mercoledì 30 novembre 2011

Disconoscimento paternità: termini sospesi anche per infermo grave

La Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 245 del codice civile per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione: con la pronunzia 25 novembre 2011, n. 322 in tema di diritto alla sospensione dei termini per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità, colui che si trova in stato di grave infermità di mente è ora equiparato al soggetto formalmente interdetto.
L’art. 245 del codice civile recita infatti che “Se la parte interessata a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente, la decorrenza del termine indicato nell’articolo precedente è sospesa, nei suoi confronti, sino a che dura lo stato di interdizione. L’azione può tuttavia essere promossa dal tutore”.
La norma, a dir del ricorrente, in siffatta formulazione, poneva “l’incapace naturale nella medesima condizione del soggetto pienamente capace di intendere e di volere e di acquisire conseguentemente piena consapevolezza dei fatti che fondano l’azione”, ponendosi pertanto in contrasto coi principi di cui agli articoli 3 e 24 della carta costituzionale.
Riconoscendo fondato il ricorso, sollevato in occasione di un procedimento civile pendente dinanzi al Tribunale di Catania, i giudici della Consulta hanno affermato che la norma parifica il soggetto capace a quello incapace di fatto, e ne deriva pertanto in’irragionevole disparità di trattamento a danno degli individui che si trovano in condizioni di abituale e grave infermità di mente, sia essa accertata o meno con provvedimento di interdizione. La tutela disciplinata dal codice civile non si ancora alla perdita della capacità di agire in senso soltanto formale, proclamata dal riconoscimento dello status di interdetto, ma deve essere riconosciuta in ogni ipotesi ove, di fatto, sussiste una condizione di menomazione del soggetto, di natura intellettiva e volitiva.
Per detti motivi la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 245 del codice civile, nella parte in cui non prevede che la decorrenza del termine di cui all’articolo 244 del medesimo codice, non suscettibile di interpretazione analogica, risulti sospesa pure verso il soggetto, non formalmente interdetto, che si trovi in condizione di grave ed abituale infermità di mente, e finquando persista detta incapacità.

(Da Altalex del 30.11.2011. Nota di Laura Biarella)

No al telemarketing a professionisti con dati dall'albo

Garante per la protezione dei dati personali, Provv. 29.9.2011, n.357

E' frequente l'utilizzo dei dati contenuti negli albi professionali (reperibili anche on line) da parte di operatori per finalità promozionali.
Il Garante si è pronunciato ribadendo che detta condotta deve ritenersi legittima solo se il promotore ha già acquisito il consenso dell'interessato o se presenta offerte strettamente attinenti l'attività svolta dal professionista contattato.
Il Garante ha evidenziato il principio cardine del sistema privacy e cioè il vincolo di finalità in base al quale i dati possono essere raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi e possono essere utilizzati in altri trattamenti in termini compatibili con tali scopi, tenuto conto del dettato dell'art. 11, comma 1, lett. b) del Codice. In particolare, il trattamento dei dati personali è consentito solo ove la specifica disciplina di riferimento abbia espressamente previsto l'attività di comunicazione telefonica per le finalità di marketing sopra delineate, ovvero laddove le comunicazioni, effettuate per tali finalità, risultino "direttamente funzionali" all'attività svolta dall'interessato che è posta alla base dell'inserimento del dato telefonico nei pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque richiamati dall'art. 24 comma 1, lett. c) del Codice e sempreché non vi sia stata o sia manifestata opposizione al trattamento.
Non solo: il vincolo di finalità con la professione esercitata dall'interessato, nel caso in esame quella forense, deve essere interpretato in termini rigorosi nel senso che tale vincolo implica la stretta attinenza del trattamento per finalità di marketing all'esercizio di tale specifica professione, come potrebbe ad esempio ritenersi l'invio di pubblicazioni scientifiche per finalità di aggiornamento ed approfondimento di tematiche giuridiche.
Viceversa "pur in presenza dei possibili vantaggi economici che l'offerta di servizi di telefonia business può offrire al professionista, il trattamento dei dati personali per finalità promozionali non può ritenersi "direttamente funzionale" all'esercizio della specifica attività forense svolta dall'interessato e giustificare l'esonero dall'acquisizione del consenso, limitandosi, tale offerta, ad offrire soluzioni astrattamente idonee a soddisfare le esigenze di un'indifferenziata tipologia di soggetti".

(Da filodiritto.com del 26.11.2011)

martedì 29 novembre 2011

Liberalizzazioni, il governo assicura dialogo con l’avvocatura

Dal ministro della giustizia Paola Severino è giunta una doppia rassicurazione al presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, sull’avvio di un dialogo costante con l’avvocatura nella predisposizione dei provvedimenti in materia di ordinamento professionale, dopo che per tutto il week-end si sono susseguite voci di interventi draconiani sui principi fondanti la professione, che l’avvocatura non potrà tollerare.
Il Consiglio nazionale forense, pur apprezzando l’apertura del governo, vigilerà perché questa promessa sia mantenuta.
D’altra parte la Severino in una recente dichiarazione è stata prudente proprio sulla riforma delle professioni. Ha parlato di “panico ingiustificato” degli Avvocati sull'abolizione del loro ordine limitandosi a dire che la regolamentazione “dovrà essere collocata nella normativa europea”.
Ma il presidente Alpa sul punto è stato chiaro. Intervenendo alla VII Conferenza nazionale dell’avvocatura sabato scorso, Alpa ha dichiarato: “Il presidente del Consiglio Monti ci deve dire cosa intende fare, perché non può decidere all’oscuro, senza consultare prima l’avvocatura, interventi che potrebbero incidere sui diritti fondamentali dei cittadini. Non è un governo tecnico che può travolgere l’avvocatura”.
In due occasioni negli ultimi giorni, dunque, il guardasigilli ha sentito la necessità di allentare la tensione con l’avvocatura, parlando con il presidente Alpa.
La prima, istituzionale, è stata l’ incontro avuto con il Cnf presso la sede giurisdizionale di via Arenula, in una pausa dall’impegno disciplinare del Consiglio. In quella sede Alpa ha esposto al ministro i tre “nodi” più urgenti per la categoria: la sorte della riforma forense, ferma in commissione giustizia alla camera; l’applicazione delle norme contenute nei provvedimenti di stabilizzazione; la riforma della giustizia.
Al ministro ha ribadito la disponibilità dell’avvocatura a impegnarsi direttamente nella gestione dell’arretrato ma ha anche sottolineato che “non si può imputare agli avvocati né la crisi della giustizia né i costi delle imprese a causa di tale crisi”. Il ministro Severino ha sottolineato “che si farà carico delle questioni poste dal Cnf, tutte di grande rilevanza” ed ha assicurato “che il dialogo che si apre oggi durerà per tutta la legislatura”. 
Il guardasigilli ha ritenuto opportuno contattare il presidente Alpa anche sabato, con una telefonata durante lo svolgimento dei lavori della VII Conferenza nazionale dell’avvocatura, durante i quali si erano sparse voci di interventi pesanti e immediate sulle professioni.
“Il guardasigilli ha assicurato che su futuri provvedimenti di riordino del sistema l’avvocatura sarà ascoltata. Vigileremo con grande attenzione sulle prossime mosse, pronti alla convocazione di un Congresso straordinario”, ha commentato Alpa.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 29.11.2011)

Telelaser accerta superamento limiti velocità: multa valida anche senza scontrino

Valida la multa per superamento dei limiti di velocità rilevato dal telelaser anche se all'automobilista non viene consegnato "lo scontrino con la stampa dei dati relativi alla velocità e alla targa del veicolo".
A sottolinearlo la Corte di Cassazione, che - con la sentenza 23212/2011 - ha accolto il ricorso di un Comune contro la decisione del Tribunale, che aveva annullato la multa non accompagnata dallo scontrino.
Il caso. Il Tribunale annullava la multa non corredata dallo scontrino, poichè l'uso del telelaser era legittimo ma "poteva sussistere un non corretto rilevamento dell'oggetto in movimento da parte dell'agente, specie in relazione all'orario notturno e alla presenza di traffico". Questa tesi è stata però bocciata dalla Suprema Corte.
Il giudizio di legittimità. Secondo gli ermellini, è "legittima la rilevazione della velocità effettuata a mezzo di telelaser, apparecchiatura che non rilascia documentazione fotografica nell'avvenuta rilevazione nei confronti di un determinato veicolo, ma che consente unicamente l'accertamento della velocità in un determinato momento, restando affidata alla attestazione dell'organo di polizia stradale la riferibilità della velocità proprio al veicolo dal medesimo organo individuato". Prosegue la Cassazione: "tale attestazione ben può integrare, con quanto accertato direttamente, la rilevazione elettronica attribuendo la stessa ad uno specifico veicolo", essendo "assistita da efficacia probatoria fino a querela di falso, ed è suscettibile di prova contraria unicamente il difetto di omologazione o di funzionamento dell'apparecchiatura elettronica". In conclusione, l'automobilista deve querelare l'agente per falso se vuole mettere in dubbio la sua rilevazione.

