venerdì 31 ottobre 2014

Lista testi nel penale anche per fax



Così ha deciso la prima sezione penale della Corte di cassazione che, con sentenza n. 44978 depositata il 29 ottobre 2014, ha accolto il ricorso, con cui il ricorrente lamentava, tra l’altro, la lesione del diritto di difesa del contraddittorio, in riferimento all’ordinanza di non ammissione dei testi, in quanto indicati nella lista inviata dal difensore alla cancelleria a mezzo fax.
La Suprema Corte ha ritenuto, infatti, che il Tribunale del precedente grado di giudizio non ha ritenuto di ammettere i testi indicati dalla difesa solo perché la relativa lista era stata trasmessa via fax alla cancelleria.
“Deve convenirsi – ha affermato la Corte – che correttamente la difesa ha evocato l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il deposito in cancelleria della lista testimoniale di cui all’art. 468, comma 1, c.p.p., (…) può avvenire anche a mezzo di trasmissione con i mezzi tecnici quale il fax. Posto, infatti, che detto adempimento ha la funzione di far conoscere, prima del dibattimento, le prove che l’interessato vorrà far acquisire e di consentire così alle parti di preparare la propria linea difensiva e richiedere eventualmente la prova contraria, e considerato che nessuna espressa sanzione d’inammissibilità è collegata all’irritualità del deposito comunque realizzato, non può non condividersi l’osservazione che anche l’invio mediante fax o altro strumento telematico pienamente assolve, in ipotesi di corretto inoltro alla cancelleria del giudice che procede e di completa ricezione, alla funzione di comunicazione all’ufficio ed agli interessati di quanto trasmesso, incidendo comunque sul trasmittente, che ha l’onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, ogni responsabilità dell’eventuale carenza della comunicazione effettuata non a mezzo della consegna materiale diretta alla cancelleria.
“Questa soluzione – continua la Corte – non solo non trova ostacoli in alcuna specifica previsione di inammissibilità della lista diversamente inoltrata, ma appare conforme all’esigenza di una interpretazione sistematica meno legata a schemi formalistici e più rispondente alla evoluzione della disciplina delle comunicazioni e delle notifiche, oltre che ad evidenti esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo.
Quanto, poi, al controllo della provenienza e della ricezione della comunicazione a mezzo fax basterà ricordare, da un lato, che le indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall’ufficio sono idonee ad assicurare l’autenticità della provenienza dal difensore, peraltro facilmente controllabile dall’ufficio, almeno quanto l’indicazione del mittente su missiva raccomandata; dall’altro che il telefax è strumento tecnico che dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell’atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio mediante il cosiddetto “OK” o altro simbolo equivalente”.
In conclusione, ritenendo leso il diritto alla prova dell’imputato, la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale, affinché proceda ad un nuovo esame attenendosi ai principi enunciati.

Biancamaria Consales (da diritto.it del 31.10.2014)

giovedì 30 ottobre 2014

Accesso Albo cassazionisti, discriminatorio per l’Aiga



L'Associazione italiana giovani avvocati ha depositato un ricorso al Tar del Lazio contro il nuovo regolamento, varato a luglio dal Consiglio Nazionale Forense, relativo alle modalità per l'iscrizione all'albo delle giurisdizioni superiori. È chiara, secondo AIGA, l'incostituzionalità del regolamento, con una palese disparità di trattamento nella definizione dei requisiti per diventare cassazionisti.

Giorgi, si rischiano squilibri
''È un testo - spiega la presidente di Aiga Nicoletta Giorgi - che trasforma completamente l'iter per poter patrocinare davanti alle giurisdizioni superiori, limitandone estremamente l'accesso alle generazioni più giovani di legali». Prevedendo la frequentazione di un corso centralizzato a Roma e il superamento di esami specifici, secondo i giovani legali italiani viene tradito lo spirito dello stessa legge 247/12 che all'articolo 1, comma 2, prevede di favorire l'ingresso alla stessa alla professione di avvocato e l'accesso alla stessa in particolare alle nuove generazioni. ''Il criterio di rendere più meritocratico l'accesso, che come associazione condividiamo, è stato evidentemente utilizzato per garantire la posizione di chi è già nelle condizioni di esercitare davanti alle giurisdizioni superiori - sottolinea Giorgi - creando altresì un evidente squilibrio concorrenziale tra due componenti della stessa categoria professionale''.

Le nuove norme, inoltre, impediscono una rappresentanza delle nuove generazioni in seno allo stesso Consiglio nazionale forense. ''Questo regolamento - chiarisce infatti la presidente dei giovani avvocati italiani - non solo impedirà alle generazioni più giovani di svolgere il patrocinio in ogni fase del giudizio, aprendo altresì la necessità di ricorrere al 'prestito di firma' da parte di colleghi già abilitati perché non soggetti al sistema riformato, ma limiterà anche il ricambio generazionale nella rappresentanza istituzionale dell'avvocatura, riservata appunto ai cassazionisti''.

Il 60% degli iscritti all'albo ha meno di 45 anni
La scelta di impugnare questo regolamento risponde alla necessità di garantire parità di condizioni tra le diverse generazioni di cui si compone l'avvocatura, dove oggi il 60% degli iscritti all'albo ha meno di 45 anni: ''il cambiamento, in questo caso, non ha portato ad un miglioramento del sistema - denuncia Giorgi - L'abilitazione alle giurisdizioni superiori non interessa allo stesso modo tutti gli avvocati, oggi evidentemente preoccupati a trovare nuove risorse, nuovi spazi di mercato che incidano sul quotidiano svolgimento della professione, tuttavia questo aspetto non può consentire che la legge 247/12, con questo regolamento totalmente demandato al Cnf, non consenta di garantire uguali opportunità e libertà di autodeterminazione ad ogni avvocato italiano''.

