedimento è stata espressa dal presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa. “Il Cnf auspica ha detto Alpa  -  che l’esame possa essere celere al fine di concludere l’iter stanti le difficoltà in cui versa l’avvocatura. La riforma dell’ordinamento forense rappresenta un momento non più rinviabile per una nuova qualificazione della figura e del ruolo dell’avvocato al fine di garantire con efficacia la difesa dei cittadini e la qualità della giurisdizione”.

(Da Mondoprofessionisti del 27.1.2011)

Utilizzo del telefono per fini privati: non è peculato se la chiamata è breve

La Suprema Corte, con sentenza n. 256 del 10 gennaio 2010 ha affermato che il dipendente pubblico, che utilizza per fini personali il telefono di sevizio, può essere condannato per peculato, soltanto quando sia provata l'effettiva esistenza di un danno economico per la P.A..
Nel caso in questione, la Corte di Appello di Catania riformando in parte la decisione del giudice di primo grado ha dichiarato colpevole del reato di peculato continuato un funzionario pubblico, nel caso di specie un sottoufficiale dei carabinieri, per aver utilizzato il telefono di servizio per numerose telefonate private.
La Suprema Corte ha annullato la condanna e rinviato la decisione ai giudici di appello.
La Cassazione ha ribadito che, ai fini della configurazione del reato di cui si tratta, le cose oggetto di peculato devono necessariamente avere un valore economico rilevante.

(Da Avvocati.it del 27.1.2011)

mercoledì 26 gennaio 2011

Mediaconciliazione obbligatoria: fronte comune dei parlamentari per il rinvio


L’organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, Oua, proseguendo nel percorso tracciato con una mozione approvata all’unanimità dall’ultimo Congresso Forense di Genova, ha, in questi giorni, continuato la battaglia per lo slittamento dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà della mediaconciliazione, in attesa che vengano recepite le osservazioni avanzate dagli avvocati. L’Oua insiste sui profili di incostituzionalità del decreto legislativo varato dal ministero di Giustizia e sottolinea che il sistema varato non è un’alternativa ai problemi di una macchina giudiziaria inefficiente e determinerà un più difficile accesso alla giurisdizione da parte del cittadino e un aumento degli oneri e una lievitazione dei costi a suo carico. Nel frattempo si è anche in attesa dell’esito del ricorso al Tar (previsto per l’8 marzo) contro il regolamento attuativo varato dal ministero.  «Abbiamo scritto al Guardasigilli – spiega Maurizio de Tilla, presidente Oua - per sensibilizzarlo ulteriormente sulla posizione unanime degli avvocati italiani e, allo stesso tempo, ci siamo rivolti, come indicatoci da una mozione del recente Congresso Forense, al Parlamento perchè si intervenisse con efficacia per evitare che ancora una volta la giustizia civile si convertisse nella “Cenerentola” della macchina giudiziaria italiana, con interventi tampone e di corto respiro.Un ringraziamento lo voglio rivolgere a tutti i parlamentari che trasversalmente (dal PD al PDL) hanno recepito le chiare richieste dell’Oua, chiedendo con un emendamento al Milleproroghe lo slittamento di un anno in attesa di recepire le proposte degli avvocati. Tra gli altri i senatori: Della Monica, Benedetti Valentini, Casson, Lusi, Mugnai. È, inoltre, sotto gli occhi di tutti – aggiunge - che non si è ancora preparati dal punto di vista strutturale, in questo modo, a tacere di ogni altra osservazione, non vi è dubbio che si tratti di un vero e proprio salto nel buio per il nostro sistema giudiziario. Anzi, per essere più precisi, nel momento in cui il cittadino costretto alla mediaconciliazione non troverà un luogo deputato dove poter risolvere la controversia, andremo incontro ad una situazione di generalizzata omissione di atti di ufficio. È inoltre ancora più evidente in queste ore – conclude de Tilla - ed è convinzione sempre più diffusa, che il decreto legislativo oltre ad ignorare i contenuti della Direttiva Europea in materia, contrasti con il dettato Costituzionale per almeno tre ragioni, che riassumo sinteticamente. Innanzitutto perché si configura un procedimento di mediazione in modo coercitivo con un evidente aggravio di spese e, di fatto, precludendo l'immediato accesso alla giustizia. Ma anche perché prevede una proposta del mediaconciliatore che può avere effetti negativi nel giudizio senza che il cittadino abbia dato alcun consenso, condizionando così la possibilità di un trattamento equo. Infine per eccesso di delega».

