sabato 30 novembre 2013

Ostacoli al garage, causa e responsabilità condominio

Responsabilità aggravata al condominio che aspetta la causa per rimuovere l’ostacolo davanti al garage 

Paga i danni più le spese di giudizio e ctu l’ente di gestione se rifiuta la soluzione stragiudiziale ma poi nelle more del processo sposta i serbatoi d’acqua che complicano le manovre


Scatta la responsabilità processuale aggravata per il condominio che aspetta troppo per rimuovere dal cortile i serbatoi d’acqua che ostacolano le auto in manovra nell’accesso al garage di proprietà esclusiva che si affaccia sul cortile dell’edificio. L’ente di gestione paga al proprietario esclusivo della rimessa mille euro di danni ex articolo 96, comma 2, Cpc oltre le spese di giudizio e di consulenza tecnica d’ufficio: la collocazione alternativa dei manufatti, che evidentemente era possibile, è posta in essere dal condominio soltanto a giudizio inoltrato. È quanto emerge dalla sentenza 3006/13, pubblicata il 14 novembre dal giudice di pace di Reggio Calabria (magistrato onorario Ercole Fontana).

Resistenza fuor d’opera

Accolto il ricorso dei proprietari del garage difesi dall’avvocato Francesco Comi. Nessun dubbio che sulla lite sia competente il giudice di pace, laddove la controversia rientra tra le cause sulle modalità d’uso dei servizi condominiali di cui all’articolo 7, comma 3, n. 2 Cpc. La questione è non tanto e non solo l’accesso delle auto precluso alla rimessa di titolarità esclusiva, che pure esiste, perché i serbatoi d’acqua riducono parecchio gli spazi d’accesso all’area di ricovero dei veicoli; materia del contendere è soprattutto l’improvvida collocazione delle due ingombranti cisterne che impedisce la piena e libera utilizzazione di un servizio condominiale quale è l’area cortilizia. E ciò che “pesa” contro il condominio è che risulta pretestuosa la tesi con cui si escludeva la praticabilità di una rimozione dei manufatti, tesi che ha consentito all’ente di gestione di rifiutare i tentativi di soluzione della controversia in sede stragiudiziale e pure giudiziale. Insomma: l’ente di gestione resistendo in giudizio ha fatto perdere del tempo alla Giustizia e ora deve pagare.


Dario Ferrara (da cassazione.net)

venerdì 29 novembre 2013

Geografia giudiziaria, ok al referendum abrogativo

Siamo alle solite. L’ennesima prova, qualora ve ne fosse ancora bisogno, della discrasia tra chi pensa, attua ed impone le riforme, inaudita altera pars, e chi, dimostrando maggiore saggezza e buona conoscenza del territorio e delle problematiche connesse, cerca in tutti i modi, anche se con alterne fortune, di contrastarne l’attuazione. 
E’ quanto è successo relativamente alla recente riforma della cd. “geografia giudiziaria” che dal 13 settembre scorso ha rivoluzionato, appunto, la distribuzione territoriale dell’amministrazione della giustizia.

Come è noto la riforma ha soppresso 31 Tribunali cd. minori e 31 Procure, 220 sedi distaccate e, a breve, scompariranno 667 Uffici del Giudice di pace.

Questa volta avverso la riforma si è schierata non solo la classe degli avvocati, con le sue associazioni locali e nazionali, ma anche la politica locale.

In particolare sono stati nove Consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli, Liguria, Marche, Piemonte e Puglia) a richiedere il referendum alla Corte di Cassazione ed è la prima volta che l’iniziativa del referendum abrogativo è promossa dalle Regioni.

E l’ufficio referendum della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale, lo ha dichiarato ammissibile, facendo così sperare chi rimane convinto che questa riforma non è la panacea di tutti i mali della giustizia. Spetterà adesso alla Corte Costituzionale il vaglio definitivo che si avrà entro il 20 gennaio prossimo. Ed in caso di parere favorevole andremo alla consultazione referendaria nella prossima primavera.

A circa due mesi dalla data in cui la riforma della geografia giudiziaria (il relativo D.L. è del settembre 2012) è stata resa operativa, i disagi non sono certo mancati. Ma è soprattutto questa pressante e costante idea di accorpare ed accentrare tutto ed ogni cosa a non convincere. I cittadini dei centri più piccoli avvertono grande disagio non solo perché costretti a “spostarsi” per la loro domanda di giustizia ma anche perché si vedono spogliati di importanti Uffici che comunque presidiano il territorio.

E si rimane convinti che la soppressione dei Tribunali minori non risponda neppure alle esigenze di spending review dello Stato ed alle esigenze di maggiore e più efficiente giustizia dei cittadini.

Ben ci sta pertanto che la Cassazione ha dichiarato ammissibile il referendum abrogativo.

Del resto siamo costretti a registrare che questo è l’unico modo rimasto di partecipazione diretta dei cittadini all’amministrazione della cosa pubblica atteso che il governo centrale sembra diventare sempre più sordo alle esigenze espresse dal territorio ed alle richieste che provengono dalle forze o associazioni rappresentative.

E’ nelle cronache che il Ministro della Giustizia ha rifiutato sistematicamente le varie richieste di incontro fattele pervenire dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura per affrontare insieme, sentendo la voce degli operatori del diritto, quelli che sono i tanti problemi che sono emersi dall’applicazione della riforma.

Forse che il Ministro non trova il tempo per incontrare gli avvocati perché troppo impegnato nelle sue conversazioni telefoniche?


Massimo Carpino - Delegato di Cassa Forense (da CF Newsletter n. 10/2013)