No ad una avvocatura di serie B
Lo spettro è quello di un'avvocatura spaccata in due, proprio a causa del provvedimento firmato dal Consiglio nazionale forense: «È inaccettabile la creazione di un'avvocatura di serie A e di serie B - attacca la presidente dei giovani avvocati italiani - immaginare tanto più che la legge di riforma forense ad oggi garantisce l'adempimento della formazione continua proprio da parte di chi poi, per ostacoli pratici ed economicamente poco sostenibili, è posto nelle condizioni di non poter esercitare in ogni grado di giudizio il proprio mandato difensivo. Ai giovani deve essere lasciata la libertà di scegliere il proprio percorso professionale''.

(Da ilsole24ore.com del 30.10.2014)

martedì 28 ottobre 2014

Formazione continua, nuove regole da gennaio



Il Cnf ha informato che è stato pubblicato nella apposita pagina web del sito istituzionale del CNF il regolamento n. 6/2014 che disciplina le nuove modalità per la formazione continua ispirate all'obiettivo di promuovere l'adempimento di tale obbligo da parte degli avvocati nella maniera più proficua e utile per le specifiche necessità di ciascuno.
Il nuovo sistema entrerà in vigore il primo gennaio 2015.
Il plenum del 26 settembre ha anche deliberato i componenti della Commissione centrale per l'accreditamento della formazione, deputata a valutare e attestare la qualità degli eventi di formazione e aggiornamento che abbiano una rilevanza nazionale, siano seriali, prevedano modalità di formazione a distanza (Fad), che si svolgono all'estero.
Componenti della Commissione centrale sono: Antonio De Giorgi (coordinatore), Susanna Pisano, Nicola Bianchi, Rosa Capria, Angelo Esposito.
I principi generali cui si ispira il regolamento declinano il concetto di formazione continua ricomprendendo in essa tutte le attività a carattere formativo che danno luogo a percorsi di apprendimento e di acquisizione di conoscenze e competenze in tempi successivi rispetto a quelli della formazione iniziale, come comunemente e universalmente inteso in campo formativo.
L'obbligo formativo viene coniugato con il principio della libertà di formazione, teso a consentire all'avvocato la scelta degli eventi da seguire il più ampia possibile e coerente con i propri fabbisogni formativi.
Il regolamento disegna un "sistema" con pluralità di attori, con responsabilità diverse e una governance che garantisca il maggior livello di uniformità possibile secondo il seguente processo: professionista, formazione, coerenza, valutazione, verifiche e monitoraggio.
Attenzione e disciplina viene assicurata alle regole per il finanziamento delle attività formative da parte di soggetti terzi, pubblici e privati, nella convinzione che la formazione, per rispondere alle esigenze di completezza, qualità ed efficacia, comporta costi che non debbono necessariamente ricadere sui soggetti beneficiari, ma che il finanziamento non debba incidere con ingerenze sulla didattica per garantirne l'indipendenza.
Il periodo di valutazione dell'obbligo formativo sarà di 3 anni, nei quali occorrerà accumulare 60 crediti formativi (almeno 15 all'anno), di cui nove in ordinamento/previdenza/deontologia forense.
Spazio alla formazione a distanza, per un massimo del 40% dei crediti del triennio.
Il periodo decorre dal primo gennaio successivo alla data di iscrizione all'albo o all'elenco di tirocinanti con patrocinio.
L'avvocato potrà essere esonerato in relazione ad alcune ipotesi di impedimento indicate dal regolamento e fintanto che tale impedimento perdura. Il regolamento introduce l'Attestato di formazione continua, rilasciato dal Consiglio dell'Ordine su domanda dell'iscritto che provi l'avvenuto adempimento dell'obbligo formativo, e previa verifica della effettività dell'adempimento.
Il possesso dell'attestato di formazione continua costituisce titolo per l'iscrizione e il mantenimento della stessa negli elenchi previsti da specifiche normative o convenzioni, o comunque indicati dai Consigli dell'Ordine su richiesta di Enti pubblici, per accettare la candidatura per la nomina di incarichi o di commissario di esame, nonché per ammettere tirocinanti alla frequenza del proprio studio. In ogni caso, il mancato adempimento dell'obbligo formativo costituisce illecito disciplinare.
Il regolamento disciplina la procedura di accreditamento degli eventi formativi, che potranno essere organizzati da enti pubblici e privati, da parte del CNF e dei Consigli dell'Ordine, che entro il 31 gennaio di ogni anno renderanno noto il Piano dell'offerta formativa.

(Da ilsole24ore,com del 28.10.2014)

lunedì 27 ottobre 2014

DL su processo civile, le novità del maxiemendamento



Pubblichiamo il testo del documento elaborato dall'Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Forense recante le novità introdotte in Senato con il maxi-emendamento al Ddl di conversione del Decreto-Legge n. 132/2014 sul processo civile, nonchè il testo coordinato del Decreto Legge con le suddette modifiche.