(Da Mondoprofessionisti del 26.1.2011)

Domani sciopero penalisti, protesta per mancate riforme

Domani niente processi, i penalisti scendono in "sciopero". La giornata di astensione nazionale dalle udienze e dalle attività difensive è stata decisa dalla giunta dell'Unione delle camere penali per "protestare contro l'immobilismo del sistema politico sui temi della giustizia, con riforme solo annunciate o evocate strumentalmente in nome della propaganda politica o del conflitto con la magistratura, ma mai discusse concretamente neppure in casi in cui le proposte sono già sul tavolo". Ed è la ragione per la quale gli Avvocati dell'Ucpi e delle Camere penali locali non parteciperanno nemmeno alle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario presso la Cassazione e nelle Corti d'appello: "È un rituale ottocentesco - dice Valerio Spigarelli, presidente dell'Ucpi - che continua a relegare gli Avvocati in posizione gregaria, offrendo un volto deformato della giustizia". I penalisti, per inaugurare l'anno giudiziario, si sono dati appuntamento a Napoli, dove domani "in un processo virtuale ma fondato sulla realtà - annuncia Spigarelli - sotto accusa sarà la giustizia senza qualità, i suoi protagonisti, le sue miserie, senza far sconti a nessuno, neppure all'avvocatura stessa". Una giornata di protesta per "assicurare ai cittadini sottoposti a giudizio un giudice finalmente terzo e impedire l'abuso, ma per tutti, della custodia cautelare e delle intercettazioni. Per reclamare leggi penali moderne, chiare, tassative e non sciatte e contraddittorie e sanzioni efficaci. Per pretendere un sistema carcerario degno di una nazione civile".

(Da Mondoprofessionisti del 26.1.2011)

martedì 25 gennaio 2011

Catania, siglato protocollo d’intesa su processo telematico

Un protocollo d'intesa per realizzare un "programma di dematerializzazione dei flussi documentali ed informativi della giustizia civile nel capoluogo etneo, di riduzione dei costi di accesso, di snellimento degli oneri procedurali, di sveltimento dei tempi di definizione del contenzioso" è stato siglato a Catania tra Camera di commercio, Ordine degli avvocati, Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e del Tribunale.
Lo ha reso noto la presidenza del Tribunale.
Il documento è stato firmato dal presidente della Camera di commercio Pietro Agen, dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Catania Maurizio Magnano Di San Lio, da quello dell'Ordine dei dottori commercialisti di Catania Margherita Poselli, e dal presidente vicario del Tribunale Bruno Di Marco.

(Da Mondoprofessionisti del 25.1.2011)

L'utenza telefonica sparisce dall'elenco: risarcito l'avvocato

La Cassazione con sentenza n. 1418 del 21 gennaio 2011 ha affermato che il professionista al quale il gestore cancella l’utenza telefonica dello studio dall’elenco telefonico ha diritto al risarcimento danni sia per il lucro cessante che per il danno all’immagine.
Nel caso in questione un avvocato penalista titolare di uno studio legale ha ottenuto dalla Corte di Appello di Ancona un risarcimento pari alla somma di euro 70.000 a causa di un disservizio causato da una nota società telefonica sulle utenze intestate al suo studio professionale. La compagnia, infatti, aveva involontariamente cancellato il numero telefonico dello studio legale dall’elenco abbonati. Contro tale decisione i legali della società hanno presentato ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società riconoscendo così al titolare dello studio sia il danno patrimoniale che quello all’immagine.
I giudici affermano che nel caso in questione uno studio legale dotato esclusivamente di una linea fax offre un’immagine poco efficiente e poco affidabile.
I giudici supremi hanno riconosciuto un nesso di casualità tra il disservizio e la riduzione di lavoro denunciata dal professionista.

(Da Avvocati.it del 25.1.2011)

lunedì 24 gennaio 2011

De Tilla (Oua): “La crisi economica colpisce l’avvocatura”