(Da avvocati.it del 28.11.2011)

Il restyling del Codice del processo amministrativo

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre scorso il decreto legislativo n. 195/2011, che corregge ed integra il codice del processo amministrativo.
Di seguito si segnalano le principali modifiche e integrazioni che riguardano il d.lgs. n. 104/2010:
- s’intende modificare l’impostazione del rito elettorale per coordinarla con quella rilevabile dagli spunti forniti dalla recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 236/2010) in materia di impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni amministrative;
- rivisti il testo del codice, le norme di attuazione e quelle di coordinamento e abrogazioni,
- ritoccato il lessico,
- ottimizzati i rapporti tra il c.p.a. (codice del processo amministrativo) e il c.p.c. (codice di procedura civile), affinchè il primo sia aggiornato con le novità legislative e giurisprudenziali nel frattempo sopravvenute,
- il Tar Lazio avrà giurisdizione piena per i provvedimenti del Consiglio di Presidenza, per gli atti dell’Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale, per i provvedimenti adottati dai commissari in situazione di emergenza, e per gli atti di assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze,
- il termine abbreviato per la proposizione del ricorso incidentale nei giudizi per le procedure di affidamento di contratti di lavori pubblici passerà da 60 a 30 giorni,
- il giudice potrà condannare d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente abbia agito o resistito temerariamente in giudizio,
- gli avvocati dovranno indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo l’indirizzo PEC ed il numero di fax,
- potrà essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, l’azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, così come l’azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione,
- la presentazione tardiva di memorie o documenti potrà essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta di parte, dal collegio, «assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile».

(Da avvocati.it del 28.11.2011)

DEONTOLOGIA TRA COLLEGHI IL 17 DICEMBRE

Sabato 17 dicembre, dalle 9 alle 12, nell'androne del palazzo di Giustizia di Giarre sarà nostro illustrissimo ospite il Segretario del Consiglio dell'Ordine di Catania Avv. Diego Geraci, il quale terrà l'undicesimo -ed ultimo- evento formativo organizzato dall'AGA per il 2011, sul tema: "I rapporti di colleganza".
La partecipazione, gratuita per i soci AGA, dà diritto a n. 3 crediti formativi in materia di deontologia.

lunedì 28 novembre 2011

GIARRE, CONCLUSIONALI PER E-MAIL

Informiamo i Colleghi che il Giudice del Tribunale di Giarre Dott.ssa Marcella Celesti, ferma restando la possibilità di utilizzare i cd, ha fornito la propria e-mail per l'invio telematico delle comparse conclusionali e delle repliche, ovviamente in aggiunta al rituale deposito dei documenti cartacei in Cancelleria nei modi e termini di Legge.
Questo l'indirizzo: marcella.celesti@giustizia.it.

Nessun governo tecnico può travolgere l’Avvocatura

È finita sabato con la proclamazione dello stato di agitazione "contro i paventati decreti del governo di liberalizzazione selvaggia" della professione la VII conferenza Nazionale dell’Avvocatura italiana che per due giorni ha infiammato più di duemila avvocati italiani, con l’approvazione di un documento unitario con il quale si chiede un incontro urgente al premier, ai presidenti di Camera e Senato e al Guardasigilli e si fa appello al capo dello Stato perché impedisca l'adozione di provvedimenti “in contrasto con i principi della Costituzione, del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti dell'Uomo”.
“La paventata decisione del Governo è un errore nei confronti dei veri problemi che attanagliano il Paese e un'aggressione ulteriore contro gli Avvocati – ha detto il presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura Maurizio De Tilla - e se le indiscrezioni venissero confermate assisteremo all'eliminazione della difesa tecnica e quindi all'ulteriore demolizione della già malandata macchina giudiziaria e del diritto di giustizia per i cittadini, sancito dalla Costituzione. Tra le altre ipotesi – ha aggiunto - c'è quella di un'ulteriore liberalizzazione selvaggia degli ordini professionali e, quindi, la conseguente espropriazione dell'autonomia delle casse previdenziali private con il trasferimento alla sfera pubblica.  Dopo l'abolizione della tariffe minime, l'introduzione dei soci di capitale negli studi professionali, la media-conciliazione obbligatoria, la rottamazione della giustizia civile – ha attaccato il presidente Oua - ecco gli ulteriori interventi il cui unico scopo è colpire gli Avvocati. Altro che rilancio della competitività del nostro sistema produttivo, mentre i veri nodi sono il dissesto economico, finanziario e etico del Paese, gli sprechi della cattiva politica. Ci opporremo a qualsiasi intervento che mortifichi i diritti dei cittadini e il ruolo costituzionalmente riconosciuto all’avvocatura, appena ieri ribadito dal presidente della Repubblica nel suo messaggio”.
Gli ha fatto eco il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa che ha ribadito che l’avvocatura si opporrà a ogni tentativo di smantellamento della professione. “Il presidente del Consiglio ci deve dire cosa intende fare ha detto Alpa - perché non può decidere all’oscuro, senza consultare prima l’avvocatura, interventi che potrebbero incidere sui diritti fondamentali dei cittadini. Non è un governo tecnico che può  travolgere l’avvocatura”. 
Durante la conferenza, Alpa è stato raggiunto, come lui stesso ha riferito, da una telefonata del ministro della giustizia Paola Severino. “Il guardasigilli ha assicurato che su futuri provvedimenti di riordino del sistema l’avvocatura sarà ascoltata. Vigileremo con grande attenzione sulle prossime mosse, pronti alla convocazione di un Congresso straordinario ”.  Piena condivisione e adesione della Cassa forense al documento unitario con cui l'Avvocatura ha chiesto al Governo un confronto sulla Giustizia.
“Cassa forense - ha dichiarato il presidente, Alberto Bagnoli - condivide il documento unitario da presentare al Governo per chiedere un confronto sulla riforma della professione e sugli interventi sulla Giustizia. È importante che questa delibera arrivi alla nazione come documento unico dell'Avvocatura, senza divisioni - ha aggiunto - Siamo molto preoccupati delle ulteriori liberalizzazioni selvagge delle professioni. Se confermate, non possiamo che affermare la nostra opposizione. E se necessario – ha concluso Bagnoli - non esiteremo a portare le nostre ragioni nelle sedi di giustizia per difendere l'autonomia della nostra professione”.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 28.11.2011)

Vendita appartamento con esclusione quota millesimale

Se il condomino vende l'immobile ad uso abitativo è possibile escludere dal trasferimento la cessione della quota millesimale dell'area condominiale. E' quanto hanno stabilito i giudici della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza 26 ottobre 2011, n. 22361.
Il condomino, secondo il giudice nomofilattico, ben può escludere dal trasferimento dell'immobile, ad uso abitativo, la quota millesimale di comproprietà dell'area condominiale scoperta, rimanendone contitolare in forza della proprietà di altra porzione di piano.
In tal modo la Suprema Corte si mostra coerente con quanto affermato dai giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, i quali hanno ritenuto come, al momento della vendita dell'appartamento, sito al secondo piano del fabbricato, fossero stati espressamente limitati i diritti condominiali all'atrio ed all'impianto di riscaldamento, in tal modo escludendo ogni diritto di godimento dell'avente causa sull'altra area in questione. Su tale area, continuano i giudici, il ricorrente non godrebbe di alcun diritto di comproprietà, derivante dall'acquisto dell'appartamento condominiale, perché trattasi di bene suscettibile di godimento separato ed escluso dalla compravendita.
Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, in tema di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium seguitur principale, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria, ma non anche alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili di godimento fine a se stesso che si attua in modo indipendente da quello delle unità abitative.

(Da Altalex del 24.11.2011. Nota di Simone Marani)

Telefonia, si potrà cambiare gestore in un giorno

Per la portabilità del numero oggi occorrono da quattro giorni a una settimana.
L'Italia dovrà adeguarsi alle normative.
Il regolamento in commissione all'Agcom la prossima settimana

Cambiare gestore di telefonia mobile in un solo giorno. Lo stabilisce il regolamento a cui dovrebbe dare l'ok la commissione Servizi e Reti dell'Agcom mercoledì prossimo. Il Regolamento che sarà all'ordine del giorno della Commissione, che ha condotto una consultazione pubblica al riguardo, velocizza dunque a sole 24 ore il processo di «number portability» per cui attualmente sono necessari dai quattro giorni ad una settimana.