UFFICIO STUDI CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile (Nuove norme in materia di processo civile)

RIEPILOGO NOVITA’ INTRODOTTE AL SENATO
    arbitro unico (come da proposta CNF) solo per cause di valore inferiore a 100.000 euro;
     Translatio semiautomatica per talune controversie di cui sia parte una PA;
    gli arbitri devono essere avvocati iscritti da almeno 5 anni (non 3);
     incompatibilità tra incarico di arbitro e consigliere COA, anche per quelli uscenti per la durata dell'intera consiliatura successiva;
    facoltà di proroga per il deposito del lodo di ulteriori 30 giorni;
    termine di 90 giorni per l’adozione di un DM che riduce i parametri per i compensi degli arbitri;
    un DM stabilirà assegnazione arbitrati, con criterio rotazione e designazione automatica (come da proposta CNF);
    termine per la conclusione del procedimento di negoziazione assistita non superiore a 3 mesi (come da proposta CNF);
    integrazione del comma 5 dell’art. 3, in materia di negoziazione obbligatoria con previsione non chiarissima: «Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi»;
    trascrizione integrale dell’accordo raggiunto con la negoziazione nel precetto;
    eliminato l'art. 7, che estendeva la conciliazione ex art. 2113 c.c. alle controversie aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro;
    eliminato l'art. 15, in tema di dichiarazioni rese al difensore, con potere di autenticazione a favore di quest'ultimo;
    esclusione delle controversie di lavoro dall'ambito della negoziazione assistita e l'obbligo per la PA di affidare le convenzioni di negoziazione assistita alla propria Avvocatura, ove presente (art. 2);
     aumento dei termini per gli oneri processuali ivi previsti (processo di esecuzione) e l'inserimento di un potere di certificazione per l'avvocato, ma riferito soltanto all'attestazione di conformità delle copie degli atti depositati all'atto dell'iscrizione a ruolo del precetto (art. 18);in materia di negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio deve esserci «almeno un avvocato per parte» (art. 6);
    è previsto un particolare procedimento in presenza di taluni soggetti "protetti" (figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di  handicap: si tratta della trasmissione, secondo una tempistica predeterminata, dell'accordo al Procuratore della Repubblica per ottenere autorizzazione; altrimenti, qualora non corrisponda all'interesse dei figli, la successiva trasmissione al Presidente del Tribunale) (art. 6);
    un procedimento analogo è altresì previsto per gli accordi in assenza di figli. In questi casi, tuttavia, non vi è la previsione di termini a carico del PM;
    occorre menzionare nell'accordo di negoziazione assistita per separazione/divorzio (art. 6) che:
        gli avvocati hanno tentato la conciliazione delle parti;
         le parti sono state informate della possibilità di esperire la mediazione familiare;
        le parti sono state informate dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.
    riduzione della sanzione già prevista per l'avvocato (da 5000/50.000 si passa a 2.000/10.000) che non trasmette copia dell'accordo all'ufficiale di stato civile entro il termine di dieci giorni;
    possibilità per le parti di assistenza facoltativa da parte di un avvocato (art. 12) nel procedimento di separazione/divorzio "breve";
    viene individuato nel Sindaco la figura dell'ufficiale di stato civile al quale rendere la dichiarazione volta ad attestare la volontà di separarsi; a pena di caducazione dell’accordo raggiunto i coniugi debbono presentarsi nuovamente di fronte al Sindaco entro 30 giorni dal primo accordo.
    per quanto concerne le ferie dei magistrati viene ripristinato il periodo a tutto il mese di agosto (anziché dal 6 al 31).
     Tra le modifiche apportate in materia di esecuzione forzata si segnalano:
        a) la previsione di ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare estese anche all’attuazione del sequestro conservativo e per la ricostruzione dell'attivo e del passivo nell'ambito di procedure concorsuali di procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui»;
        b) una specifica forma di pignoramento (e custodia) di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi;
        c) l’impignorabilità dei «Crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere».
    Ripristino degli uffici del giudice di pace di Ostia e di Barra, ad organico invariato, con posti (sia per magistrati onorari che per personale amministrativo) da coprire mediante trasferimento, ed affidando ad un DM la data di inizio del funzionamento degli uffici.

(Da Altalex del 24.10.2014)

sabato 25 ottobre 2014

AGA, FIUMANO' GUIDA IL NUOVO DIRETTIVO




Gli avvocati di Giarre hanno eletto -come avviene ogni biennio- il nuovo consiglio direttivo dell’Associazione Giarrese Avvocati (AGA) che rimarrà in carica fino al 2016. 
Ultimate stamane le operazioni di voto, nella sede del Giudice di Pace, il nuovo direttivo si è immediatamente riunito per procedere alla distribuzione delle cariche. 
Confermati Giuseppe Fiumanò presidente, Massimo Nicotra vicepresidente, Mario Vitale segretario e addetto stampa e P.R., Giuseppe Musumeci consigliere addetto alla formazione, la novità è rappresentata da Agata Petrino, che ha assunto l’incarico di tesoriere.
Tra le prime attività in programma, un nuovo corso di formazione sul processo civile telematico, la riacquisizione della sede nei locali dell’ex tribunale e una riorganizzazione delle modalità di comunicazione con soci e colleghi.

mercoledì 22 ottobre 2014

SABATO 25 ELEZIONI A.G.A.

Ricordiamo ai Colleghi che il prossimo Sabato 25 Ottobre, dalle ore 9 alle 11, nei locali del Giudice di Pace di Giarre (via Veneto) si terranno, come accade regolarmente ogni biennio, le elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo dell'AGA.
Questi i nomi dei candidati (che hanno presentato rituale domanda ai sensi del Regolamento, come da precedente avviso) in ordine alfabetico:
- FIUMANO' GIUSEPPE
- MUSUMECI GIUSEPPE
- NICOTRA MASSIMO
- PETRINO AGATA
- VITALE MARIO.
Invitiamo i Colleghi a votare, per dare forza alla nostra associazione territoriale nei confronti dell'Ordine di Catania, soprattutto adesso, ovverosia in assenza della sezione distaccata.

martedì 21 ottobre 2014

COMPENSAZIONE SPESE, TROPPA DISINVOLTURA

Cass. Sent. 15.10.2014, n. 21871:
una tirata d'orecchie ai giudici
che compensano le spese con troppa disinvoltura.
Cassata sentenza che aveva compensato le spese
perché una parte era rimasta contumace


Diciamo la verità, siamo abituati a vedere le motivazioni più strampalate poste a sostegno della decisione di compensare le spese legali al termine di una lite. Questa volta un giudice di pace si è spinto a compensare le spese per il semplice rilievo che la controparte non si era costituita in giudizio ed era rimasta contumace.