"La crisi economica investe l'intera categoria forense e, segnatamente, i giovani e le donne". È quanto osserva il presidente dell'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura, Maurizio de Tilla, a conclusione dell’assemblea nazionale dei delegati dell’organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, tenutasi a Roma, lo scorso fine settimana nel corso della quale ha rilanciato le conclusione delle mozioni approvate a larghissima maggioranza dal Congresso Nazionale Forense di Genova sulle difficoltà della professione, in seguito alla crisi economica e sull’assenza di interventi a sostegno da parte del Governo e del Parlamento. De Tilla ha denunciato quanto l’avvocatura sia oggi gravemente mortificata da politiche inadeguate alle effettive esigenze della collettività e da una congiuntura economica che colpisce tutte le categorie professionali. «La crisi economica – spiega - investe l’intera categoria forense e, segnatamente, i giovani e le donne. Cinque sono i punti più rilevanti che denunciamo: 1) l’inesistenza di forme di sostegno economico nell’avvio della vita professionale. Mancano incentivi per l’innalzamento delle qualità delle prestazioni tecniche e della formazione deontologica, anche a causa della mancata previsione normativa di agevolazioni finanziarie per le donne ed i giovani avvocati. Inadeguati gli studi di settore, i quali, oltre a non tener conto dell’attuale congiuntura economica che investe tutto il mondo professionale, tralasciano le obiettive maggiori difficoltà di donne e giovani; 2) la inadeguatezza dei modelli associativi attuali, caratterizzati da un insoddisfacente regime della responsabilità, nonché dalla disincentivazione fiscale e dall’assenza di ogni politica di sostegno dello start up; 3) la mancanza di meccanismi di orientamento delle professionalità femminili e giovanili verso settori di specializzazione atti a soddisfare le esigenze del mercato, tenuto conto altresì delle singole aree geografiche; 4) la mancanza di una specifica regolamentazione della figura professionale di molte donne e molti giovani, i quali spesso all’interno degli studi legali ricoprono ruoli subalterni e pressoché impiegatizi. È urgente approfondire questo nodo con un conseguente intervento normativo volto a disciplinare la materia, individuando eventualmente nuove forme professionali, escludendo fermamente ogni tipologia di rapporto di lavoro privato subordinato, compatibile con l’iscrizione nell’Albo professionale; 5) la scarsa rappresentanza delle componenti femminili e giovanili all’interno dell’Avvocatura, soprattutto in relazione alle sedi istituzioni. Tale vulnus si riscontra sovente, anche in presenza di forte suffragio da parte delle Assemblee elettorali in favore di donne e giovani, con ciò scompensando la democraticità in sede decisionale, che potrà essere raggiunta solo attraverso la equilibrata compresenza dei due generi in ogni settore. Su questa premessa – ha continuato il presidente Oua - il Congresso Nazionale Forense ha invitato l’Organismo Unitario dell’Avvocatura e il Consiglio Nazionale Forense a chiedere con fermezza alla Politica: I) di approntare interventi normativi diretti a programmare il numero degli iscritti nelle Facoltà di Giurisprudenza, commisurato alle effettive esigenze del mercato e alle reali possibilità di occupazione; II) di predisporre, in sinergia con l’Avvocatura, ed in sintonia con i principi di chiarezza e trasparenza una normativa atta a regolamentare i rapporti di lavoro di fatto oggi esistenti negli studi professionali, che in maggior misura coinvolgono donne e giovani; III) di attivare politiche economiche di sostegno all’avvio dell’attività professionale anche attraverso agevolazioni fiscali e finanziarie. A ciò si aggiunga la promozione di protocolli di intesa con il CSM, diretti a regolamentare secondo principi di chiarezza, trasparenza ed effettiva rotazione, l’affidamento degli incarichi professionali nell’ambito dei tribunali (fallimenti, ausiliari dei giudici, etc.), cosicché siano officiati parimenti giovani e donne con idonee competenze. Rimaniamo in attesa di un riscontro – conclude de Tilla - auspichiamo l’apertura di un tavolo di confronto: non è possibile che Governo e Parlamento, che maggioranza e opposizione, rimangano inerti di fronte alle difficoltà di un settore che rappresenta un pezzo importante del Pil di questo Paese, che crea occupazione e che viene duramente colpito nelle fasce più deboli: giovani e donne».

(Da Mondoprofessionisti del 24.1.2011)

domenica 23 gennaio 2011

Evasione fiscale, imprenditore assolto se responsabile il commercialista

L'imprenditore non risponde di evasione fiscale se il commercialista è responsabile della mancata dichiarazione. Confermata l'assoluzione nei confronti di industriale di Genova.

Il commercialista che si assume la responsabilità della mancata dichiarazione e del versamento dell'Iva scagiona l'imprenditore dal reato di evasione fiscale.
È quanto si evince da una sentenza della Corte di cassazione, la numero 1806 depositata il 20 gennaio 2011.
In particolare il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Genova aveva dichiarato un non luogo a procedere nei confronti del legale rappresentante di una srl ligure perché il suo commercialista, in relazione a un'indagine su evasione dell'Iva, si era assunto tutte le responsabilità dell'omessa presentazione della dichiarazione e quindi dell'omesso versamento.
Contro questa decisione la Procura genovese ha presentato ricorso in Cassazione ma senza successo. La terza sezione penale, con una motivazione molto breve, ha respinto tutti i dubbi sollevati dalla pubblica accusa secondo cui la decisione dei giudici di merito era affetta da un vizio di motivazione, "apparendo del tutto illogico che una persona in buona fede circa la mancata presentazione della dichiarazione annuale per più annualità non avesse consapevolezza quanto meno del mancato versamento dell'imposta dovuta".
A questa obiezione la Cassazione ha risposto che la Procura non ha tenuto conto che "il Gup ha preso in considerazione l'importo dell'imposta effettivamente evasa sulla base delle valutazioni compiute dalla Guardia di finanza, con la conseguenza che non può dirsi illogica l'affermazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza circa la mancanza di prova del superamento della soglia di punibilità".