(Da corriere.it del 24.11.2011)

domenica 27 novembre 2011

Responsabilità magistrati, legge italiana avara di risarcimenti

No alla restrizione ai casi di dolo e colpa grave per i danni arrecati ai singoli da violazioni del diritto Ue. Dalla Ue arriva uno stop alla responsabilità civile dei magistrati "all'italiana" .
È euroincompatibile la legge 117/88 rispetto al profilo dei danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto comunitario: l'esclusione ovvero la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Lo stabilisce la sentenza pubblicata il 24 novembre 2011 nella causa C 379/10 dalla terza sezione della Corte di giustizia europea
Prove mancanti
I principi comunitari, spiegano i giudici Ue, impongono agli Stati membri di risarcire i danni arrecati a ciascuno a seguito di violazioni del diritto dell'Unione ad essi imputabili, a prescindere dall'organo da cui tale danno sia scaturito - principio che trova parimenti applicazione nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere giudiziario. La necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell'Unione conferisce loro implica che la responsabilità dello Stato possa sorgere per una violazione dei principi comunitari che risulta dall'interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. La Corte rileva che la legge italiana esclude in via generale la responsabilità dello Stato nei settori dell'interpretazione del diritto e della valutazione di fatti e di prove. E questo risulta in contrasto con il diritto Ue. Le autorità di Roma, in particolare, non sono riuscite a dimostrare che la normativa italiana venga interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla.
Tre presupposti
Non finisce qui: i giudici comunitari rammentano che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell'Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione deve essere sufficientemente caratterizzata e tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto. La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.
Bruxelles ci inchioda
La Corte di giustizia rileva che la Commissione di Bruxelles ha fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della «colpa grave», prevista dalla legge italiana, come interpretata dalla Corte di cassazione italiana, si risolve nell'imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente». Per contro, l'Italia non è stata in grado di provare che l'interpretazione di tale legge ad opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia. In conclusione, la Corte rileva che la normativa italiana, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell'Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall'interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell'Unione.

(Da cassazione.net)

Il codice materno nella legge istitutiva della scuola materna statale

Nel 1968 la legge istitutiva della scuola materna statale, L. 18 marzo 1968 n. 444 “Ordinamento della scuola materna statale”, ha rappresentato, non senza polemiche, un importante traguardo legislativo e sociale.
Nel frattempo lo scenario legislativo e sociale è cambiato, come è cambiata la denominazione della scuola da scuola materna a scuola dell’infanzia (anche se nel modus operandi è e rimane materna), ma la legge del 1968, rimasta inattuata in alcuni aspetti, conserva ancora una grande valenza, perché offre degli spunti di riflessione non solo sulla scuola ma anche sulla tanto discussa genitorialità.
Fondamentale è l’art. 1 che recita: “La scuola materna statale, che accoglie i bambini […]. Detta scuola si propone fini di educazione, di sviluppo della personalità infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell’obbligo, integrando l’opera della famiglia”. Alla luce dell’art. 1 la scuola materna, pur essendo chiamata in questo modo, ha una dimensione valoriale a sfondo materno e una dimensione valoriale a sfondo paterno. L’accoglienza (dal latino “ad” e “colligere”, “raccogliere presso di sé) di cui al primo comma (mentre le Indicazioni per il curricolo del 2007 si esprimono in maniera formale: “La scuola dell’infanzia […] si rivolge a tutti i bambini”) e l’educazione di cui al secondo comma sono atteggiamenti materni; lo sviluppo della personalità infantile è compito sia materno sia paterno. Assistenza (dal latino “ad” e “sistere”, “stare presso qualcuno per aiutarlo”) e preparazione, ovvero vegliare sulla crescita fisica, emotiva e intellettuale dei figli e insegnare loro a vivere, coniugare “auctoritas” e “securitas”, quindi far da ponte verso l’esterno, sono funzioni più paterne. Leggendo l’art. 1 con un linguaggio moderno si può affermare che obiettivo educativo sin dalla prima infanzia deve essere promuovere relazione, resilienza, responsabilità e regolamentazione. Relazione è aprirsi agli altri; resilienza è adattarsi agli altri costruendo legami significativi, responsabilità è rispondere di sé agli altri; regolamentazione è darsi regole per e con gli altri.
Alla luce di quest’osservazione, alla scuola materna si addice l’immagine di “madre sufficientemente buona”, coniata dallo psicanalista inglese Donald W. Winnicott, nel senso che si deve avere cura dei bambini senza cadere né nell’incuria né nell’ipercura, estremi in cui spesso s'incorre. Se è vero che la scuola materna ha in sé tanto la dimensione materna quanto quella paterna questo vale a maggior ragione per chi è madre, che non solo deve svolgere il proprio ruolo ma avviare il bambino, se stessa e lo stesso padre alla paternità e non essere di ostacolo o contrasto ad essa come sempre più spesso accade. Non esiste la genitorialità in astratto, ma la maternità e la paternità che incontrandosi, completandosi e coadiuvandosi costituiscono la genitorialità. A proposito di “sviluppo della personalità infantile”, gli insegnanti della scuola materna (o altre figure che operano in tutta la scuola) fungono da “tutori dello sviluppo” (dallo psicanalista francese Boris Cyrulnik, studioso della resilienza) dei bambini soprattutto oggi che la famiglia è passata dall’essere normativa ad essere solo affettiva o talvolta addirittura patogena. “Tutori dello sviluppo” anche dei genitori, nel senso che gli insegnanti contribuiscono anche ad accompagnare e sostenere i genitori spesso smarriti, distratti o alla mercé dei capricci dei figli (“onnipotenza infantile”) o affannati ad anticipare i loro desideri. Emblematica la locuzione “integrando l’opera della famiglia”, in altre parole tra scuola e famiglia non vi deve essere né sostituzione né contrapposizione né sovrapposizione né tantomeno aversi la cosiddetta “affettivizzazione della scuola” emulando la famiglia. Scuola e famiglia devono assolvere la propria funzione così come fanno o dovrebbero fare madre e padre. Ancor più significativa è l’espressione “opera della famiglia” ove “opera” è “attività posta in essere con un preciso intento, volta a un fine determinato o atta a produrre certi effetti” e ciò dovrebbe essere di monito alla famiglia ricordando che è il principale ed insostituibile soggetto educativo nella vita di ogni bambino. Quest’analisi trova conferma anche nel Preambolo della Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia del 1989 dove si legge: “[…] la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità”.
Rilevante per le indicazioni che si ricavano per gli insegnanti e per tutti gli educatori è anche l’art. 14 comma 1: “Le insegnanti hanno la responsabilità educativa della sezione che ad esse è affidata”. “Responsabilità educativa”: la legge n. 444 è stata una delle prime leggi ad associare l’educazione alla responsabilità che ogni educatore ha non solo nei confronti del bambino ma verso la comunità. La responsabilità educativa richiama anche la responsabilità civile in educando ex art. 2048 cod. civ.. La responsabilità richiama pure due aspetti fondamentali in una relazione educativa: la ricettività e la responsività, “posture relazionali” tipicamente materne. La ricettività è la capacità di accogliere gli “appelli”, soprattutto emotivi, provenienti dall’educando e la responsività è la capacità di dare un’adeguata risposta a questi “appelli” e di adattarvisi. La relazione educativa non solo deve essere basata sulla ricettività e responsività ma educare anche a queste capacità. “Affidamento” (istituto tipico del diritto di famiglia): i bambini non appartengono a nessuno per cui bisogna rapportarsi con loro non in maniera possessiva o esclusiva ma col giusto distacco. I bambini ci sono affidati per consegnarli (dal significato letterale di affidare), poi, alla vita trasmettendo loro fiducia (dal significato etimologico di affidare dal latino “fides”, fede, fiducia). Questo significa dare loro il futuro che è un loro diritto.