La bizzarra motivazione adottata da giudice di prime cure era stata recepita anche dal Tribunale di Roma investito dell'appello secondo cui la mancata costituzione del convenuto e "la mancata contestazione delle ragioni espresse dal ricorrente, con il sostanziale implicito riconoscimento delle ragioni dello stesso, costituiva un elemento giustificativo della avvenuta compensazione delle spese".

Integrando la motivazione del giudice di pace il Tribunale aveva anche osservato che l'opposizione in primo grado era stata accolta per motivi che prescindevano dal merito e che la natura della controversia dinanzi al giudice di pace escludeva l'obbligo del patrocinio.

Nel respingere l'appello il Tribunale compensava anche le spese del secondo grado.

La vicenda finiva così dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione che accogliendo il ricorso (sentenza 15 ottobre 2014 n. 21871), hanno ricordato che non può costituire un valido motivo per compensare le spese legali il rilievo che una delle parti è rimasta contumace e non ha contestato la domanda.

Nella parte motiva della sentenza la Corte fa notare che "nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e, successivamente, dalla legge n. 69 del 2009, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese 'per giusti motivi' deve trovare un adeguato supporto motivazionale".


(Da studiocataldi.it del 20.10.2014)

Comodato, restituzione casa familiare solo se urgente e imprevisto bisogno

Cass. Sez. Unite, Sent. 29.9.2014, n. 20448


La Corte a Sezioni Unite, con Sentenza depositata il 29 settembre, si è pronunciata sul comodato di immobile destinato a casa famigliare, affermando che quando il comodato è destinato a soddisfare le esigenze della famiglia, tale scopo permane anche dopo la separazione dei coniugi, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.

Nel caso in esame, il proprietario dell’immobile ha agito nei confronti del proprio figlio e della moglie dello stesso per ottenere il rilascio della casa concessa in comodato ai coniugi in occasione del loro matrimonio. La nuora ha resistito, opponendo che in sede di separazione coniugale aveva ottenuto l’assegnazione della casa familiare in quanto affidataria del figlio; che pertanto aveva titolo per il godimento dell’immobile.

La Corte di appello di Bari ha rigettato il gravame. Il comodante ha proposto ricorso per Cassazione successivamente rimesso alle Sezioni Unite.

La Suprema Corte spiega che nel codice esistono due diverse forme di comodato: una inerente il comodato in senso stretto, regolato agli articoli 1803 e 1809 del codice civile; l’altra concernente il cosiddetto comodato precario, di cui all’articolo 1810 del codice civile. È solo nel secondo caso, data la mancata pattuizione di un termine e l’impossibilità di desumerlo dall’uso cui doveva essere destinata la cosa, che è consentito di richiedere il rilascio al comodatario.

La questione sottoposta alla valutazione delle Sezioni Unite concerne l’ipotesi in cui il comodante concede al figlio un’abitazione da destinare a casa familiare per un uso determinato, che consente di stabilire la scadenza contrattuale: quindi, in tal caso il comodante ha la facoltà di richiedere la restituzione immediata dell’immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (articolo 1809 del codice civile). Pertanto, tale destinazione, secondo i giudici, non viene meno a seguito della separazione dei coniugi se nella casa familiare restano la moglie e i figli a carico.

Le Sezioni Unite, con tale sentenza, confermano l’ipotesi prevista nel 2004 che vuole sia riconosciuto il diritto al rilascio dell’immobile assegnato a nuora e figli quando sopraggiunga una necessità seria e urgente.

Quindi, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal comodante e dichiara che non vi è luogo per pronunciare sulle spese, considerato che la parte occupante l’immobile, unica oppostasi alla domanda, non ha svolto attività difensiva in sede di Cassazione.


Francesca Russo (da filodiritto.com del 20.10.2014)

lunedì 20 ottobre 2014

In Gazzetta il nuovo codice deontologico forense



E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 ottobre n. 241 il Nuovo Codice deontologico forense, destinato ad aggiornare le regole deontologiche applicabili agli avvocati. Il Nuovo Codice, approvato dal CNF sulla base delle previsioni della legge di riforma dell’ordinamento della professione forense (L. 247/2012) stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificatamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti.

Le previsioni deontologiche tutelano l’affidamento della collettività ad un esercizio corretto della professione che esalti lo specifico ruolo dell’avvocato come attuatore del diritto costituzionale di difesa e garante della effettività dei diritti, salvaguardandosi, al contempo, quella funzione sociale della difesa richiamata anche nelle disposizioni di apertura della legge n. 247/2012. Nello specifico, il Nuovo Codice contempla i “canoni” che impongono una “condotta irreprensibile”, requisito necessario per l'iscrizione all'albo e per mantenere detta iscrizione. Detto Codice prevede altresì i “principi” ai quali l’avvocato deve uniformarsi esercitando la professione e le “norme di comportamento” che è tenuto ad osservare in via generale (oltre a quelle che è tenuto ad osservare specificamente nei rapporti con certi soggetti). La violazione di tutti i doveri, di tutte le regole di condotta, di tutti i canoni, di tutti i principi e di tutte le norme di comportamento previste dal codice deontologico forense costituisce illecito disciplinare.

Il ripensamento del codice nato nel 1997, con le modifiche che ne hanno, a più riprese, scandito gli oltre diciassette anni di vita, è stata anche l’occasione per rivalutarne e riconsiderarne la struttura, mirandosi ad una razionalizzazione del testo, per riorganizzarlo secondo un impianto più moderno e meno frastagliato.

