giovedì 31 ottobre 2013

Tribunale Milano: eBay non responsabile per inserzioni dal contenuto illecito

Il Tribunale di Milano, chiarendo la portata applicativa della normativa sugli Internet Service Providers, ha escluso la responsabilità del noto portale di vendite online eBay per la pubblicazione da parte degli utenti di inserzioni di vendita ritenute illecite poiché di contenuto diffamatorio.
Con ordinanza collegiale del 3 ottobre 2013, il Tribunale di Milano, sezione 1^ civile, confermando il provvedimento cautelare impugnato, ha rigettato il reclamo proposto dall'Ing. Paolo del Bue, fondatore della Banca Arner di Milano, nei confronti delle società eBay Europe Sarl ed eBay International AG, difese dallo studio Hogan Lovells con gli avvocati Marco Berliri (partner), Massimiliano Masnada (of Counsel) e Paola La Gumina (senior associate), con il quale si chiedeva a eBay di eliminare dal sito www.ebay.it le inserzioni  relative al libro "Soldi di famiglia" contenenti frasi ritenute diffamatorie. In particolare, i ricorrenti non chiedevano solo la rimozione delle inserzioni singolarmente individuate ma anche di quelle future o comunque non individuate di contenuto identico/analogo.

Il Collegio preseduto dal Presidente della Prima Sezione del Tribunale di Milano, giudicando corretta la pronuncia impugnata ha ribadito che, in base alla normativa di settore, eBay è un "hosting provider" e, come tale, non è responsabile degli eventuali contenuti illeciti che ospita sul proprio sito. eBay, inoltre, non ha l'obbligo di controllare preventivamente i contenuti pubblicati dai propri utenti, di ricercarne l'eventuale illiceità ovvero di rimuoverli dal sito in assenza un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Inoltre, anche in caso di uno specifico provvedimento, l'hosting provider non ha alcun obbligo di attivarsi per evitare il caricamento futuro o per rimuovere automaticamente contenuti identici/analoghi a quello oggetto del provvedimento o della richiesta.

Nello specifico, infatti, il Tribunale meneghino ha operato una netta distinzione tra gli autori dell'inserzione ("destinatari del servizio di hosting") ed eBay come prestatore del servizio di "hosting", affermando che la disciplina vigente contenuta nel D. Lgs. 70/2003, che ha recepito la Direttiva 2000/31/CE sull'e-commerce. non consente di riferire all'Internet Service Provider (eBay nel caso di specie) la responsabilità risarcitoria da fatto illecito gravante sul destinatario del servizio (utente/inserzionista) per i danni a terzi prodotti con la pubblicazione di contenuti illeciti sulla piattaforma telematica. Il Tribunale non ha seguito la distinzione tra hosting "attivo" e "passivo" recentemente utilizzata da parte della giurisprudenza, ritenendo pienamente applicabili ad eBay, in qualità di Internet Service Provider, le esenzioni di responsabilità previste dalla normativa.

L'eventuale responsabilità dell'hosting provider – prosegue il Tribunale di Milano - sorge soltanto quando questi non si è attivato a seguito di un provvedimento dell'autorità competente che individui specificamente – e non in maniera generica - i contenuti da rimuovere (responsabilità omissiva) ovvero quando si dimostri in giudizio che il provider aveva la "conoscenza effettiva" della illiceità  dello specifico contenuto e non si è attivato dandone comunicazione all'autorità competente ovvero disattivandone l'accesso; ipotesi che, tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale ha escluso.

Gli avvocati Massimiliano Masnada, Paola La Gumina e Marco Berliri dello studio legale Hogan Lovells che hanno seguito eBay anche in questa vicenda, hanno dichiarato: "Siamo molto soddisfatti di questo risultato anche per l'autorevolezza della fonte. Riteniamo che questa pronuncia contribuisca a fare chiarezza in una materia, quella dei servizi di Internet, che in questi anni è diventata sempre più importante per gli equilibri tra diritti costituzionalmente garantiti e che, purtroppo, è stata oggetto di interpretazioni non sempre univoche e conformi al dato normativo. Siamo convinti che sia una vittoria che favorisce la libertà di informazione e fornisce un chiarimento circa la corretta ripartizione dei ruoli e delle responsabilità su Internet".


(Da ilsole24ore.com del 31.10.2013)

Mediazione d’ufficio su crediti-debiti tra divorziati

Conciliazione sul mantenimento dei figli. 
Con il dl fare le parti possono scegliere
l'organismo ad hoc, che affronta anche questioni
 insorte dopo l'instaurazione della lite


Via libera alla mediazione civile d'ufficio anche al di fuori delle materie indicate per la conciliazione obbligatoria di cui all'articolo 5 del dlgs 28/2010. Dopo il dl fare, infatti, il giudice può ben disporre che le parti ricorrano alla conciliazione in una controversia per un credito rimasto insoddisfatto, ad esempio dopo il divorzio. E gli ex coniugi, se sono d'accordo, possono derogare al criterio della competenza territoriale, che prevede di rivolgersi a un organismo "pacificatore" nel luogo dove ha sede il giudice investito della lite, scegliendo invece un altro mediatore di loro fiducia. È quanto emerge da un provvedimento pubblicato il 29 ottobre dalla nona sezione civile del tribunale di Milano (giudice Giuseppe Buffone).



Soluzioni condivise

È la più classica delle liti fra divorziati quella che il giudice manda in conciliazione, avvisando le parti che l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale: gli ex coniugi hanno quindici giorni per presentare l'istanza al paciere. La controversia nasce sulle spese per il mantenimento dei figli: lei ottiene un precetto contro di lui per somme non versate, che poi è ridotto nell'importo, laddove i conti non tornano su spese come i ticket sanitari e l'acquisto di vestiti. Perché scatta la mediazione ex officio? In passato i genitori sono stati in grado di mettersi d'accordo: lo testimonia ad esempio il ricorso congiunto per la fase del divorzio. E comunque lo strumento giudiziario azionato da lei, che prevede due gradi di giudizio, pare spropositato rispetto al diritto che si vuol far valere: si tratta di un credito di meno di mille euro. Senza dimenticare che i mediatori ben potrebbero estendere la trattativa ai fatti emersi successivamente alla instaurazione della lite e non fatti valere nel processo, così essendo evidente che l'eventuale soluzione conciliativa potrebbe definire il conflitto nel suo complesso, mentre la sentenza conclusiva del procedimento civile potrebbe definire solo una lite, in modo parziale.


Dario Ferrara (da cassazione.net)

mercoledì 30 ottobre 2013

Uova contro palco del comizio, condannato

Cass. sez. III Pen., sent. 29.10.2013, n. 44187
Presidente Fiale – Relatore Graziosi


Ritenuto in fatto


1. Con sentenza del 7 gennaio 2013 il Tribunale di Bologna ha condannato D.B.F. alla pena di euro 200 di ammenda per il reato di cui agli articoli 110 e 674 c.p. per aver gettato uova contro il palco di alcuni politici durante una campagna elettorale, e colpendo con alcune di esse il mezzo di trasporto utilizzato come palco.