Debora Alberici (telediritto.it)

sabato 22 gennaio 2011

ELENCO EVENTI FORMATIVI AGA DEL 2010


Si è concluso stamane il primo evento formativo organizzato dall’AGA per l’anno 2011, che ha registrato una grande affluenza di colleghi, nonché la gradita partecipazione del Magistrato dirigente dott.ssa Maria Pia Urso e di personale della Cancelleria civile.
Come hanno precisato gli illustri relatori (il consigliere dell’Ordine Distefano, la dott.ssa Finocchiaro ed il giudice Fichera), in un futuro non molto lontano le “parole d’ordine” sono due: punto d’accesso e p.e.c.!
Ciò detto, a beneficio dei colleghi che ancora devono compilare la dichiarazione relativa agli obblighi formativi per il 2010, di seguito pubblichiamo l’elenco dei corsi organizzati dall’AGA nel 2010:
13.3.2010 – La diffamazione a mezzo stampa: diritto di cronaca e diritto di critica ex art. 21 della Costituzione.
22.5.2010 – Espropriazione e vincoli espropriativi. Tutela della proprietà in sede amministrativa e giurisdizionale.
19.6.2010 – La riforma della previdenza forense.
10.7.2010 – Il diritto di difesa tra privacy e deontologia.
23.10.2010 – La prova testimoniale nel processo civile. Aspetti pratici.
20.11.2010 – I riti alternativi tra diritto e pratica.
Il modello di dichiarazione si può scaricare dal sito dell’Ordine, cui si può accedere anche dai nostri “link”.

L’OUA: “Giustizia civile, è crisi perenne”

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Oua, il braccio politico degli avvocati, recentemente eletto nel Congresso Nazionale Forense di Genova, è intervenuto con il presidente, Maurizio de Tilla al convegno nazionale del Partito Democratico su: “Lo sfascio della giustizia civile”, tenutosi oggi a Roma. Nel corso del suo intervento,  de Tilla ha richiamato le mozioni approvate dagli oltre mille delegati (sul civile e sull’ ordinamento giudiziario) nell’assise di Genova e le proposte avanzate nel corso degli ultimi mesi dall’Oua: il Decalogo per la modernizzare la macchina giudiziaria”, il “Patto per la giustizia e i cittadini”, sottoscritto con l’Anm e i sindacati dei dirigenti e lavoratori del settore. Nonché ha ricordato l’impegno contro alcuni interventi varati dal ministero dal Ministero di Giustizia come la mediaconciliazione obbligatoria e quelli prospettati, ma rimasti in sospeso, come la rottamazione dell’arretrato nel civile.   «Nonostante innumerevoli tentativi di riforma, permane immutato il profondo stato di dissesto della giustizia italiana – sottolinea de Tilla - questa situazione è una palese negazione dello stato di diritto, nonché causa di gravi conseguenze sia sul piano economico sia sul piano sociale, nonché sulla stessa competitività del sistema-Italia. L’Oua partendo dal lavoro svolto, dalle decisioni prese dal Congresso Nazionale Forense e dalle iniziative lanciate nel corso dell’anno passato, ha un elenco di proposte concrete per aprire una “Vertenza giustizia” che veda tutte le migliori energie del Paese impegnarsi per far uscire dalla crisi la nostra macchina giudiziaria.  Il primo passaggio – aggiunge il presidente Oua - è quello dell’organizzazione della giustizia: razionalizzare l’impiego dei magistrati, con periodiche verifiche della loro produttività e del rispetto dei termini; prevedere il controllo della capacità dei dirigenti preposti agli uffici giudiziari; adottare le best practices; escludere il ricorso alla motivazione sommaria o a richiesta; razionalizzare l’impiego del personale amministra-tivo e riqualificarlo; avviare un serio e generale processo di informatizzazione degli uffici giudiziari e rilanciare il processo telematico; attuare la semplificazione dei riti e delle procedure di notificazione degli atti; assicurare il rispetto delle funzioni di difesa assegnate all’Avvocatura; prevedere strumenti per l’effettiva esecuzione dei provvedimenti giudiziari. Infine avviare la riforma delle molte figure di giudice onorario in una unica, rigorosa e qualificata magistratura laica. Una piccola nota a margine: è necessario implementare i sistemi conciliativi ed extragiudiziali, evitando però l'introduzione a forza di sistemi obbligatori di mediaconciliazione come quello varato dal ministero di Giustizia, che così come concepito, esclude gli avvocati, costituisce un grave impedimento all’accesso dei cittadini alla giustizia e appare non corrispondente alle direttive europee in merito e in palese contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento». Entrando nel merito di alcune questioni specifiche, de Tilla ha richiamato la mozione approvata nel Congresso e ha auspicato incisive modifiche nella materia del diritto di famiglia, dei minori e delle persone e del lavoro: «È necessario istituire giudici specializzati che sappiano affrontare i molteplici aspetti connessi alle vertenze. Importante riformare il diritto di famiglia minorile e delle persone, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, provvedendosi, con riguardo a quest’ultimo, a semplificare ed unificare i riti. Quanto alla giustizia del lavoro è doveroso modificare la legge n. 183/2010 nella parte in cui non prevede la difesa tecnica del ricorrente (mentre è prevista invece per il resistente) perchè riduce la tutela giurisdizionale, altera il previgente assetto del sistema sanzionatorio, prevede l’applicazione delle nuove disposizioni ai giudizi pendenti».

