giovedì 28 marzo 2013

BUONA PASQUA!


Anche AGA News va in ferie
per le festività pasquali.
Nell'augurare pace e serenità
a tutti i Colleghi ed ai loro familiari,
diamo appuntamento a Martedì 2 Aprile.
Buona Pasqua!

Nesso causale tra infortunio mortale e lavoro

Cass. Civ. Sez. Lavoro, sent. n. 821 del 15.1.2013

Massima
Il vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, è sussistente quando, nel ragionamento del giudice di merito, possono essere rinvenute tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio.
Ancora nel caso in cui esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
Da ciò ne consegue che le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che
rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata.

mercoledì 27 marzo 2013

Sul processo civile telematico

La Legge di Stabilità 2012 ha disposto, a far data dal 30.06.2014, l’obbligatorietà del deposito in via telematica degli atti processuali nei procedimenti civili.
Questo primo intervento dà inizio a una serie di articoli volti a (tentare di) far chiarezza sul processo civile telematico, affrontando, in primis, gli aspetti generali per poi analizzare, nei successivi interventi, più specifici, le regole meramente pratiche ai fini di un corretto utilizzo del futuro sistema informatico-processuale.
Trattasi, in poche parole, della possibilità e, dal prossimo giugno 2014, dell’obbligatorietà dell’utilizzo della telematica per il deposito di tutti gli atti processuali, dall’atto introduttivo, ai documenti formanti il fascicolo, alle memorie e, insomma, a ogni atto che le parti vorranno far confluire nel fascicolo processuale.
Il Processo Civile Telematico o anche conosciuto secondo l’ormai noto acronimo “PCT”, rappresentando una vera e propria rivoluzione nell’attuale sistema, consiste in un insieme di nuove regole atte a disciplinare le fasi del processo in maniera diversa e assolutamente nuova rispetto a quanto fin ad ora concepito dal codice di rito.
L’attuazione del nuovo sistema, apportando notevoli migliorie ai servizi giudiziari, consentirà l’esecuzione di operazioni quali, oltre al deposito degli atti, la trasmissione delle notifiche e comunicazioni, la consultazione dello stato dei procedimenti, dei fascicoli e dei provvedimenti del Giudice, col semplice uso della via telematica.
Il PCT fonda le proprie radici normative nel D.P.R. 13.02.2001 n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti) che ha introdotto il processo civile telematico nel nostro ordinamento, ed il suo sviluppo nella normazione successiva, quale il D.Lgs. 30.06.2003 n. 196 (Codice della Privacy), il D.P.R. 11.02.2005 n. 68 (Regolamento P.E.C.), il D.Lgs. 7.03.2005 n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), ed il più recente D.L. 29.12.2009 n. 193, (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), il D.M. 21.02.2011 n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel processo civile e penale) successivamente modificato dal D.M. 15.12.2012, n. 209, fino alla Legge di Stabilità n. 228/12 che, con l’art.1, aggiunge al D.L. n. 179/12 (Decreto Crescita), l’art. 16-bis (Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali).
Gli obiettivi auspicati con il PCT, saranno non solo la riduzione della dimensione cartacea del processo civile a vantaggio di quella virtuale, ma anche una razionalizzazione dei servizi di cancelleria oltreché una drastica riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti giudiziari.
Per non parlare, poi, dei benefici che interesseranno tutti i protagonisti della Giustizia con l’attuazione del processo civile telematico.
Ebbene, gli avvocati riusciranno a depositare gli atti giudiziari e monitorare l’iter dei procedimenti con un semplice “click”, rimanendo comodamente nel proprio studio senza più dover accedere fisicamente nelle Cancellerie dei Tribunali, eliminando (finalmente) code, ritardi, fastidi, ricerca dei fascicoli tra gli scaffali, ecc.
Con la virtualizzazione del processo, anche il personale di cancelleria potrà dedicarsi alle attività più qualificate di assistenza alla giurisdizione e non esclusivamente alla gestione dei fascicoli. Da anni, gli avvocati sono costretti a supportare il giudice nella stesura del verbale di udienza, pur essendo, secondo quanto previsto dal codice di rito, un atto tipico del cancelliere.
Dal canto loro, i magistrati riusciranno ad ottenere una struttura di supporto (banche dati e archivi di sentenze persino locali) che sarà non solo un adeguato ausilio per la formazione delle decisioni anche in termini qualitativi, ma perfino una soluzione all’eccessivo carico pendente che quotidianamente sono costretti a fronteggiare.
Senza dubbio, poi, il PCT rappresenterà, finalmente, una garanzia di trasparenza delle regole adottate dal Giudicante nella conduzione del processo civile.
Inoltre, con il sistema telematico, saranno rese disponibili tutte le informazioni sui giudizi pendenti, consentendo di elaborarle e trattarle immediatamente, secondo le esigenze degli operatori del diritto.
È innegabile come lo strumento informatico permetta, anche ai meno esperti, di effettuare in pochi secondi ricerche anche complesse, estrazioni di dati, controlli, che sul sistema cartaceo sarebbero impensabili e richiederebbero molto più tempo.
Ebbene, l’avvento del PCT non potrà che portare giovamento al Sistema Giustizia, senza tralasciare il risparmio economico e del nostro tempo.
Il sogno (speranza) di vedere uffici giudiziari funzionanti, funzionali e qualitativamente attrezzati potrà, finalmente, diventare realtà.
Se pensiamo quanto radicalmente il computer abbia già cambiato il nostro modo di operare e di agire nel mondo del diritto, ci rendiamo conto come sia errata ogni eventuale ritrosia (pure da qualcuno manifestata) alle novità portate dal PCT. Certamente anche i più scettici si dovranno ricredere, e, dunque, armiamoci e partiamo …
PS.: senza voler pretendere di esaurire l’argomento o di essere sempre esaustivi, nei prossimi interventi entreremo nella pratica del PCT, dalle singole fasi, ai mezzi necessari per operare in conformità della normativa, fino agli interventi della magistratura che sul punto già si è (a volte anche discutibilmente) pronunciata.

Roberto Di Francesco (da cassaforense.it)

CNF e OUA per rinvio revisione geografia giudiziaria

Dal Consiglio Nazionale Forense (CNF) un appello fermo all’Esecutivo e al nuovo Parlamento (cfr. AGANews del 26.3.2013) affinché, «senza indugio» dispongano la «necessaria e congrua proroga» del termine di entrata in vigore della revisione della geografia giudiziaria, prevista per il 13 settembre 2013. A quella data, infatti, sarà interrotta l’attività di 31 Tribunali e di 220 sezioni distaccate.
La richiesta è stata avanzata formalmente dal CNF con una lettera recapitata al Ministro Guardasigilli, dopo una valutazione attenta dei possibili scenari conseguenti ai numerosi ricorsi di incostituzionalità della normativa che pendono dinanzi alla Corte Costituzionale.
Il CNF ricorda infatti che l’8 ottobre 2013 sarà discussa davanti alla Consulta la questione di legittimità del D.Lgs. 155/2012, sollevata dal Tribunale di Pinerolo. Si tratta della prima di una nutrita serie di questioni pendenti presso la Consulta.
Questioni di opportunità, pertanto, suggerirebbero di attendere gli esiti dei giudizi costituzionali per evitare possibili, se non addirittura probabili, impasse istituzionali; nel frattempo, il CNF ritiene indispensabile la promozione di un progetto di revisione della geografia giudiziaria che garantisca il pieno esercizio della funzione giurisdizionale.
Sottolinea ancora il CNF come la situazione sia aggravata dal fatto che i giudici del lavoro stanno affrontando numerosi ricorsi da parte di dipendenti amministrativi contro la procedura di interpello. Mentre, dunque, vi sono molte questioni pendenti davanti ai giudici di merito e di legittimità, «circostanza ancor più discutibili e grave» è rappresentata dal fatto che già vengono autorizzati trasferimenti di giudici togati dagli uffici sopprimendi ad altre sedi extradistrettuali. Un’accelerazione che il CNF non apprezza, condividendo preoccupazioni e disagi che affliggono gli operatori di giustizia e i cittadini dei territori interessati.
Intanto anche l’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA), nel preannunciare per il prossimo 6 aprile un incontro nazionale a Roma contro il taglio irrazionale e incostituzionale di circa 1000 uffici giudiziari, denuncia ancora una volta l’illegittimità dei provvedimenti con i quali molti Presidenti di Tribunale stanno di fatto anticipando l’entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria, avocando da subito alla sede centrale competenze e procedimenti di pertinenza delle sezioni distaccate. Ciò che costituisce una palese violazione del stesso provvedimento varato dal ministero (D.Lgs. 155/2012), che fissa al 13 settembre 2013 l’entrata in vigore della riforma, creando disagi e confusione tra gli addetti ai lavori e i cittadini. D’altra parte, come sottolineato anche dall’OUA, le numerose ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale consiglierebbero, più che accelerare immotivatamente i tempi, una sospensione dell’entrata in vigore della riforma in attesa della pronuncia della Consulta, avendo questa già fissato un’udienza per il prossimo 8 ottobre.

Anna Costagliola (da diritto.it del 27.3.2013)

GDP GULLOTTA, UDIENZE RINVIATE

Come in precedenza annunciato su AGA News, ricordiamo ai Colleghi che le udienze del Giudice di Pace di Giarre Avv. Gaetano Gullotta, già previste per domani giovedì 28 Marzo e per martedì 2 Aprile, sono state rinviate d'Ufficio a giovedì 4 Aprile 2013.

Inoperativa polizza assicurativa per danni pregressi

Responsabilità professionale: è inoperativa la polizza assicurativa se il risarcimento consegue a danni pregressi. 
È la decisione della terza sezione civile della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 7273 del 22 marzo 2013, ha rigettato il ricorso di un avvocato volto ad essere manlevato dalla propria compagnia di assicurazione per danni derivanti da responsabilità professionale.
Nella fattispecie, il legale era stato convenuto, dinanzi al Tribunale, al fine di essere condannato al risarcimento dei danni per responsabilità professionale con riferimento ad una procedura esecutiva immobiliare dichiarata estinta a causa dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito vantato dall’attrice nei confronti di eredi.
Il legale, costituitosi in giudizio, aveva contestato il fondamento della domanda ed aveva esteso il contraddittorio nel confronti della propria compagnia di assicurazione, al fine di essere garantito in forza di polizza per la responsabilità civile professionale. Tuttavia, quest’ultima, costituitasi, eccepiva l’inoperatività della garanzia assicurativa.
Condannato in primo grado al risarcimento dei danni, e manlevato dalla compagnia di assicurazione, in secondo grado la Corte di appello territorialmente competente non solo condannava il legale al pagamento di una maggiore somma nei confronti della propria cliente, ma rigettava anche la domanda di manleva avanzata nei confronti della compagnia di assicurazione.
Proposto ricorso per cassazione, la Corte ha confermato l’inoperatività della polizza assicurativa, come sostenuto nella sentenza di secondo grado. “La polizza assicurativa stipulata dal legale – affermano i giudici di Palazzo Cavour – decorreva dal primo giugno 1995, mentre i fatti e le circostanze che hanno cagionato un danno all’appellante si collocano temporaneamente alla data nella quale è stato stipulato il contratto. La procedura esecutiva promossa dalla cliente era già stata dichiarata estinta il 27 settembre 1992. Ciò prova che lo stipulante, quando sottoscrisse la polizza con la compagnia di assicurazioni (il primo giugno 1995), era ben conscio che i danni per cui oggi si discute si erano già verificati e che, con notevole probabilità, sarebbe stato chiamato a risponderne”.
A nulla è valso sostenere che la polizza assicurativa prevedeva un regime di operatività c.d. claims made, in forza della quale ha rilevanza la data della richiesta risarcitoria indipendentemente dalla data dell’errore o della negligenza. Infatti, in merito a tale punto i giudice hanno affermato che “tali clausole pongono a carico dell’assicurato l’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento della sottoscrizione della polizza assicurativa. L’inoperatività della garanzia è stata affermata per la violazione proprio di dette clausole”.

Biancamaria Consales (da diritto.it del 26.3.2013)

martedì 26 marzo 2013

Danno non patrimoniale, aumenti in tabella

Da 96 a 144 euro per un giorno d'inabilità assoluta
Adeguati all'aumento del costo della vita
anche i parametri per risarcire la perdita
del rapporto parentale, da applicare caso per caso

Via libera alle tabelle 2013 del tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale. Il valore monetario di liquidazione del danno non patrimoniale per un giorno di inabilità assoluta ammonta ora a 96 euro, che con l'aumento personalizzato possono arrivare fino a 144, contro il range di 91-136 euro di due anni fa.
Le tabelle dell'ufficio giudiziario ambrosiano sono state indicate dalla Cassazione con un ottimo standard applicabile nei tribunali di tutto il Paese. Il via libera è arrivato dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano in una recentissima riunione, dopo che in quella del 6 marzo scorso è stato previsto l'aggiornamento dei valori di liquidazione in base agli indici Istat, come già avvenuto in passato: gli importi, dunque, sono stati incrementati del 5,6 per cento sui valori ricavati dalle variazioni del costo della vita fra il 2011 e il 2013. Come già accaduto due anni orsono, i valori sono stati poi arrotondati a un euro nella tabella sui danni da lesione permanente e temporanea all'integrità psico-fisica e alla decina di euro nella tabella sui danni da perdita e grave lesione del rapporto parentale. Confermando la sua linea l'Osservatorio meneghino propone la liquidazione congiunta dell'intero danno non patrimoniale "temporaneo" derivante da lesione alla persona. E per il ristoro del danno non patrimoniale "temporaneo" complessivo corrispondente a un giorno d'invalidità temporanea al 100 per cento si continua a indicare una forbice di valori monetari, compresa appunta fra 96 e 144 euro.
Ottengono l'adeguamento anche i parametri per il ristoro del danno da perdita del rapporto parentale in favore di:
ciascun genitore per la morte di un figlio: da 163.080 a 326.150 euro;
figlio per la morte di un genitore: da 163.080 a 326.150 euro;
coniuge (non separato) o del convivente sopravvissuto: da 163.080 a 326.150 euro;
fratello per la morte di un fratello: da 23.600 a 141.620 euro;
nonno per la morte di un nipote: da 23.600 a 141.620 euro.
La forbice predefinita consente di tenere conto di tutte le circostanze variabili del caso concreto, innanzitutto della qualità e dell'intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta; ma anche la sopravvivenza o meno di altri congiunti, il rapporto di convivenza o meno di questi ultimi, e la qualità e l'intensità della relazione affettiva residua. Non resta, dunque, che aspettare la prima applicazione delle tabelle.

Dario Ferrara (da cassazione.net)

lunedì 25 marzo 2013

CONDOGLIANZE AL PRESIDENTE MAGNANO

L'Associazione Giarresi Avvocati
si unisce al dolore del Presidente dell'Ordine Avvocati di Catania,
Avv. Maurizio Magnano di San Lio,
per la scomparsa della madre
SANTUZZA SPINA.
Al carissimo Presidente ed ai familiari
tutti le nostre più sentite condoglianze.

ANCHE C.N.F. PER PROROGA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA

Necessaria la proroga dell'entrata in vigore
della revisione della geografia giudiziaria
in attesa della decisione della Corte Costituzionale

Un “appello fermo” all’Esecutivo e al nuovo Parlamento affinché, “senza indugio” dispongano la “necessaria e congrua proroga” del termine di entrata in vigore della revisione della geografia giudiziaria, prevista per il 13 settembre 2013.  A quella data, sarà interrotta l’attività di 31 tribunali e di 220 sezioni distaccate. La richiesta è stata avanzata formalmente dal Cnf con una lettera recapitata oggi al ministro guardasigilli, dopo una valutazione attenta, nella seduta amministrativa di venerdì 22 marzo, dei possibili scenari conseguenti ai numerosi ricorsi di incostituzionalità della normativa che pendono dinanzi alla Corte Costituzionale. Questioni di opportunità, dunque, suggerirebbero di attendere gli esiti dei giudizi costituzionali per evitare possibili, se non addirittura probabili, impasse istituzionali;  e, nel frattempo, di promuovere un progetto di revisione della geografia giudiziaria che garantisca il pieno esercizio della funzione giurisdizionale Il Cnf ricorda infatti che l’8 ottobre 2013, cioè appena poco più di 20 giorni dopo l’entrata in vigore della soppressione delle sedi giudiziarie, sarà discussa davanti alla Consulta la questione di legittimità del decreto legislativo 155/2012 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero), sollevato dal Tribunale di Pinerolo. Si tratta, peraltro, della prima di una nutrita serie di questioni pendenti presso la Consulta.  Non solo. I giudici del lavoro stanno affrontando numerosi ricorsi da parte di dipendenti amministrativi contro le procedura di interpello. Mentre, dunque, vi sono molte questioni pendenti davanti ai giudici di merito e di legittimità, “circostanza ancor più discutibili e grave”, vengono autorizzati trasferimenti di giudici togati dagli uffici sopprimendi ad altre sedi extradistrettuali. Una accelerazione che il CNF non apprezza, condividendo preoccupazione e disagio che affligge gli operatori di giustizia e i cittadini dei territori interessati: “In questo modo, da un lato l’accesso alla giurisdizione viene compromesso ben prima delle soppressioni e, dall’altro, si calpesta il diritto dei cittadini di quelle circoscrizioni ai servizi loro dovuti”.

(Da Mondoprofessionisti del 25.3.2013)

Anagrafe dei conti correnti: arriva il fisco senza segreti

L’Agenzia Entrate con l’anagrafe dei C/c controllerà i cittadini

Ci siamo, l’anagrafe dei rapporti finanziari, pensata dalla legge n.214 del 22 dicembre è pronta. Le prime cifre che verranno valutate dall’amministrazione finanziaria riguarderanno proprio tale periodo di imposta, che verranno sottoposti alla verifica e selezione da parte dell’amministrazione con la finalità di cominciare una attività di controllo nei riguardi, verosimilmente, di quelli che risulteranno aver dichiarato un reddito troppo basso rispetto alle movimentazioni e alle disponibilità risultanti.
L’obiettivo reale che sta dietro a questo percorso è la volontà di rivelare anche mediante l’uso l’impiego del redditometro quelle situazioni reddituali che non sono compatibili rispetto ai dati finanziari e particolare attenzione sarà rivolta anche a chi, svolgendo una attività soggetta agli studi di settore, risulterà non aderire con i parametri stilati da Gerico.
Dunque inizia a concretizzarsi una linea di accertamento condivisibile, almeno a livello concettuale, ma che presenta l’interrogativo del reale utilizzo e delle problematiche che potrebbero provenire in merito ai periodi di imposta 2009 e 2010, anni sottoposti all’indagine del nuovo redditometro, ma senza il supporto delle nuove comunicazioni periodiche dei dati di natura finanziaria.
In questo modo si va formando il mosaico delle nuove ipotesi illustrato dal decreto legge n.201 del 2011 (convertito nella l. 214/2011) nel quale erano dichiarati alcuni principi validi, nella fattispecie, per gli accertamenti rivolti alle persone fisiche; infatti si affermava l’obbligo, in capo agli intermediari finanziari, di trasmissione periodica all’anagrafe tributaria delle movimentazioni che hanno riguardato i rapporti in essere e di ciascuna informazione riguardante i suddetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché dell’importo delle operazioni.
Le informazioni trasmesse sono impiegate dall‘amministrazione finanziaria per l’elaborazione da parte della stessa, sulla base di specifici parametri selettivi di specifiche liste di contribuenti a maggior rischio di evasione. La finalità, tra l’altro, non è solo fiscale ma anche “sociale” in quanto le informazioni che giungono  all’amministrazione finanziaria possono essere usate per la verifica dei dati Isee.
La domanda a cui rispondere è che tipologia di attività concreta e nei riguardi di chi può effettuare la verifica l’Agenzia delle Entrate e, per questa finalità saranno i dati che verranno comunicati. Ad almeno una parte di tali questioni si può fornire un chiarimento controllando il contenuto del provvedimento e il rispettivo allegato.

(Da leggioggi.it del 25.3.2013)

Termine al primo giorno non festivo: vale per il sabato?

Trib. Rovigo, sez. Adria, ordinanza 14.2.2013

L’ordinanza ribadisce l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia di scadenza di applicazione dell’art. 155, comma IV, c.p.c.
Come è noto tale norma statuisce che la proroga prevista dal quarto comma della medesima norma, relativa alla scadenza del termine in un giorno festivo, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato. Il comma successivo, però, precisa che resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa.
La norma è stata ritenuta dalla giurisprudenza come inapplicabile ai termini da calcolarsi a ritroso, caso in cui il termine deve essere anticipato al primo giorno feriale. Ciò in quanto nei termini a ritroso la parte che viene tutelata non è quella che deve porre in essere l’atto, ma la controparte, la quale, come è scritto nell’ordinanza in commento, “deve avere uno spatium deliberandi minimo individuato dalla legge”.
Infatti, qualora il termine riguardi la costituzione in giudizio, la formulazione di una domanda riconvenzionale, di eccezioni non rilevabili d’ufficio o la chiamata in causa di terzi deve essere data all’attore l’opportunità di esaminare tempestivamente l’atto e di formulare le domande ed eccezioni conseguenti nel termine di venti giorni, ritenuto congruo dal Legislatore.
L’ordinanza, tra l’altro, ripercorre gli orientamenti che si sono contrapposti nella giurisprudenza di merito con riferimento al caso di costituzione in giudizio nella giornata:
    un primo orientamento ha ritenuto la sussistenza di una piena equiparazione tra la giornata festiva ed il sabato, con la conseguenza che la costituzione in giudizio, nell’ipotesi in cui il sabato rappresenti il ventesimo giorno antecedente la prima udienza, dovrebbe avvenire il venerdì precedente;
   un secondo orientamento, invece, ha ritenuto che è possibile l’estensione della disciplina di postergazione del termine al primo giorno non festivo per i soli termini “a decorrenza successiva”.
Tale interpretazione è stata ritenuta dal Tribunale di Rovigo, Sezione distaccata di Adria, più corrispondente al dettato normativo e, di conseguenza, maggiormente condivisibile, anche alla luce del successivo comma VI.
Proprio quest’ultima norma, infatti, di carattere eccezionale, ci ricorda come il Legislatore non ha voluto la piena equiparazione del sabato alle giornate festive.

(Da Altalex del 26.2.2013. Nota di Elena Salemi)

Violenza sessuale anche ''a distanza''


Cass. Pen., sez. III, sent. 26.9.2012 n° 37076

La sentenza n. 37076/2012 della Cassazione Penale viene segnalata per l’affermazione di sussistenza del reato di violenza sessuale avvenuto a distanza.
I fatti descrivono la condotta di un soggetto che contattava via chat alcune minorenni per farsi inoltrare delle fotografie a contenuto pornografico ritraenti le medesime.
Ebbene, è emerso che l’invio in più riprese delle foto in questione avveniva anche dietro minaccia verso una delle ragazze; sicché lo stesso autore veniva condannato per i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 600 ter, comma 1, c.p. (capo a), 81 cpv., art. 609 bis e ter, comma 1, n. 1, c.p. (capo b), 81 cpv., art. 609 bis e ter, comma 1 n. 1, c.p. (capo c), 629 c.p. (capo d) e 81 cpv., 56 e 629 c.p. (capo e).
In particolare, degno di nota è l’affermazione secondo cui è ben possibile la configurazione del reato di cui all’art. 609 bis allorché lo stesso venga consumato tramite chat e difettando della contestualità spaziale dei soggetti coinvolti.
Invero, secondo la Cassazione “l'art. 609 bis, comma 1, c.p. sanziona la condotta di “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”; allo stesso modo, il comma 2 della stessa norma contempla, quale illecito penale, la condotta di “chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali” con le modalità poi specificate dai numeri 1) e 2). È pertanto evidente che il reato di violenza sessuale non è esclusivamente caratterizzato dal contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ma può estrinsecarsi anche nel compimento di atti sessuali che lo stesso soggetto passivo, a ciò costretto o indotto dal soggetto attivo, compia su se stesso su terzi. Per tali ragioni, del resto, questa Corte ha da tempo affermato che l'attività di prostituzione che si caratterizzi per atti sessuali che la persona retribuita a tal fine compia appunto su se stessa o su terzi ben può essere svolta “a distanza', ovvero a fronte della presenza in due luoghi diversi del soggetto richiedente e del soggetto richiesto, come ad esempio, di prestazione richiesta ed effettuata per via telefonica (Sez. 3, n. 7368 del 18/01/2012, L. e altro, Rv. 252133) o attraverso internet (Sez. 3, n. 15158 del 21/03/2006, P.M. in proc. Terrazzi, Rv. 233929 in caso di prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza via web - chat).
Ben può, dunque, il reato di violenza sessuale, consistente nel compimento, come nella specie, da parte della persona offesa, di atti sessuali su se stessa, essere commesso anche a distanza, ovverossia a mezzo telefono o di altre apparecchiature di comunicazione elettronica (cfr. Sez. 3, n. 12987 del 03/12/2008, dep. 25/03/2009, Brizio, Rv. 243090).
Del resto, non vi è dubbio che la norma (con riferimento, evidentemente, ad atti sessuali compiuti dalla persona offesa su se stessa o anche su terzi diversi dal soggetto attivo) non richieda, all'interno dell'elemento oggettivo del reato, che tra soggetto attivo e passivo vi sia contestualità spaziale, ben potendo la minaccia o la violenza o, come nella specie, la condotta connotante l'abuso di cui all'art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., essere posta anche in luogo diverso da quello in cui il soggetto passivo la subisce, essenziale invece essendo che l'abuso venga, da quest'ultimo, effettivamente percepito.”
Il caso in questione è l’ultimo di una lunga serie in cui i Giudici di legittimità hanno ribaltato i canoni delle “attività sessuali” adeguandoli al clima di rinnovamento tecnologico.
Come detto, deriva da ciò l’opinione secondo cui la violenza sessuale, perpetrata con costrizione ovvero induzione, può sussistere senza contatto fisico e senza contestualità spaziale.
Il tema non è nuovo considerato che anche nella tematica del reato di favoreggiamento alla prostituzione i Supremi Giudici, nella sentenza della sez. III, sentenza 31 agosto 2012, n. 33546, hanno avuto modo di riaffermare che “È quindi necessario, in altri termini, attesa la costante nozione di atti sessuali elaborata da questa Corte con riferimento al reato di cui all’art. 609 bis c.p., ed incentrata sulla "corporeità sessuale", che la persona richiesta compia atti che attingano zone erogene del corpo suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale (Sez. 3, n. 41096 del 18/10/2011, P.G. in proc. M., Rv. 251316; Sez. 3, n. 12506 del 23/02/2011, Z., Rv. 249758; Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010, dep. 24/03/2011, C, Rv. 249746; Sez. 4, n. 3447 del 03/10/2007, dep. 23/01/2008, P., Rv. 238739).
Tale principio è, del resto, implicitamente presupposto da quelle decisioni che hanno costantemente escluso esulare dall’area di prestazione prostitutiva il mero fatto di denudarsi dietro corrispettivo onde eccitare l’istinto sessuale salvo che, significativamente, a tale fatto non si accompagnino anche contatti corporei (cfr., con riferimento a "lap dance" eseguita da ballerine davanti a clienti cui era consentito accarezzare le stesse su fianchi, braccia e gambe, Sez. 3, n. 13039 del 12/02/2003, Centenaro, Rv. 224116; con riferimento a spogliarelli accompagnati da "strusciamene", Sez. 3, n. 37188 del 22/06/2010, S. e altri, Rv. 248559; con riferimento a spogliarelli accompagnati da contatti tattili e baci, Sez. 3, n. 11025 del 06/06/1975, Giorgetta, Rv. 131299”.
Il ragionamento, allora, muove dal fatto che si definisce violenza sessuale anche la condotta di chi costringe o induce taluno a compiere o subire atti sessuali, su se stessa o su terze persone, senza la necessaria contestualità spaziale.
Tuttavia, i punti critici di tale segnalazione sono molteplici.
L’interpretazione data della locuzione “a compiere o subire” viola certamente il principio di tassatività.
Difatti, i verbi transitivi “compiere” o “subire” preceduti dalla proposizione “a” (infinito sostantivato) designano non già il soggetto o l’oggetto, quanto il risultato di compiere o subire atti sessuali.
Discende, perciò, un’interpretazione al di là del tenore letterale compatibile con il corpus normativo dei c.d. reati sessuali.
All’uopo è forse utile volgere lo sguardo all’art. 609 quater c.p. (atti sessuali con minorenne) per comprendere che la preposizione “con” intesa come unione o compagnia con la persona offesa minorenne necessita una compresenza anche spaziale oltre che funzionale.
Sotto quest’ultimo profilo si inserisce un’ulteriore problematica.
Dal testo della sentenza in commento non si evince il passaggio, a parere dello scrivente di notevole importanza, con cui si dà per assodato che gli atti sessuali siano stati compiuti o subiti proprio in ragione della minaccia patita o per mezzo dell’induzione cagionata.
Potrebbe anche darsi, per assurdo, che le foto pornografiche siano state realizzate in precedenza dalle stesse minori e per fini ulteriori e diversi rispetto al colloquio intrapreso via chat.
Pertanto, appare utile ribadire che se non è necessaria la compresenza spaziale tra i soggetti, comunque è necessario che vi sia legame eziologico con la costrizione o l’induzione subita dalla persona offesa e che la stessa sia oggetto di interesse sessuale (utile ricordare che nella sequela dei fatti vi fu anche la richiesta di esibire foto dei genitori di una delle due minori).

(Da Altalex del 5.3.2013. Nota di Valentino Vescio di Martirano)

domenica 24 marzo 2013

Incidente stradale colposo: si può presumere il colpo di sonno?

Cass. Pen. Sez. IV, Sent. n. 9172 del 26.2.2013

In tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, qualora venga prospettata dall'imputato la tesi difensiva del malore improvviso il giudice di merito può correttamente disattenderla in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l'età e le condizioni psicofisiche dell'imputato) ed in presenza, peraltro, di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da altro fattore non imprevedibile, quale un improvviso colpo di sonno.

...omissis...
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4. E' opportuno ricordare che la giurisprudenza in materia di circolazione stradale colloca il malore nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del "caso fortuito": in tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente di autoveicolo, il malore dello stesso (che è uno scompenso prevalentemente collegato ad una situazione organica, ma che può anche essere espressione di una sindrome funzionale: Cass. sez. un., sent. n. 12093/1980, P.M. in proc. Felloni), repentinamente ed improvvisamente insorto, è pur sempre una infermità, ovvero uno stato morboso, ancorchè transitorio, ascrivibile alla previsione di cui all'art. 88 c.p.: esso non incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto, ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono, determinando così "movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed automatici, cioè privi dei caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell'art. 42 c.p." (Cass. sez. un. citata). Il malore improvviso, quindi, non è ascrivibile alla categoria del caso fortuito, di cui all'art. 45 cod. pen., giacchè questo - descrivendo "una fattispecie in cui l'uomo, psicologicamente, non 0q risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile" - presuppone pur sempre un'azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà, non realizzando così quelle "condizioni minime" che l'art. 42 cod. pen. richiede perchè un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante.
Ne consegue che una volta dedotta la circostanza, il giudice deve valutare la configurabilìtà o meno della capacità di intendere e di volere dell'imputato che la eccepisce.
Sul piano della distribuzione degli oneri probatori, questa Corte ha da tempo un orientamento univoco: "in tema di reati colposi conseguenti ad incidenti stradali, non è sufficiente che vengano formulate delle ipotesi circa le cause della perdita di controllo del veicolo perchè il giudice sia tenuto a svolgere accertamenti complessi sulle effettive condizioni fisio-psichiche dell'imputato al momento del fatto e sullo stato di efficienza del veicolo. In mancanza di allegazione di elementi precisi e specifici e in presenza di risultanze inequivoche confortanti la colpevolezza, deve presumersi che la condotta del soggetto, normalmente capace, sia riferibile ad un'azione cosciente e volontaria e, quindi, liberamente determinata" (Cass. sez. 4, sent. n. 12149 del 12/06/1991, Esposti, Rv. 188689).
In altra decisione si è ulteriormente precisato che "in tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, qualora venga prospettata dall'imputato la tesi difensiva del malore improvviso - ... - il giudice di merito può correttamente disattenderla in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l'età e le condizioni psicofisiche dell'imputato) ed in presenza, peraltro, di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da altro fattore non imprevedibile, quale un improvviso colpo di sonno (Cass. sez. 4, sent. n. 41097 del 30.10.2001, Bonanno, rv. 220859; l'orientamento è stato ribadito da Cass. sez. 4, sent. n. 32931 del 20/05/2004, Oddo, rv. 229082).
5. Il Giudice di pace non ha fatto corretto governo dei principi appena ricordati.
Le circostanze di fatto prese in esame - l'essere stato lo S. al termine di una giornata di lavoro da muratore passata sotto il sole di agosto - non depongono univocamente per l'ipotesi del malore, che peraltro nella motivazione della sentenza impugnata non viene investigata alla luce di quanto manifestato dallo S. subito dopo il sinistro. Mancando tale univocità, ed essendo gli indici evidenziati dal decidente compatibili con l'ipotesi del colpo di sonno, il Giudice di pace avrebbe dovuto approfondire l'accertamento istruttorio onde fugare ogni dubbio al riguardo oppure prendere atto della ricorrenza di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del vicolo fosse stata determinata da altro fattore non imprevedibile appunto l'improvviso colpo di sonno e pervenire alle conseguenti decisioni.
6. Si impone pertanto l'accoglimento del ricorso e di conseguenza l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Lovere, che dovrà uniformarsi ai principi qui richiamati.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Lovere per nuovo esame.

(Da overlex.com)

sabato 23 marzo 2013

Estensione polizza sanitaria entro 5 aprile

La Cassa Forense ha concordato con Unisalute S.p.A. la riapertura dei termini fino al 5 aprile 2013, esclusivamente per l'estensione della garanzia della polizza di tutela sanitaria per "Grandi Interventi Chirurgici e Gravi Eventi Morbosi" ai familiari degli iscritti (moduli adesione scaricabili dal sito della Cassa).
Nella sezione "Convenzioni - Polizza Sanitaria" del portale Cassa è disponibile il testo integrale del Piano Sanitario base.
Per maggiori informazioni, è anche possibile contattare UNISALUTE al seguente numero telefonico 051/4161702 (lun-gio 9.00-18.00, ven 8,30-13.30) oppure il Servizio Assistenza e Servizi Avvocatura al numero telefonico 06/36205000 (lun-ven 9.00-13.00).

Strategie di prevenzione per lo stalking

Lo stalking è un fenomeno criminale che ad oggi miete le sue vittime sia in senso psicologico che, purtroppo, anche fisico.
Un fenomeno contro il quale, da anni, psichiatri, criminologi, giuristi, psicologi ed educatori combattono nella speranza e nella fiducia di riuscire ad eliminarlo definitivamente.
La collaborazione e la sinergia di queste forze sta, man mano,trovando sempre nuove strategie per eliminare o ridurre il problema.
Non si tratta solo del reato in sé, crimine che senza dubbio deve essere punito duramente, ma si tratta di compiere una disamina attenta e ponderata del problema che deve essere considerato a monte e che va studiato all’interno delle complicate e delicate dinamiche dalle quali è innescato e che, a sua volta, inevitabilmente innesca.
Lo stalking è soprattutto aberrazione e annientamento, un male che porta alla distruzione sia chi lo agisce, (in quanto lo stalker vive nella vendetta e nella violenza non avendo più altro scopo nella vita se non quello di distruggere la sua preda), sia chi lo subisce, perché la vittima è colei che vive nella costante paura che la sua vita sia rovinata per sempre o addirittura distrutta fino a portarla alla morte, a volte vista come unica soluzione per uscire dall’incubo in cui, senza capire le ragioni, si trova invischiata.
Questo crimine non costituisce solo una violazione della libertà individuale, ma anche una situazione psicopatologica che deve essere curata, laddove emergono quadri di evidenti disturbi di personalità, ma soprattutto deve essere applicata una politica di prevenzione, tramite interventi educativi mirati, che siano rivolti ai ragazzi a partire dall’ambito scolastico e familiare.
Risulta quanto mai importante parlare di prevenzione educativa dello stalking, ed è altrettanto importante capire la radice di tale problema e le sue origini.
La conseguenza di una vita deprivata, di emarginazione, di disagio sociale o di maltrattamenti, si può tradurre in questa conseguenza visibile a tutti: lo stalking; il tratto più evidente di un disegno di sofferenza e abbandono quasi invisibile negli anni.
Lo stalker generalmente narra una storia di dolore spesso radicato in un’infanzia in cui l’unica arma di difesa dalle percezioni d’indifferenza è stata la feroce negazione dell’amore, cresciuta silenziosamente nel paradosso di un bisogno disperato di affetto.
La fragile personalità dello stalker si struttura, spesso(con difficoltà) sul sentore di essere vittima di un «rifiuto originale», il rifiuto supremo, quello delle figure di riferimento, in particolare, il rifiuto materno.
La ferita inferta nella tenera gioventù muta in una forma d’insicurezza cronica, che prelude ad un terrore dell’abbandono ossessivo e costante che troppo spesso finisce per evocare l’allontanamento delle persone amate, in quanto l’attaccamento dell’individuo che non ha esperito una forma sana di amore, è l’attaccamento di un “analfabeta delle emozioni”, che per tutta la vita tenterà di instaurare rapporti duraturi senza esserne realmente capace.
Il comportamento ansioso e incapace di elaborare l’abbandono del bambino “rifiutato” tornerà prepotentemente ad insediarsi nella vita dell’individuo adulto nel momento in cui quest’ultimo sentirà di essere allontanato dalla persona oggetto del desiderio, portandolo a una regressione che lo costringerà a rimanere legato a doppio nodo all’ossessione della figura che gli negherà l’accudimento di cui sente di avere, da sempre, un disperato bisogno.
Qualsiasi abbandono in età adulta evocherà l’abbandono “sommo” percepito nelle fasi più delicate della crescita, annebbiando la capacità cognitiva del futuro stalker di rendersi autonomamente consapevole dell’insensatezza del suo comportamento nei confronti della figura idealizzata come quella del “salvatore”, una figura verso la quale proverà sentimenti contradditori ed ossessivi, volti al recupero del suo amore totalizzante o alla sua definitiva distruzione, sia psichica che sovente, anche fisica.
Diviene più che mai urgente e necessaria la realizzazione di specifiche attività di carattere informativo, educativo e formativo per sostenere iniziative di prevenzione dello stalking, nelle istituzioni scolastiche, perché senza una reale sinergia che vada a toccare l’aspetto culturale della questione, si rischia di continuare a remare controcorrente.
La violenza è anche una questione culturale ed è tempo che questo assunto diventi un dato riconosciuto: per contrastare il fenomeno dello stalking bisogna prima conoscerlo. L’intervento non può essere settoriale ma sinergico, non un intervento standard, ma creato appositamente per ogni situazione, perché ogni persecuzione, ogni stalker e ogni vittima, hanno una propria storia e soprattutto una propria evoluzione.
Servono misure preventive, di sostegno alle vittime e competenza da parte degli operatori che svolgono azione educativa per prevenire l’insorgenza dello stalking.
Nell’analisi fin qui condotta si deve porre l’accento sulla prima forma di società entro la quale l’individuo è collocato fin dalla nascita: la famiglia; nel cui ambito il bambino, forma la sua personalità e soprattutto, getta le basi per il divenire.
Essa è il luogo dentro il quale egli compie le prime esperienze fondamentali e si prepara all’ingresso nella società vera e propria.
Ecco perché risulta fondamentale innanzitutto dal punto di vista della prevenzione educativa, monitorare le famiglie che presentano dei disagi, dove le figure genitoriali non rispecchiano i canoni educativi adatti ad una formazione corretta della personalità del bambino.
Gli assistenti sociali e gli organi competenti devono intervenire in quelle situazioni nelle quali, violenza, deprivazione affettiva e culturale, povertà e abusi, mettono a rischio l’equilibrio del bambino, impedendo il trascorrere di un’infanzia serena e ledendo la sua psiche al punto da sviluppare nel tempo disordini di personalità e atteggiamenti non idonei per un corretto inserimento sociale.
Nel suo ingresso a scuola, il bambino si relaziona con una realtà variegata e sfaccettata, nella quale, per riuscire a inserirsi correttamente, necessita di un'educazione appropriata e un’affettività idonea per instaurare rapporti interpersonali significativi e per essere accettato dai suoi coetanei.
Gli insegnanti, nello svolgimento del proprio lavoro, non devono curare solo lo sviluppo delle potenzialità cognitive del discente, ma hanno anche il compito di focalizzare l’attenzione sullo sviluppo della sua personalità, cercando di individuare i comportamenti disfunzionali che non permettono al bambino di crescere anche emotivamente.
Con la guida degli educatori, egli deve imparare a gestire i dinieghi, i rifiuti, e soprattutto accettare l’idea che vi sia la possibilità che un altro coetaneo non voglia instaurare un rapporto con lui o che non nutra nei suoi confronti un sentimento di amicizia; anche questo serve a prevenire eventuali comportamenti disfunzionali nell’età adulta legati all’incapacità di gestire le frustrazioni derivanti da probabili rifiuti.
Lo stalker, “rifiuta di accettare il rifiuto”, non riesce neanche a considerare possibile che la persona oggetto del suo insano desiderio, non voglia avere alcun contatto con lui o non voglia riprendere un rapporto interrotto.
Nell’ambito del contesto educativo, si dovrà focalizzare l’attenzione sul “bambino problematico” e pertanto, l’insegnante dovrà correggerne la visione del mondo servendosi dell’ausilio di specialisti qualificati, come ad esempio neuropsichiatri infantili e psicologi, i quali, con strumenti idonei, riusciranno a capire quale realmente sia il disagio del bambino e tramite attenta analisi, usare gli strumenti più adatti per farlo uscire dal disagio nel quale si trova.
Ecco perché la prevenzione educativa è essenziale.
Diviene in tal senso importante effettuare una riflessione: lo stalker, nella maggior parte dei casi, è un soggetto con una devianza, con una personalità disfunzionale e con una profonda incapacità di accettare il rifiuto e l’abbandono.
Pertanto, si può affermare che- in molti casi - lo stalker non è altro che il bambino di ieri che a causa di violenze, deprivazioni, anaffettività, abbandono, incapacità di gestire problematiche per lui eccessive, è diventato il criminale di oggi, poichè non è riuscito ad elaborare i contenuti della sua infanzia disagiata.
La prevenzione educativa è il mezzo fondamentale per riuscire ad evitare che il bambino, trasformi disagi e sofferenze in vere e proprie devianze; in comportamenti disfunzionali che nel tempo gli precludono la possibilità di creare rapporti interpersonali, che siano essi di amicizia o d’amore.
Solo così, arrivando all’età adulta, sarà capace di gestire il rifiuto, accettare l’abbandono e non creare quel circolo vizioso di molestie e persecuzioni che caratterizzano lo stalking.
Stalking: un crimine, un fenomeno sociale, un disagio interiore, un abuso del più forte su chi è indifeso; una realtà che però può e deve essere cambiata anche grazie alla consapevolezza che chi lo subisce deve denunciare e soprattutto alla capacità delle forze preposte di intervenire in tempo.
Ma, “in tempo”, non vuol dire fermare la violenza, vuol dire evitare che essa nasca, vuol dire… prevenzione.
Proprio grazie ad essa, si salvano due vite, quella di chi sarà vittima e quella di chi, a causa dei propri disagi, distruggerà se stesso e gli altri.

Maria Pia Cocivera (da filodiritto.com del 19.3.2013)

venerdì 22 marzo 2013

Il Fisco dimentica l’abolizione delle tariffe!

L'Agenzia delle Entrate nelle verifiche
considera in vigore le abolite tariffe professionali

Prima il danno, adesso la beffa. L’Agenzia delle Entrate nelle metodologie di controllo predisposte per verificare la correttezza fiscale dei professionisti, e in particolare, gli architetti, nei loro rapporti economici con i clienti considerano vigenti le tariffe professionali nonostante esse siano state, come è noto, abolite nel 2006 dal Decreto Bersani. La denuncia viene dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che in una lettera inviata circa un mese fa, al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, dal quale non è pervenuta ancora nessuna risposta, denuncia la mostrusiotà. “L'Agenzia delle Entrate – sottolinea la lettera - evidenzia, infatti, come gli accertatori possano procedere a quantificare i proventi da attività professionale, qualora non sia stato possibile conoscere l’effettivo compenso percepito, ‘in primo luogo, sulla base di quanto fatturato per prestazioni similari; in alternativa, sulla scorta delle tariffe professionali vigenti, tenuto conto della natura e del valore della prestazione’ e ipotizzano che ‘difficilmente, soprattutto quando lo studio professionale è ben avviato, si scenderà al di sotto dei minimi di tariffa’. E noto e dimostrato - continua - che l’effetto dell’abolizione delle tariffe professionali sui fatturati è stato immediato, in un mercato assai competitivo dove i contratti – rispetto alle ex tariffe – vedono praticare sconti ben oltre il 50%, come peraltro dimostrato anche dai fenomeni di dumping - evidenti anche nei lavori pubblici.  Tenuto anche conto della profonda crisi che ha colpito il mercato della progettazione e che gli architetti stanno particolarmente soffrendo per l’inversione del ciclo edilizio “appare paradossale – si legge ancora nella lettera - che a fronte delle modifiche legislative e della realtà dei fatturati, l’Agenzia parametri le sue verifiche su dati obsoleti sia da un punto di vista normativo che numerico, tanto più che il medesimo modello non è applicato ad altre categorie professionali”. Per questo motivi il Consiglio Nazionale degli Architetti chiede al Direttore Befera “un intervento di urgente correzione e chiarezza, non solo perché tali metodologie di controllo sono ingiustificate e sbagliate, ma anche perchè il loro effetto – contrario ai principi della Riforma delle Professioni – sarebbe quello di portare i nostri iscritti a riapplicare proprio quelle tariffe che la Legge ha abolito”.

(Da Mondoprofessionisti del 22.3.2013)

Cassa forense contro aumenti contributo unificato

No all’aumento del contributo unificato. Questa è la posizione della Cassa forense che interviene nel giudizio promosso da diversi avvocati innanzi al T.A.R. Lombardia contro gli aumenti del contributo unificato nelle materie dei contratti pubblici, dell’espropriazione per pubblica utilità e degli atti delle Autorità indipendenti.  “Riteniamo che l’eccessivo importo previsto per il contributo unificato e, quindi, per l’onere da anticipare nelle controversie a carico del cliente, si concretizzi di fatto in un denegato accesso alla giustizia – ha commentato il presidente dell’Ente pensionistico degli avvocati, Alberto Bagnoli – e, conseguentemente, comporti una riduzione dei redditi per la categoria professionale, che già negli ultimi tempi hanno subito una sensibile flessione, con evidenti ripercussioni negative sull’ammontare dei contributi previdenziali da versare e quindi sugli equilibri finanziari dell’ente e sulla futura pensione degli stessi avvocati”.

(Da Mondoprofessionisti del 22.3.2013)

Prof non omette soccorso per errate cure ad allievo infortunato

Assolto l'insegnante per l'incidente
durante la lezione di educazione fisica:
il reato ex articolo 593 Cp
è punito solo a titolo di dolo

Non è responsabile di omissione di soccorso l'insegnante che presta nell'immediato le cure all'allievo infortunato, anche se le manovre mediche non si sono poi rivelate adeguate a fronteggiare le difficoltà presentate dal minore. È quanto emerge dalla sentenza 13310/13 della quinta sezione penale della Cassazione del 21 marzo.
Il fatto
Non integra la fattispecie di reato di omissione di soccorso il comportamento dell'educatrice che durante la lezione di educazione fisica, in seguito ad un esercizio ginnico, non presta cure idonee all'allievo infortunato. Partendo dal presupposto che successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, il termine di prescrizione del reato in contestazione risulta compiuto, neanche gli effetti civili possono essere addebitati all'imputata. Il reato "de quo", infatti, è punito solo a titolo di dolo, e dal momento che nel reato di cui all'articolo 593 Cp rientra anche lo stato di pericolo in cui versa il soggetto passivo, che è poi il presupposto dell'obbligo di attivarsi la cui omissione determina l'illiceità della condotta, si ritiene indispensabile perché l'omissione possa essere considerata volontaria che l'agente si rappresenti la situazione di pericolo come tale. Dunque deve escludersi l'esistenza del dolo qualora lo stesso agente, pur avendo riconosciuto la situazione di un pericolo, abbia in un secondo momento errato nelle modalità di soccorso che ha ugualmente posto in essere. Le stesse manovre mediche, le richieste alle altre docenti di tenere sotto controllo l'alunno, e la pronta comunicazione alla dirigente scolastica escludono infatti la presenza dell'elemento volitivo di omissione di soccorso richiesto dal reato di cui all'articolo 593 Cp, può essere soltanto rimproverata all'insegnante la sottovalutazione della situazione del pericolo e l'elezione di errate modalità di soccorso. Piazza Cavour decide: il fatto non costituisce reato e annulla la sentenza senza rinvio tanto per gli effetti penale che civili.

Romina Tibaldi (da cassazione.net)

Alienazione genitoriale accertata non basta a revocare potestà

Con la sentenza n. 7041 del 20 marzo 2013, la Cassazione afferma il principio per cui il giudice di merito chiamato a dirimere una controversia sull’affidamento dei figli minori deve valutare attentamente la situazione di fatto, motivando i rilievi delle parti, prima di revocare la potestà genitoriale e disporre l’allontanamento coatto dei figli.
Nel caso concreto, la decisione del giudice del merito di disporre l’affidamento del minore ai servizi sociali risultava aderente alla valutazione clinica compiuta dal consulente tecnico di ufficio che rivelava la sussistenza nel minore di una «sindrome da alienazione parentale» non riconosciuta dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, senza che il giudice stesso verificasse il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che devia dalla scienza medica ufficiale.
Il tema affrontato dalla Corte attiene dunque alla condizione patologica del minore, imputata unicamente alla condotta della madre «alienante» che aveva indotto il figlio ad un progressivo allontanamento dal padre, e alla incidenza di tale condizione patologica sulla decisione di revoca della potestà genitoriale e di affidamento del minore presso una comunità protetta al fine di ricostruire gradualmente i rapporti con il padre.
La «sindrome da alienazione parentale» (o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome) è una controversa e ipotetica dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra statunitense Gardner, si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio conflittuali dei genitori, non adeguatamente mediati. Secondo Gardner, la PAS sarebbe frutto di una supposta «programmazione» dei figli da parte di un genitore patologico (genitore cd. «alienante»), una sorta di «lavaggio del cervello» che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti e ad esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (genitore cd. «alienato»). Costituirebbe, dunque, il risultato di una campagna di denigrazione nei confronti del genitore non affidatario perpetrata dal genitore affidatario o con cui vive il minore.
La PAS è oggetto di dibattito ed esame, sia in ambito scientifico che giuridico, fin dal momento della sua proposizione nel 1984; essa non è, infatti, riconosciuta come un disturbo psicopatologico dalla grande maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale, ponendosi in evidenza i rischi della sua applicazione in ambito forense, in quanto «in grado di minacciare l’integrità del sistema penale e la sicurezza dei bambini vittime di abusi».
In considerazione delle descritte criticità, il Giudice delle Leggi osserva come sotto il profilo del percorso motivazionale che la sorregge, la decisione della Corte di merito risulti inficiata, in quanto recepisce integralmente le conclusioni della CTU, in ordine alla ricorrenza, a seguito di accertamento diagnostico, della sindrome da alienazione parentale nel minore, senza esaminare le censure, specificamente proposte, in relazione alla validità sul piano scientifico, di questa controversa patologia. Dunque il provvedimento impugnato è apparso alla Cassazione intimamente correlato alla diagnosi di PAS, ritenendosi rispondente a precise esigenze terapeutiche l’allontanamento del minore alla mamma, attribuendogli un «forte conflitto di fedeltà nei confronti della madre» e «un ingiustificato rifiuto di rapporti con il padre».
Ulteriore principio disatteso dalla Corte d’Appello riguarda la necessità che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sotto il profilo scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale. Né, sostengono gli Ermellini, il rilievo secondo cui, in materia psicologica, il processo di validazione delle teorie può non risultare agevole «deve indurre a una rassegnata rinuncia, potendosi ben ricorrere alla comparazione statistica dei casi clinici».
Soprattutto in ambito giudiziario, conclude la Corte, non possono adottarsi soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare.

Anna Costagliola (da diritto.it del 22.3.2013)

Smaltimento rifiuti speciali non pericolosi, reato non abrogato

Nessuna abrogazione del reato
di smaltimento di rifiuti speciali
non pericolosi: non opera il favor rei

Con la sentenza n. 12295 del 19 marzo 2013 la Cassazione ha precisato i rapporti fra vecchia e nuova normativa in tema di gestione e smaltimento dei rifiuti, stabilendo che non deve invocarsi l’applicazione del principio del favor rei (consistente nella scelta della norma più favorevole) con riferimento all’articolo 186 del D.Lgs. 152/2006 che prevedeva e puniva il reato si smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi.
La norma era stata abrogata dal D.Lgs 205/2010 a mezzo di un successivo provvedimento e dunque ha assunto nel periodo di provvisoria vigenza la natura di norma ‘temporanea’: dunque, avvisano i giudici, la disposizione è sottratta al principio della retroattività della norma più favorevole.
E neanche, continua la Corte di legittimità, è possibile invocare la disciplina della successione delle leggi penali nel tempo ex art. 2, comma 5, del codice penale, dato che il 6 ottobre 2012 è entrato in vigore il tanto atteso decreto che si è occupato dell’abrogazione dell’art. 186 del D.Lgs. 152/2006.
Per cui tutte le condotte riconducibili nell’astratta fattispecie ivi descritta hanno continuato ad avere rilevanza penale per sei anni, fino all’emanazione del decreto.
Infatti, la programmata abrogazione della norma a decorrere dalla adozione, in un momento successivo, del decreto, fa sì che la disposizione sia sottratta al regime di retroattività della norma più favorevole e dunque ben può essere applicata ai fatti commessi in ogni caso durante la sua vigenza a prescindere dalla successiva intervenuta sua abrogazione.

Lucia Nacciarone (da diritto.it del 22.3.2013)