Margherita Marzario (da filodiritto.com del 20.11.2011)

Cassazione su furto pluriaggravato

Cassazione Sez. IV Penale, Sent. 29.9.2011, n. 38859

La Cassazione Penale, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio, ha condannato due donne per il reato di furto pluriaggravato dalla minorata difesa dei derubati (di 81 e 78 anni) e dalla destrezza utilizzata (i derubati stavano lavorando nell’orto contiguo all’abitazione).
La Corte ha infatti ritenuto che la presenza di una vicina che, urlando, sollecitava l’intervento delle forze dell’ordine non ha escluso la consumazione del reato proprio perché “le due donne non solo si sono impossessate di alcuni bracciali e di denaro contante all’interno dell’abitazione, ma hanno pure portato la refurtiva con loro, fuori dall’abitazione e poi all’interno dell’auto a bordo della quale si sono dare a precipitosa fuga”.
La Corte non ha dubbi: l’impossessamento, sia pure per un breve periodo di tempo, vi è stato e pertanto il reato deve considerarsi consumato.
Quanto all’aggravante della minorata difesa dei derubati, la Corte d’Appello prima e la Cassazione poi, hanno ritenuto che i derubati, per via della loro età, versavano in una condizione tale che riduceva le capacità auditive, visive e locomotive: “tale condizione ha avuto un nesso eziologico, posto che le vittime potevano avere difficoltà nell’udire l’arrivo delle ladre; e nel reagire alla sottrazione con l’inseguimento”.
Quanto all’aggravante della destrezza, per la Corte, l’assenza dei derubati dall’abitazione non è stata una mancata vigilanza, bensì mera minorata vigilanza per lo svolgimento di attività che comportava un’attenzione intermittente. Pertanto, la situazione era tale da lasciare spazio per “un’azione repentina ed abile di chi si introduce in casa approfittando del fatto che il proprietario, se pur presente, è impegnato momentaneamente in altra attività”.

Luciana Di Vito – Iusgate (da filodiritto.com del 26.11.2011)

sabato 26 novembre 2011

Compenso dell’avvocato nella mediaconciliazione

1°. La tariffa forense vigente, approvata con DM 08.04.2004 n. 127, ovviamente non quantifica il compenso professionale dovuto all’avvocato per l’assistenza al procedimento di “mediazione”, all’epoca non ancora introdotto nell’ordinamento processuale.
Contiene soltanto un fugace riferimento alle “procedure conciliative” nel processo del lavoro, per le quali prevede l’applicazione della tabella “stragiudiziale” (Norme generali Tariffa Civile art. 12).
Per analogia – sicuramente ammessa in materia tariffaria – anche al procedimento di mediazione appare applicabile la tabella “stragiudiziale”.
Infatti, tra “conciliazione” e “mediazione” sono ravvisabili evidenti analogie: entrambe constano di un procedimento scevro da formalità, fuori dagli schemi del processo civile, e quindi “stragiudiziale”, il quale può culminare in un “verbale di accordo” che – omologato dal Tribunale – è suscettibile di assumere l’efficacia di titolo esecutivo (art. 12 D. Lgv. n. 28/2010).
La tabella stragiudiziale prevede compensi distinti per l’attività di “consulenza” e per l’attività di “assistenza”. La “consulenza” comporta l’espressione di pareri orali o scritti senza contatto con la controparte. Invece nell’attività di “assistenza” tale contatto è elemento essenziale (si può affermare che l’avvocato “il cliente se lo “affianca” nel trattare una vertenza o un affare con la controparte).
Poiché nel procedimento di mediazione il contatto con controparte è essenziale (“catalizzato” dall’intervento del mediatore), all’avvocato appare dovuto il compenso per l’attività stragiudiziale di “assistenza” (Tab. D n. 2).
2°. Nell’ipotesi in cui la mediazione non abbia avuto esito positivo, ma si sia resa necessaria la promozione del giudizio civile, si acutizza il problema del cumulo della tabella stragiudiziale (per l’attività svolta in sede di mediazione) con quella giudiziale (per l’attività svolta nel successivo giudizio civile).
Fermo il principio secondo il quale ogni attività professionale deve essere adeguatamente remunerata; non appare corretto disattendere l’altro fondamentale principio, secondo il quale l’attività stragiudiziale finalizzata alla definizione di una lite costituisce attività accessoria a quella giudiziale, e può essere adeguatamente remunerata con l’applicazione della sola tariffa giudiziale (onde evitare indebita duplicazione di compensi).
In concreto, per tutte le attività che possono essere ritenute comuni alle due fasi del procedimento (mediazione e processo civile) appaiono applicabili le sole voci di onorario della tariffa giudiziale [ad es.: studio della controversia, consultazioni con il cliente (e con controparte, per analogia), sopralluogo e ricerca documenti, redazione atti, assistenza alle udienze di trattazione]. Ove il compenso tariffario non risulti adeguato all’entità dell’attività in concreto svolta, al numero ed alla complessità delle questioni trattate, l’onorario può essere opportunamente aumentato con applicazione dei coefficienti previsti dalla tariffa (fino al doppio per cause di “particolare importanza”; fino al quadruplo per cause di “straordinaria importanza”).
Invece per le attività proprie del procedimento di mediazione (ad es.: redazione dell’istanza di mediazione, partecipazione alla riunione con il mediatore e la controparte) è applicabile l’autonomo onorario previsto dalle corrispondenti voci della tariffa stragiudiziale, individuate per analogia.
Così l’importo dell’onorario per la redazione dell’istanza di mediazione può essere mutuato dalla voce “redazione diffide, ricorsi, esposti, relazioni…” (Tar. For. Tab. D n. 2 lett. e), in rapporto alla complessità dell’atto (se l’istanza consta di una sintetica richiesta di convocazione delle parti, senza particolare illustrazione degli elementi di fatto e di diritto controversi, il relativo onorario può essere attribuito in misura prossima al minimo; altrimenti occorre valutare la complessità dell’atto e adeguarvi il compenso).
L’onorario per assistenza alla riunione con il mediatore e con la controparte può essere mutuato da quello previsto per le “conferenze di trattazione” (fuori studio, collegialmente con altri professionisti) con la controparte (n. 2 lett. d).
Va infine rilevato che – trattandosi di attività stragiudiziale – al procedimento di mediazione non sono applicabili i “diritti” (compensi in misura fissa per attività formale di rappresentanza processuale - già propria della figura professionale del “procuratore”, e quindi definita “procuratoria” - svolta nel processo civile).
3°. Nell’ipotesi in cui invece la mediazione abbia avuto esito positivo ed abbia definito la vertenza, non si pone il problema del cumulo delle tariffe giudiziale e stragiudiziale, posto che il giudizio civile non viene attivato.
Per l’intera attività svolta vengono dunque applicati gli onorari previsti dalla sola tariffa stragiudiziale (si ribadisce, senza applicazione dei “diritti”).
A mero titolo esemplificativo, le voci di una parcella-tipo per un procedimento di mediazione andato a buon fine possono essere così articolate:
(DM 08.04.2004 n. 127 – Tab. D n. 2)
a. - posizione ed archivio
b. - sessioni (per ognuna, a studio o fuori studio, con o senza altri professionisti);
c. - corrispondenza postale o telefonica (per ognuna);
d. - esame e studio della pratica;
e. - redazione istanza di mediazione;
f. - assistenza alla riunione con il mediatore e la controparte.
Non appare dovuto l’ulteriore autonomo onorario per “assistenza alla redazione del contratto”. Infatti tale onorario – determinato a percentuale sul valore della pratica - comprende ogni attività accessoria, e non si cumula con l’onorario applicabile per ogni singola attività prevista al n. 2 della cit. Tab. D, ma è alternativo a questo.
Il valore della pratica è determinato ai sensi dell’art. 10 co. 1 c.p.c. (valore del petitum iniziale). Il valore del decisum è assunto a base della determinazione delle spese di lite poste a carico del soccombente ex art. 91 c.p.c..
In caso di domanda iniziale generica il valore della pratica è quello determinato all’esito della mediazione.
4°. Per l’istanza al Tribunale di omologazione (previa verifica formale) del verbale di accordo - trattandosi di attività processuale non contenziosa, tesa alla formazione del titolo esecutivo - appaiono applicabili i soli “diritti” di cui alla Tab. B parte II n. 75 (unico importo forfettario per l’intera attività prestata).
Non si ritiene invece applicabile un onorario, perché nella fase di omologazione non assume rilievo un’attività di carattere intellettuale (studio della controversia, consultazioni, sessioni, etc.) che possa giustificare un compenso a tale titolo.
Un onorario è previsto esclusivamente per l’eventuale fase di esecuzione (che ha inizio con il pignoramento).