(Da Mondoprofessionisti.it del 21.1.2011)

venerdì 21 gennaio 2011

AGA, APERTE ISCRIZIONI 2011

Informiamo i signori colleghi che già da domani Sabato 22 Gennaio, in occasione del convegno sul processo civile telematico organizzato dalla nostra associazione in tribunale, sarà possibile rinnovare l'iscrizione e/o iscriversi all'AGA per l'anno 2011. 
La quota è rimasta invariata, ovverosia € 25,00. 
L'iscrizione dà diritto, fra l'altro, alla partecipazione gratuita a tutti gli eventi formativi che si terranno nel presente anno solare.

L’OUA: “Un anno di moratoria per la mediaconciliazione”

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (Oua), dopo essersi rivolto al ministro di Giustizia, Angelino Alfano, ha inviato una lettera a tutti senatori-avvocati affinché sostengano e facciano approvare un emendamento al “Milleproroghe” per far slittare di un anno l’entrata in vigore dell’obbligatorietà della mediaconciliazione, prevista per metà marzo, in attesa delle modifiche normative richieste con una mozione approvata all’unanimità dal recente Congresso nazionale Forense. Un primo riscontro sulla proroga è arrivato dal senatore Domenico Benedetti Valentini che ha già annunciato un’iniziativa in tal senso. Maurizio de Tilla, presidente dell’organismo di rappresentanza politica degli avvocati, l’Oua (organismo eletto dal Congresso Nazionale Forense), coerentemente con la mozione conclusiva approvata all’unanimità nella recente assise tenutasi a Genova, raccogliendo le preoccupazioni e le osservazioni della base dell’avvocatura, degli ordini territoriali e delle associazioni forensi, continua così la battaglia contro 'un sistema di mediaconciliazione – spiega – che, così come formulato, esclude gli avvocati e costituisce un grave impedimento all’accesso dei cittadini alla giustizia. La crisi della giustizia civile – aggiunge il presidente Oua - non si risolve con provvedimenti tampone o con l'introduzione a forza di sistemi obbligatori di mediaconciliazione ma necessita di interventi strutturali a livello legislativo e organizzativo, e l'istituto della mediazione, così come concepito, appare non corrispondente alle direttive europee in merito, nonché in palese contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento.  Nel Congresso Nazionale Forense – ricorda de Tilla - l'avvocatura ha approvato, all'unanimità, una mozione (di seguito i punti principali), che abbiamo già inviato al ministro Alfano e a tutti i parlamentari. E, in particolare, oggi, ai senatori-avvocati, in cui si afferma di non voler avallare con questa mediaconciliazione obbligatoria un approccio che compromette il diritto del cittadino al giusto processo e che per questa ragione si chiede la riapertura del confronto e, quindi, uno slittamento di un anno dell’entrata in vigore definitivo del nuovo sistema, in attesa delle necessarie modifichè. Queste le richieste essenziali della mozione congressuale. Si chiede agli organi istituzionali e politici dell’avvocatura, ciascuno secondo le sue competenze, di adoperarsi presso ogni sede per l’abrogazione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione e, nelle more, il differimento dell’entrata in vigore del D.L.vo 28/2010 in attesa delle modifiche che vengono formulate nei seguenti termini: • abrogazione della previsione di annullabilità del mandato per omessa comunicazione preventiva al cliente della possibilità della conciliazione; • obbligatorietà della difesa tecnica; • previsione di un periodo di sperimentazione per valutarne i vantaggi e problematiche; • abrogazione della previsione di una proposta del mediatore in assenza di una congiunta richiesta dalle parti; • abrogazione di tutte le disposizioni che stabiliscono un collegamento tra la condotta delle parti nel procedimento di mediazione e il processo; • previsione della competenza territoriale per gli organismi di conciliazione in correlazione a quella del giudice competente per legge".