Il modificato assetto ordinamentale prevede l’introduzione di due nuovi Titoli, uno (il IV) riservato ai doveri dell’avvocato nel processo, riunendosi in un unico ambito tutte quelle previsioni deontologiche attinenti alla tipicità della funzione difensiva che risultavano in qualche modo disperse in diverse parti dell’attuale codice, l’altro dedicato ai doveri verso le Istituzioni forensi alla luce del rafforzamento che vi è stato del rapporto avvocato/istituzione nell’ambito della legge n. 247/2012. Coerente è apparsa poi la scelta di riunire e raccogliere nell’ambito del Codice deontologico le varie disposizioni di carattere disciplinare che si rinvengono sia nella legge n. 247/2012, sia, con un fenomeno che si è andato accentuando negli ultimi tempi, in ambiti di legislazione speciale, con lo Stato che è divenuto fonte della normazione deontologica attentando all’autonomia dell’ordinamento forense come unica fonte di norme deontologiche.

Il Nuovo Codice si compone di 73 articoli raccolti in 7 Titoli: il primo (artt. 1-22) individua i principi generali; il secondo (artt. 23-37) è riservato ai rapporti con il cliente e la parte assistita; il terzo (artt. 38-45) si occupa dei rapporti tra colleghi; il quarto (artt. 46-62) attiene ai doveri dell’avvocato nel processo; il quinto (artt. 63-68) concerne i rapporti con terzi e controparti; il sesto (artt. 69-72) concerne i rapporti con le Istituzioni forensi; il settimo (art. 73) contiene la disposizione finale, che prescrive l’entrata in vigore del Nuovo Codice a partire dal 15 dicembre prossimo, decorsi 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.


Anna Costagliola (da diritto.it del 20.10.2014)

sabato 18 ottobre 2014

MUSUMECI E LA RIEDUCAZIONE DEL REO

Si è appena concluso l'evento formativo sul tema "Il reato e l'esecuzione della pena", organizzato per oggi dalla nostra Associazione e tenutosi nella sala Romeo del Palazzo delle Culture di Giarre.
Con la grande competenza e capacità affabulatoria che lo contraddistinguono, l'avv. Giuseppe Musumeci, noto penalista e consigliere dell'AGA, ha tenuto una brillante e dotta relazione che ha suscitato l'interesse e l'attenzione dei tanti colleghi presenti.
In particolare, il relatore si è soffermato sull'imprescindibilità del principio di rieducazione della pena e sull'art. 27 della Costituzione italiana, citando sentenze recentissime ed auspicando interventi legislativi a favore del reinserimento nel tessuto sociale di quanti hanno espiato la propria colpa.
Nel corso del convegno, il presidente Fiumanò ha spiegato quanto avvenuto al Congresso nazionale forense di Venezia, cui ha partecipato, ed ha ricordato che il prossimo Sabato 25 Ottobre, dalle ore 9 alle 11, nei locali del Giudice di Pace di Giarre (via Veneto) si terranno le elezioni per il rinnovol biennale del consiglio direttivo dell'AGA.

giovedì 16 ottobre 2014

ELEZIONI AGA DEL 25, I CANDIDATI



Associazione Giarrese Avvocati
Elenco alfabetico dei colleghi candidati
alle elezioni per il rinnovo biennale
del Consiglio Direttivo dell’AGA 
(art. 5 Reg.):
1 - FIUMANO’ GIUSEPPE
2 - MUSUMECI GIUSEPPE
3 - NICOTRA MASSIMO
4 - PETRINO AGATA
5 - VITALE MARIO.

Le elezioni si svolgeranno
Sabato 25.10.2014
dalle ore 9 alle 11,
nella sede 
del Giudice di Pace di Giarre.

mercoledì 15 ottobre 2014

SOSPENSIONE FERIALE FINO AL 31 AGOSTO

Meno vacanze per giudici e avvocati

La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il nostro emendamento all'articolo 16 del dl sul processo civile, sulla riduzione del periodo feriale per la giurisdizione ordinaria ed amministrativa. Rispetto al testo originario del governo che prevede il dimezzamento (da 45 giorni oggi vigenti a 25 giorni), il regime di sospensione dei termini processuali sarà dunque dal 1° al 31 agosto anziché dal 1° agosto al 15 settembre come previsto dalla normativa vigente.


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 15.10.2014)

Memoria di costituzione: ammissibile deposito telematico

Trib. Brescia, sez. lavoro, ord. 7.10.2014 n° 918

Il Tribunale di Brescia, con ordinanza 7 ottobre 2014 ha dichiarato ammissibile il deposito telematico della memoria di costituzione e, dunque, rituale la costituzione in giudizio del convenuto/resistente avvenuta con tale modalità di trasmissione dell’atto.

La recentissima ordinanza contraddice – con argomenti pienamente condivisibili – il diverso orientamento giurisprudenziale che sembrava andarsi consolidando presso diversi Tribunali (sul punto vedi Tribunale Foggia, decreto 10 aprile 2014; Tribunale di Padova, ordinanza 1° settembre 2014, su questo sito con nota di Maurizio Reale; Tribunale Pavia, ordinanza 22 luglio 2014; Tribunale Torino, ordinanza 15 luglio 2014).

E’ opportuno premettere che presso il Tribunale di Brescia, con Decreto emanato in data 21/02/14, ai sensi dell’art. 35, comma 1, D.M. 44/11, dal Direttore del DGSIA (Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati DEL Ministero della Giustizia), è stata attivata, a decorrere dal 1/03/14, la trasmissione telematica di vari atti processuali nei procedimenti di contenzioso civile ed in materia di lavoro, tra cui anche la comparsa di risposta.

Tuttavia, il ragionamento del giudice del lavoro bresciano prescinde da tale circostanza ed, anzi, espressamente contesta la soluzione del problema suggerita dalla circolare del Ministero della Giustizia 27 giugno 2014 sugli adempimenti di cancelleria, che subordina l'ammissibilità del deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio proprio all'esistenza di "un provvedimento ministeriale per l'abilitazione alla ricezione degli atti introduttivi e di costituzione in giudizio".