Solidarietà su atti giudiziari solo tra attore e convenuto

Agenzia delle entrate - Risoluzione 21.11.2013 n. 82/E

Nel caso di registrazione di atti giudiziari, l’imposta di registro è dovuta “in solido” solo dalle parti in causa titolari del rapporto sostanziale: l’obbligo di pagamento, quindi, non si estende a chi è intervenuto nel processo come semplice litisconsorte facoltativo.
È questo il chiarimento fornito dalla risoluzione n. 82/E che fa luce sulla portata applicativa dell’articolo 57, Testo unico dell’imposta di registro e, in particolare, sulla responsabilità solidale per il pagamento del tributo nel caso di registrazione di atti giudiziari.
Il caso concreto
Un contribuente, creditore della parte convenuta in un giudizio civile, avendo interesse a vedere accertato l’esatto ammontare del credito vantato dall’attore, decide di intervenire volontariamente nel processo ai sensi dell’articolo 105 del Codice di procedura civile. All’esito del giudizio, il convenuto viene condannato al pagamento della quasi totalità dell’importo preteso dalla controparte e alla rifusione delle spese di lite. La condanna alle spese di lite viene disposta anche a carico del contribuente intervenuto.
La questione
La vicenda appena descritta pone una questione piuttosto delicata ai fini della tassazione di registro.
Si tratta infatti di individuare, nel caso di litisconsorzio facoltativo, quali siano i soggetti solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta dovuta per la registrazione della sentenza.
Due le possibili opzioni interpretative:
– da un lato, la tesi che circoscrive la responsabilità solidale solo ed esclusivamente alle parti del rapporto sostanziale deciso in sentenza (in pratica, l’attore e il convenuto);
– dall’altro, la lettura “estensiva” che ricomprende tra i responsabili in via solidale anche i soggetti intervenuti volontariamente nel processo, pur non essendo questi coinvolti nel rapporto sostanziale del procedimento.
La soluzione del Fisco
Accogliendo le prospettazioni del contribuente, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la solidarietà passiva, contemplata dall’articolo 57 del Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 26 aprile 1986 n. 131), non si estende ai terzi intervenuti volontariamente nel processo, ma grava esclusivamente sull’attore del procedimento e sul convenuto. E ciò - viene sottolineato - indipendentemente dalla circostanza che il contribuente (come appunto accaduto nella fattispecie) sia stato comunque chiamato al pagamento delle spese processuali.
Una soluzione in linea con la giurisprudenza di legittimità
La soluzione del Fisco, come si legge nella stessa risoluzione, è ampiamente confortata dall’elaborazione giurisprudenziale, pressoché costante, della Suprema corte.
Muovendo dalla considerazione che l’imposta di registro non colpisce l’atto bensì il rapporto racchiuso nell’atto, è stato infatti più volte affermato che, per la registrazione degli atti giudiziari, l’imposta di registro non deve gravare indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento; ciò, in quanto l’indice di capacità contributiva, cui si ricollega il tributo, non è la sentenza in quanto tale «ma il rapporto sostanziale in essa racchiuso, con conseguente esclusione del vincolo di solidarietà nei confronti dei soggetti ad esso estraneo» (in termini, da ultimo, Cassazione civile, sezione V, sentenza 20 marzo 2013 n. 6941; conforme, Cassazione civile, sezione V, 21 luglio 2009 n. 16891).
È stato altresì evidenziato che, nel caso di giudizio con pluralità di parti evocate in giudizio per il medesimo titolo ovvero anche a diverso titolo in caso di identiche questioni (cosiddetto "litisconsorzio facoltativo proprio o improprio" ex articolo 103 del Cpc, commi 1 e 2), tra le diverse statuizioni adottate in sentenza, non è dato ravvisare una relazione di "derivazione necessaria"; inoltre, l’esigenza di tenere distinte, ai fini dell'applicazione dell’imposta di registro, le varie statuizioni della medesima sentenza - in quanto riferibili a distinti rapporti giuridici e quindi ad autonome cause riunite, in via originaria o successiva, solo ai fini del simultaneus processum -, risiede nella stessa logica interna allo specifico presupposto impositivo che deve essere individuato, non nell'atto considerato in sé quale mero documento, ma nell'atto giuridico avente contenuto economico in quanto considerato nella sua idoneità a produrre ricchezza e dunque sintomo di capacità contributiva (così, Cassazione civile, sezione V, sentenza 28 febbraio 2011 n. 4805).
L’ulteriore avallo della giurisprudenza di merito
Nel solco della Suprema corte si colloca, peraltro, anche la prevalente giurisprudenza di merito.
In più occasioni, è stato infatti ribadito come, diversamente dal litisconsorzio necessario, l'obbligazione solidale prevista dall'articolo 57 del Tur per il pagamento dell'imposta di registro dovuta in relazione a una sentenza emessa in un giudizio con pluralità di parti non grava su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento unico. Oggetto dell’imposta, in quanto indice di capacità contributiva, non è infatti la sentenza in quanto tale, ma il rapporto sostanziale cui essa inerisce, con la conseguenza che il vincolo di solidarietà resta escluso nei confronti dei soggetti non direttamente titolari di detto rapporto (Ctp Liguria, Genova, sezione X, sentenza 16 giugno 2011 n. 210; Ctp Trentino-Alto Adige, Trento, sezione II, sentenza 23 maggio 2013 n. 34 e Ctr Lazio, Roma, sezione XXIX, sentenza 18 gennaio 2011 n. 2).
Osservazioni conclusive
Le conclusioni cui perviene il documento di prassi in questione, del tutto condivisibili, non risultano solo in linea con la dominante produzione giurisprudenziale, ma rispondono anche a una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 57 del Tur.
La Consulta - chiamata a sciogliere i dubbi di legittimità costituzionale sulla norma, nell’ottica di un possibile contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione nella parte in cui prevede l’obbligo del pagamento dell’imposta su entrambe le parti del processo - già nel 2000 aveva avuto modo di affermare che «in materia di imposte indirette, il necessario collegamento con la capacità contributiva non esclude che la legge stabilisca prestazioni tributarie a carico solidalmente oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti non direttamente partecipi dell’atto assunto come indice di capacità contributiva» (si veda l'ordinanza 19 giugno 2000 n. 215).
Da ciò deriva che, in tema di imposta di registro, la solidarietà passiva deve necessariamente ricollegarsi a rapporti giuridico-economici idonei alla configurazione di unitarie situazioni che possano giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa.
In tale prospettiva, pertanto, il caso esaminato nella risoluzione risulta addirittura paradigmatico.
Come descritto nell’istanza di interpello (e poi verificato dalle Entrate attraverso l’esame degli atti processuali), il contribuente era intervenuto nel giudizio in qualità di terzo, titolare di un interesse solo indiretto: dall’accertamento giudiziale del debito vantato dall’attore nei confronti del convenuto, infatti, dipendeva la misura del concorso con l’attore su quanto ricavato all’esito dell’azione esecutiva da loro promossa contro il convenuto.
È evidente allora che il litisconsorte facoltativo, “estraneo” al giudicato della sentenza, non può che essere altrettanto “estraneo” al meccanismo di solidarietà passiva; e ciò, indipendentemente dalla sua eventuale condanna alle spese di lite non costituendo, tale circostanza, un elemento idoneo ad alterare la posizione di terzo rispetto al rapporto sostanziale deciso con la sentenza oggetto di registrazione.

Barbara Ianniello (da Guida al Diritto del 29.11.2013)

IL PRESIDENTE AGA INTERVISTATO SU “LA SICILIA”

Fiumanò: «Ufficio giudice di pace nell'ex Tribunale»

«Piange il cuore a vedere sbarrati i cancelli di una struttura moderna e funzionale come l'ormai ex tribunale di Giarre». Questa la reazione immediata del presidente degli avvocati di Giarre, Giuseppe Fiumanò, interprete del sentimento dei professionisti dell'hinterland ionico-etneo, alla nostra domanda sulla situazione degli uffici giudiziari a Giarre.

«Nel nome di una fantomatica spending review si è voluto eliminare un presidio di giustizia con conseguenze nefaste per i costi, soprattutto della giustizia civile».

Non esistono i tanto conclamati vantaggi economici?

«I costi sono aumentati in maniera esponenziale a carico dei cittadini: ad esempio, costi di notifiche ed esecuzioni da eseguire nel circondario di Giarre risultano quadruplicati; se a ciò si aggiungono le inevitabili spese per recarsi a Catania, non solo non vi è alcun risparmio, ma piuttosto un notevole aumento delle spese».

Un pignoramento o uno sfratto da fare, ad esempio, a Castiglione o a Calatabiano, comporta una spesa tale che potrebbe indurre i cittadini a desistere dall'adire le vie legali, con buona pace della giustizia.