(Da Mondoprofessionisti.it del 20.1.2011)

giovedì 20 gennaio 2011

Cassazione: "Matrimoni di lungo corso non possono essere annullati"


I giudici italiani non possono convalidare l'annullamento ecclesiale dei matrimoni concordatari nei quali la convivenza tra i coniugi si sia protratta per lunghi anni o, comunque, per un periodo di tempo considerevole. Questo perché una volta che il rapporto matrimoniale prosegue nel tempo è contrario ai principi di "ordine pubblico" rimetterlo in discussione adducendo riserve mentali, o vizi del consenso, verificatisi nel momento del sì all'altare. Lo ha deciso la Cassazione, accogliendo il ricorso di una moglie e invalidando la nullità di un matrimonio durato venti anni.
La Suprema Corte ha dato parere negativo al quesito di diritto posto da Maria Lorenza R., la moglie 'ripudiata' dal marito dopo due decenni di convivenza con la scusa che la signora gli avrebbe taciuto la sua contrarietà a mettere al mondo figli. "Può essere riconosciuta nello Stato italiano - ha chiesto la signora alla Cassazione - la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio quando i coniugi abbiano convissuto come tali per oltre un anno, nella fattispecie per vent'anni, o detta sentenza produce effetti contrari all'ordine pubblico, per contrasto con gli articoli 123 del codice civile (simulazione del matrimonio) e 29 della Costituzione (tutela della famiglia)?". No, non può essere riconosciuta, è stata la risposta dei supremi giudici.
Così il ricorso è stato "accolto" e "cassata" la sentenza con la quale la Corte di Appello di Venezia, l'11 giugno 2007, aveva convalidato la nullità del matrimonio di Maria Lorenza e Gianpaolo V. sancita dal Tribunale ecclesiastico regionale ligure nel novembre 1994, e dichiarata esecutiva dalla Segnatura Apostolica con decreto del marzo 2001. A chiedere l'annullamento era stato il marito sostenendo che le nozze celebrate nel giugno del 1972 erano viziate poiché la moglie - sosteneva lui - gli aveva taciuto di non volere figli, dunque era escluso uno dei 'bona matrimoni', gli elementi che danno vitalità alle unioni concordatarie. Dando ragione al reclamo di Maria Lorenza, la Cassazione - sentenza 1343 - spiega, con riferimento "alle situazioni invalidanti l'atto del matrimonio", che "la successiva prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge".
In pratica, dopo tanti anni, per mettere fine alla vita a due bisogna intraprendere la strada della separazione civile, senza cercare la scorciatoia della nullità, che mette al riparo dal dover pagare l'assegno di mantenimento alla ex ma viola i principi del nostro ordinamento.

(Da notizie.tiscali.it del 20.1.2011)

Circolazione stradale: la ditta deve sapere chi guida

Cassazione civile, sez. II, sent. 2.12.2010 n° 24457

Il proprietario ha l’obbligo di sapere sempre chi si trova alla guida del proprio mezzo; non è, infatti, sufficiente all’impresa la dichiarazione di non essere in grado di individuare il conducente del veicolo al fine di sfuggire alla multa.
Così i giudici della seconda sezione civile della Cassazione hanno precisato nella sentenza 2 dicembre 2010, n. 24457.
Con la decisione in commento è stata confermata la sanzione per omessa indicazione dei dati del conducente impartita ad una società, al quale era stato notificato il verbale di una multa, con contestuale decurtazione dei punti.
Tale società aveva, però, dichiarato alla polizia di non essere in grado di rintracciare il conducente del mezzo che “al momento della contestata infrazione” si trovava alla guida.
Secondo quanto precisato dai giudici della Corte, come già evidenziato in apertura di commento, il proprietario del mezzo è sempre tenuto a conoscere chi si trova (e quindi la precisa identità) alla guida del mezzo non potendo rispondere con una dichiarazione omissiva e generica.
Come nel caso di specie il giudice di merito, secondo il pensiero della Corte, non può ritenere che le prove della responsabilità dell’opponente siano insufficienti.
Nella sentenza de qua si legge testualmente che “in tema di violazioni alle norme del codice della strada, con riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l'illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli art. 126 bis C.d.S., comma 2, penultimo periodo, e dell'art. 180 C.d.S., comma 8, il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell'eventuale incapacità d'identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull'affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l'identità del conducente” (principio affermato da Cass., n. 13748 del 2007 e ribadito da Cass., n. 12842 del 2009).
Continuano i giudici della Corte nella sentenza in commento che “il giudice di pace ha ritenuto la giustificazione addotta dall'opponente……..del tutto inidonea ad escludere la responsabilità della società opponente, proprietaria del veicolo, per la contestata violazione dell'art. 180 C.d.S., comma 8”.