Guglielmo Preve (da cassaforense.it)

I numeri non mentono (chi si ferma è perduto…)

I numeri non mentono. L’esame dei dati reddituali della categoria nel 2010 conferma il trend negativo degli ultimi due anni: crescita numerica ed abolizione dei minimi tariffari, come ampiamente previsto, hanno determinato un complessivo depauperamento degli avvocati, unica certezza sottoscrivibile anche nel breve-medio termine.
Le novità introdotte con la legge di stabilizzazione finanziaria, a tacere del quadro d’insieme complessivo, potrebbero assestare un colpo definitivo all’indipendenza della categoria, non più tutelata dalla riserva di legge e soggetta ad una mera potestà regolamentare legata agli indirizzi dell’esecutivo di turno.
Inoltre, la possibilità dell’ingresso del socio di capitale, partecipe ed artefice, senza alcun limite, dei destini del professionista, apre scenari di possibile crescita economica per pochissime privilegiate law firm ma sicuramente determina dipendenza dall’investitore, con buona pace del concetto stesso di libera professione.
Resta il fatto che la presenza di un enorme numero di professionisti sempre più poveri suggerirebbe altra strada rispetto all’abolizione dell’esame di stato e degli ordini, anche perché i risultati di questa combinazione si sono già manifestati, sopratutto nell’attività stragiudiziale.
La strada è stata aperta dalle associazioni di consumatori, sovente presiedute da Avvocati (va detto per onestà intellettuale) che svolgono di fatto la funzione di procacciamento della clientela. Il “cliente” viene intercettato, fidelizzato; la parcella è incassata dal legale, ma una parte va alla struttura, identificata in luogo di chi effettivamente svolge l’attività ed intercambiabile come il meccanismo di una catena di montaggio dei diritti.
Oggi, oltre a queste associazioni, numerose imprese stanno occupando il mercato proprio in quelle materie soggiogate alla mediazione obbligatoria e ciò non può apparire casuale nell’ambito di quel disegno di privatizzazione della giustizia civile che comincia a delinearsi.
Certo è che la categoria deve, anche in quest’ambito, operare una forte analisi critica.
Non siamo stati capaci negli anni, al netto di alcuni singoli, di adeguarci alla trasformazione della società. Non c’è uno studio di categoria che possa guidarci per immaginare una ridefinizione del nostro ruolo, per segnalare i nuovi spazi di mercato, le opportunità che un “sapere” qualificato può offrire.
Come può essere utile un avvocato al sistema produttivo del Paese?
Tutti conveniamo sulla necessità di formare una nuova generazione di professionisti specializzati, in modo da proporci al mercato con le nostre competenze, con la tanto decantata “qualità”, unico vero antidoto al mercante all’ingrosso degli ex diritti soggettivi, ora visti solo in chiave economicistica.
E’ certamente il punto di partenza (anche se siamo sempre fermi ai blocchi) ma occorre indirizzare le risorse in maniera proficua. Nei programmi di tante scuole forensi, nei numerosissimi seminari che distribuiscono crediti formativi – spesso un’occasione sprecata nel raggiungimento minimo dei crediti - tocchiamo con mano la mancanza di progettualità, l’assenza di una “politica del lavoro” di categoria.
Il primo passo è certamente quello di non limitarci all’idea di specializzazione ma di caratterizzarla con un contenuto positivo, di sostanza. Il secondo deve consentire la possibilità di “spendere” il nostro sapere. Senza un collegamento forte con il mondo produttivo è molto difficile che accada.
Perché le imprese non vogliono pagare gli avvocati? Fondamentalmente, perché veniamo rappresentati come un peso non desiderato. Non è sicuramente così ma è anche vero che generalmente interveniamo solo nei momenti di conflittualità, quando invece occorre interagire prima, nel momento della crescita e non solo in quello della patologia.
Semplificando, occorre maggiore attività stragiudiziale, interpretandone in senso ampio l’ambito. Quanti avvocati si occupano di sicurezza del lavoro, di modelli organizzativi, di credito agevolato, di finanziamenti comunitari? Quanti sono di valido supporto alla buona imprenditoria di “prossimità” od a quella che delocalizza; quanti la indirizzano nelle scelte fiscali e tributarie?, chi di noi conosce il diritto dei paesi dell’Est Europeo o dei paesi emergenti? Le domande potrebbero essere numerose e molto spesso la risposta sarebbe: “pochi”.
Un monitoraggio serio delle aree di interesse della domanda e delle competenze di cui dispone la nostra “offerta” consentirebbe certamente di intuire le potenzialità di taluni ambiti. Riuscire a farlo insieme a chi domani potrà usufruire delle nostre prestazioni e muoversi nell’ottica di un processo formativo condiviso e congiunto rappresenta un concreto collegamento con il mondo delle imprese e, in definitiva, una seria opportunità per tanti di noi, in particolare per i più giovani.
Cassa Forense sul punto non può limitarsi a rilevare l’impoverimento della categoria o, a voler essere ottimisti, l’assenza di crescita sul piano reddituale ma, disponendo di competenze e risorse, deve adeguare anch’essa il proprio ruolo e porsi a “motore” del faticoso, ma possibile, cammino del cambiamento.
E’ necessario un salto culturale, immaginare e proporre una professione nuova e diversa, che non rimanga intrappolata nel “contenzioso” ma che si apra, si confronti e si contenda importanti settori di mercato ora appannaggio pressoché esclusivo di altre categorie professionali.
Studiare il “mercato”, aprirsi al confronto con il mondo produttivo, favorire iniziative formative e specialistiche che tengano conto delle nuove esigenze dettate dalle specificità dei territori e dei mercati allargati, agevolare l’inserimento professionale e la “spendita” del titolo, sono alcuni dei punti da inserire in un’ideale agenda di lavoro. Agenda da riempire in fretta: i numeri, si sa, non mentono e ci stanno dicendo con estrema chiarezza che chi sta fermo è destinato ad essere travolto dal mondo che cammina.

Valter Militi (da cassaforense.it)