«Reperire e adeguare locali sufficienti ad ospitare fascicoli, avvocati, parti, testimoni, forze dell'ordine provenienti anche dalle sette sezioni distaccate comporta un aggravio di spese per la collettività; intanto, in attesa di questi nuovi locali, si registrano notevoli disagi derivanti dal sovraffollamento degli attuali, che devono accogliere centinaia di persone in più, con i consequenziali problemi di traffico e parcheggio».

Il sindaco di Giarre Roberto Bonaccorsi ha espresso l'intenzione di trasferire nel palazzo di Giustizia di corso Europa anche l'ufficio del giudice di pace.

«Tale scelta ci trova d'accordo non solo nell'ottica del risparmio ma soprattutto in ragione della funzionalità dei locali». 
Peraltro nella struttura vi era la sede dell'Aga.

«Abbiamo già chiesto al sindaco di mantenere quella sede, in modo da continuare a fungere da punto di riferimento per le centinaia di avvocati e soci che continuano a sostenere la nostra associazione, conosciuta e apprezzata soprattutto per i numerosi incontri formativi tenuti negli ultimi anni. Posso anticipare che nelle prossime settimane, l'Aga organizzerà un nuovo incontro».


Mario Vitale (da La Sicilia del 28.11.2013)

giovedì 28 novembre 2013

GEOGRAFIA GIUDIZIARIA IL 4 DAVANTI ALLA CONSULTA

De Tilla (Anai): si priva il servizio giustizia
persino in territori a forte presenza criminale

Il 4 dicembre 2013, intervenendo innanzi alla Corte Costituzionale, il Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani Maurizio De Tilla, affiancato dagli avvocati Armando Argano e Alfredo Soldera della Sezione ANAI di Latina, sosterrà insieme alle altre parti coinvolte, la incostituzionalità della nuova geografia giudiziaria nel giudizio sorto a seguito di ordinanza del Tribunale Penale di Gaeta (Giudice Dr.ssa Carla Menichetti).  «L'Anai non si arrende dinanzi alla scellerata riforma delle circoscrizioni giudiziarie attuata da un Governo che bada solo alla fittizia cosmesi di bilancio e non alla reale quadratura delle cifre» ha dichiarato il presidente De Tilla.  L'Associazione Nazionale Avvocati Italiani, in prima linea in questa lotta, ha già dimostrato che la riforma della geografia giudiziaria costituisce un costo enorme per la collettività e non mai, come falsamente sbandierato dal Ministero della Giustizia, un risparmio per la spesa pubblica.  «Infatti – ha concluso il presidente Anai - con il pretesto di una assolutamente inesistente spending review, sono stati aboliti mille fra Tribunali e Giudici di Pace, senza una concreta logica organizzativa e privando del servizio giustizia persino territori a forte presenza criminale». L’ANAI si batterà perché, questa volta, il diritto prevalga su una pretesa ragion di Stato che sta distruggendo quella parte di giustizia che funziona.


(Da Mondoprofessionisti del 28.11.2013)

Parla male della scuola, legittimo licenziamento insegnante

Le critiche mosse al datore di lavoro non sempre sono lecite e consentite, ma possono costare la perdita del posto se violano gli obblighi sottesi al rapporto di lavoro e minano la fiducia tra le parti, pregiudicando così il decoro dell’impresa datoriale

Può essere licenziato per giusta causa l’insegnante che, al cospetto dei genitori, critica aspramente la scuola dove lavora, dacché tale condotta è suscettibile di provocare gravi danni al decoro e all’immagine dell’istituto scolastico.

Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con sentenza n. 24989 del 6 novembre 2013, che contempera il bene della libertà di parola, costituzionalmente garantito, con i doveri di fedeltà e correttezza che gravano sul lavoratore in ragione del suo rapporto d’impiego.

Nel caso di specie, all’insegnante di una scuola materna è stato mosso l’addebito di aver affermato, parlando con alcuni genitori, che l’istituto presso il quale lavorava era notevolmente inadeguato e che le colleghe insegnanti erano didatticamente impreparate sotto ogni profilo, per cui l’insegnante suggeriva ai genitori di iscrivere i loro figli presso un’altra scuola.

Inoltre l’interessata aveva dichiarato, al cospetto di terzi, che il Commissario straordinario non era in grado di gestire l’istituto scolastico e che sarebbe bastata una telefonata a persone altolocate per rimuoverlo dall’incarico.

Valutando questi comportamenti, la Suprema Corte li definisce come “inadempienze così plateali, gravi (…) e radicalmente lesive degli obblighi alla base del rapporto di lavoro e della correlata fiducia tra le parti da non necessitare di alcuna pubblicità disciplinare”.

La pronuncia è ampiamente condivisibile, dacché i più elementari canoni di buonsenso e correttezza portano a ritenere che la libertà di parola e di critica sul posto di lavoro trova necessariamente un limite nel rispetto dei doveri fondamentali di fedeltà connessi all’esercizio dell’attività svolta.

In questo senso, la sentenza si colloca in un orientamento giurisprudenziale ormai delineato, secondo cui “l’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, con modalità tali che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si traducono in una condotta lesiva del decoro dell’impresa datoriale, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro, è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto dei lavoro, integrando violazione del dovere scaturente dall’art. 2105 c.c., e può costituire giusta causa di licenziamento (Corte di cassazione – sezione lavoro decisione 10 dicembre 2008, n. 29008).

Ciò vale a dire, in altre parole, che l’attività lavorativa esige sempre correttezza e responsabilità nell’esercizio delle mansioni svolte, con l’effetto che, secondo le regole dell’ordinamento giuridico, la grave violazione dei doveri d’ufficio può costare la perdita del posto di lavoro.


(Da leggioggi.it del 28.11.2013)

Sciopero giudici di pace

Il ministro Cancellieri li convoca per domani

Adesioni superiori al 90%, con punte vicine al 100% a Roma e a Napoli, rischio sospensione per 200mila procedimenti civili e penali. Sono le cifre dello sciopero dei giudici di pace, che si protrarrà fino al 6 novembre. Le organizzazioni di categoria saranno convocate dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri domani e dal Csm il 3 dicembre.

Lo sciopero, denunciano l'Associazione Nazionale Giudici di Pace e l'Unione Italiana Giudici di Pace, intende ''denunciare l'incostituzionale stato di precariato nel quale si trovano ad operare i giudici di pace, nel disinteresse, se non addirittura nell'avversità, di gran parte della classe dirigente. La categoria lamenta in particolare ''il venir meno agli impegni formalmente assunti nel luglio scorso da parte del Ministro Cancellieri, tra i quali rientrano, senza alcun dubbio, le problematiche dei giudici di pace, che gestiscono circa il 60% del contenzioso civile, definendo i processi entro un anno, e impedendo da quasi 20 anni il collasso della giustizia, pur senza tutele e diritti''.

Il Parlamento, denunciano le associazioni dei giudici di pace, ''è bloccato da un progetto di legge incostituzionale ed estremamente punitivo, presentato dal Senatore Caliendo, già Sottosegretario sotto il Ministro Alfano, progetto bocciato addirittura 5 volte dall'allora Consiglio dei Ministri ed attualmente (ed incomprensibilmente, aggiungiamo noi) posto all'ordine del giorno della Commissione Giustizia del Senato, a scapito di altri progetti ben più condivisibili ed organici''.