(Da Altalex del 20.1.2011. Nota di Manuela Rinaldi)

AVVISO AI COLLEGHI CHE VISITANO AGA NEWS

Approfittiamo di questo spazio su "AGA News" per precisare ai nostri tanti amici e colleghi, che seguono spesso le notizie, gli approfondimenti e gli avvisi pubblicati, che per una miglior lettura è preferibile usare Mozilla Firefox, anzichè Internet Explorer.
Nulla impedisce di accedere tramite l'Explorer, però può capitare di visualizzare fastidiose caselle vuote relative ad immagini di fatto inesistenti e/o non pubblicate.
Grazie.

mercoledì 19 gennaio 2011

Climatizzatore rumoroso: anche l'immissione sonora "tollerabile" può risultare illecita

Oltre al limite di legge, il giudice deve guardare allo stato dei luoghi
come nel caso del negozio che confina con lo studio legale

Non conta soltanto il limite di legge ai fini della tollerabilità di un'immissione sonora. Risulta invece necessario considerare anche lo stato dei luoghi in cui il rumore viene prodotto: l'articolo 844 Cc, infatti, impone di contemperare l'esercizio delle attività produttive con la tutela del diritto di proprietà. È quanto emerge dalla sentenza n. 939/11 della seconda sezione della Cassazione.
Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso dell'avvocato disturbato dal grande ventilatore posto dal negozio attiguo al confine con l'immobile di proprietà del professionista, utilizzato come studio professionale e abitazione. Dopo la doppia sconfitta in sede di merito, l'avvocato segna un importante punto a suo favore. Non ha infatti un carattere assoluto il limite civilistico alla tollerabilità delle immissioni sonore, costituito dalle soglie indicate da leggi e dai regolamenti (lo scostamento dagli standard, nella specie, risultava soltanto in una piccola parte dell'immobile di proprietà del professionista). La Corte d'appello, invece, non ha effettuato una verifica necessaria: non è stato controllato se i rumori dell'impianto di climatizzazione del vicino nuocessero o meno alle attività quotidiane, professionali e private, dell'avvocato. Sarà allora il giudice del rinvio a chiudere la controversia, tenendo conto di due elementi: è vero, il negozio e lo studio professionale sono entrambi luoghi ove si svolge un'attività produttiva, ma equipararli è sbagliato perché nel secondo si svolge un'opera di ricerca e di studio che impone particolare tranquillità; nel contemperare le esigenze fra attività produttiva e diritto alla salute, poi, è necessario dare priorità al secondo, la cui tutela deve essere ritenuta intrinseca all'esercizio della prima.

(Da cassazione.net del 18.1.2011)

Incidenti, non ha colpa il pedone investito che non annota la targa del pirata della strada


Bisogna valutare se le condizioni dell'infortunato consentissero
lo sforzo necessario a identificare il responsabile del sinistro

Non si può chiedere al pedone appena investito di trasformarsi in investigatore privato per identificare il pirata della strada che l'ha travolto. Né si può tramutarlo in querelante per forza. Il giudice del merito deve invece tenere conto di quali fossero le condizioni di salute dell'infortunato appena dopo il sinistro per valutare se è possibile esigere o meno dal danneggiato un'idonea condotta utile a identificare il responsabile dell'incidente. Lo precisa la sentenza n. 745/11 della terza sezione civile della Cassazione.
Accolto nel caso di specie il ricorso del danneggiato che ha proposto azione diretta nei confronti dell'impresa designata dal Fondo di garanzia per il risarcimento dei danni cagionati da veicolo non identificato (ai sensi dell'articolo 19 lett. a) della legge 990/69). La decisione di merito risulta contraddittoria perché da una parte ammette che l'incidente si è davvero verificato e dall'altra mette in dubbio la presenza sul luogo del sinistro di due conoscenti della vittima (o pretesa tale). Sarà il giudice del rinvio a stabilire chi ha ragione. Intanto di certo c'è che alla parte lesa di un incidente dal responsabile ignoto non si può imporre un comportamento particolarmente oneroso finalizzato a identificare il "colpevole", a parte le legittime misure adottate per evitare le frodi alle assicurazioni. Insomma: bisogna almeno considerare se le circostanze del caso concreto e le condizioni psico-fisiche del danneggiato consentissero ad esempio all'infortunato, o a chi per lui, di annotare il numero di targa del veicolo responsabile dell'investimento.

(Da telediritto.it del 18.1.2011)

SABATO 22 EVENTO AGA SUL PROCESSO TELEMATICO

Ricordiamo ai Colleghi che Sabato 22 gennaio, dalle ore 9 alle ore 12, nell'androne del palazzo di giustizia di Giarre in corso Europa, si terrà il primo evento formativo organizzato dall'Associazione Giarrese Avvocati per il 2011, sul tema: "Notifiche telematiche e processo civile telematico a Catania". Relatori: dott. Giuseppe Fichera, magistrato referente distrettuale per l’informatica; avv. Antonino Distefano, consigliere Ordine Avvocati Catania referente per l’informatica; dott.ssa Raffaela Finocchiaro, funzionario del CISIA di Catania. La partecipazione all’evento, accreditato dal Consiglio dell’Ordine Avvocati di Catania in data 18.1.2011, dà diritto a n. 3 crediti formativi.

martedì 18 gennaio 2011

Danno da insidia o trabocchetto: l’eterna lotta tra art. 2051 e 2043 c.c.