venerdì 25 novembre 2011

Una possibile risposta dell’Avvocatura ai problemi della Giustizia

del Prof. Avv. Giulio Prosperetti

L'emergenza Giustizia non è da riferire solo alla Giustizia penale, ma forse, in maniera ancora più grave, si deve constatare il tracollo della Giustizia civile.  La possibilità di far valere le proprie ragioni in via giudiziaria è praticamente preclusa dai tempi del giudizio, che non solo sono lunghi, ma sono sproporzionati rispetto alla urgenza dei problemi. Si dice normalmente che una causa vive più a lungo di un'azienda. Molti piccoli imprenditori, d'altra parte,  sono costretti al fallimento per i lunghi tempi  necessari alla riscossione coattiva dei loro crediti. È ormai quasi un luogo comune attribuire i mali della Giustizia all'eccessivo numero di Avvocati (sembra abbiano superato la cifra di 220.000), che sarebbero responsabili dell'abnorme numero di cause pendenti.
La giustizia come risorsa nella società post-industriale 
Nell'attuale società post-industriale, dove si assiste alla deindustrializzazione e nascono nuovi bisogni meno materiali che la comunità richiede siano soddisfatti, non si vede perchè si debbano comprimere bisogni morali rispetto a quelli materiali.  Insomma, perchè se si producono più automobili, che inquinano e danneggiano l'ambiente, ciò viene rilevato come un dato positivo per l'economia e se, invece, si producono più cause, che implementano non solo il PIL della soddisfazione, ma anche quello reale (una causa costa, mediamente, più di un'automobile ed ha un notevole indotto), ciò viene, invece, rilevato come una patologia sociale?  Ora, non si comprende perché il desiderio di Giustizia, anche spogliato delle sue connotazioni di valore sociale, non possa essere annoverato tra i settori trainanti di un importante comparto. La causa è invece il più delle volte una sorta di partita a scacchi tra avvocati, dato questo sicuramente patologico rispetto ad un astratto criterio di Giustizia, ma ciò è il risultato storico delle codificazioni napoleoniche. Infatti, mentre il Giudice anglosassone scopre il diritto nella sua immanenza nella società, il Giudice continentale è solo l'esegeta del codice, un giudice macchina, la bouche de la loi e, pertanto, è schiavo del ragionamento giuridico e del suo tecnicismo sul quale, appunto, giocano gli Avvocati. Sono però proprio i cittadini a sviluppare una mentalità causidica e a privilegiare il ricorso al giudice, e a sfidare l'alea del giudizio in un radicato convincimento nel trionfo della giustizia formale. Insomma, se da una parte vi sono questioni che indubbiamente possono essere risolte in sede di conciliazione, altre possono essere risolte da un giudice in funzione di preliminare conciliatore. Solo i Magistrati che hanno già attentamente studiato la causa sono in grado di condurre una congrua trattativa conciliativa e ad esempio la preventiva conciliazione obbligatoria in sede amministrativa per le controversie di lavoro si è sempre risolta in un inutile passaggio burocratico. L'arbitrato suscita, invece, molte suggestioni, ma per poter funzionare servono gli arbitri, persone esperte e indipendenti, che vivono la loro professionalità proprio alla luce della loro indiscussa indipendenza e un corpo di professionisti aventi tali caratteristiche non si crea in breve tempo e, soprattutto, necessita di un conforme contesto culturale. Purtroppo la cosiddetta cultura dell'arbitrato è declinata in modo molto peculiare nel nostro Paese, raramente si cerca l'arbitro indipendente, più spesso si cerca l'arbitro amico, sicchè normalmente gli arbitrati attraversano una fase preliminare di ricusazioni incrociate. Diverso problema è quello relativo al recente ingresso, nel nostro ordinamento, della mediazione obbligatoria, che può essere svolta non soltanto dagli Avvocati, ma anche da altre categorie professionali. La previsione normativa che consente di accedere al mediatore senza l'assistenza di un Avvocato, sembra prefigurare un ruolo del conciliatore incentrato su di un profilo equitativo.  Ma l'esperienza mi ha insegnato che i più causidici sono proprio i  non giuristi. Insomma, proprio chi vanta un'infarinatura giuridica si compiace delle teorizzazioni più pignole, che invece il giurista sa come esorcizzare. Il problema è se esiste, nella coscienza sociale, un concetto di equità e di giustizia che prescinda dal diritto formale, giacchè solo in questo caso (ma il mio parere è negativo) avrebbe spazio l'istituto della mediazione. Va soddisfatta la domanda di giustizia formale. Ecco allora che non è con gli strumenti tesi a deflazionare il contenzioso che si risolve il problema della Giustizia nel nostro Paese. E poi, perchè si deve deflazionare l'accesso ad un servizio che è capace di muovere rilevanti interessi sul piano economico, che ha un grosso indotto e potenzialità occupazionali? In realtà, stante il grande numero di Avvocati nel nostro Paese, potremmo dirci in grado di dare a tutti i cittadini la possibilità di avere la Giustizia vera e formale che richiedono, senza dover accettare forzatamente degli insoddisfacenti surrogati. Ora, il paradosso è il seguente: c'è indubbiamente una grande domanda di Giustizia, a fronte di una altrettanto grande offerta del relativo “servizio”, ma il sistema non funziona. Se nonostante le difficoltà e la scarsa efficacia del nostro sistema giudiziario il numero dei procedimenti civili è in continua crescita, credo che si debba dare una risposta coerente a tale domanda, senza cercare di dirottarla verso soluzioni non conformi alla nostra esperienza e al carattere dei potenziali fruitori della Giustizia. Insomma, la sfida è quella di trasformare un problema sociale, l'eccessivo numero di Avvocati, in una risorsa per il Paese. È infatti paradossale che da una parte vi sia una forte domanda di giustizia formale e che vi siano anche professionalità adeguate a soddisfare tale domanda, mentre il pensiero political correct è invece nel senso che le cause non si debbano fare e che si debbano invece incentivare gli   strumenti alternativi al processo, come la conciliazione e l'arbitrato.   
La proposta

Se vi sono risorse sufficienti ad assicurare la Giustizia formale, e se la domanda sociale è proprio per tale forma di risoluzione delle controversie e se, infine, tutto ciò può contribuire favorevolmentre al prodotto interno lordo nazionale, non si comprende perchè invece di seguire tale coerente indicazione si cerchino soluzioni tese a comprimere un'esigenza che può invece rappresentare un'opportunità economica. Se gli Avvocati sono in eccesso, lo sono non in assoluto, ma in rapporto all'incapacità del sistema di esitare le cause che gli stessi introducono. Servirebbe un elevato numero di Magistrati per riportare la situazione in equilibrio. Reclutare Giudici onorari non dovrebbe comportare problemi di principio, atteso che già oggi i Giudici onorari sono altrettanti rispetto ai Giudici togati. La garanzia della competenza tecnica può essere risolta affidando tale funzione non già a semplici laureati in Giurisprudenza, come avviene per i Conciliatori, ma ad Avvocati che scelgano di transitare iin un ruolo speciale della Magistratura. Può porsi un problema di indipendenza di tali Giudici onorari, che avendo esercitato in un determinato contesto, possono intrattenere rapporti capaci di viziare la loro terzietà; il problema può essere risolto in diversi modi: sia facendo rinunciare a tali Avvocati a riprendere la professione, sia impiegandoli in distretti diversi; sia ristabilendo, anche in primo grado, la collegialità del giudizio. Molti colleghi avvocati da me intervistati sul tema mi hanno confermato che avrebbero maggiore fiducia in un collegio stabile di tre avvocati piuttosto che nell’attuale sistema che rimette ad un giudice unico il primo grado di giudizio. Quanto ai costi, non dovrebbe stupire la possibilità di accedere ad una Giustizia più rapida ad esempio prevedendo un congruo deposito di soccombenza, ovvero una cifra a fondo perduto. Se l'interesse è ad una Giustizia rapida e le poste in gioco sono notevoli, perché non dare all'attore la possibilità di pagare una Giustizia formale comunque preferibile ai sempre più costosi strumenti arbitrali? I tentativi del legislatore di deflazionare il contenzioso attraverso strumenti alternativi ha creato l’effetto opposto:penso al condono previsto per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti che, nelle incertezze applicative, ha paralizzato l’ordinario svolgimento dei giudizi, e tremo a pensare a ciò che succederà in applicazione della riforma del codice di procedura civile, che ha previsto l’accertamento tecnico preventivo nel giudizio previdenziale, per cui, stando a tale novella, si dovrebbero fare complesse consulenze tecniche preventive anche in assenza degli altri presupposti necessari per il conseguimento della prestazione previdenziale.  Và sicuramente considerata la proposta di estendere a tutti i giudizi il rito del lavoro che, nella sua prassi applicativa, ha prodotto un rito dominato dal giudice che, secondo i casi, nella virtuale unicità dell’udienza può autorizzare o meno ulteriori scritti difensivi a chiarimento di particolari questioni e che, ove vi fosse un adeguato numero di giudici, ben potrebbe garantire la tempestività delle decisioni.  Và infine ribadito che l’unica conciliazione efficace - questa si utile a deflazionare il contenzioso- è quella rimessa ad un giudice informato della causa e non certo quella di un conciliatore che prescinda dalla prospettazione giuridica delle questioni. Ricordo l’abilità di un giudice del lavoro che riuscì a far conciliare un complesso contenzioso, limitandosi ad indicare a ciascuna delle parti i punti deboli delle rispettive difese, senza pronunciarsi nel merito di chi avesse ragione.

(Da Mondoprofessionisti del 25.11.2011)

Duemila avvocati alla Conferenza Nazionale

Tocca quota 2000 il numero degli avvocati in rappresentanza di Ordini e Associazioni che hanno assicurato la presenza, per oggi e domani 26 novembre a Roma alla VII Conferenza nazionale dell'avvocatura dal titolo: “Riforma della giustizia civile e penale: il ruolo essenziale dell’avvocatura”, indetta dall’Organismo Unitario dell’avvocatura-Oua.
Parteciperanno ai lavori esponenti di tutte le forze politiche, del Parlamento europeo, degli Enti Locali (Regioni e Sindaci), dei Consigli degli Ordini degli avvocati di tutta Italia, delle associazioni forensi, della magistratura togata e laica, nonché del mondo dell’Università, delle associazioni dei cittadini e dell’Impresa e dei mezzi di comunicazione. 
Per il presidente dell’Oua, Maurizio De Tilla, “la massiccia, qualificata e variegata partecipazione di delegati alla Conferenza Nazionale conferma la sentita necessità di contribuire in questo momento molto difficile per il Paese alla costruzione di una nuova stagione di riforme che consenta, in particolare, di rendere efficiente ed efficace la macchina giudiziaria, A nostro avviso è necessario ridurre i tempi dei processi, abbattere l’arretrato, ma anche modernizzare la professione forense. Confidiamo molto nella presenza alla Conferenza del nuovo Governo e del neo Ministro della Giustizia, prof. avv. Paola Severino”.

(Da mondoprofessionisti.it)

Responsabilità giudici, la Ue condanna l’Italia

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha bocciato la legge italiana che limita la responsabilità civile dello stato in caso di errori dei giudici nell'applicazione del diritto europeo.
In particolare, secondo la sentenza resa nota oggi (ieri, ndAGANews), è illegittimo che tale responsabilità sia riconosciuta solo nei casi di dolo o colpa grave, deve invece esserlo anche per semplice violazione manifesta del diritto europeo. In pratica, non sono ammessi sconti: i giudici devono conoscere bene le leggi Ue.