I giudici di pace ''garantiranno, comunque, il compimento degli atti urgenti ed indifferibili (convalide delle espulsioni; procedimenti cautelari; processi per reati prossimi alla prescrizione...), pur non essendo buona parte di tali attivita' qualificata come necessaria dal codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione di garanzia per lo Sciopero nei servizi pubblici essenziali''.     


(Da ilsole24ore.com del 28.11.2013)

Pagamenti dopo fallimento da restituire con interessi

Cass. Sez. I civ. – Sent. 27.11.2013 n. 26501

“A seguito dell’azione proposta dal curatore fallimentare contro il terzo per la restituzione dei pagamenti eseguiti a suo favore dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento - azione che ha natura di accertamento dell’inefficacia dei pagamenti medesimi - sugli importi in restituzione sono dovuti gli interessi legali dalle date dei singoli pagamenti”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 26501/2013 stabilendo un principio di diritto.

(Da ilsole24ore.com del 27.11.2013)

mercoledì 27 novembre 2013

Sez. Lavoro sarà trasferita nella scuola Meucci

L'indiscrezione è stata confermata ieri (domenica scorsa, NdAGANews) dal Comune: «La scorsa settimana la commissione Manutenzioni della Corte d'Appello ha dato il via libera a partire dal settembre 2014 al trasferimento del Tribunale del lavoro e di altri uffici giudiziari nella scuola Meucci di via Castaldi». Per avere ancora più chiaro il quadro della situazione abbiamo sentito il presidente del Tribunale di Catania, dott. Bruno Di Marco che ha spiegato i termini e chiarito anche altri punti quali l'iter per gli edifici dell'ex Ascoli Tomaselli e dell'ex palazzo delle Poste. Di Marco ha anche parlato delle difficoltà affrontate e tamponate, causate dalla chiusura delle sedi distaccate. 
Presidente Di Marco, dal Comune arriva la notizia che l'iter per il trasferimento del Tribunale del lavoro da via della Carvana è arrivato a un punto fermo...
«Per riportare la questione della sezione Lavoro su un binario di correttezza e di chiarezza bisogna partire dal problema collegato alla soppressione delle sezioni distaccate. Il Tribunale di Catania ha assorbito 7 sezioni distaccate con un volume di circa 21 mila processi, tra il penale e il civile. Questa problematica ha comportato, tenuto conto della carenza di edifici giudiziari, la necessità di acquisire ulteriori spazi da destinare alle esigenze scaturite dalla soppressione delle sezioni distaccate. Io personalmente, sin dal settembre 2012, da quando entrò in vigore il Dl soppressivo delle sezioni (viceversa l'efficacia della soppressione scaturisce dal 13 settembre 2013) mi sono messo in moto per sollecitare il Comune a trovare nuovi locali. Con la Giunta Stancanelli il tempo non si è avuto perché era una amministrazione in scadenza, sebbene abbiamo avuto un inizio di interlocuzione che però si è fermato per ragioni naturali e non per cattive volontà. Ho ripreso, quindi, i contatti con la nuova amministrazione Bianco e da luglio di quest'anno abbiamo avuto una fittissima interlocuzione, con un impegno serissimo da parte dell'amministrazione, e con l'oggettiva difficoltà che si può immaginare nel reperimento di nuovi locali in una prospettiva di risparmio di spesa. A questa interlocuzione è stato coinvolto anche il consiglio dell'Ordine degli avvocati. Ringrazio il Comune perché in tempi brevi è riuscito a fornire una lista di edifici e tra questi è stato individuato il plesso della Meucci. Il Comune ha inoltre trovato una soluzione per evitare di privilegiare l'attività giudiziaria rispetto all'attività scolastica».

Presidente la scuola Meucci corrisponde ai canoni richiesti per destinarvi uffici giudiziari? E allo stesso tempo conferma che sarà il Tribunale del Lavoro ad esservi trasferito?

« E' stato fatto un sopralluogo e una volta acquisita definitivamente la notizia ufficiale della disponibilità da parte del Comune dell'edificio nella sua interezza si è convenuto di affrontare un ulteriore passaggio: attualmente il comune paga un canone per la sezione Lavoro di via della Carvana. Con la disponibilità della Meucci è possibile trasferire in questa sede la sezione Lavoro, la sezione lavoro della Corte d'appello più altri uffici ed altre sezioni del Tribunale, in modo che si ottengano dei vantaggi notevolissimi anzitutto nell'ambito di un risparmio di risorse economiche che possono essere destinate in parte alla manutenzione della Meucci, per renderla adeguata alle esigenze degli uffici, e in altra parte ad altri servizi pubblici nell'interesse della comunità. L'altro aspetto è che non ci sono allo stato disponibilità diverse dalla Meucci. Per quanto riguarda le esigenze ulteriori provenienti dalla soppressione delle sezioni, con la Meucci possiamo fronteggiare alcune emergenze, ma non tutte».

Il trasferimento avverrà nel settembre 2014?

«Questa data è quella che tutti auspichiamo affinché la Meucci sia pronta con l'adeguamento e la ristrutturazione. Aggiungo che il Comune ha già stanziato in Bilancio la somma che si ritiene necessaria, di molto inferiore al canone che il Comune versa per via della Carvana. Aggiungo che gli avvocati non condividono, per ragioni che rispetto, questa scelta perché la distribuzione degli uffici giudiziari in diverse zone aumenta le loro difficoltà, però ho precisato in sede di commissione che questi locali al Tribunale servono ora, subito e immediatamente, perché il decreto che ha soppresso le sezioni distaccate è già in vigore».

E' ancora attuale il progetto di destinare alcuni edifici dell'ex ospedale Ascoli Tomaselli alle esigenze giudiziarie?

«Esiste la prospettiva di utilizzare alcuni edifici dell'Ascoli Tomaselli per le esigenze degli uffici giudiziari. Si sta lavorando seriamente, tutti quanti, affinché il progetto possa arrivare ad una fase conclusiva. Sono problemi in itinere rispetto ai quali occorre pazienza, riservatezza e serietà».

In questa fase di ricerca di edifici idonei in quale contesto si colloca l'ex palazzo delle Poste acquistato proprio per destinarlo ad uffici giudiziari, ma finora abbandonato?

«Le novità per l'ex palazzo delle Poste potrebbero derivare (e qui sarebbe ancora un vantaggio nell'interesse della comunità) esattamente da quel piano che vede la possibilità di utilizzare gli edifici dell'Ascoli Tomaselli. L'edificio potrebbe quindi rientrare in una prospettiva alla quale partecipano Regione, Ministero Giustizia, Comune Catania e gli uffici giudiziari, ma non per competenze in ordine all'utilizzazione. In questa prospettiva, se si riuscirà ad arrivare a una conclusione, certamente l'edificio di viale Africa potrebbe rientrare nel complesso del piano, ma se viceversa il Piano dell'Ascoli Tomaselli non dovesse trovare attuazione ci sono i presupposti e le intenzioni del Comune per riprendere la problematica di viale Africa affinché questo bene pubblico possa trovare una destinazione corrispondente alle ragioni del suo acquisto».

Presidente siete riusciti ad affrontare adeguatamente i problemi relativi alla soppressione delle sezioni?