Il Tribunale di Brescia nega che possa essere riconosciuto alla DGSIA il potere di attribuire una facoltà processuale, visto che l'art. 35 citato si limita ad attribuirle il potere di decretare "l'attivazione" di un servizio, ossia della "trasmissione dei documenti informatici" da parte dei soggetti esterni (previa verifica dell'idoneità delle attrezzature e della funzionalità dei servizi), anche perchè – come la stessa circolare citata afferma – “la decisione sulla validità del deposito involge questioni di natura processuale e non già di natura tecnica”.

E, dunque, a differenza di quanto ritenuto in altri precedenti (v. ordinanza citata Trib. Padova 1° settembre 2004), la soluzione del problema, secondo il Tribunale di Brescia, va rinvenuta nei principi generali del nostro sistema processuale civile e nei principi affermati dalla Cassazione in fattispecie, se non analoghe, quanto meno assilmilabili a quella in esame.

Il richiamo chiaro è ai principi espressi da Corte di Cassazione SS.UU. Civili nella sentenza 4 marzo 2009, n. 5160, con riferimento alla questione della validità della costituzione in giudizio mediante invio dell’atto e del fascicolo a mezzo posta.

Nel risolvere il contrasto di giurisprudenza insorto in seno alla Corte, le Sezioni Unite hanno sposato l’indirizzo ermeneutico della Cass. civile sez. III, ordinanza n. 12342/2008, secondo cui “la deviazione dallo schema legale nella fattispecie è valutabile come una mera irregolarità, in quanto non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio e l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti e il loro inserimento nel fascicolo processuale integrano il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario”.

Le Sezioni Unite confermano, in definitiva, che non sussiste una radicale difformità tra il deposito realizzato attraverso l’invio dell’atto per mezzo della posta rispetto a quello effettuato mediante consegna diretta al cancelliere, con la precisazione che il deposito potrà prendere efficacia solo dalla data del raggiungimento dello scopo (art. 156, terzo comma, c.p.c.), e cioè dell’(eventuale) concreta e documentata ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali.

Analoghi principi, secondo il Tribunale di Brescia, devono essere applicati alla fattispecie sottoposta al suo esame, osservando che ciò che non è previsto non può ritenersi per ciò solo vietato, stante il principio di libertà di forme (art. 121 c.p.c.), ed avendosi riguardo al divieto di pronunciare la nullità di un atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge, e comunque mai ove risulti accertato che l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (art. 156 c.p.c.).

Ciò premesso, il giudicante rileva che nel caso di specie tutti gli scopi a cui è destinato l’atto processuale (la presa di contatto fra la parte e l'ufficio giudiziario, difesa della parte, realizzazione del rapporto processuale con la controparte) devono ritenersi raggiunti , stante l'accettazione dell'atto da parte del cancelliere e l'acquisizione agli atti del fascicolo di parte, visibile sia alle controparti che al giudice.

La esauriente motivazione del giudice del lavoro di Brescia appare molto più convincente di quelle dei precedenti contrari innanzi citati, già oggetto di numerose critiche nei primi commenti della dottrina, e soprattutto può costituire un importante impulso – quanto meno per le realtà più virtuose – per tentare di raggiungere l'obiettivo della piena ed integrale informatizzazione del processo, anche prima dei termini stabiliti dal legislatore.


(Da Altalex del 15.10.2014. Nota di Roberto D'Avossa)

martedì 14 ottobre 2014

ESECUZIONE PENA, IL 18 EVENTO FORMATIVO



www.agagiarre.it
Associazione Giarrese Avvocati
FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA 2014
Sabato 18 Ottobre 2014, ore 9–12
Sala “Romeo” Palazzo delle Culture
 Piazza Macherione - Giarre
Incontro sul tema:
Il reato e l’esecuzione della pena
Relatore:
Avv. Giuseppe Musumeci 
Consigliere A.G.A.
La partecipazione all’evento, in corso di accreditamento
da parte dell’Ordine Avvocati di Catania, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA.

           Il Segretario                               Il Presidente         
     Avv. Mario Vitale             Avv. Giuseppe Fiumanò

Lecito pubblicare notizia che coinvolge estraneo al reato

Con la sentenza n. 21404 del 10 ottobre 2014 i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso di un uomo che era finito sui giornali, con tanto di riferimenti al suo orientamento sessuale, in conseguenza della pubblicazione del contenuto di un’ordinanza cautelare spiccata nei confronti dell’indagato.
Il ricorrente era quindi estraneo al reato oggetto d’indagine, ma era stato intercettato mentre parlava al cellulare con l’indagato: ad avviso della Cassazione le risultanze delle intercettazioni possono essere pubblicate sui giornali anche se coinvolgono soggetti terzi a patto che sussiste comunque un interesse a che vengano divulgate e sempre che l’atto non sia coperto da segreto.

Tuttavia il suddetto requisito manca se i fatti pubblicati sul conto di terzi estranei all’indagine hanno comunque indole diversa dalla pretesa punitiva esercitata, se, cioè, si tratta di fatti che nulla c’entrano col reato ipotizzato.

In particolare, concludono i giudici, se l’informazione potrebbe risultare potenzialmente lesiva dell’onore, della reputazione della riservatezza o di altri interessi primari di una persona che pure non è parte dell’indagine, bisogna accertare caso per caso se sul fatto vi sia o meno un interesse di natura pubblica e quindi possa essere pubblicato; nel caso di specie l’opinione sulla tendenza sessuale della persona, manifestata in un’intercettazione inserita in un atto penale, come un’ordinanza di custodia cautelare, se non è circostanziata e quindi idonea ad identificare un fatto, non costituisce dato personale né sensibile agli effetti del codice della privacy.