Cassazione civile, sez. III, sent. 18.11.2010 n° 23277

Che fosse caro agli ermellini il tema dell’individuazione della norma applicabile alle ipotesi di responsabilità della PA per i danni subiti dall’utente della strada, è cosa nota.
E tuttavia, il flusso ininterrotto di pronunce sul punto potrebbe avere – o, forse, ha già– l’effetto di produrre una grande confusione, anzichè una grande chiarezza, tra gli operatori del diritto che, soli, si trovano a dover spiegare all’ignaro, dolente, attònito, assistito i motivi di opportunità o sconvenienza dell’intrapresa di una causa per ottenere il risarcimento dei danni patiti.
In un contesto giurisprudenziale così fluido ed instabile, la Giustizia che non dà certezze, ci rimette la faccia, ma con le sembianze dell’avvocato di turno.
Se, poi, si considera che, come nel caso in esame, per arrivare a capo della questione si deve passare attraverso 21 anni (la citazione è stata notificata il 12 gennaio 1989!!) di processo, durante i quali l’avvocato fa in tempo anche morire (e non è una battuta) e bisogna pure trovarne un altro, beh, lo scenario diviene oltremodo sconfortante.
Vediamo il caso nel dettaglio.
Dal punto di vista fattuale, la vicenda è molto lineare: un pedone che cammina sul marciapiede, improvvisamente, inciampa in un tombino sporgente non segnalato e cade, riportando lesioni personali di cui chiede il risarcimento al Comune.
La domanda attorea, respinta in primo grado ed accolta in appello, perviene in Cassazione a seguito di ricorso promosso da Comune per insufficiente motivazione sull’eziologia dell’evento lesivo: secondo la Corte d’appello, infatti, l’instabilità del tombino in carenza di segnalazione costituiva evento imprevedibile per il pedone, idoneo a provocarne la caduta e, quindi, a configurarsi quale antecedente necessario e sufficiente alla determinazione della stessa, diversamente la PA ricorrente ritiene che, considerate le circostanze di tempo e di luogo in cui si trovava a transitare, ben avrebbe il pedone, potuto prevedere la presenza di pericoli e, quindi, adottare comportamenti atti ad evitare di incapparvi,come, ad esempio, camminare sul marciapiede situato dal lato opposto.
La Corte di Cassazione accoglie la tesi difensiva della Corte territoriale già “percorsa dal pedone” in primo grado sostenendo che l’assenza di segnalazioni atte ad avvertire della presenza di pericoli, ingenera nell’utente della strada il legittimo affidamento in ordine alla stabilità e regolarità della superficie su cui si trova a transitare.
Laddove la superficie stradale si riveli, in concreto, priva delle qualità attese, allora ogni pericolo ivi presente costituirebbe insidia perché caratterizzato oggettivamente dalla non visibilità e, soggettivamente dell’imprevedibilità.
L’insidia così descritta è antecedente logico ed ontologico necessario e sufficiente a determinare evento caduta che, a sua volta, determina l’insorgenza di danno alla persona.
Se, dunque, l’insidia è causa della caduta e la caduta dei danni, allora, per proprietà transitiva, l’insidia è causa dei danni ed il Comune dovrà risarcirli, stante la Sua condotta colposa dovuta a negligenza.
In base a quale norma, però?
Insegna la Cassazione: ”Qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata, in concreto, l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte dei terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. alle ipotesi di esistenza di un'insidia o trabocchetto”.
Riguardo all’onere della prova, graverà sul danneggiato di dimostrare l’anomalia del bene (che, in uno all’assenza di segnalazioni di pericolo, integra di per sé, comportamento colposo) oltre che i danni subiti, e sulla P.A. di dimostrare la presenza di fatti impeditivi dell’insorgenza della propria responsabilità, ovvero l’impossibilità di rimuovere la situazione di pericolo, pur avendo adottato tutte le misure idonee.
In quest’ottica, dunque, l’utente della strada gode di un vantaggio processuale non indifferente in termini istruttori, perché in un colpo solo, cioè tramite la prova dell’anomalia del bene, riuscirà a provare anche la sussistenza degli altri elementi richiesti per l’accertamento di responsabilità da atto illecito, cioè l’elemento soggettivo della colpa ed il nesso di causalità tra condotta colposa ed evento.
Nel variegato panorama giurisprudenziale che la tematica in questione offre, la sentenza in commento sale, dunque, agli onori della cronaca non soltanto per la sua attualità cronologica, ma anche perché ispirata a un principio che, pur permeando di sé tutto l’ordinamento giudico, è poco noto e, soprattutto, poco applicato: il buon senso.

(Da Altalex del 14.1.2011. Nota di Marta Buffoni)