«Ho sempre affermato che sono favorevole a questa riforma che, nel suo primo impatto, comporta dei problemi. Il Tribunale di Catania si è preparato adeguatamente, ma ovviamente le difficoltà pratiche esistono. Ma desidererei, con grande serenità, sottolineare che non era mai pensabile che nella notte tra il 13 e 14 settembre i 20 mila e più fascicoli della giurisdizione corrente potessero essere disponibili nella sede centrale. Noi, però, abbiamo fatto tutto ciò che rientrava nelle nostre forze perché i fascicoli relativi alle udienze di settembre, ottobre, novembre fossero qui. Ovviamente qualche fascicolo ancora non è arrivato, ma tengo a precisare che nessuno è andato perduto. Quindi non c'è stato il caos. Aggiungo anche, con una punta d'orgoglio, che abbiamo assicurato nella sede centrale la prosecuzione delle udienze penali davanti allo stesso giudice che aveva in carico i processi nelle sezioni distaccate».


Giuseppe Bonaccorsi (da La Sicilia del 23.11.2013)

Nasconde i mobili prima di separarsi, non è reato

Non commette esercizio arbitrario delle proprie ragioni
il marito che prima della separazione
fa sparire i mobili dalla casa coniugale

Il matrimonio: croce e delizia? Ebbene si, decidere di sposarsi e' una scelta consapevole ma solo il tempo fa luce sui tanti conflitti caratteriali che si erano sottovalutati in precedenza e che posso determinano fratture insanabili. Spesso quando  la convivenza coniugale diventa  insopportabile l'unica soluzione e' la separazione.

Prima di entrare nel merito della vicenda e' opportuno fare una piccola premessa parlando di quella che è la separazione.

E' un istituto regolamentato dalle norme del codice civile (artt. 150 e ss.), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali.

La separazione non pone fine al matrimonio, né fa venir meno lo status giuridico di coniuge.

Incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio (si scioglie la comunione legale dei beni, cessano gli obblighi di fedeltà e di coabitazione). Altri effetti, invece, residuano, ma sono limitati o disciplinati in modo specifico (dovere di contribuire nell'interesse della famiglia, dovere di mantenere il coniuge più debole e dovere di mantenere, educare ed istruire la prole).

Dunque, va rilevato che anche per la configurazione di alcuni reati e' necessario che ci sia una separazione legale dei coniugi, e non solo di fatto.

Proprio su questo argomento si è pronunciata pochi giorni fa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46153 del 18 novembre 2013, accogliendo il ricorso di un marito condannato dalla Corte d'appello di Palermo "per essersi fatto arbitrariamente ragione da sé (art. 392 Cp), in quanto "al fine di esercitare un preteso diritto e potendo ricorrere al giudice", aveva svuotato la casa coniugale di gran parte dei mobili e suppellettili lasciandola inabitabile alla moglie e alla figlia minore".

La Suprema Corte accoglieva il ricorso presentato dal marito mettendo in evidenza che la moglie spontaneamente si allontanava dalla casa coniugale, in questo modo, il marito aveva il pieno possesso degli arredi e che, nel caso di specie, poteva configurarsi  piuttosto il reato di appropriazione indebita (art.646 c.p.) anziché quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.).

Per completezza di ragionamento vale la pena ricordare che ai sensi dell'art. 646 c.p. commette  il reato di appropriazione indebita : " chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso,  è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario la pena è aumentata.

Quindi, nel caso di specie, la Corte sostiene che poteva contestarsi il reato di appropriazione indebita in quanto il marito aveva trasportato il mobilio in una località ignota alla moglie.

In questo caso però i coniugi non erano legalmente separati, dunque, ha trovato applicazione la causa di non punibilità di cui all'art. 649 comma 1 n.1 c.p.

Nello specifico l'art. 649 comma 1 c.p. prevede la non punibilità a querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti.

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dallo stesso titolo in danno: 1) del coniuge non legalmente separato; 2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante, o dell'adottato; 3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

I fatti previsti  da questo titolo sono, invece, punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll'autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi.


Barbara Pirelli (da studiocataldi.it)

martedì 26 novembre 2013

Responsabilità magistrati per ritardato deposito sentenze

Cass. Sez. Unite civili, sent. 8.10.-25.11.2013 n. 26284

La vicenda

La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con decisione del 2013, aveva inflitto a un magistrato la sanzione della perdita di anzianità di due mesi per avere depositato “nel periodo giugno 2003-marzo 2010 numerose sentenze con gravi ritardi, molte superiori ai 100-200 giorni, in un caso ai 300 giorni, mentre nel caso più grave il ritardo aveva raggiunto i 2.246 giorni”.

Il Csm aveva rilevato che il ritardo nel deposito “appariva grave, ingiustificato e reiterato”, soprattutto nel periodo in cui magistrato aveva svolto la funzione di giudice. In relazione, alle funzioni esercitate “ben 10 sentenze erano state depositate con un ritardo di circa tre anni”. Ma non è finita. Sempre secondo il Csm  “il ritardo era altresì reiterato, riguardando almeno 40 sentenze, nonché grave, perché almeno per la metà dei depositi, superiore all’anno, con una punta di 1400 giorni”. In conclusione,  i carichi e l’organizzazione del lavoro  non potevano giustificare tali ritardi.

La motivazione

Il magistrato nel ricorso in Cassazione ha sostenuto un difetto di motivazione del provvedimento del Consiglio, che ha determinato la perdita dell’anzianità. Secondo le sezioni Unite la motivazione della sezioni disciplinare del Csm è immune da vizi logici e giuridici.

“Dalla lettura – fanno presente le sezioni Unite - della sentenza impugnata emerge infatti che la Sezione disciplinare, dopo avere evidenziato sia il considerevole numero di provvedimenti depositati in ritardo nonché la durata dl detti ritardi ‘per periodi di oltre tre anni, con punte superiori al 4 anni” ha dimostrato da un lato che tali comportamenti avevano caratterizzato tutta la carriera del magistrato, iniziando nel triennio 1982-1985 e procurandogli due procedimenti disciplinari tuttavia conclusi con esito a lui favorevole:

menzionati non certamente per ricavarne elementi di addebito nei suoi confronti,ovvero per essere rivalutati in senso sfavorevole,ma per dimostrare come egli abbia sempre sofferto di carenze strutturali nell’organizzazione del suo lavoro divenute una costante nel suo percorso professionale sia in occasione dl eventi (e di processi) particolari, sia nella normale gestione dei processi penali allo stesso affidati:e ciò tanto allorché aveva svolto funzioni istruttorie, quanto allorché era passato a comporre (ovvero a presiedere) una sezione penale del Tribunale. Ha rilevato dall’altro che tale costante negativa non era cessata neppure in occasione del presente procedimento disciplinare,in conseguenza del quale Il magistrato era stato obbligato a presentare un piano di rientro del depositi tuttavia rimasto inadempiuto perché buona parte del provvedimenti erano stati depositati assai dopo la scadenza dei termini Indicati nel piano.

Sulla base ditali elementi di fatto la Sezione ha quindi concluso nel senso che i fatti oggetto di contestazione erano oggettivamente molto gravi e le omissioni costanti sì da non permettere Il contenimento della sanzione nei limiti dei minimo edittale, e di rendere necessaria l’applicazione di quella Immediatamente successiva”.