(Da Mondoprofessionisti del 24.11.2011)

giovedì 24 novembre 2011

Oggi riunione Commissione Giustizia della Camera

Torna a riunirsi, dopo la crisi di governo e la nascita dell'esecutivo Monti, la commissione Giustizia della Camera.
Oggi alle 14.15 è fissato un ufficio di presidenza che dovrà programmare l'audizione del nuovo Guardasigilli Paola Severino sulle linee programmatiche del dicastero e dovrà decidere cosa fare sui provvedimenti - numerosi e anche particolarmente delicati - di cui è stato avviato l'esame.
Su tutti il ddl anticorruzione, già approvato al Senato. Ma anche la riforma dell'ordine forense. In sospeso anche il 'famigerato' provvedimento sul processo lungo, caro all'ex premier Silvio Berlusconi, e le proposte di legge che, finite sotto il fuoco di una maggioranza bipartisan, non hanno mai avuto vita facile in Parlamento: quella sull'omofobia e quella sul divorzio breve. 
Il Pd chiederà la calendarizzazione del testo, a prima firma di Lanfranco Tenaglia, che modifica il codice di procedura penale prevedendo l'archiviazione nei casi di particolare tenuità del fatto per alleggerire il carico giudiziario evitando le verifiche processuali.

(Da mondoprofessionisti.it)

Ipotesi di censura all’avvocato

Massima
Il danno patrimoniale da perdita di chance è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione "ex ante" da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale (Cass. SS. UU. Civ. sent. 23020 del 7.11.2011)

1. Premessa
La pronuncia in esame ribadisce che, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, definite dalla legge mediante una clausola generale (mancanze nell'esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale), è rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali valutazioni non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza" (1).
Infatti, va rilevato che nell'ambito del procedimento disciplinare, il Consiglio dell'Ordine è tenuto a porre in essere una verifica sulla sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata" tanto che "ove il Consiglio dell'Ordine (lo) ritenga insussistente  non potrà procedere all'applicazione
di una sanzione "lieve" (quale l'ammonimento o la censura) ma dovrà procedere alla cancellazione dall'albo per sopravvenuto venir meno di un requisito di iscrizione.
2. Ipotesi di comportamenti censurabili dell’avvocato e consiglio nazionale forense
L'avvocato che presenti tardivamente un ricorso di opposizione a sanzione amministrativa e tenti di convincere il cliente a presentare ricorso in cassazione per sopperire alla sua negligenza pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo dei canoni di correttezza e lealtà che costituiscono il cardine dell'attività forense e impongono al professionista di tenere i rapporti con il cliente in modo chiaro leale e senza artifìci tali da incriminare il rapporto fiduciario che li lega. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 01/10/2002, n. 167).
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che nella sua qualità di difensore d'ufficio non compaia nell'udienza dibattimentale di due procedimenti e si renda irreperibile il giorno in cui era indicato di turno. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 25/09/2002, n. 146).
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che, in violazione di quanto prescritto dall'art. 14 c.d.f., effettui dichiarazioni false in udienza per indurre il magistrato a un provvedimento vantaggioso per il proprio assistito. (Nella specie l'avvocato dichiarava falsamente che il tribunale della libertà, nei confronti di un coindagato, aveva assunto una misura cautelare più lieve di quella che il magistrato d'udienza avrebbe voluto disporre nei confronti del proprio assistito. È stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 06/09/2002, n. 123).
un giudizio civile, faccia rilevare l'esistenza di un esposto presentato nei confronti dell'organo giudicante, ove la circostanza risulti veritiera e documentata e non vi siano elementi tali da indurre a ritenere fondatamente che l'iniziativa si ponesse lo scopo di influenzare negativamente il giudice o di porlo in condizioni di non svolgere serenamente la propria attività. (Nella specie è stato assolto il professionista a cui era stata inflitta la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 30/08/2002, n. 116).
Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante, e contrario agli obblighi di lealtà e correttezza propri della professione forense, l'avvocato che registri un colloquio con un magistrato all'insaputa di quest'ultimo e che successivamente si adoperi per la pubblica diffusione di tale registrazione. (Nella specie è stata confermata la sanzione disciplinare della censura: Cons. Naz. Forense, 04/11/2000, n. 139).
Costituisce illecito disciplinare l'uso abusivo del titolo
di avvocato e l'esercizio dell'attività professionale al di fuori del distretto, da parte di un procuratore legale effettuato antecedentemente alla l. n. 27 del 1997; infatti tale disposizione normativa, che ha sostituito il titolo di avvocato a quello di procuratore, non costituisce certamente "ius superveniens" rilevante ai fini del giudizio disciplinare in corso, e non ha neppure efficacia retroattiva, nè effetto sanante per l'infrazione precedentemente commessa. (Nella specie è stata inflitta la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 07/10/2000, n. 100).
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che usi abusivamente il titolo di avvocato a nulla rilevando che il termine di "avvocato" sia stato correntemente attribuito all'esercente l'attività forense, e che il termine "procuratore legale" sia stato sostituito con quello di avvocato, essendo tale sostituzione successiva all'infrazione commessa. (Nella specie la sanzione della sospensione per mesi due è stata sostituita con la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 10/03/1999, n. 14).
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che rappresenti in giudizio una parte nei confronti della quale il proprio coniuge abbia formulato richieste di condanna (tanto più in quanto questi svolga l'attività professionale nell'ambito dello stesso studio), ed altresì, sostituisca in udienza il collega rappresentante di altra parte processuale, anche se questa abbia assunto una linea difensiva di piena adesione alla tesi della propria assistita. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 29/09/1998, n. 123).
Pone in essere un comportamento deontologicamente scorretto l'avvocato che si faccia intestare una quietanza ed il relativo assegno in modo da poter poi auto - liquidare il proprio compenso. (Nella specie la sanzione della sospensione per mesi due è stata sostituita con la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 16/12/1997).
Pone in essere un comportamento rilevante deontologicamente l'avvocato che condizioni la prosecuzione dell'assistenza legale al versamento di somme particolarmente elevate ed addebiti al cliente, dopo la rinuncia al mandato, una ingente spesa per attività non richiesta svolta da società fiduciaria avente sede presso il proprio studio. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura: Cons. Naz. Forense, 11/12/1997).

Rocchina Staiano Docente Università Teramo (da diritto.it del 21.11.2011)

mercoledì 23 novembre 2011

Ricorso inammissibile se l'avvocato cambia indirizzo e la notifica non va a buon fine

Il ricorso è inammissibile se la notifica del ricorso va a vuoto, perché la parte lo invia al vecchio domicilio del procuratore della controparte; e ciò senza che sia possibile sanare l’omessa notifica, non verificandosi le necessarie condizioni di causa di forza maggiore o di caso fortuito. A stabilirlo è la Corte di cassazione, con la sentenza n. 22329/2011.
Il caso. Un Comune era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, a risarcire il proprietario di un fondo, oggetto di occupazione acquisitiva, utilizzato per la realizzazione di un mattatoio. Nel notificare il ricorso per cassazione, il comune aveva tratto l’indirizzo dell’avvocato della controparte da una pubblicazione cartacea dell'albo professionale aggiornata al 31 dicembre 2008. L’avvocato, però, nel mentre aveva cambiato domicilio fin dal marzo 2009, ottenendo tempestivamente l’annotazione del nuovo indirizzo da parte dell’Ordine . E quindi la notifica era andata a vuoto.
Il giudizio di legittimità. Secondo la Cassazione, l'indicazione del luogo di consegna dell'atto, oltre che indispensabile al buon esito della notifica, costituisce un requisito essenziale all'identificazione del destinatario di essa; per cui, nel caso di richiesta all'ufficiale giudiziario di notifica dell'impugnazione nel domicilio di un procuratore esercente l'attività nell'ambito della circoscrizione di assegnazione, tale requisito deve essere assicurato con l'indicazione del «domicilio professionale» o della «sede dell'ufficio» del procuratore. Inolte, a nulla vale la mancata comunicazione del mutamento del domicilio anche in giudizio, stante l’adeguatezza delle annotazioni nell'albo professionale a soddisfare in ambito locale le esigenze processuali di conoscenza del domicilio del procuratore. Pertanto, poichè il ricorrente avrebbe potuto agevolmente prendere contezza del’indirizzo aggiornato tramite la rapida consultazione degli albi, disponibili anche per via telematica, la Suprema Corte ha accolto l'eccezione di inammissibilità sollevata dagli intimati, condannando il Comune anche al pagamento delle spese.

(Da avvocati.it del 22.11.2011)

Moglie controparte? L’avvocato rinunci

La Cassazione conferma la sospensione dall’esercizio di un legale
che rappresentava una cliente nei confronti della società della coniuge

Il consiglio nazionale forense ha inflitto una sanzione disciplinare con la sospensione dall'esercizio della professione per cinque mesi a un avvocato che si sarebbe reso responsabile della violazione degli articoli 16 e 37 del Codice deontologico forense per aver svolto attività di mediazione e aver prestato assistenza professionale in situazione di conflitto di interessi.
L'avvocato decide di ricorrere in Cassazione contro il provvedimento sanzionatorio eccependo di non essere incorso in alcun conflitto d'interessi "da una parte la persona (sua cliente) che poi lo ha denunciato e dall'altra una società che faceva capo alla moglie e alla suocera". La tesi difensiva si basava su questo assunto: il cliente dell'avvocato non avrebbe subito alcun danno dalla situazione di conflitto potenziale.
La Corte di Cassazione, rifacendosi alla disposizione del giudice disciplinare, risponde che "l'illecito si consuma con il verificarsi della situazione che mette a rischio il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente". La possibilità del rischio, dunque, è sufficiente a far scattare il provvedimento sanzionatorio.
L'articolo 37 del Codice di deontologia forense, infatti, intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell'operato dell'avvocato e, quindi, perché si concretizzi l'illecito, basta che potenzialmente l'opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte.
"Facendo riferimento alle categorie del diritto penale, l'illecito contestato all'avvocato è un illecito di pericolo e non di danno": dunque, l'asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell'illecito contestato.

Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 22.11.2011)

martedì 22 novembre 2011

Adesso siamo fritti!!!

La madrina della mediaconciliazione
e il nemico giurato degli ordini nel governo

Augusta Iannini, madre e madrina della Media conciliazione obbligatoria e Antonio Catricalà, ex Presidente della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, storico sostenitore della concezione delle professioni intese come imprese commerciali e non certo amico degli Ordini Forensi. A Torino, il Dr. Catricalà, in occasione del 46° anniversario del notariato ha affermato che la liberalizzazione delle professioni potrebbe portare ed un aumento del 1,5% del PIL, ovvero 18 miliardi di Euro in pochi anni. Ha sostenuto che occorre integrare gli Ordini con i “rappresentanti dei consumatori” ed anticipare il più possibile il tirocinio. Ha aggiunto che bisogna riformare le professioni e non restare legati agli esami di abilitazione che non sono sempre garanzie di qualità. Vincenzo Boccia v.Presidente di Confindustria ha chiesto di mettere da parte le tariffe minime perché le imprese sonno riconoscere tra un costo ed un investimento e sanno dare un valore alle prestazioni professionali. Il più onesto è stato il direttore della Agenzia delle entrate Attilio Befera, anche egli cooptato nel nuovo governo, ha riconosciuto che il notariato (e l'Avvocatura diremo noi) è quello che più contribuisce alla copertura della spesa pubblica ed ha aggiunto: “Io rappresento il socio di maggioranza dei vostri studi”. Il Presidente dell'Antitrust, (pur disponendo 277 dipendenti - ed insegnando pure in una scuola forense – come ha affermato Mario Calderone Presidente del CUP) non ha mai presentato uno studio economico-statistico a prova delle sue affermazioni. Per quanto riguarda le tariffe (che riguardano non solo le imprese, ma tutti i cittadini) minime e massime esse sono una garanzia per le parti più deboli nei confronti delle parti più forti e così pure gli Ordini quando esplicano il potere disciplinare. Non è inutile aggiungere che se aboliamo gli Ordini e la loro funzione disciplinare nei confronti degli avvocati, questo potere disciplinare verrebbe automaticamente affidato alla magistrature civile ed a quella penale con la conseguenza che l'avvocato che deve difendere i cittadini si troverebbe spesso in conflitto con i giudici e pubblici ministeri che lui, per la ragione del suo ufficio, è chiamato a contrastare. E questo sarebbe un gravissimo limite alla libertà ed indipendenza dell'avvocato durante la difesa del cittadino nei confronti della pubblica accusa.Purtroppo da queste riforme, tutt'altro che liberali, c'è da avere paura. I poteri forti, la vera casta del potere che comandava di fatto sotto tutti i Governi ed i ministri senza peraltro rispondere nei confronti del popolo in quanto il loro potere passava tramite i rappresentanti eletti, ora, avendo occupato anche il posto di questi ultimi il loro potere è assoluto ed irresponsabile. Rimane il Parlamento, ultima spes. Ma è necessario ora fare testuggine, ma agire con flessibilità: Occorre che i Presidenti del CNF e dell' OUA vadano a colazione insieme ed agiscano all'unisono come fosse vera l'affermazione fatta di Bruno Vespa in una recente trasmissione in cui ha detto che l'Avvocatura è una delle fortissime caste o lobbies.

Paolo Emilio Comandino (da Mondoprofessionisti del 22.11.2011)

Fino a 600 mila sentenze l’anno scritte dagli avvocati

Da 200mila a 600mila sentenze all’anno scritte dagli avvocati. E società tra professionisti senza soci di puro capitale, per garantire l’indipendenza degli avvocati chiamati alla tutela dei diritti dei cittadini.  L’Agenda dell’Officina dell’avvocatura parte da queste due emergenze, per arrivare ad affrontare anche la questione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie e misure a favore dei giovani e delle donne avvocato. Il 17 novembre a Roma, per iniziativa del Consiglio nazionale forense, si è tenuta la prima riunione operativa dell’Officina, deliberata nella riunione di Ordini e Associazioni che si è tenuta il 12 novembre scorso presso la camera de deputati. L’obiettivo della riunione era quello di fare un giro di tavolo tra le componenti dell’avvocatura sulle priorità individuate dal Cnf e fissare un calendario di incontri su singoli temi, sui cui impegnare le commissioni di lavoro. Circa l’impegno degli avvocati a contribuire a smaltire l’arretrato civile per restituire efficienza al sistema giustizia, le stime avanzate vanno da un contributo minimo, offerto da 10mila avvocati che potrebbero esaminare i fascicoli e predisporre due sentenza a mese, per un totale di 200mila sentenze all’anno ad un impegno massimo richiesto a 30mila avvocati, che potrebbero arrivare ad evadere 600mila cause all’anno. Sulle società di capitali previste dalle legge di stabilità la posizione dell’avvocatura è chiara: i soci di capitale, per di più potenzialmente in posizione maggioritaria sono considerati un gravissimo pericolo per l’autonomia dei professionisti e per la tutela effettiva dei diritti dei clienti/assistiti. Gli avvocati diventerebbero dipendenti dei poteri economici e i cittadini non avrebbero più difensori liberi e indipendenti. “E’ utile che gli avvocati dispongano di forme aggregative di svolgimento della professione oltre all’associazione professionale. Per questo è necessario rivedere la normativa delle Stp, in vigore dal 2008, per renderle appetibile anche dal punto di vista fiscale”, ha riferito Alpa, che ha evidenziato tutte le contraddizioni e le incognite contenute nella legge di stabilità sul punto specifico.

(Da Mondoprofessionisti del 21.11.2011)

lunedì 21 novembre 2011

Benvenuta PEC

Nella indifferenza (o inconsapevolezza) generalizzata, lo scorso fine settimana si è realizzato il passaggio dalla PCEPCT alla PEC ordinaria nel processo telematico.
L'ordine, infatti, ha provveduto ad inviare il file xml con tutti gli indirizzi di PEC degli avvocati al ministero, evitando così il minacciato commissariamento per gli ordini indadempienti!
Tutti gli avvocati che hanno comunicato l'indirizzo di PEC all'ordine devono aver ricevuto una comunicazione del Ministero, che avvisa dell'avvenuta acquisizione dell'indirizzo di PEC nel Registro generale degli indirizzi elettronici (Reginde) del Ministero.
Quando anche le cancellerie e segreterie avranno l'indirizzo di PEC previsto dalle specifiche tecniche del 18.7.2011, le comunicazioni a valore legale potranno essere effettuate.
Fino a quel momento le comuniucazioni con PEC non hanno valore legale, a dispetto delle nuove norme del CPC che obbligano a tale forma di comunicazione.
Con questo passaggio, tutte le cancelleria telematiche vedranno gli indirizzi di PEC degli avvocati e potranno inviare le comunicazioni senza bisgono di andare a cercare la PEC dell'avvocato in atti o elenchi diversi.
Allora, a cosa serve continuare a chiedere agli avvocati di inserire l'indirizzo di PEC negli atti, a pena di sanzioni, aumenti di contributo unificato e via di seguito?

Avv. Stefano Bogini (da telediritto.it del 21.11.2011)