Lucia Nacciarone (da diritto.it del 14.10.2014)

SILECI SUL XXXII CONGRESSO FORENSE

Un'avvocatura incapace di autoriformarsi
plaude al metodo Orlando

Il XXXII Congresso Nazionale Forense sarà ricordato anche per l'inedita suddivisione dei partecipanti in delegati (con diritto di accedere alla sala principale e di seguire dal vivo i lavori della assise) e congressisti (senza questo diritto ma, ahimè, con il medesimo obbligo di versare la quota di iscrizione). Una disparità di trattamento figlia di qualche approssimazione organizzativa che ci auguriamo non si ripeterà più.

Il Congresso, inoltre, ha definitivamente sancito la incapacità della categoria di autoriformare la sua rappresentanza politica: non una delle mozioni statutarie, che prevedevano nuove modalità di elezione dell'organismo unitario in attuazione dell'art. 39 della Legge professionale, ha raggiunto il quorum necessario e, dunque, nessuna di queste modifiche è stata approvata.

C'è da chiedersi se questo esito sia l'epilogo scontato della lunga fase di avvicinamento al Congresso, caratterizzata dagli sforzi di delineare un nuovo assetto dell'organismo che, comportando una cessione di sovranità da parte di tutte le componenti dell'avvocatura, forse non conveniva a nessuno.

Il rinnovato rapporto con Via Arenula

Infine, il Congresso di Venezia ha definitivamente ricucito lo strappo nei rapporti tra l'Avvocatura ed il Ministero ed ha premiato quel metodo del dialogo che ha la sua massima espressione nella costituzione dei numerosi tavoli tecnici presso il Dicastero della giustizia ed il massimo sponsor nell'attuale Ministro.

Però, a riflettori oramai spenti e volendo fare un consuntivo, il vero protagonista di questo Congresso è stato il Ministro Orlando, non tanto per i numerosi applausi che hanno scandito il suo intervento quanto per "l'applauso", il più lungo: quando gli è stato chiesto se erano vere le voci che lo davano in partenza da via Arenula per altri incarichi, il Guardasigilli ha diplomaticamente risposto che ha l'abitudine di terminare il lavoro che ha cominciato.

Il teatro è letteralmente esploso in un lunghissimo e fragoroso applauso, a testimonianza della necessità che le riforme, perchè non siano vissute come un corpo estraneo, hanno bisogno di politici disposti ad ascoltare e che sappiano trovare i giusti bilanciamenti.

Pertanto, sarebbe davvero grave se si impedisse all'Onorevole Orlando di proseguire in questa direzione sol perché il metodo dell'attuale Ministro della giustizia non sarebbe gradito al Presidente del Consiglio ovvero perché un avvicendamento al vertice del Ministero sarebbe funzionale al sempre attuale "manuale Cencelli".


Giuseppe Sileci (da ilsole24ore.com del 14.10.2014)

E’ reato spiare le telefonate dei figli minorenni

Cass. VI Sez. Pen. 3.10.2014, n. 41192

Commette reato il padre che registra le telefonate dei figli minorenni. Spiare le loro conversazioni telefoniche non può essere mai giustificato neppure dall'esercizio del diritto/dovere di vigilare su di loro.

È quanto afferma la Corte di Cassazione con nella sentenza numero 41192/2014 che ha confermato una condanna per il reato di cui all'articolo 617 del codice penale inflitta dai giudici di merito a un uomo separato che aveva registrato le conversazioni tra la ex consorte e i figli.

La tesi dell'imputato

L'imputato ha tentato di difendersi davanti alla Corte sostenendo che il reato in contestazione non poteva essere applicato al caso di specie dato che i figli non possono considerarsi "altre persone" dato che non possono sottrarsi ai doveri di vigilanza che competono a un genitore.

Nel ricorso aveva anche evidenziato che il suo comportamento non avrebbe avuto carattere fraudolento avendo precedentemente avvertito la moglie della sua intenzione di registrare le telefonate.

Un altro motivo di gravame era il mancato riconoscimento della scriminante di cui all'articolo 51 del codice penale (l'aver agito nell'esercizio di un diritto o nell'adempimento di un dovere).

A suo dire infatti egli avrebbe dovuto controllare le telefonate dei figli perché soggetti a influenze negative da parte della madre.

Cosa ha detto la Corte

Secondo la Cassazione però nessuna delle doglianze può essere considerata meritevole di accoglimento e ha evidenziato che l'art. 617 del codice penale "tutela la libertà e la riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi. In particolare il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione senza il consenso dei titolari".

Nella parte motiva della sentenza i giudici della Corte chiariscono inoltre che, contrariamente a quanto affermato dall'imputato nel ricorso, anche i figli minorenni vanno considerati come soggetti "altri" rispetto al padre e gli obblighi di vigilanza del genitore non possono legittimare la condotta tenuta dall'imputato dato che non esiste una vera e propria immedesimazione tra padre e figlio.

La Corte ha poi ritenuto irrilevante la circostanza che l'imputato avesse preventivamente avvisato la madre della sua intenzione di registrare le telefonate perché tale informazione non equivale a quella in cui i soggetti intercettati siano resi partecipi dell'interferenza al momento della conversazione.

Perché non è applicabile la scriminante di cui all'art. 51 c.p.

I giudici di piazza Cavour evidenziano da ultimo che l'esimente di cui all'art. 51 del codice penale non appare applicabile alla fattispecie.

La scriminante spiega la Corte, "sussiste solo se il fatto penalmente illecito sia stato effettivamente determinato dalla necessità di esercitare il diritto o di adempiere il dovere". Ma l'art. 51 c.p. non può "trovare applicazione in quei casi in cui detta necessità non ricorre". E comunque "il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore" non giustifica "indiscriminatamente qualsiasi illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo" ma "solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell'ottica della tutela dell'interesse preminente del minore e non già di quello del genitore".