(Da ilsole24ore.com del 25.11.2013)

Lotta a pedopornografia: decreto a tutela dei minori

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 novembre scorso, ha approvato lo schema di decreto legislativo in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Il provvedimento, che attua la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 e sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, costituisce un importante strumento di rafforzamento della tutela dei minori, andando ad integrare, sia sul piano sostanziale che delle indagini, un apparato normativo, come quello italiano, che in materia è già puntuale e ricco di strumenti di tutela. 
L’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori, compresa la pornografia minorile, costituiscono, infatti, gravi violazioni dei diritti fondamentali, in particolare del diritto dei minori alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, come sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Reati gravi come quelli in oggetto richiedono un approccio globale che comprende l’azione penale contro gli autori del reato, la protezione delle vittime minorenni e la prevenzione del fenomeno, il tutto in funzione del preminente interesse del minore.
È nell’evidenziata direzione che si pone il testo del provvedimento approvato dal Governo. Implementazione di nuove circostanze aggravanti, estensione dell’uso delle intercettazioni telefoniche o ambientali al delitto di adescamento di minori e previsione, per lo stesso reato, della responsabilità amministrativa degli enti. Sono queste le novità contenute nel decreto legislativo in materia di pedopornografia. Nel particolare, detto provvedimento inserisce tre nuove fattispecie aggravanti per l’ipotesi in cui il reato sia commesso:
1) da più persone riunite;
2) da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;
3) con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.
Inoltre, viene integrato il catalogo dei reati per i quali è consentito, pur in presenza di un massimo edittale della pena inferiore ai cinque anni di reclusione, l’utilizzazione dello strumento delle intercettazioni telefoniche o telematiche, ora esteso anche al delitto di cui all’art. 609undecies c.p. (adescamento di minori). Sul versante della responsabilità amministrativa degli enti, poi, viene esteso anche al suddetto delitto il catalogo dei reati in relazione ai quali è possibile configurare la responsabilità dell’ente a vantaggio del quale l’illecito può essere commesso.
Infine, si è ritenuto opportuno introdurre l’aumento, in misura non eccedente i due terzi, delle pene previste per i reati compiuti con l’utilizzo dei mezzi di anonimizzazione dei siti sotto controllo. La norma fa riferimento alle attività investigative sottocopertura che hanno consentito di mettere in luce l’utilizzo di «darknet», ovvero di mercati neri on-line, reti di scambio del «deep web», vale a dire di quella parte di web «sommersa» in cui sistemi di «anonimizzazione» impediscono il tracciato dei dati di accesso telematico degli internauti, compromettendo seriamente l’acquisizione delle prove delle condotte criminose.

Anna Costagliola (da diritto.it del 25.11.2013)

lunedì 25 novembre 2013

CNF: AVVOCATI CONTRO ABUSI SU DONNE

Il Consiglio Nazionale Forense, attraverso Opportunità,  partecipa alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne indetta dalle Nazioni Unite, nella convinzione che il contrasto efficace ai fenomeni di violenza contro donne e soggetti deboli richieda innanzitutto un cambio culturale e la formazione  specifica degli operatori coinvolti nell’attività di prevenzione e contrasto ciascuno secondo le proprie competenze. E,  altresì, un sistema di protezione multidisciplinare. 
L’Avvocatura istituzionale da tempo  ha costituito sul territorio, presso gli Ordini forensi, i Comitati Pari Opportunità, assurti con l’articolo 25 della riforma dell’ordinamento forense a organismo necessario di ogni Consiglio, che promuovono  incontri di  studio, formazione e confronto con le comunità locali e gli operatori dei centri antiviolenza, al fine di contribuire con specifica competenza al sistema nazionale che si prefigge la lotta al fenomeno.
Il Cnf, nell’ambito del Protocollo con il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio e l’UNAR, promuove la formazione specifica per gli avvocati che svolgono la loro professione a difesa delle donne vittime di episodi di violenza.

(Fonte Cnf)

Mediazione, le trappole dell'incompetenza territoriale

Con la recente riforma attuata con Dl 69/2013 come convertito in legge 98/2013 è stata introdotta nel procedimento di mediazione la competenza territoriale per gli organismi. 
Il funzionamento del meccanismo
Per cui in base al novellato articolo 4, comma 1, del Dlgs 28/2010 la domanda di mediazione deve essere depositata «presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza».
Le questioni aperte
Eventuali problematiche derivanti dalla incompetenza territoriale dell’organismo che ha gestito il procedimento di mediazione condurranno inevitabilmente ad una declaratoria di improcedibilità del giudizio incardinato all’esito negativo dello stesso.
Così si potrà ritenere che la mancata partecipazione della parte invitata alla mediazione dinanzi a un organismo ritenuto incompetente per territorio (accertamento che sarà poi svolto dal giudice in sede processuale) possa costituire «giustificato motivo» idoneo a evitare le possibili sanzioni previste dall’articolo 8, comma 4-bis, del Dlgs 28/2010.
Peraltro la non felice formulazione della norma (che utilizza una terminologia poco puntuale nell’individuazione del criterio di riferimento territoriale) richiede un opportuno intervento attuativo/interpretativo del ministero della Giustizia da coordinarsi poi con la disciplina relativa alla diversa tipologia di sedi (sede legale e sede secondaria) e uffici (sedi operative) che costituiscono le articolazioni territoriali degli organismi di mediazione.
Le uniche soluzioni sul campo
Tuttavia, se si considera che proprio il ministero della Giustizia nelle note informative pubblicate sul sito web ufficiale “www.giustizia.it” aveva già avuto modo di chiarire che «le domande di mediazione vanno presentate alla sede legale dell'organismo, gli incontri di mediazione invece si possono svolgere presso le sedi operative», la conseguenza appare ineluttabile nel senso che ai fini della competenza territoriale dovrà farsi riferimento alla sola sede legale ove deve essere depositata l’istanza.
Se l’interpretazione ministeriale dovesse essere confermata (stabilendo un rapporto inderogabile tra sede legale dell’organismo e “luogo” del giudice competente) anche dopo la modifica legislativa la conseguenza sarebbe la chiusura di quasi tutte le articolazioni territoriali degli organismi di mediazione (a vantaggio di quelli con una forte valenza esclusivamente territoriale come le Camere di commercio e gli Ordini professionali, ma con una rete operativa di collegamenti finalizzata a semplificare e rendere omogenee le attività sul territorio nazionale).
Il legislatore non prevede strumenti per la soluzione di contrasti circa la competenza territoriale dell’organismo presso il quale è stata presentata l’istanza. Né d’altro canto il legislatore avrebbe potuto creare un simile sistema, posto che ciò che accade in sede mediativa costituisce pur sempre attività negoziale e non processuale.
Questo è il motivo indicato nella relazione ministeriale illustrativa al Dlgs 28/2010 per il quale l’originaria formulazione della norma non aveva previsto alcun criterio di competenza territoriale. Ed è anche la ragione espressa per la quale il Governo non l’aveva previsto nel Dl 69/2013 di riforma e si era opposto in sede di audizione parlamentare alla Camera (era presente il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri) nell’iter di conversione poi adeguandosi alle scelte del Parlamento con l’apposizione della fiducia sul testo emendato alla Camera.
A ciò consegue che eventuali contrasti sorti tra le parti circa la competenza territoriale dell’organismo non potranno (e non dovranno) essere risolti dallo stesso, ma dalle medesime parti che sin dalla presentazione dell’istanza o dell’atto di adesione si assumeranno ogni responsabilità circa la corretta individuazione del criterio di competenza territoriale adottato. Appare evidente che l’accordo delle parti circa la scelta dell’organismo e della sede della mediazione è utile a risolvere ogni problematica relativa alla competenza territoriale.
Tale considerazione deriva dall’ancoraggio (reso necessario dall’articolo 4, comma 1, del Dlgs 28/2010 e dalla condizione di procedibilità ex articoli 5, commi 1-bis e 2, del Dlgs 28/2010) della competenza territoriale dell’organismo a quella del giudice che comporta la trasposizione delle regole e, quindi, dei limiti di cui all’articolo 28 del Cpc (che richiama l’articolo 70 del Cpc). Si ricordi a tal fine che la mediazione di cui al Dlgs 28/2010 può avere a oggetto soltanto i diritti disponibili (articolo 2, comma 1, del Dlgs 28/2010).
Si deve poi porre in evidenza che un criterio di competenza territoriale in materia di mediazione era stato già introdotto per le liti condominiali. E infatti, con vigenza dal 18 giugno 2013, la domanda di mediazione in dette controversie «deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato» (ex articolo 71-quater, comma 2, delle disposizioni di attuazione del  Cc).
E proprio la norma relativa alle liti condominiali può offrire una indicazione ermeneutica per la nuova disposizione relativa al criterio di competenza di cui all’articolo 4, comma 1, del Dlgs 28/2010. Ragioni di coerenza sistematica consentono in tal guisa di ritenere (nelle more dei necessari chiarimenti ministeriali e delle successive interpretazioni giurisprudenziali) che il «luogo del giudice territorialmente competente» possa essere individuato nell’ambito del circondario del tribunale.
Quanto alla mediazione cosiddetta "concordata", la domanda di mediazione deve essere presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola di mediazione (articolo 5, comma 5, del Dlgs 28/2010), se iscritto nel registro ministeriale, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di prevenzione (di cui all’articolo 4, comma 1, del Dlgs 28/2010). In ogni caso, resta confermata per le parti la possibilità di concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.
Si ritiene così che l’accordo delle parti consenta di derogare al criterio di competenza territoriale degli organismi di mediazione e che ciò possa accadere anche attraverso un meccanismo implicito di mancata contestazione al momento della partecipazione al procedimento di mediazione. Appare evidente che tale deroga consensuale (in caso di mancato accordo conciliativo) non inciderà sugli ordinari criteri di competenza territoriale del giudice da adire.

Marco Marinaro (da Guida al diritto del 22.11.2013)

Manca agibilità immobile, è danno emergente

Cass. Civ., sez. II, sent. 11.10.2013 n° 23157

Con la sentenza 11 ottobre 2013, n. 23157 la sezione seconda civile della Corte di Cassazione interviene in tema di agibilità, stabilendo che il venditore-costruttore di un bene immobile ha l'obbligo non solo di trasferire all'acquirente un fabbricato conforme all'atto amministrativo d'assenso della costruzione e, dunque, idoneo ad ottenere l'agibilità prevista, ma anche di consegnargli il relativo certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio.

L'inadempimento di quest'ultima obbligazione è ex se foriero di danno emergente, perché costringe l'acquirente a provvedere in proprio ovvero a ritenere l'immobile tal quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all'alienazione a terzi.

Nel caso di specie, alcuni acquirenti di unità abitative di un complesso immobiliare, convenivano in giudizio la società venditrice per sentirla condannare al risarcimento dei danni da mancato rilascio del certificato di agibilità degli immobili. Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la società al pagamento per ciascun proprietario di una somma corrispondente alla differenza tra il prezzo astrattamente ricavabile dalla vendita ed il concreto valore di mercato delle unità abitative prive del certificato. In sede d’appello, tuttavia, la sentenza di primo grado veniva ribaltata, rigettandosi la domanda e condannando gli acquirenti alla restituzione di quanto loro corrisposto dalla società venditrice.

Nel ragionamento seguito dai giudici di appello si considera inconsistente la valutazione del danno suggerita dal CTU, sia sotto il profilo del danno emergente, in quanto gli immobili trasferiti erano conformi al progetto approvato e non esistevano impedimenti di sorta al rilascio del certificato, sia sotto il profilo del lucro cessante, in quanto era mancata l’allegazione, prima ancora della prova, di un mancato accrescimento della sfera patrimoniale degli acquirenti.

In sede di Cassazione, gli acquirenti contestano il pronunciamento della Corte di appello territoriale in quanto disattende il consolidato orientamento della Suprema Corte in base al quale nel caso di vendita di immobile destinato ad abitazione, la mancanza del certificato di agibilità configura un'ipotesi di vendita aliud pro alio, che incide sull'attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico-sociale e sulla relativa commerciabilità, di guisa che anche nel caso in cui il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune, il venditore è tenuto al risarcimento del danno. Secondo gli acquirenti, fino a quando non si verificherà il rilascio del certificato, ognuno degli immobili non potrà essere negoziato in alcun modo, sicché – come si legge nella sentenza - la Corte d'appello, pur riconoscendo il principio di diritto per cui la consegna del certificato di abitabilità integra un'obbligazione a carico del venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c. e degli artt. 220 e 221 R.D. n. 1265 del 1934, attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, ne ha operato un'errata applicazione, escludendo l'esistenza del danno per la conformità degli immobili al progetto approvato.

Gli Ermellini non possono far altro che riconoscere la fondatezza del motivo, richiamando la propria consolidata giurisprudenza sul punto. Infatti, la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 cod. civ. Pertanto, secondo Piazza Cavour, ne deriva che nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere la determinata funzione economico-sociale negoziata, e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l'acquisto. Da qui l’accoglimento del ricorso e l’enunciazione del principio di diritto a cui dovrà attenersi altra sezione della Corte di appello territoriale per la decisione nel merito.


(Da Altalex del 20.11.2013. Nota di Alessandro Ferretti)

Sostituzione collega in udienza, ok delega orale

CNF, parere 23.10.2013

La Commissione consultiva del CNF, a seguito del quesito posto dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Ferrara, ha espresso il proprio parere in ordine all'interpretazione dell'art. 14 della L. n. 247/2012, concernente le sostituzioni e collaborazioni professionali.

In particolare, si forniscono chiarimenti sulla previsone del comma 2 del citato articolo: "Gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico anche verbale [...]".

Valorizzando il dato letterale della norma, la Commissione ha ritenuto che l'avvocato possa farsi sostituire in udienza conferendo incarico orale ad un Collega, senza alcun onere probatorio nè del conferente nè del delegato, ferma restando la sua eventuale responsabilità professionale nei confronti del cliente, deontologica ed anche penale per dichiarazioni false (art. 483 c.p.).

Tale interpretazione, sottolinea la Commissione, trova conferma nella legislazione di Paesi UE come l'Inghilterra, il Belgio e la Francia ed è coerente con i caratteri della funzione esercitata dall'avvocato e con l'affidamento che di per sè genera.

(Da Altalex del 18.11.2013)

domenica 24 novembre 2013

Accertata paternità dopo anni, risarcimento ai figli

Cass. sez. I Civ., sent. n. 26205 del 22.11.2013

Viene dichiarato padre a distanza di anni: comporta gravi sofferenze per i due figli, risarciti con 150.000 euro a testa.

Solo i giudici sono riusciti a obbligare l’uomo a fare i conti con le proprie responsabilità, fuggite, consapevolmente, per anni. Ora, però, assieme all’accertamento giudiziale della paternità, egli deve fare i conti anche coi gravi danni provocati, con la propria condotta, nella vita dei suoi due figli, un ragazzo e una ragazza.

La comunicazione dei dati del conducente

Cass. sez. VI Civile–2, ord. n. 26184 del 21.11.2013

In tema di opposizione a sanzione amministrativa, per l’omessa comunicazione dei dati del conducente è competente il giudice del luogo dove ha sede l’organo di polizia procedente.
L’art. 126bis del Codice della Strada sanziona il comportamento del proprietario del veicolo che senza giustificato motivo non ottempera, entro il termine ivi previsto, alla comunicazione all’organo di polizia procedente.

sabato 23 novembre 2013

RINVII CAUSE GDP LO GIUDICE

Con comunicato del 22.11.2013, affisso nella sede dell'ufficio del Giudice di Pace a Giarre, via Veneto, il Dott. Massimo Lo Giudice ha informato della propria adesione all'astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni nazionali di categoria dei GdP per i giorni dal 25 Novembe al 6 Dicembre prossimi.
Pertanto, il Dott. Lo Giudice ha rinviato le udienze del 26 e 29 Novembre al 10 Dicembre; le udienze del 3 e 6 Dicembre al 13 Dicembre.

venerdì 22 novembre 2013

CNF: ok ed osservazioni sui parametri

Parere positivo con osservazioni del Consiglio nazionale forense sullo schema di decreto del ministero della giustizia  che disciplina i parametri per la determinazione del compenso degli avvocati, piano d’azione in tre linee per promuovere la certezza dei rapporti e approvazione della bozza di codice deontologico: sono queste le importanti decisioni prese oggi dal Consiglio nazionale forense riunito in seduta amministrativa. 
Via libera al parere sui paramentro

Il Cnf  ha approvato il parere sullo schema di decreto Giustizia che disciplina i parametri forensi, destinati a essere applicati dal giudice  per determinare il compenso dell’avvocato nella liquidazione delle spese a seguito di un processo o in caso di mancato accordo tra le parti. Il parere, predisposto dalla Commissione parametri, coordinata da Aldo Morlino, è positivo con “alcune osservazioni volte a migliorare l’impianto predisposto dal ministero sotto il profilo della maggiore chiarezza, semplicità e trasparenza”.

Esso  è stato reso anche alla luce delle osservazioni pervenute a seguito della consultazione sullo schema di Dm effettuata dal Cnf presso gli Ordini forensi e le Associazioni (hanno  mandato osservazioni 17 Ordini; una Unione regionale; tra le associazioni Agi, Aiaf e  Anf)”.

Il Cnf esprime soddisfazione per il rispetto da parte del Ministero dell’impianto proposto dall’Avvocatura,  che rende di facile lettura e di immediata verifica i valori su cui calcolare il compenso per gli operatori e soprattutto per i cittadini.

Nel contempo, prende atto della misura dei valori medi fissata dal Ministero della Giustizia, responsabilmente consapevole del  difficile momento congiunturale che sta imponendo alla categoria forense numerosi sacrifici anche in previsione dell’approvazione della legge di Stabilità, che allo stato prevede un prelievo sulle Casse professionali e misure di natura fiscale molto gravose per i professionisti.

Il Cnf  ha evidenziato l’opportunità che il ministero della Giustizia garantista anche tramite il riconoscimento del giusto compenso al difensore,  la qualità della difesa dei cittadini più deboli, i meno abbienti, che richiedono l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

I programmi di sostegno

Il Consiglio nazionale, inoltre, ha delineato il programma delle attività che saranno organizzate per incrementare lo sviluppo economico e la soluzione dei problemi sociali aperti dalla crisi.  Il programma d’azione si articolerà in tre progetti specifici.

Il primo  riguarda il “Piano famiglia”, per la tutela dei minori, dei meno abili, degli anziani, dei pensionati, dei pazienti, dei rapporti tra persone unite in matrimonio e  da convivenza di fatto, per gli acquisti della casa, per  gli investimenti mobiliari e la gestione del risparmio, per i rapporti tra i consumatori e le imprese;

Il secondo, “Piano  impresa”, riguarda le questioni relative alla costituzione, organizzazione, vicende della vita delle imprese, sotto il profilo contabile, gestionale, amministrativo e fiscale.

Infine  il “Piano delle associazioni”, cioè  degli enti senza scopo di lucro, sarà formulato con l’obiettivo di favorire la amministrazione di tutte le forme di rapporti sociali che consentono all’ individuo  di sviluppare la propria personalità.

“Il ruolo dell’ Avvocatura si è articolato negli ultimi decenni, perché  alla difesa dei diritti e degli interessi in giudizio, si è affiancata  la composizione delle controversie nei procedimenti di conciliazione e di arbitrato, la consulenza nei rapporti familiari, associativi, e d’impresa, ai consumatori e ai professionisti. In particolare l’ Avvocatura rafforzerà le sue iniziative per la tutela dei più deboli”, commentato il presidente Guido Alpa. “ In questo progetto essenziale è il ruolo degli Ordini forensi, attraverso lo sportello del cittadino, la diffusione di informazioni, il contatto con l’ Avvocatura e i suoi organismi locali”.

Il Piano d’azione si inserisce nella promozione della responsabilità sociale dell’Avvocatura, chiamata a  tutelare non solo i diritti e gli interessi dei clienti/assistiti, ma anche l’ordinamento giuridico e lo svolgersi corretto dei rapporti familiari, sociali ed economici.

La nuova bozza del codice deontologico

La valorizzazione di tale funzione è peraltro contenuta nella bozza di nuovo codice deontologico, adempimento previsto dalla legge di riforma dell’ordinamento forense.

Oggi il plenum del Cnf ha approvato in via preliminare il testo, che sarà inviato agli Ordini, alla Cassa  e alle Associazioni forensi per la opportuna consultazione.

La bozza di nuovo codice si apre proprio con la enunciazione che le norme deontologiche sono prevista a tutela dell’affidamento della collettività e dei clienti/assistiti.


(Fonte Cnf – Da ilsole24ore.com del 22.11.2013)

Multe al 30% senza arrotondamenti

Il pagamento ridotto del 30% deve avvenire senza arrotondamenti? 

Il caso

Il pagamento ridotto del 30% deve avvenire senza arrotondamenti? Perchè non sarebbero applicabili le regole che riguardano i normali pagamenti delle sanzioni, visto che si tratta pur di un medesimo adempimento?

La soluzione

La regola è stata scritta in fretta e non è stato previsto l’arrotondamento in caso di multe scontate.

Allo stato attuale, l’arrotondamento è previsto solo in sede di adeguamento biennale delle sanzioni (art. 195, comma 3bis), per cui la riduzione del 30%, ma anche la maggiorazione prevista per alcuni comportamenti in orario notturno ne sono esclusi.


(Da avvocati.it del 21.11.2013)