2. Ha presentato ricorso l’imputato adducendo, quale primo motivo, la mancanza di motivazione - essendovi stato quanto alla sua responsabilità un mero richiamo alla testimonianza del commissario M.G., senza accenno alcuno al suo contenuto e alla descrizione della condotta tenuta dall’imputato stesso - e, quale secondo motivo, la violazione di legge - non integrando il reato il lancio diretto a cose e non a persone, e l’imputazione stessa indicando che “il lancio ha attinto esclusivamente il veicolo ove si trovavano le persone offese e non le persone stesse”. Quale terzo motivo, infine, lamentava la mancata assunzione di prova decisiva non essendo stata “condotta alcuna indagine sulla circostanza dell’idoneità ad imbrattare o molestare del materiale che si assume come gettato all’indirizzo della persona offesa”, soprattutto non essendosi “sentite le persone offese in merito alle molestie ricevute in ordine ad una asserita condotta penalmente rilevante”: pur essendo il reato riconosciuto come illecito di pericolo concreto, dalla sentenza non emergerebbe "se e come sia stata posta in pericolo l’altrui incolumità".


Considerato in diritto


3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo, che lamenta carenza di motivazione in ordine alla descrizione della condotta dell’imputato, adducendo che vi sarebbe stato un mero richiamo alla testimonianza del commissario M.G., non corrisponde al reale contenuto della sentenza che, pur con una motivazione concisa, illustra in modo adeguato i propri presupposti decisionali, in particolare, quanto alla descrizione della condotta dell’imputato, specificando che la testimonianza del commissario M. “ha confermato il fatto così come descritto nell’imputazione e ne ha indicato, quale corresponsabile, l’attuale imputato”. Il motivo è dunque manifestamente infondato.

3.2 Il secondo motivo adduce violazione di legge per avere il lancio attinto il veicolo ove si trovavano le persone offese e non le persone stesse. L’articolo 674 c.p., nel suo limpido dettato, non prevede che la persona offesa sia colpita, ma soltanto che vi sia un “getto pericoloso” di “cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone”. La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha pertanto sviluppato una interpretazione nel senso che, per integrare il reato di cui alla suddetta norma, occorre che la condotta sia idonea (anche indirettamente, qualora sia diretta verso le cose: Cass. sez. III, 27 settembre 2006 n. 35885) a offendere, imbrattare o molestare le persone (e non solamente le cose: Cass, sez. III, 13 aprile 2010 n. 22032) con un’attitudine concreta a tale lesività (Cass. sez. III, 11 maggio 2007 n. 25175). E la descrizione della condotta, come emergente dal capo di imputazione, a cui, come si è visto, corrisponde, poi l’esito probatorio, è chiaramente riconducibile all’articolo 674 c.p., essendo concretamente idonea a cagionare imbrattamento e molestia alle persone offese. Il motivo è dunque anch’esso manifestamente infondato, essendo stata correttamente qualificata la condotta di lancio di uova (cose quanto meno idonee ad imbrattare, se colpiscono, le persone) contestata all’imputato ai sensi della suddetta norma.

3.3 Infine, il terzo motivo, pur formalmente qualificandosi come doglianza per omessa prova decisiva, a sua volta non ha consistenza. è evidente che, infatti, per ricondurre una condotta di lancio in luogo pubblico di oggetti in direzione di persone alla fattispecie di cui all’articolo 674 c.p, non occorre sentire le persone stesse per determinare se la condotta sia penalmente rilevante, essendo questa una valutazione oggettiva, non certo deferita alla persona offesa. Né, poi, è qualificabile come decisiva un’indagine sul “materiale” per appurarne l’idoneità a imbrattare o molestare, laddove tale “materiale” consiste, come emerge dalla imputazione, in uova, la cui idoneità ad imbrattare è indiscutibilmente notoria.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Insidia stradale evidente, niente risarcimento

Cass. Civ., sez. III, sent. n. 23919 del 22.10.2013


Non va risarcito il motociclista che ha subìto danni in seguito a un sinistro stradale a causa di una buca sul manto stradale coperta da un foglio di giornale.

In tema di danno da insidia stradale la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell'insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più l'incidente deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo conducente nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso. E' il principio stabilito dalla Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 22 ottobre 2013, n. 23919.

Nel caso di specie, il ragazzo che era alla guida del motorino conosceva bene i luoghi in cui al momento dell'incidente si trovava transitare ed era corrente del fatto che quella strada fosse piena di buche ed è proprio per questo che avrebbe dovuto tenere un comportamento di guida atto ad evitare ogni pericolo.

E' giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione che il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti non può prescindere da un modello relazionale, per cui la cosa deve essere vista nel suo normale interagire con il contesto dato talchè una cosa inerte può definirsi pericolosa quando determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante. Pertanto se il contatto con la cosa provochi un danno per l'abnorme comportamento del danneggiato, difetta il presupposto per l'operare della presunzione di responsabilità di cui all'articolo 2051, codice civile, atteggiandosi in tal caso la cosa come mera occasione e non come causa del danno.


Marco Massavelli (da studiocataldi.it)

martedì 29 ottobre 2013

Riforma forense da rivedere per evitare disastro

L’Associazione Nazionale Avvocati Italiani, alla luce del dibattito che si è aperto in questi giorni sulla legge di riforma forense, propone quattro punti da riformare subito. Il primo riguarda l'iscrizione obbligatoria alla Cassa forense; "Anai ha sempre contrastato l’articolo 21 della legge di riforma forense che impone di iscrivere alla Cassa tutti gli iscritti agli albi a prescindere dal reddito e dall’effettività dell’esercizio professionale - ha detto il presidente Anai Maurizio De Tilla - il fine sotteso della norma è quello di far cancellare dagli albi almeno quarantamila avvocati. Il che è utopistico, oltre che illegittimo dal punto di vista della costituzionalità. Non è giusto accollare oneri e contributi a decine di migliaia di giovani con redditi bassissimi. I redditi degli avvocati sono crollati e molti non ce la fanno nemmeno a “sopravvivere”. La obbligatorietà va abrogata. E non si può ricorrere a palliativi che non risolvono il problema, come ad esempio la riduzione alla metà dei contributi. Bisogna anche chiarire che chi ha un reddito basso godrà di un trattamento previdenziale irrisorio, nonostante il pagamento dei contributi. Anai chiede inoltre un decreto per reintrodurre il divieto dei soci di capitale e per escludere i dipendenti dallo svolgimento di attività stragiudiziale. Il presidente De Tilla denuncia che è in atto un progetto di ripristino di una norma che era stata esclusa dalla riforma forense: la presenza di soci di capitale nelle società tra avvocati. "La voluta decadenza della legge delega con la mancata emanazione del decreto legislativo di attuazione della nuova normativa in materia di società - ha affermato - è la riprova di una deriva economicista che il Governo vuole dare all’ordinamento forense".  Anai chiede inoltre di eliminare la norma che prevede la possibilità per i dipendenti di società e di organizzazioni di svolgere attività stragiudiziale in concorrenza con gli avvocati perché viola l'indipendenza dell'attività forense. Inoltre per Anai è molto grave che il Ministero della Giustizia abbia ridotto la misura dei parametri indicati dalle rappresentanze forensi sia in relazione alla liquidazione dei giudici sia nei rapporti con i clienti. "Con la proposta ministeriale di riduzione - ha dichiarato De Tilla - viene violata l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura. E allo stesso tempo si svilisce la prestazione professionale già lesa fortemente dalla abolizione dei minimi di tariffa e dei diritti. Inoltre spesso i giudici, nelle sentenze, liquidano competenze difensive irrisorie. L’avere, per altro, aumentato la discrezionalità dei giudici è certamente una soluzione che l’ANAI non condivide e che aumenterà la propensione ad infliggere mortificazioni economiche alle prestazioni degli avvocati". Infine la revisione della Geografia giudiziaria, un disastro annunciato per Anai. De Tilla ribadisce che la situazione è disastrosa in gran parte degli uffici giudiziari nei quali sono stati trasferiti i processi con i relativi incartamenti. Non esistono spazi adeguati, anzi in alcuni uffici giudiziari accorpanti mancano addirittura i locali. I fascicoli sono stati trasferiti da un posto all’altro, talvolta senza elenchi e senza garanzie di riservatezza, inseriti in scatoloni e spesso anche senza contenitori. Già cominciano a scomparire alcuni fascicoli e dappertutto c’è il caos. Processi bloccati, udienze rinviate, giudici mancanti, personale scarso. Il tutto con disagio per i cittadini e gli operatori della giustizia. Per raggiungere i nuovi Tribunali qualcuno ha impiegato anche più di 5-6 ore partendo da un’isola nella quale è stata soppressa la sezione distaccata. Ipocritamente il Ministro della Giustizia dichiara che entro un anno saranno apportate correzioni. Ma intanto chi risarcisce i danni che i cittadini stanno subendo per la scriteriata revisione della geografia giudiziaria?" Quattro punti che secondo Anai vanno assolutamente rivisti e corretti per non gettare il sistema giustizia allo sbando.

(Da Mondoprofessionisti del 29.10.2013)

Concessione in ritardo, Comune paga danni all’impresa

Responsabilità extracontrattuale per l'ente 
che va ben oltre il termine di sessanta giorni.
Risarcimento dimezzato a chi
non impugnò il silenzio-rifiuto



Maxi-risarcimento a carico del Comune che ha fatto aspettare troppo l'azienda per la concessione edilizia richiesta in vista della realizzazione di un magazzino. Pagherà 294 mila euro, più rivalutazione e interessi, l'amministrazione "colpevole" del danno da ritardo, che compensa non solo l'aggravio dei costi di costruzione ma anche i mancati utili dell'azienda: evidente la responsabilità extracontrattuale dell'ente, tenuto a pronunciarsi sulla domanda entro sessanta giorni, laddove il titolo risulta concesso a ben sette anni e mezzo dalla domanda dell'imprenditore. E il ristoro è pure dimezzato perché a suo tempo l'interessato non impugnò il silenzio-rifiuto dell'amministrazione. È quanto emerge dalla sentenza 4968/13, pubblicata dalla quinta sezione del Consiglio di Stato.

Economia in ceppi

L'autorizzazione richiesta per il magazzino dove conservare il formaggio grana risulta chiesta nel febbraio 1989 e concessa soltanto nell'ottobre 1996. Di mezzo ci s'è messa anche una variante al piano regolatore del Comune secondo cui il deposito può essere assentito solo dove c'è un caseificio, mentre in seguito una norma retroattiva salverà il progetto dell'imprenditore, impantanatosi nelle more dell'approvazione dello strumento urbanistico che chiama in causa anche la Regione. Nessun dubbio, comunque, che la condotta della commissione edilizia del Comune sia illegittima: l'esame della domanda risulta rinviato «per supplemento di indagini» ma mancano sia la motivazione sia la comunicazione del provvedimento, emesso prima che l'iniziativa economica dell'imprenditore rimanesse imprigionata fra i ceppi della burocrazia. Risultato? Il verdetto del Tar è rovesciato e la responsabilità aquiliana in capo all'amministrazione obbliga il Comune a risarcire varie voci di danno: la più cospicua è rappresentata dai mancati utili per la vendita del formaggio, quantificabili nel 25 per cento dei ricavi indicati; ma "pesano" sul ristoro anche i maggiori costi di costruzione affrontati dall'imprenditore e, in misura minore, gli oneri urbanistici che pure gli vanno restituiti. Niente danno all'immagine, però: manca la prova. Il Comune paga le spese del doppio grado di giudizio.

Dario Ferrara (da cassazione.net)

No carcere duro ad ultraottantenne depresso

Con la sentenza n. 43890 del 25 ottobre 2013 i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso dell’imputato, che si era visto respingere in appello la richiesta di arresti domiciliari per gravi motivi di salute.
L’uomo era quindi rimasto in carcere, nonostante dalle varie relazioni mediche e perizie fosse emerso che il suo quadro clinico era sicuramente grave, e nonostante la sua età avanzata.

Ciò, in virtù del fatto che, ad avviso dei giudici del merito, non v’erano comunque elementi che affermassero che «i processi degenerativi in atto dello stato patologico»venissero aggravati dalla detenzione. Ma la Corte suprema di legittimità ha evidenziato come le condizioni dell’imputato vadano valutate non solo al momento dell’accertamento, ma anche in base alle loro prevedibili involuzioni cliniche.

Pertanto il tribunale di merito ha erroneamente sottovalutato l’età dell’uomo così come la sua depressione in atto. Tali elementi non possono essere trascurati, soprattutto in omaggio al principio rieducativo della pena (art. 27. comma 3, della Costituzione, ai sensi del quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e al fondamentale diritto alla salute (che riceve tutela espressa in base all’art. 32 Cost.).

Inoltre, per il nostro codice di procedura penale, è ammessa la custodia cautelare in carcere di persona di età superiore ai 70 anni ma solo in costanza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275, comma 4, c.p.p).

Niente carcere, dunque, concludono gli ermellini, alla persona affetta da malattia particolarmente grave da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo o non adeguatamente curabili.


Lucia Nacciarone (da diritto.it del 29.10.2013)

lunedì 28 ottobre 2013

Sì a bar in condominio, se immissioni tollerabili

E’ illegittimo vietare la destinazione d’uso a locale pubblico per tutelare la quiete di un edificio quando le emissioni sonore risultano tollerabili, secondo quanto stabilito dall’art. 844 c.c.
Agisce in errore il condomino che, facendo valere quanto contenuto nel regolamento condominiale, pretende di limitare la destinazione d’uso di attività commerciali le cui immissioni sonore rientrino nella soglia suddetta, potendo farlo solo ai fini del perseguimento dell’obbligo di protezione.
E’ quanto ha dichiarato la Corte di Cassazione con la sentenza 8 ottobre 2013, n. 22892.
Nella fattispecie, l’attrice G.P. in primo grado citava dinanzi al tribunale di Benevento un condomino del suo stesso palazzo e il rispettivo condominio di riferimento, impugnando la delibera dell’assemblea condominiale per ottenere l’accertamento e la dichiarazione dell’illecita destinazione a bar dei locali commerciali di esclusiva sua proprietà, sulla base di quanto stabilito dall’art. 12 del regolamento condominiale, contenente il divieto di destinare gli alloggi individuali e i locali condominiali ad attività che fossero incompatibili con il decoro e la tranquillità dell’edificio.
La sentenza, che accoglieva la richiesta dell’attrice, veniva poi riformata dalla Corte d’appello, che riteneva l’attività commerciale perfettamente lecita. Statuiva altresì che la delibera assembleare determinante in capo ai singoli condomini l’insorgenza di un obbligo di protezione nei confronti degli altri, non era stata mai accettata formalmente per iscritto ai sensi dell’art. 1350 c.c., e quindi non poteva esser considerato come recepita dal regolamento condominiale.
La ricorrente G.P. sottoponeva all’attenzione degli Ermellini quattro motivi; di questi l’ultimo, avente ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell’art. 184, 356, e 112 c.p.c., veniva accolto.
La Suprema Corte statuiva che la doglianza appariva fondata in quanto la domanda relativa al ristoro del danno morale, biologico e patrimoniale, conseguente al deprezzamento del valore dell’immobile della ricorrente, causato dalle conseguenti immissioni superiori alla soglia di normale tollerabilità, provenienti dagli esercizi commerciali ubicati nei locali di proprietà del condomino, era oggetto di statuizione autonoma e non poteva essere assorbito dalla richiesta di danni.
Dichiarava altresì che: “la statuizione del condominio era stata presa all’unanimità, per cui doveva ritenersi vincolante anche nei confronti del” condomino che non l’aveva formalmente accertata, decretando quindi che la delibera assembleare che determinava in capo ai singoli condomini l’insorgenza di un obbligo di protezione nei confronti degli altri non necessitava di forme speciali.
Inoltre, “secondo la corretta interpretazione della delibera assembleare in questione, con la stessa tutti I condomini si erano presi l’impegno reciproco, non tanto di vietare l’utilizzo dei locali ad attività incompatibili con la destinazione della quiete pubblica, quanto piuttosto di perseguire tale ultima finalità (obbligo di protezione).”

(Da Altalex del 28.10.2013. Nota di Enrica Maria Crimi)

Cade su tombino dissestato: distrazione pedone interrompe nesso

Cass. Civ., sez. VI - 3, ord. 4.10.2013 n° 22684

La Corte d’Appello di Taranto confermava la sentenza con la quale, il Tribunale aveva rigettato la pretesa della parte attrice avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti a seguito di caduta nei pressi di un tombino dissestato, motivando il rigetto con l’incidenza della condotta della ricorrente nella determinazione dell’accadimento, qualificabile quale diretta conseguenza della distrazione e della mancanza di diligenza della stessa, che consentiva di escludere la responsabilità del custode.
Avverso la sentenza di secondo grado, l’istante presentava ricorso per Cassazione, fondando il proprio gravame su quattro motivi:
    violazione di legge quanto alla ripartizione dell’onere della prova con riguardo al risarcimento del danno da cose in custodia e contraddittoria motivazione;
    omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla condotta colposa del Comune, ravvisabile nella mancata manutenzione del tombino;
    omessa motivazione quanto alla valutazione delle circostanze del fatto, data l’erronea attribuzione, da parte del Tribunale, di un rilievo decisivo e determinante alla condotta della ricorrente, omettendo di considerare la ragionevole aspettativa del pedone della sicurezza del manto stradale che limita o esclude la necessità di un continuo e scrupoloso controllo dello stato dei marciapiedi;
    vizio di motivazione della sentenza, costituita dall’aderenza ad un orientamento del Tribunale di Taranto contrario alle ragioni della ricorrente.
La Corte di Cassazione rigettava il gravame, fondando la propria decisione sull’analisi del profilo causale dell’evento.
La Suprema Corte evidenziava che l’accertamento relativo all’efficienza causale della condotta del danneggiato nella determinazione dell’evento dannoso era demandato al giudice di merito, la cui valutazione doveva ritenersi insindacabile, in sede di legittimità, se congruamente motivata.
Indi riteneva ampliamente motivata la sentenza e congruamente considerato il profilo causale dell’evento anche alla luce dell’inversione dell’onere della prova operata dall’art. 2051 c.c. Invero l’onere spettante al custode, di dimostrare il fortuito per sottrarsi alle conseguenze del danno cagionato dalle cose custodite, non esonera il danneggiato dalla prova del nesso causale tra la cosa custodita e il danno.
Nel caso di specie, l’analisi del nesso causale consentiva di ritenere configurabile e provato un comportamento colposo del danneggiato, connotato da distrazione e mancanza di diligenza ed idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e l’evento.
L’ordinanza giunge in tal modo a circoscrivere la portata della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia entro i limiti dell’efficienza causale valutata in concreto, attribuendo un rilievo determinante alla condotta del danneggiato, richiedendo, ai fini dell’attribuzione della responsabilità all’Ente, una situazione di pericolo, cagionata dalla cosa custodita, che l’utente medio non è in grado di prevedere o evitare facendo uso della normale diligenza. Tale valutazione consente di valutare nel caso concreto l’efficienza causale del comportamento del danneggiato nella progressione dei fatti, escludendo la presunzione di colpa del custode.
Trattasi invero di una responsabilità oggettiva che la Suprema Corte ha ritenuto configurabile solo previa esclusione di due fattori costituiti dal caso fortuito e dall’incidenza causale della condotta del danneggiato.

(Da Altalex del 15.10.2013. Nota di Elisa Ghizzi)

domenica 27 ottobre 2013

AIGA. Nicoletta Giorgi nuovo presidente

Nicoletta Giorgi, 38 anni, padovana, è il primo presidente donna della storia dell'associazione italiana giovani avvocati, ed è anche, dagli anni '90, il primo leader degli under 45 che arriva da una città del nord. La Giorgi, che raccoglie il testimone da Dario Greco, è stata eletta oggi, nella giornata di chiusura del XXII Congresso dell'Aiga, che si era aperto giovedì scorso a Palermo. Il programma della Giorgi è impegnativo: individuare le criticità sulle quali la nostra Associazione è chiamata a intervenire conferendo alle stesse priorità di esame e di risoluzione. “In primo luogo – dice a Mp – il problema della Governance. Un'occasione importante sarà il Congresso dell'avvocatura che si terrà a Venezia nell'ottobre 2014. All'interno della nostra categoria ci sono troppe voci in contrasto tra di loro che hanno reso difficile far accogliere, a livello politico, le nostre istanze. Pur lasciando inalterate le peculiarità di ogni associazione si dovrà creare un'assise comune che raccolga tutte le istanze in un'unica testimonianza. Mi piace pensare a un organismo presieduto a rotazione dalle varie componenti. Vorrei anche eliminare gli ostacoli che hanno portato l'Aiga fuori dall'organismo unitario dell'avvocatura”. Secondo la Giorgi, poi, si “deve tracciare la mappa che individua le mete da raggiungere nel corso del biennio e che consentirà, già da domani di predisporre quanto necessario a tal fine. Sintetizzare efficacemente le idee raccolte al fine di non disperderle”. 

(Da Mondoprofessionisti del 27.10.2013)

sabato 26 ottobre 2013

FIUMANO', INTERVISTA SUL GAZZETTINO

Sul Gazzettino di Giarre da oggi in edicola, diffuso in buona parte della Sicilia Orientale, è pubblicata un'intervista al Presidente Avv. Giuseppe Fiumanò, che fa il punto sull'AGA e sull'organizzazione futura dei corsi per crediti formativi.

Guida in stato d’ebbrezza, sicurezza prioritaria



Cass. sez. IV Pen., sent. n. 43729 del 25.10.2013

Seppur lievissimo, il superamento del limite, 0,80 grammi per litro, è sufficiente per dare per acclarato lo stato di ebbrezza dell’automobilista. Assolutamente irrilevante la considerazione che ogni individuo regga in maniera diversa l’alcool. Ciò che conta è tutelare la vita umana.

(Da dirittoegiustizia.it del 25.10.2013)

venerdì 25 ottobre 2013

AIGA: non vogliamo esser messi all’angolo

Circa 100mila avvocati rischiano l’espulsione dalla Cassa
per le difficoltà ad affermarsi nella professione



Contro chi crede che per risolvere il problema del grande numero di avvocati sia sufficiente far leva su queste norme che penalizzano i professionisti più “deboli”, l’associazione nazionale giovani avvocati - riunita a Palermo per il XXII congresso nazionale che si chiuderà domenica – promette le barricate. Nel mirino del presidente uscente Dario Greco definisce “pessima” riforma dell’ordinamento che mette all’angolo le giovani generazioni di oggi e di domani. “Una legge dove la parola giovani è contenuta una sola volta per una petizione di principio – si rammarica Greco – mentre anziano, anziani e anzianità si ripetono per bene 18 volte”. Il pericolo di un mancato futuro previdenziale per i giovani che si affacciano oggi alla professione forense, nasce da quanto previsto dall’articolo 21 della riforma forense che individua nell’esercizio continuo della professione e nella contestuale iscrizione cassa-albo le soluzioni per continuare a far parte della categoria. Secondo Greco le conseguenze delle parole si traducono poi nei fatti, con l’intenzione, neppure tanto occulta, di far pagare ai giovani le colpe dei padri. Il leader dell’Aiga trova dei responsabili per l’aumento esponenziale del numero di avvocati iniziato negli anni 90. “I colpevoli sono tutti i componenti delle commissioni di esame da avvocato dal 1988 fino ad oggi. E ancora prima – sostiene Dario Greco – tutti coloro che li hanno nominati e non sono mai intervenuti per sanzionare le Corti d’Appello dove il clientelismo era all’ordine del giorno”. Greco si dice convinto che chi si iscrive all’albo debba voler fare l’avvocato e la pratica e l’esame di stato non devono diventare la scorciatoia per accedere ad altre attività o per parcheggiare i disoccupati intellettuali. Detto questo però, bolla come ingiusto e immorale pensare di espellere dalla categoria decine di migliaia di ragazzi che, con il loro lavoro, consentono agli studi legali di stare aperti, molto spesso, senza percepire un centesimo di compenso”. Per evitare l’epurazione serve l’intervento della Cassa forense, che ha già fatto molto, mettendo a punto una bozza di regolamento dell’articolo 21 che per i primi anni della professione prevede contributi ridotti della metà rispetto al minimo. Ma per l’Aiga non basta ad eliminare le iniquità del sistema previdenziale. A cominciare dai pensionati che contribuiscono nella misura del 7% rispetto al 14% degli attivi pur essendo “usciti” con un sistema retributivo. Il confronto con la Cassa non mancherà, come non mancheranno le occasioni per dialogare con il Consiglio nazionale forense e l’Organismo unitario dell’avvocatura tutti presenti all’appuntamento di Palermo. E da Palermo, Ester Perifano chiede pesanti cambiamenti alla legge professionale. “È ora di spingere – dice - per la modifica della legge professionale dando attuazione a quanto deliberato a Bari nel corso del congresso forense. Ester Perifano, segretario nazionale Anf, non ha avuto peli sulla lingua e come suo solito ha attaccato Cnf e Cassa Forense. “L’avvocatura così come siamo stati abituati a pensarla negli anni - afferma Perifano - oggi non esiste più. E questo perché la professione si è andata consistentemente modificando negli anni, perché altre professioni, più giovani e meno ingessate, hanno progressivamente sottratto quote rilevanti di attività, perché l’organizzazione del lavoro è rimasta ancorata a schemi obsoleti, inadatti a rispondere alle mutate esigenze della società, ma anche perché sempre più negli ultimi decenni la professione forense è diventata una specie di ricovero per un numero abnorme di nuovi entrati che, non riuscendo a realizzare altre aspirazioni, è finita per rifugiarsi nell’alveo amico dell’albo degli avvocati, complice anche la gestione “clientelare” dell’accesso protrattasi per anni”. Consiglio Nazionale Forense, secondo Perifano, “è stata incapace di fronteggiare efficacemente l’azione governativa costretta a ripiegare su battaglie di retroguardia, pur nella consapevolezza di andare incontro ad una sconfitta sicura, prigioniero del suo ruolo di strenuo difensori di uno status quo che non esiste più da tempo”.

Geografia giudiziaria e Governance - Ai problemi dei giovani avvocati, ma non solo, il presidente dell’ordine di Firenze Sergio Paparo, aggiunge anche l’effetto geografia giudiziaria per chi esercita nei distretti soppressi dalla riforma. Una nuova mappa che – secondo Dario Greco – ha scatenato uno Tsunami senza produrre però l’effetto di rendere più efficiente il sistema giustizia. Ma anche qui il presidente dei giovani trova delle responsabilità all’interno della categoria“L’avvocatura italiana non ha fatto una bella figura, difendendosi posizioni indifendibili e arroccandosi sulla mera conservazione dell’esistente”. Il ministero dal canto suo avrebbe potuto offrire la possibilità ai tribunali soppressi di divenire sezioni distaccate. Dal palco del complesso monumentale del reale albergo delle Povere i giovani, attraverso il loro presidente rilanciano la battaglia sulla governance della categoria tornando a chiedere l’applicazione del principio “un uomo un voto” nell’elezione dei rappresentanti.  Si torna, poi, sul rischio espulsione dei giovani con il vice presidente di Cassa Forense Nunzio Luciano. “Sono pronto a dare battaglia – afferma - a chi pensa di tagliare fuori sacche di avvocati in base al reddito. La bozza di regolamento, che abbiamo messo a punto e che dovrà essere pronta entro il 4 febbraio, a mi avviso va ancora modificata cambiando l’articolo che taglia fuori dal beneficio di un minor versamento chi ha superato i 35 anni”. Per sostenere i giovani Luciano promette anche l’arrivo di una banca dati da mettere a disposizione dei giovani, ma ammette l’insuccesso della Cassa sul fronte della cartolarizzazione dei crediti vantati da chi presta patrocinio a spese dello stato. Non va bene al ministero delle finanze la proposta della Cassa di anticipare le somme dovute scalandole poi con il Fisco”.


Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 25.10.2013)

Colpevole madre separata trasferitasi in altra regione

Viola le disposizioni del giudice la madre separata di una bambina di otto mesi che si trasferisce in Sicilia in cerca di un lavoro mentre un provvedimento del tribunale di Trento aveva collocato la minore presso l’ex abitazione coniugale a Capriana (Tn) stabilendo il diritto di visita anche infrasettimanale del padre. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 43292/2013, dichiarando inammissibile il ricorso della madre.
Per la Suprema corte, infatti, “l’elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l’affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la ‘frustrazione’ delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo, quando questi siano finalizzati ad ostacolare ed impedire di fatto l’esercizio del diritto di visita e di frequentazione della prole (cfr. in termini: cass. pen. sez. 6, 33719/2010, fattispecie in cui vi erano stati frequenti e non comunicati spostamenti dei luogo di dimora senza preavviso al marito separato non affidatario)”.

(Da ilsole24ore.com del 23.10.2013)

Ritiro multa alla Posta e termini per ricorso

Il caso
Se la multa viene ritirata con qualche mese di ritardo, i termini per poter fare ricorso (30 gg al giudice di pace o 60 al prefetto) partono da quando viene ritirata la notifica alla Posta oppure dalla data della notifica?


La soluzione

Se il plico è stato depositato in posta:

- se l’interessato ritira l’atto entro 10 giorni dal momento del deposito (con spedizione della C.A.D.), da quella data decorrono i termini per presentare ricorso

- se invece ritira l’atto decorsi i 10 giorni, la notifica si intende eseguita l’11° giorno dopo il deposito (quindi se viene ritirato al 20° giorno dopo il deposito, la notifica si intende comunque eseguita l’11° giorno dopo il deposito).


(Da avvocati.it del 18.10.2013)

giovedì 24 ottobre 2013

IL 4 ASSEMBLEA AVVOCATI A CATANIA



Comunicato dell’Ordine
a firma del Presidente Magnano
e del Segretario Geraci

L’assemblea degli Avvocati è convocata per il giorno 4 novembre 2013, alle ore 15.30 presso l’Hotel Excelsior, Piazza Verga – Catania, per discutere e deliberare sul seguente
ORDINE DEL GIORNO
1) Situazione Uffici Giudiziari – determinazioni.

Congresso AIGA: “L’Avvocatura che vorrei”

Dario Greco: Disegneremo, qui a Palermo,
il mondo giudiziario che immaginiamo per il futuro
con uno sguardo alle giovani generazioni
di avvocati di oggi e di domani


Con queste parole, il presidente uscente dell’Aiga, Dario Greco ha aperto oggi a Palermo il XXII Congresso Nazionale Aiga. “Cercheremo a tal fine – ha aggiunto - di fornire proposte e possibili soluzioni perché da giovani avvocati vogliamo guardare al futuro con speranza e fiducia. Il Congresso Ordinario dell’Aiga – ha rilevato Greco - è il momento cruciale della vita associativa della Giovane Avvocatura italiana. Inoltre quest’anno si chiude il mandato del Presidente Nazionale e della sua giunta e viene eletto il nuovo Presidente che guiderà l’Associazione nel successivo biennio. Le giornate dei nostri lavori saranno contraddistinte da incontri e dibattiti tra esponenti politici, del mondo imprenditoriale, della società civile e dell’Avvocatura. Il tema dei dibattiti ruoterà attorno al titolo “La Giustizia che Vorrei”, perché insieme alla disamina dei mali del sistema giudiziario del nostro Paese, verranno presentate le proposte della Giovane Avvocatura di oggi. L’evento coinvolgerà oltre 500 delegati congressuali provenienti da tutt’Italia insieme a una folta partecipazione degli avvocati palermitani. Esso rappresenterà anche l’unico momento congressuale di tutta l’Avvocatura italiana nel 2013. Potrete cogliere l’occasione di allacciare nuovi rapporti professionali sia nel corso dei lavori scientifici che durante i momenti sociali in programma”.

Luigi Berliri (da Mondoprofessionisti del 24.10.2013)

Ciclista cade in buca, paga appaltatore

Multa più danni a carico dell'imprenditore 
che non rispetta l'obbligo contrattuale di vigilanza: 
non conta che sia esiguo il budget per i sopralluoghi 

Rischia grosso anche sul piano penale l'imprenditore che gestisce la manutenzione della viabilità comunale, specie in una grande città. Scatta infatti la condanna per lesioni colpose, con tanto di multa più danni a carico dell'amministratore della società, dopo la caduta del ciclista causata dalla buca nella sede stradale. Non conta che i fondi destinati dall'ente locale ai sopralluoghi bastino a stento per organizzare una squadra di operai ogni 800 chilometri di strada: il fatto che l'amministrazione sia consapevole che il budget in stile spending review non consente all'appaltatore di rispettare davvero gli obblighi contrattuali non esonera l'imprenditore dalla responsabilità penale. È quanto emerge dalla sentenza 42498/13, pubblicata dalla quarta sezione penale della Cassazione.

Obblighi e penali
Il ricorso dell'imputato è bocciato contro le conclusioni del procuratore generale, che aveva chiesto l'annullamento con rinvio. L'esiguità del corrispettivo previsto dall'appalto per organizzare il "pattugliamento" delle strade, in modo da intervenire su buche e altre ostacoli sul manto stradale, doveva indurre l'imprenditore a segnalare l'impossibilità di garantire il corretto svolgimento del servizio e a chiedere di concordare una soluzione. Il fatto che il Comune non abbia mai mosso rilievi né chiesto penali all'azienda per la gestione del territorio non significa affatto che l'impresa chiamata alla manutenzione stradale abbia davvero rispettato tutti gli obblighi derivanti dall'appalto. D'altronde, concludono gli "ermellini", la ditta non era affatto obbligata a sottoscrivere il contratto né ad accontentarsi di compensi inadeguati rispetto ai servizi che si impegnava a svolgere. L'amministratore unico della società paga le spese processuali anche al ciclista infortunato.

Dario Ferrara (da cassazione.net)

mercoledì 23 ottobre 2013

No risarcimento per perdita fratello naturale sconosciuto

Escluso il risarcimento del danno morale da parte dell’assicurazione per la morte, a causa di un incidente stradale, di un fratello naturale mai frequentato. Per la Cassazione che con la sentenza 23917/2013 ha rigettato i ricorsi dei fratelli si tratta della morte di uno sconosciuto.
Secondo la Suprema corte, infatti, “la liquidazione del danno non patrimoniale, subito dai congiunti in conseguenza dell’uccisione del familiare, deve tener conto dell’intensità del relativo vincolo, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia dello stesso nucleo familiare e l’intensità del relativo vincolo; le abitudini di vita; la situazione di convivenza (in tal senso si è ritenuto che il solo concepimento e la mancata esistenza in vita della congiunta al momento del fatto esclude l’esistenza di un vincolo familiare idoneo a configurare il danno parentale del quale la giurisprudenza ammette il risarcimento) (Cass., 21 gennaio 2011, n. 1410)”.

Nel caso specifico emerge che tra i fratelli in questione “non vi è mai stato alcun rapporto, non solo affettivo ma anzitutto sociale. Manca in particolare la prova oltre che di una qualche frequentazione tra gli … ed il fratello poi defunto, finanche di una loro conoscenza”.

“La morte del fratello - prosegue la sentenza - fu dunque morte di uno sconosciuto, ed il danno che si lamenta assume, in questa prospettiva, dimensione virtuale e non reale”.

Infine, neppure si può porre la questione della perdita del rapporto parentale, nel senso della perita della possibilità di sviluppare un rapporto di questa natura, “con conseguente perdita dell’arricchimento affettivo ordinariamente conseguente al sorgere ed allo svilupparsi di un siffatto rapporto”, in quanto presentata per la prima volta in Cassazione.


(Da ilsole24ore.com del 23.10.2013)

Difesa plurima, giudice decide su aumento onorari

Con riguardo alla liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, la disposizione dell’art. 5, IV comma, del Dm 31 ottobre 1985 (tariffe forensi) - secondo cui, nel caso di assistenza e difesa di più parti aventi la medesima posizione processuale, la parcella unica potrà essere aumentata, per ogni parte e fino ad un massimo di sei, del venti per cento - non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa stessa, bensì importa l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, senza che lo stesso sia vincolato all’aumento del venti per cento ogni qualvolta si verifichi l’ipotesi in essa considerata. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 23918/2013. 

(Da ilsole24ore.com)

Riforma condominio e forense, incontro il 25 a CL

Caltanissetta 25 ottobre 2013 – ore 15,00
Aula Magna Palazzo di Giustizia


Incontro di studi

“Nodi irrisolti della riforma del condominio”

“Riforma Forense : luci ed ombre”



Saluti :

Avv. Michele Riggi – Vice Presidente Nazionale A.N.A.I.

Avv. Giuseppe Iacona – Presidente COA Caltanissetta


Introduce e coordina:

Avv. Salvatore D’Agostini – Presidente A.N.A.I. Caltanissetta


1^ sessione “Nodi irrisolti della riforma del condominio”

Relatore:

Avv.  Maurizio de Tilla –   Presidente Nazionale  A.N.A.I. 


16:30  Coffee break

2^ sessione “Riforma Forense : luci ed ombre”


Relatori:

Avv.  Maurizio de Tilla –   Presidente Nazionale  A.N.A.I.

Avv. Antonella Pecoraro -  Vice Presidente A.N.A.I. Caltanissetta


Conclusione lavori ore 18,00

L’evento è accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Caltanissetta.

La partecipazione all’evento è gratuita e darà diritto al riconoscimento di n. 3 crediti  di cui n. 1 in materia di  deontologia.

Compatibilità per avvocato titolare di distributore carburanti



Deve escludersi che si possa configurare una incompatibilità con la professione forense con la mera titolarità di una concessione economica come quella per la distribuzione di carburanti, laddove l'impianto sia poi gestito da terzi, dal momento che (l'avvocato titolare) non è investito di alcun potere di gestione dell'impresa né di rappresentanza: ne consegue che non si può negare all'interessato l'iscrizione alla cassa forense. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza 16 ottobre 2013, n. 23536. Il giudice di merito evidenzia come l'articolo 3, regio decreto legge 1578/1933, distingue espressamente casi di incompatibilità con la professione di avvocato collegati all'esercizio di attività, quali il commercio in nome proprio o altrui, da altri collegati, invece, all'assunzione di una determinata qualità; inoltre, essendo documentalmente provato che la sola titolarità della concessione faceva capo all'interessato, in quanto l'attività di gestione degli impianti era affidata a terzi, non sussiste alcuna incompatibilità, stante la prevista scissione tra titolarità ed esercizio della concessione da parte dell'articolo 16, decreto legge 745/70. La Corte di Cassazione sottolinea ulteriormente che l'incompatibilità dell'esercizio della professione forense di cui all'articolo 3, regio decreto legge 1578/1933, che preclude, ex articolo 2, comma 3 ,legge 319/75, sia l'iscrizione alla Cassa, sia la considerazione ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense del periodo di tempo in cui l'attività incompatibile sia svolta, è quella con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui. La mera titolarità della concessione per impianti di carburanti non è ostativa all'esercizio della professione forense.

(Da studiocataldi.it)

martedì 22 ottobre 2013

Contratti a termine, assenza causale da verificare nel merito

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23702 del 18 ottobre 2013, ha fornito alcune precisazioni in relazione alla fattispecie di contratto a tempo determinato disciplinata dal D.Lgs. 368/2001. Assunto dalla ricorrente è che la società per azioni a capitale pubblico (nella specie si trattava di una s.p.a. Farmacie comunali riunite) è sottratta alle norme di diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e, quindi, alla conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, nel caso di nullità della clausola appositiva del termine. Tale posizione, sostiene il Supremo Collegio, è contraria ai principi dell’ordinamento dell’Unione europea né trova conferma nella legislazione nazionale. Dalla direttiva europea 28 giugno 1990 n. 70 e dall’allegato accordo del 18 marzo 1999, soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ed essere la forma generale di rapporto di lavoro anche se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori e dei prestatori di lavoro. L’organizzazione di un servizio pubblico secondo un modello privatistico non solleva l’ente organizzatore dai vincoli di finanza pubblica ma non lo sottrae neppure, salva espressa eccezione, alla normativa civilistica propria del modello, come avviene appunto per le società per azioni. Nel caso in specie, pertanto, la Spa pubblica non può appellarsi al mero rispetto dei vincoli di finanza pubblica per giustificare la stipula del contratto a termine. La Suprema Corte, inoltre, ha precisato che l’assenza di una causale a giustificare l’apposizione del termine deve comunque essere verificabile nel merito. Sul punto i giudici ricordano che l’unica fattispecie di contratto a tempo determinato "acausale" è quella contenuta nella previsione dell’art. 1, co. 8, L. 92/2012, che, introducendo l’art. 1-bis D.Lgs. 368 del 2001, ha permesso in un caso eccezionale la non indicazione della ragione giustificativa del termine. Ma quell’ipotesi eccezionale «dev’essere comunque verificabile». 

Lilla Laperuta (da diritto.it del 22.10.2013)

Illegittimo demansionamento per evitare licenziamento

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna inflitta ad una banca per aver adibito un proprio dipendente a mansioni di livello inferiore rispetto a quelle per le quali era stato assunto, affermando che “il demansionamento non può essere legittimato dalla volontà di evitare il licenziamento”.
 
Nel caso di specie, un dipendente era stato assunto come analista programmatore presso il CED (Centro Elaborazione Dati) di una banca. In seguito alla soppressione del CED, era stato trasferito ad un’altra struttura e adibito ad attività di mera aggregazione di dati estrapolati da archivi informatici, mansioni queste “prive di elementi di autonomia e responsabilità precedentemente goduti nell’attività svolta presso il CED della banca”. Il dipendente proponeva ricorso al Tribunale.

Nella sentenza di primo grado la banca era condannata al risarcimento del danno per il demansionamento subito dal lavoratore, come danno alla professionalità acquisita e per la malattia sofferta.

La Corte d’appello, adita dall’istituto bancario soccombente, sosteneva che la scelta dell’azienda configurava violazione delle norme codicistiche che disciplinano l’ambito lavorativo, in particolare l’articolo 2103 del Codice Civile, rubricato “Mansioni del lavoratore”, che non prevede l’affidamento di mansioni di livello inferiore a quelle definite dal contratto di lavoro. Tale previsione può essere contenuta solo in contratti collettivi di prossimità, in deroga alle disposizioni normative, così come stabilito dall’articolo 8 della legge 148/2011 (“Manovra di Ferragosto”) e quindi proposta e accettata dal lavoratore, contrariamente a quanto avvenuto nel caso in esame.

Con successivo ricorso in Cassazione, l’azienda adduceva violazione del potere dello ius variandi, rientrante questo nella libertà di iniziativa economica privata, garantito dall’articolo 41 della Carta Costituzionale. I giudici della Suprema Corte hanno constatato che la condotta dell’azienda rivelava, “alla luce della contrattazione collettiva applicabile e del livello di inquadramento del dipendente”, un’attività di demansionamento che comportava un danno alla professionalità acquisita, non giustificabile da una pur reale minaccia di licenziamento. “Lo ius variandi – si legge nel testo della sentenza – di cui gode il datore di lavoro deve essere esercitato in conformità con l’articolo 2103 del Codice Civile”. Rigettava, dunque, il ricorso e confermava la condanna inflitta dai giudici di merito.

Dalla sentenza in esame si ricava il seguente principio di diritto: l’azienda non può adibire un proprio lavoratore a mansioni di livello inferiore rispetto a quelle definite dal contratto di lavoro, giustificando tale condotta come finalizzata ad evitare il licenziamento del dipendente. Il potere di modificare le mansioni del lavoratore, tradizionalmente in capo al datore di lavoro, non può spingersi oltre i limiti definiti dal legislatore.


Lorenzo Dispero (da filodiritto.com del 21.10.2013)

lunedì 21 ottobre 2013

La giustizia del futuro, AIGA a Palermo

I giovani avvocati per la Giustizia del futuro. Dal 24 al 27 ottobre l'Aiga, l'Associazione dei Giovani Avvocati, si riunirà a Palermo per rinnovare i propri vertici, ma anche per confrontarsi sul futuro di una professione che sta attraversando un periodo particolarmente delicato. Il Congresso nazionale, dal titolo “La giustizia che vorrei”, si terrà a Palermo, una città in cui la tematica della legalità è particolarmente sentita. Sarà ovviamente l'occasione per confrontarsi su diverse tematiche scottanti. «Abbiamo delle problematiche a cui far fronte, prima fra tutte l'emergenza carceraria», sottolinea il presidente, Dario Greco, «Meriteremmo di essere noi i detenuti per come trattiamo i carcerati in Italia. Urge un provvedimento di clemenza per risolvere questa situazione». Per quanto riguarda le prossime nomine, il nuovo presidente sarà sicuramente una donna: candidate per il ruolo ci sono Claudia Pizzurro, calabrese di Paola, attuale Segretario nazionale dell'associazione, e Nicoletta Giorgio, padovana, Tesoriere nazionale Aiga. «È il segnale che il nostro mestiere si sta femminilizzando, ed è un'ottima cosa», conclude Greco.

(Da Mondoprofessionisti del 21.10.2013)

Avvocati: misurare il valore è possibile?



Quando parliamo del valore di un servizio o di un prodotto, pensiamo immediatamente al suo costo, e ad esso ci riferiamo in tali termini.
In realtà esistono evidentemente altre "qualità" di tale servizio/prodotto le quali, allo stesso modo, includono alcuni aspetti di tale valore e concorrono alla sua stessa misurazione.
Azzardiamo la seguente analogia: vi svegliate alle 3 del mattino perché il rubinetto del vostro lavandino perde notevoli quantità di acqua. Cercate un idraulico che possa provvedere a riparare la perdita e contattate due diversi professionisti, per aumentare le probabilità di ricevere un buon servizio.
Il primo ha una tariffa oraria "a buon mercato", ma non può iniziare la riparazione fino al pomeriggio seguente.
Il secondo idraulico invece, vi propone un prezzo più alto ma promette di arrivare entro trenta minuti.
Quale dei due idraulici ritenete offra un maggior valore (fermo restando che il contesto può influenzare tale percezione)?
Allo stesso modo, è possibile misurare il valore di un avvocato? Se sì: è secondo voi utile e vantaggioso?
Ed ancora: da quale prospettiva muovere e quali parametri considerare a tal fine: La soddisfazione del cliente?
Il costo della consulenza? La preparazione /conoscenza del professionista? I risultati giuridici? La qualità del servizio offerto? Qual è la vostra idea?
Probabilmente ha senso pensare ad uno spettro di situazioni, che vanno da un'elevata complessità giuridica, in cui la valutazione è probabile che sia soggettiva nella misurazione di breve periodo e obiettiva (ovvero, permetta di rispondere alla domanda "con quale risultato"?) nel lungo periodo, ad una elevata complessità del sistema dove il confronto è possibile ma in cui la misura della grandezza dei benefici è alquanto discutibile. Come si definisce la qualità di un avvocato?
E' forse determinata dall' efficienza (economicità) o, piuttosto, dal risultato, considerando che numerose variabili possono determinare i risultati finali (ed avere quindi un prezzo), al di fuori dell'acume giuridico dell'avvocato?
Forse il problema è che ci sono troppi avvocati in cerca di un pezzo di torta, e di laureati che pensano di essersi aggiudicati un biglietto per la fama e la fortuna.
Il ruolo dell'avvocato dovrebbe essere quello di evitare le controversie, guidare il cliente attraverso la giungla normativa e rendergli la vita facile. Ma il numero di volte in cui il più semplice dei documenti riesce a passare attraverso un esercito di mani (quelle di avvocati, segretarie, assistenti...) per settimane, avanti e indietro (pur comprendendo quanto una virgola possa fare una differenza significativa!), generando enormi costi e ritardi, è davvero sconcertante. Gli avvocati sono come i farmaci: quando servono davvero sono fantastici e insostituibili. Ma, ovviamente, non si vorrebbe mai, veramente, averne bisogno.

Nadia Fusar Poli (da studiocataldi.it)