(A.V., da studiocataldi.it del 7.10.2014)

lunedì 6 ottobre 2014

Nulli atti depositati in formato pdf-immagine



Trib. Roma, sentenza 13.7.2014

Nel mese di luglio 2014 sono stati emessi due importanti provvedimenti giurisdizionali che hanno affrontato e risolto allo stesso modo una questione molto interessante che è sorta a seguito dell'entrata in vigore delle regole del processo telematico, avuto riferimento in particolar modo al deposito telematico degli atti processuali (per essere più precisi endoprocessuali).

Sia il Tribunale di Roma (con pronuncia del 13 luglio 2014) che il Tribunale di Livorno (sentenza 25 luglio 2014), infatti, hanno dovuto affrontare in sede di ricorso per la concessione del decreto ingiuntivo la questione della validità degli atti depositati in formato pdf-immagine.

Tale problematica diventa complessa in quanto il legislatore non affronta direttamente la questione, che peraltro non poteva essere oggetto nemmeno della normativa generale di gran lunga precedente all’avvento del processo telematico. Ergo, come accade spesso, quando ci si trova, in sede processuale, di fronte a nuove questioni sorte a seguito dell’introduzione di strumenti tecnologici, non può che essere l’organo giurisdizionale preposto a risolvere le stesse facendo ricorso a principi di carattere generale ed ai provvedimenti attualmente esistenti.

In effetti sia il Tribunale di Roma che quello di Livorno sono giunti alla medesima conclusione attraverso un inevitabile excursus normativo che ha chiarito in modo esauriente l’intera vicenda.

In entrambi i casi i ricorsi depositati non sono atti nativi digitali ottenuti mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, ma sono files ottenuti mediante la scansione di immagini.

Dopo un’analisi dell’attuale normativa entrambi i Tribunali sostengono, che tali documenti di carattere informatico, così ottenuti, non sono in realtà rispondenti alle regole vigenti.

Difatti:

    l’art 16, comma 4, D.L. n. 179/2012 convertito nella L. n. 221/2012 dispone che: «a decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ...»;
    l’art 4, comma 1, D.L. n. 193/2009, convertito nella L. n. 24/2010, dispone che: «con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni »;
    l’art 11, comma 1, D.M. n. 44/2011 chiarisce che: «L'atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all'articolo 34; le informazioni strutturate sono in formato XML, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, pubblicate sul portale dei servizi telematici»;
    l'art. 12, comma 1, del Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia, contenente le Specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011, n. 44, dispone che:

«L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:

    a) è in formato PDF;
    b) è privo di elementi attivi;
    c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;
    d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti;
    e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata».

Di conseguenza, alla luce di tale quadro normativo, appare evidente che la soluzione adottata dai ricorrenti non può essere condivisa in quanto norme di carattere secondario ed in particolar modo l’art. 12, comma 1, del provvedimento del 16 aprile 2014, nel richiamare la normativa principale, si attengono a regole piuttosto rigide che non ammettono la scansione di immagini.

Ovviamente una volta accertata la violazione di tali regole, entrambi i Tribunali si preoccupano di individuare con precisione le conseguenze giuridiche di tale violazione prendendo le mosse dall’art. 121 del c.p.c. secondo cui «Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo».

Tale norma ha dunque codificato, come principio cardine del sistema processuale, il principio di obbligatorietà delle forme legali: là dove il legislatore ha previsto il rispetto di una determinata forma, il rispetto della forma imposta influisce sulla capacità dell’atto di produrre gli effetti giuridici: solo, infatti, rispettando la forma prevista dall’ordinamento giuridico l’atto è valido ed efficace, ovvero in grado di produrre i suoi effetti. In altri termini, il principio di libertà delle forme, pure previsto dalla norma sopra trascritta, ha portata residuale, così che, in concreto, trova applicazione solo in casi o per modalità marginali.

Lo scopo dell’atto processuale telematico diviene, prima d’ogni altro, quello di inserirsi, in modo efficace, in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle regole tecniche che impongono l’adozione di particolari formati. Ci si trova su di un terreno fortemente tecnologico dove non sono ammesse eccezioni di sorta. Lo stesso art. 20 del Codice dell’Amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005), a proposito del documento informatico, è piuttosto chiaro in tal senso.

Ma il Tribunale di Livorno approfondisce ancora di più la questione in quanto ritiene che l’accertamento del mancato rispetto di una forma legale, quale quella imposta nel caso di specie, non è di per sé sufficiente a far concludere che l’atto sia nullo. Stabilisce infatti l’art 156 c.p.c. che: «Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato».

A questo punto occorre domandarsi se, nel caso di specie, l’atto così redatto e depositato abbia i requisiti formali a indispensabili per raggiungere lo scopo suo proprio.

Anche in tal caso la risposta non può che essere negativa poiché il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo, così come la norma che impone che l’atto del processo sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale ha lo scopo di rendere l’atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello di consentire l’utilizzo degli elementi dell’atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR. Se così è, la redazione dell’atto processuale in formato .pdf, ottenuto mediante scansioni per immagini, non è idoneo a raggiungere lo scopo dell’atto e dunque deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c.

A conferma di tale conclusione bisogna aggiungere che in seguito a tali pronunce è intervenuto, di recente, l’art. 52 della Legge n. 114/2014 il quale nello stabilire che «il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possano estrarre con modalità telematiche, duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico chiarisce che è necessario, che il duplicato del documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine, confermando la rigidità della normativa in tale settore».

(Da Altalex dell’1.10.2014. Nota di Michele Iaselli tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer)