mercoledì 24 dicembre 2014

sabato 20 dicembre 2014

CONSIGLIO DI DISCIPLINA SPIEGATO DA SEMINARA

“Nuovo Codice DeontologicoForense e Consigli Distrettuali di Disciplina” è stato l'interessante tema, in materia di Deontologia, trattato stamane dal consigliere dell'Ordine di Catania Avv. Fabrizio Seminara, nel corso dell'ultimo appuntamento organizzato dall'AGA nell'àmbito degli incontri di formazione continua per il 2014, tenutosi nella "sala Romeo" del Palazzo delle Culture di Giarre, al quale hanno partecipato un centinaio di avvocati.
Nell'occasione, i legali giarresi hanno scambiato gli auguri per le imminenti festività, brindando ad un 2015 che dovrà risolvere tanti problemi per la categoria, a livello sia nazionale che locale.

domenica 14 dicembre 2014

IL 20 INCONTRO DI DEONTOLOGIA



www.agagiarre.it
Associazione Giarrese Avvocati
FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA 2014

Sabato 20 Dicembre 2014, ore 9–12

Sala “Romeo” Palazzo delle Culture - 
Piazza Macherione Giarre

Incontro sul tema:
“Nuovo Codice Deontologico
Forense e Consigli
Distrettuali 
di Disciplina”

Relatore: Avv. Fabrizio Seminara Consigliere Ordine di Catania


La partecipazione all’evento, accreditato dal Consiglio dell’Ordine
Avvocati di Catania in data 2.12.2014, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA.
Ai non iscritti è richiesto un contributo-spese di € 5,00.


     Il Segretario                                        Il Presidente
Avv. Mario Vitale                            Avv. Giuseppe Fiumanò

giovedì 11 dicembre 2014

TESSERAMENTO 2015 IN CORSO

Si ricorda ai Signori Colleghi che sono aperte le iscrizioni all'AGA per l'anno 2015.
La quota è sempre quella degli anni precedenti, ovverosia € 25,00.
E' possibile scaricare l'apposito modulo di adesione dal nostro sito www.agagiarre.it nella sezione "Documenti" o ritirarlo in occasione degli incontri formativi.
Si precisa che anche in caso di rinnovo occorre compilare tale modulo e ciò nell'ottica di una revisione dei dati di ciascun collega ai fini di una miglior comunicazione e informazione.
Ricordiamo che i tesserati riceveranno l'AGACARD che, oltre a rappresentare il simboilico senso di appartenenza, consentirà anche di usufruire di convenzioni appositamente stipulate dalla nostra Associazione e di godere di sconti e condizioni di particolare favore presso alcuni esercizi commerciali.  

mercoledì 10 dicembre 2014

Servitù di veduta e condizioni per l’usucapione

Cass. Sez. II Civ., Sent. 17.11.2014, n. 24401

Una recentissima pronuncia della Suprema Corte ha stabilito le condizioni necessarie all’usucapione di una servitù di veduta e prospetto su un fondo vicino.

La norma di riferimento (articolo 1061 del codice civile) prevede che l’acquisto per usucapione possa aversi soltanto per le servitù apparenti, per le quali esistano opere permanenti e visibili che consentano il loro esercizio.     

Tale disposizione è stata interpretata nel senso che le opere permanenti devono essere visibili dal fondo servente in modo tale da rendere presumibile la conoscenza della servitù da parte del proprietario di questo.

L’orientamento costante della Corte ha specificato che la visibilità delle opere può non riscontrarsi dal fondo servente (ipotesi normale ma non esclusiva), ben potendo aversi una conoscenza oggettiva della servitù anche da altri punti d’osservazione (ad esempio dal fondo dominante o da quello di un terzo).

Ciò che rileva, infatti, ai fini dell’usucapione è la non clandestinità del possesso, condizione questa che può verificarsi soltanto nel caso in cui la conoscibilità del peso sul fondo servente sia oggettivamente presumibile (quindi apparente) dal proprietario di questo.

La Corte ha rigettato il ricorso del proprietario di un fondo servente con il quale, a fronte della richiesta di controparte di dichiarare l’intervenuta usucapione su una servitù di veduta, ha eccepito la carenza del requisito dell’apparenza in quanto le opere che ne consentivano l’esercizio non erano visibili dal proprio fondo, per lungo tempo coperto da un tetto spiovente.

Alla stregua del costante orientamento suesposto, la Suprema Corte ha ritenuto sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitù fossero visibili da un altro punto di osservazione (una vicina via pubblica) rispetto al fondo servente, rilevando, ai fini dell’usucapione, quella visibilità tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere la consapevolezza della situazione di obbiettivo asservimento del fondo servente a vantaggio di quello dominante.


Marco Dettori (da filodiritto.com del 3.12.2014)

sabato 6 dicembre 2014

PER UN GIUDICE DI PACE CHE TUTELI I CITTADINI


Si è concluso da poco, al Palazzo delle Culture di Giarre, l’interessante convegno organizzato dall’AGA nell’ambito delle attività di formazione continua, in cui è stato trattato come argomento l’impatto della giurisprudenza di legittimità e di merito nei procedimenti innanzi al Giudice di Pace.
L’Avv. Antonio Zarrillo, giudice a Mascalucia, con la sapiente miscela di grande competenza e senso dell’umorismo che lo contraddistingue, ha catturato l’attenzione di un centinaio di legali discutendo su impugnazioni di contravvenzioni stradali, opposizione a cartelle esattoriali e liquidazione del “colpo di frusta”; in quest’ultimo argomento è stato supportato dalla Dott.ssa Patrizia Moschetti, medico legale, e dall’Avv. Maurizio Zappalà, i quali hanno illustrato alcuni risvolti medici e giurisprudenziali della questione con grande professionalità.

Il presidente Fiumanò ha invitato i soci all’ultimo incontro dell’anno, che si terrà nella stessa sede Sabato 20 Dicembre, nel corso del quale sarà trattato un tema di Deontologia e avverrà il tradizionale scambio di auguri natalizi.

Nota a margine: oggi sono state consegnate le prime AGACARD ai nuovi tesserati. Oltre a rappresentare il simboilico senso di appartenenza, consentiranno anche di usufruire di convenzioni appositamente stipulate dalla nostra Associazione e di godere di sconti e condizioni di favore presso alcuni esercizi commerciali.

lunedì 1 dicembre 2014

IL 6 INCONTRO FORMATIVO SUL GIUDICE DI PACE

Sabato 6 dicembre, a partire dalle ore 9, la Sala “Romeo” del Palazzo delle Culture di Giarre. piazza Macherione, ospiterà un incontro organizzato dall’Associazione Giarrese Avvocati sul tema: “L'impatto della giurisprudenza di merito e di legittimità nei giudizi innanzi  al Giudice di Pace”. 
Relatori Antonio Zarrillo, giudice di pace a Mascalucia, e Maurizio Zappalà dell’ordine avvocati di Catania.

La partecipazione all’evento, in corso di accreditamento, dà diritto a n. 3 crediti formativi.

La partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA. Ai non iscritti è richiesto un contributo-spese di € 5,00.

sabato 29 novembre 2014

Cassa, nuovi iscritti e retrodatazione

La Cassa Forense, in attuazione del Regolamento pubblicato in G.U. il 20.8.2014, provvederà alla iscrizione dei colleghi che, alla data del 21.8.2014, erano iscritti ad un Albo Forense, ma non alla Cassa, comunicando a mezzo raccomandata o PEC agli interessati l'avvenuta iscrizione, che decorrerà dall'1.1.2014, gli importi dovuti, e la scadenza del versamento.
Nella stessa comunicazione sarà espressamente indicata la possibilità di avvalersi del beneficio della retrodatazione della iscrizione (art. 3).

Tale facoltà potrà essere esercitata entro il termine perentorio di sei mesi dalla ricezione della comunicazione.

Si precisa che la retrodatazione si può chiedere solo al momento della prima iscrizione, entro il termine di sei mesi dalla data di avvenuta iscrizione, (o dalla data di ricezione della comunicazione, per coloro i quali al 21.8.2014 erano iscritti all'Albo ma non ancora alla Cassa).

Decorso il termine di sei mesi si decade dal beneficio.

Ne consegue che non potranno più esercitare la facoltà della retrodatazione coloro i quali siano stati già in precedenza iscritti alla Cassa e poi si siano cancellati, per qualsiasi motivo.

Inoltre, per accedere al beneficio è necessario che l'interessato sia in regola con l'invio delle comunicazioni obbligatorie e non sia incorso nell'infrazione all'obbligo di iscrizione alla Cassa.

Si ricorda che possono essere “recuperati” gli anni di iscrizione nel Registro dei Praticanti, per un massimo di cinque, i primi tre anni di iscrizione all'Albo, con le stesse modalità del Regolamento dei contributi vigente, e l'anno 2013.

Anche gli iscritti agli Albi che al momento dell'iscrizione alla Cassa abbiano compiuto il 40° anno di età possono ottenere i benefici della retrodatazione, nei termini e con le modalità di cui all'art. 3 del Regolamento. Inoltre, laddove necessario, potrebbero ottenere i benefici previsti dall'art. 4, con il pagamento di una speciale contribuzione pari al doppio dei contributi minimi, soggettivo ed integrativo, in misura piena, dell'anno di decorrenza della iscrizione per ciascun anno a partire da quello del compimento del 39° anno di età fino a quello anteriore alla decorrenza della iscrizione, entrambi inclusi.

Anche per gli ultraquarantenni la retrodatazione si può chiedere solo al momento della prima iscrizione, entro il termine di sei mesi dalla data di avvenuta iscrizione, (o dalla data di ricezione della comunicazione, per coloro i quali al 21.8.2014 erano iscritti all'Albo ma non ancora alla Cassa).


(Da CF Newsletter - A cura dei delegati Cecilia Barilli, Alessandro Di Battista e Francesco Notari)

mercoledì 26 novembre 2014

IL 6 DICEMBRE EVENTO SUL GDP



www.agagiarre.it
Associazione Giarrese
Avvocati

FORMAZIONE PROFESSIONALE
 CONTINUA 2014

Sabato 6 Dicembre 2014, ore 9–12

Sala “Romeo” Palazzo delle Culture
Piazza Macherione Giarre

Incontro sul tema:
“L'impatto della giurisprudenza
di merito e di legittimità
nei giudizi innanzi
 al Giudice di Pace”

Relatori:
Avv. Antonio Zarrillo 
 Giudice di Pace a Mascalucia
Avv. Maurizio Zappalà  
dell’Ordine di Catania


La partecipazione all’evento, in corso di accreditamento
da parte dell’Ordine Avvocati di Catania, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA.
Ai non iscritti è richiesto un contributo-spese di € 5,00.

lunedì 24 novembre 2014

340 posti in Magistratura, bando in Gazzetta

Con decreto del 5 novembre 2014, pubblicato nella G.U. n. 91 del 21 novembre 2014 - 4a serie speciale - concorsi, è bandito concorso per 340 posto di magistrato ordinario.
La procedura di compilazione ed invio della domanda di partecipazione è interamente ed esclusivamente telematica.

Il candidato deve registrarsi sul sito del Ministero della Giustizia, inserendo le credenziali di autenticazione richieste dal bando (codice fiscale, posta elettronica nominativa, password).

Per maggiori dettagli consultare il sito del Ministero della Giustizia.

Danni da infiltrazioni in condominio e lavori in appalto

Trib. Taranto, sez. II, sent. 4.4.2014 n° 1098
 
Il Tribunale di Taranto ha affrontato una complicata fattispecie caratterizzata dall'intrecciarsi di titoli di responsabilità in ordine al medesimo danno.
Era avvenuto che alcuni condomini avessero agito in giudizio al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno derivante da alcune infiltrazioni provenienti dal terrazzo posto all'ultimo piano dell'edificio condominiale.
Nel far ciò i condomini avevano individuato come legittimati passivi della domanda risarcitoria il proprietario dell'ultimo piano, titolare di un diritto di uso esclusivo del terrazzo, il condominio e l'impresa appaltatrice che aveva realizzato alcuni lavori di rifacimento del pavimento del terrazzo (oltre che l'impermeabilizzazione dello stesso).
Il condominio, da parte sua, vistosi convenuto in giudizio aveva chiamato in causa il direttore dei lavori, sostenendo la responsabilità di quest'ultimo in ordine alla errata realizzazione dei lavori.
Ebbene, rileva che, in punto di fatto, a seguito dell'espletamento di una CTU in corso di causa era stato accertato – oltre all'ammontare del valore delle opere necessarie al ripristino – che le cause delle infiltrazioni erano riconducibili ad una serie di ragioni, fra cui l'errata esecuzione di alcune lavorazioni relative all'impermeabilizzazione, e, al contempo, al fatto che la pavimentazione versava in uno stato di incuria tale da consentire al fenomeno delle infiltrazioni stesse.
La CTU aveva inoltre evidenziato come non fosse possibile individuare come causa unica delle infiltrazioni il posizionamento di una piscina da parte del proprietario dell'ultimo piano: piscina che, in ogni caso, era poi stata rimossa.
Ecco allora che il giudicante si è trovato innanzi ad una situazione in cui per il medesimo danno veniva in rilievo la responsabilità di più soggetti: responsabilità, peraltro, non omogenee sotto il profilo del titolo.
Oltre a ciò, il giudicante si è dovuto confrontare con la possibilità che della chiamata in causa del terzo (ossia il direttore dei lavori) potessero giovarsi anche gli attori, in forza del principio dell'estensione della domanda attorea al terzo chiamato.
Ebbene, nell'indagare tali questioni, il Giudice ha innanzitutto qualificato la responsabilità del proprietario titolare di un uso esclusivo del terrazzo e del condominio. Per entrambi, secondo il giudicante, il titolo di responsabilità sarebbe da ravvisarsi nell'art. 2051 c.c., in forza del quale “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
Ha ritenuto infatti il Giudice che sia il Condominio sia il condomino titolare di un diritto d'uso esclusivo del terrazzo, in quanto custodi del bene, avrebbero dovuto prestare la massima diligenza nel manutenere il terrazzo in uno stato idoneo ad evitare il prodursi del danno dedotto in giudizio.
Peraltro, il Giudice ha precisato come la responsabilità del Condominio non potesse essere esclusa per il fatto che la terrazza era in uso esclusivo del condomino proprietario dell’attico. E questo in ragione del fatto che il terrazzo svolgendo una funzione di copertura dell’edificio fa sì che il condominio ne conservi la custodia, al fine di prevenire il verificarsi di rischi di infiltrazioni nei piani sottostanti.
Così individuata la responsabilità di tali due soggetti, il Giudice ha poi fatto applicazione dell'art. 1126 c.c. al fine di suddividerne, nei rapporti interni, l'entità. La disposizione richiamata, come noto, prevede che “Quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.” E così nella pronuncia in esame è stato ritenuto che, nei rapporti interni, condomino e condominio dovessero rispondere nelle seguenti proporzioni: 1/3 il condomino titolare del diritto d'uso esclusivo, 2/3 il condominio.
Come detto, però, anche altri soggetti erano coinvolti nella controversia.
In particolare, gli attori avevano convenuto in giudizio l'appaltatore che aveva eseguito, fra l'altro, le opere di impermeabilizzazione del terrazzo.
Il condominio, da parte sua, aveva poi evocato in giudizio il direttore dei lavori.
A quest'ultimo riguardo giova innanzitutto evidenziare come il giudicante abbia fatto applicazione dei principi giurisprudenziali emersi al riguardo, ritenendo automaticamente estesa anche a beneficio degli attori la domanda proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato.
Detto ciò, rileva come, sulla base della CTU svolta in corso di causa, il Giudice abbia ritenuto sussistente una responsabilità dell'appaltatore e, di conseguenza, del direttore dei lavori (il quale non aveva ben vigilato sull'operato dell'appaltatore).
Il Giudice ha poi ritenuto che la responsabilità dell'appaltatore fosse ascrivibile alle ipotesi di cui all'art. 1669 c.c., così superando ogni questione inerente la prescrizione e la decadenza della domanda principale.
Posta tale responsabilità dell'appaltatore e del direttore dei lavori, il Giudice ha quindi modulato la responsabilità fra i due “gruppi”: da un lato quella del condominio e del condomino, dall'altra quella del direttore lavori e dell'appaltatore.
Nel far ciò, anziché dividere la responsabilità in parti uguali fra i due gruppi, il Giudice ha enfatizzato la circostanza che i lavori, per quanto mal eseguiti e, dunque, per quanto concausa nel verificarsi dell'evento dannoso, si erano comunque svolti a distanza di cinque anni dalla contestazione.
Di conseguenza, nel ragionamento del giudicante, la maggior parte della responsabilità era da attribuirsi all'incuria posta in essere dal condominio e dal condomino, mentre la compartecipazione all'evento dannoso da parte del direttore dei lavori e dell'appaltatore era da individuarsi in una porzione minore.
E così, facendo applicazione dell'art. 2055 c.c., il Giudice ha ritenuto che “La responsabilità dell’impresa appaltatrice e del professionista può essere fissata in parti uguali ex art. 2055, II co., c.c., tuttavia, va limitato il loro apporto causale sulle infiltrazioni ad un terzo del totale, se si considera il notevole lasso di tempo che i custodi convenuti ex art. 2051 lasciavano passare senza fare opera di manutenzione sulla terrazza a livello. Tra il condominio ed il titolare dell’uso esclusivo della terrazza, come sopra si è detto, va invece applicata la proporzione ex art. 1126 c.c.”.
La statuizione finale è stata dunque nel senso di accertare la responsabilità concorrente dei convenuti e del terzo chiamato, precisandosi che la responsabilità era così ripartita: appaltatrice e direttore dei lavori, nella misura di 1/3 del totale (1/2 nei rapporti interni); di 2/3 invece a carico del Condominio e del condomino titolare di diritto esclusivo ( nei rapporti interni 2/3 per il primo ed 1/3 per l’altro ex art. 1126 c.c.)

(Da Altalex del 18.11.2014. Nota di Riccardo Bianchini)

mercoledì 19 novembre 2014

Nuovo pignoramento dei veicoli, breve vademecum

Con l’entrata in vigore della legge n. 162/2014, di conversione del d.l. n. 132/2014 (pubblicata nella G.U. n. 261 del 10 novembre), a breve il pignoramento degli autoveicoli dovrà effettuarsi secondo le nuove regole dettate dal legislatore.
Applicabile a tutti i procedimenti iniziati a partire dal 30° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione, la nuova forma di pignoramento, unitamente alla possibilità di accedere alla banca dati del Pra (Pubblico registro automobilistico), dovrebbe portare ad una notevole semplificazione della procedura esecutiva.

L’impatto della riforma è evidente.

Da un lato, infatti, i maggiori poteri di “investigazione” conferiti all’ufficiale giudiziario dall’art. 19 del decreto giustizia, consentiranno, tramite l’accesso diretto alle banche dati pubbliche telematiche, di ampliare e rendere più fruttifere le ricerche dei beni del debitore, potendo individuare facilmente i mezzi allo stesso intestati e, di concerto con la collaborazione del creditore, procedere al pignoramento.

Dall’altro, la procedura ad hoc prevista per il pignoramento dei veicoli, in luogo di quella precedente che seguiva le norme dei pignoramenti mobiliari, consentirà una notevole semplificazione ed una maggiore efficacia, risolvendosi in una sorta di fermo auto dei mezzi, di proprietà del debitore, ivi compresi quelli aziendali.

Vediamo nel dettaglio le misure descritte:

L’accesso alle banche dati pubbliche online

Il nuovo art. 492-bis introdotto dal d.l. n. 132/2014 prevede che su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, autorizzi l’ufficiale giudiziario alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.

Al fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, all’ufficiale è, dunque, consentito l’accesso diretto alle banche dati delle pubbliche amministrazioni e degli enti previdenziali, nonché all’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e al pubblico registro automobilistico.

Una volta terminate le operazioni, l’ufficiale dovrà redigere verbale, nel quale indicare tutte le banche dati interrogate e i risultati ottenuti.

Ove l’accesso abbia consentito di individuare cose appartenenti al debitore, in luoghi compresi nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario, quest'ultimo procederà d’ufficio al pignoramento; ove, invece, i beni non siano compresi nelle zone di competenza, l’ufficiale dovrà indicarlo nel verbale consegnandone copia al creditore il quale entro 15 giorni dovrà procedere, a pena d’inefficacia, alla richiesta all’ufficiale giudiziario territorialmente competente.

Quando l’accesso consente di individuare beni o crediti del debitore nella disponibilità di terzi, l’ufficiale è tenuto a notificare d’ufficio il verbale, contenente l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, sia al debitore che al terzo, intimando a quest’ultimo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’art. 546 c.p.c., sottoponendo altresì ad esecuzione, i beni o i crediti indicati dal creditore, entro dieci giorni dalla comunicazione dell’ufficiale giudiziario, a pena d’inefficacia del pignoramento, ai sensi del nuovo art. 155-ter disp. att. c.p.c. 

La procedura

Secondo il nuovo art. 521-bis, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 132/2014, il pignoramento degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi dovrà eseguirsi d’ora in poi mediante notificazione al debitore di un atto, indicante gli estremi del mezzo che si intende sottoporre all’esecuzione, l’ingiunzione prevista dall’art. 492 c.p.c., nonché l’intimazione a consegnare, entro dieci giorni, il bene pignorato, i relativi titoli e documenti di proprietà, all’Istituto Vendite Giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario nel quale è compreso il luogo di residenza (domicilio, dimora o sede) del debitore.

Dalla notifica del pignoramento, sino alla consegna del mezzo e dei titoli all’Ivg, il debitore è costituito custode dei mezzi pignorati e dei relativi accessori, ivi comprese pertinenze e frutti, senza diritto ad alcun compenso; successivamente, è l’Ivg ad assumere la custodia, dandone immediata comunicazione, ove possibile, al creditore pignorante.

Qualora il debitore, scaduto il termine di 10 giorni, non ottemperi all’obbligo di consegna, saranno gli organi di polizia che accerteranno la circolazione del bene pignorato a procedere al ritiro della carta di circolazione (e dei relativi e documenti di proprietà del mezzo), consegnando il tutto all’Ivg competente per territorio.

Nelle more, il creditore, ricevuto l’atto di pignoramento dall’ufficiale giudiziario, dovrà trascriverlo nei pubblici registri, depositando, entro trenta giorni dalla comunicazione, nella cancelleria del tribunale, nota di iscrizione a ruolo e copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione. Il termine è perentorio e, in caso di mancato rispetto da parte del creditore, il pignoramento perde efficacia.


(Da studiocataldi.it del 17.11.2014)

martedì 18 novembre 2014

Struttura carente, primario responsabile se non trasferisce paziente

Cass. Sez. III Civ., Sent. 22.10.2014, n. 22338

In materia di responsabilità del medico, la Corte di Cassazione ha stabilito che sussiste la responsabilità del primario ospedaliero qualora, pur conoscendo le carenze organizzative della struttura dallo stesso diretta, ometta di trasferire il paziente in struttura idonea.

Nel caso in esame, una coppia di coniugi denunciava la negligenza dei sanitari e del primario della struttura sanitaria nella quale era nato il loro figlio. A causa di una non corretta attività dei sanitari e della conduzione del parto, il piccolo portava la lesione del plesso brachiale.

I coniugi, ricorrendo all’autorità giudiziaria, in proprio e per nome del figlio minore, richiedevano ai sanitari coinvolti nell’operazione del parto il risarcimento del danno subito.

La domanda era rigettata in primo e in secondo grado. I coniugi hanno proposto ricorso in Cassazione, deducendo come motivi di impugnazione, tra i vari, la violazione da parte della Corte d’appello delle norme sull’accertamento della responsabilità del medico e sulla diligenza dei sanitari e l’inadeguata motivazione della decisione con cui ha escluso la sussistenza sia del nesso causale, sia della colpa in capo ai sanitari convenuti.

La Corte di legittimità ha rilevato come la decisione impugnata sia erronea nella parte in cui, dopo aver affermato l’esistenza di deficienze organizzative nella struttura ospedaliera, ha escluso la responsabilità del primario.

Alcuni dei compiti fondamentali che è chiamato a svolgere il primario di una struttura ospedaliera sono il controllo e la vigilanza “sull’attività e sulla disciplina del personale sanitario, tecnico, sanitario ausiliario ed esecutivo assegnato alla sua divisione o servizio. [Il primario] ha la responsabilità dei malati, definisce i criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli aiuti e dagli assistenti, pratica direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che ritenga di non affidare ai suoi collaboratori, formula la diagnosi definitiva, provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle cure e dispone la dismissione degli infermi”,sulla base di quanto stabilito dall’articolo 7, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, (recante “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”).

Una varietà di compiti e funzioni, conseguenti alla posizione apicale ricoperta dal primario nella struttura presso la quale opera e che dirige.

In virtù di tale posizione, il medico è chiamato a svolgere le proprie funzioni con la diligenza richiesta dall’articolo 1176, comma 2, Codice Civile, e “poiché un primario diligente non avrebbe trascurato di impartire adeguate direttive al personale a lui sottoposto per gestire le emergenze, né avrebbe trascurato di informarsi sull’adeguamento di un parto che si preannunciava distocico”,i giudici di legittimità hanno concluso che la decisione impugnata violava l’articolo 1176 del Codice Civile e l’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 128/1969.

La decisione era viziata da error in iudicando nella parte in cui trascurava il principio secondo cui “il medico, di fronte ad una situazione di urgenza, che non può essere adeguatamente affrontata con i mezzi di cui dispone la struttura ospedaliera in cui si trova ad operare, ha l’obbligo di disporre tempestivamente il trasferimento del paziente presso altra struttura, in adempimento del generale dovere di diligenza di cui all’articolo 1176, comma 2 del codice civile”.

La Cassazione ha accolto, dunque, il ricorso dei coniugi, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello in diversa composizione, definendo i seguenti principi di diritto che il giudice del rinvio dovrà applicare:

“Il primario ospedaliero risponde del danno derivato da un deficit organizzativo della struttura da lui diretta, ove non dimostri di avere adempiuto tutti gli obblighi a lui imposti dall’articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, e cioè di essersi informato sulle condizioni dei malati, di aver impartito le necessarie istruzioni al personale, e di avere predisposto le direttive per eventuali emergenze”.

“È in colpa il medico che, al cospetto di un paziente le cui condizioni non possono essere adeguatamente gestite nella struttura ospedaliera in cui si trova, non si attivi per disporne l’immediato trasferimento in altra struttura”.


Lorenzo Pispero (da filodiritto.com del 17.11.2014)

lunedì 17 novembre 2014

Nuovo codice deontologico e presenza in Internet

Il 15 dicembre 2014 entrerà in vigore il nuovo codice deontologico (approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014) che, tra l'altro, disciplinerà anche le modalità di pubblicità online da parte degli avvocati.
Al riguardo, il nuovo art. 35, coomma 9 stabilisce che: "L'avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso".

L'unica novità sostanziale, rispetto alla versione precedente, è il divieto di "reindirizzamento", che avviene quando il curatore di un determinato indirizzo internet "comanda" al browser di riferimento (Internet Explorer, Chrome, Firefox, ecc…) di indirizzare automaticamente l'utente che ha digitato tale indirizzo su un altro sito.

In tal modo, si vuole evitare che un utente, senza averne intenzione, si trovi a dover visitare il sito di un avvocato (si pensi, ad esempio, al caso in cui un utente clicchi su un sito denominato "infrazioni al codice della strada" e venga automaticamente reindirizzato al dominio di un avvocato specializzato in tale settore).

Premesso ciò, quali limiti incontrerà la pubblicità informativa svolta dagli avvocati sul web?

In primo luogo, l'informativa deve avvenire su domini propri dell'avvocato. E', quindi, lecito l'utilizzo di siti web in cui è chiaramente identificato il professionista o lo studio legale associato le cui attività vengono pubblicizzate. E', invece, vietato l'utilizzo di siti web con domini generici (quali, ad esempio, "www.avvocati(città).it" ovvero "www.avvocati(regione).it"), senza l'identificazione dell'avvocato o dello studio legale (cfr. parere CNF del 14 gennaio 2011).

Dubbi potrebbero sorgere in relazione all'utilizzo, a fini pubblicitari, di social network (quali Facebook o Twitter), considerato che tali siti web non sono "domini propri" dell'avvocato.

Invero, gli avvocati sono tenuti ad utilizzare "siti web con domini propri" sin dal 2008; nonostante ciò, nel 2011, il CNF ha espressamente ammesso l'utilizzo dei social network a scopo promozionale, da parte del professionista, a condizione che lo stesso enunci chiaramente la sua qualità di avvocato di modo che l'utente / cliente percepisca chiaramente di trovarsi sul sito di un professionista legale senza essere "vittima" di un'informazione fuorviante o decettiva (cfr. parere CNF del 27 aprile 2011).

L'utilizzo dei social network è, quindi, legittimo se posto in essere in conformità con quanto statuito dal CNF e non pare possa essere inibito dal suddetto divieto di reindirizzamento che, infatti, sembra attenere fattispecie diverse.

L'art. 35, comma 10 del nuovo codice prevede, poi, che il sito internet del legale "non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l'indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito". (art. 35, co. 10). Tale disposizione (rimasta anch'essa pressoché immutata rispetto alla versione precedente del codice) impone all'avvocato di limitare i contenuti del sito web all'ambito di informazioni professionali indicate nel codice deontologico, senza reclamizzare (anche attraverso banner pubblicitari) prodotti o servizi non attinenti all'attività pubblicitaria.

Non è chiaro se tale norma, così come formulata, sia compatibile con l'utilizzo di strumenti di pubblicità online - quali Google Adwords - con cui l'avvocato sponsorizza il proprio sito web. Vietare tale tipo di pubblicità sarebbe, però, in netta contraddizione con quanto di recente affermato dal CNF, per cui la pubblicità informativa dell'avvocato può essere veicolata con qualsiasi mezzo sempre nel rispetto dei canoni di trasparenza, veridicità e correttezza, ai sensi dell'art. 10 della L. n. 247/2012 (cfr. parere del CNF del 26 marzo 2014).

Per quanto riguarda i contenuti dell'informativa sul sito web, il professionista potrà fornire informazioni sulla sua propria attività professionale (indicando il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di appartenenza), sull'organizzazione e la struttura dello studio, indicando "i nominativi di terzi organicamente collegati con lo studio" (art. 35, co. 1, 3 e 6). Non è, invece, consentita l'indicazione dei clienti, ancorché vi consentano (art. 35, co. 8), o il riferimento a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attività professionale (cfr. art. 35 co. 2).

In ogni caso, le informazioni veicolate tramite internet dovranno essere rispettose dei doveri di trasparenza, veridicità, correttezza, segretezza, riservatezza senza essere equivoche, ingannevoli, denigratorie o comparative con altri colleghi.

Inoltre, anche la pubblicità online non dovrà ledere il decoro e la dignità della professione: ad esempio, sono stati considerati lesivi di tali principi l'offerta di prestazioni professionali gratuite in caso di soccombenza all'esito della lite (CNF, 21 aprile 2011, n. 56), ovvero la pubblicazione sul sito web di foto non attinenti l'ambito professionale (CNF 10 dicembre 2007, n. 211).

In caso di violazione delle prescrizioni sopra menzionate, l'avvocato incorrerà nella sanzione della censura (cfr. art. 35, co. 12).

In conclusione, ad una prima lettura, le novità apportate dal nuovo codice deontologico in ambito di pubblicità online non paiono essere di portata particolarmente innovativa rispetto alla disciplina previgente. Tuttavia, sarebbe opportuno che il CNF intervenisse al fine di chiarire gli aspetti più problematici sopra evidenziati, soprattutto con riferimento ai social network, strumento oggi centrale nell'attività promozionale degli avvocati.


Francesco Torniamenti, Trifirò & Partners Avvocati (da diritto24.ilsole24ore,com del 17.11.2014)

sabato 15 novembre 2014

PCT, AVVOCATI PREOCCUPATI MA VOLENTEROSI

Stamane la sala Romeo del Palazzo delle Culture di Giarre, in piazza Macherione, ha ospitato l'evento formativo organizzato dall'AGA in collaborazione col Gruppo 24 Ore, avente ad oggetto -ancora una volta- le numerose problematiche legate all'ormai imminente, definitivo ingresso del processo civile telematico ed alla posta elettronica certificata.
Brillante relatore del convegno è stato l'Avv. Antonio Tesoro del Foro di Messina il quale, con l'aiuto del district manager del Gruppo 24 Ore Angelo Bongiorno ed il prezioso supporto tecnico di Leonardo Sorbello di Service One, ha illustrato normativa e casi pratici, rispondendo altresì alle numerose domande rivoltegli dai colleghi presenti, preoccupati ma desiderosi di apprendere, in una sala gremita in ogni ordine di posti.
Nell'occasione il Presidente Fiumanò ha annunciato le novità che (dopo la sostituzione del logo) riguarderanno a breve l'associazione, in particolare il rinnovo -in atto- del sito www.agagiarre.it, nonchè l'organizzazione di due ulteriori incontri per il mese di Dicembre, uno dei quali in materia deontologica.

venerdì 14 novembre 2014

DOMANI CORSO AGA SU PCT

L’utilizzo delle PEC ed il nuovo processo civile telematico” è il titolo dell’incontro organizzato dall’AGA per la formazione professionale continua, che si terrà domani Sabato 15 Novembre 2014, dalle ore 9 alle 12, nella Sala Romeo del Palazzo delle Culture di Giarre (piazza Macherione). Relatore l’Avv. Antonio Tesoro dell’Ordine di Messina.

mercoledì 12 novembre 2014

Agibilità dell'immobile e contratto di locazione

di Elena Abbate

L’inquadramento normativo



In un periodo risalente, la certificazione di abitabilità non esisteva se non come mera attestazione di salubrità dell’mmobile, prescritta a norma dell’articolo 221 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. 27.7.1934 n. 1265). In tale accezione, la legge utilizzava talora la denominazione di licenza di abitazione o di agibilità (come in materia edilizia: articolo 41-ter, Legge 1150/42), talora quella di dichiarazione di abitabilità (come in materia di edilizia popolare: articolo 18, L. 18.4.1962 n. 167; o in materia sanitaria: articolo 43, R.D.L. 30.11.1910 n. 2318).



Solamente con l’avvento della Legge 28.2.1985 n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia) si istituisce (articolo 52) il vero e proprio certificato di abitabilità o di agibilità.



Sulla scia della nuova normativa, il Decreto del Presidente della Repubblica 22.4.1994 n. 425 (Disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità, di collaudo statico e di iscrizione al catasto), all’articolo 4, introduceva - ma solo per le nuove costruzioni ex articolo 220 Testo Unico della Sanità n. 1265/34 - l’obbligo del certificato di abitabilità ai fini dell’utilizzazione dell’immobile. Finché il Testo Unico dell’Edilizia, Decreto del Presidente della Repubblica 6.6.2001 n. 380, agli articoli 24-26, abrogando il Decreto del Presidente della Repubblica 425/94 e rinnovando radicalmente la materia[1], ha dettagliato la procedura di rilascio e ne ha specificato l’applicabilità nei casi di interventi di nuova costruzione, ricostruzioni o sopraelevazioni e di interventi che potessero influire sulle condizioni di igiene, salubrità, sicurezza e risparmio energetico.



Il certificato di agibilità riveste un ruolo di primaria importanza anche in materia di sicurezza, avendo la funzione di “attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti” (articolo 24, Testo Unico dell’Edilizia, Decreto Legislativo n. 380/01). E non solo: esso “garantisce l’idoneità dell’immobile ad assolvere una determinata funzione economico-sociale e, quindi, a soddisfare in concreto i bisogni che hanno indotto l’acquirente ad effettuare l’acquisto” (Cassazione Civile, 10 giugno 1991 n. 6576).



Nel quadro della normativa contrattuale i relativi obblighi di adeguamento sono posti a carico del locatore, giusta il disposto degli articoli 1575 e 1617 del codice civile, dovendosi assicurare che il bene sia idoneo all’uso cui è contrattualmente destinato. A sua volta, l'idoneità all’uso non risente più della distinzione tra uso abitativo ed uso non abitativo, ma si estende ad entrambe le fattispecie, atteso l'avvenuto abbandono della distinzione tra agibilità e abitabilità.



L’inquadramento giurisprudenziale



Da tempo in giurisprudenza si è andata affermando la tesi che attribuisce al locatore l’obbligo di procurare il certificato di agibilità dell’immobile, messo a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie attraverso l’accertamento pubblico dell’esistenza delle condizioni di stabilità e sicurezza dell’edificio.



Il definitivo arresto della Suprema Corte si ebbe con Sentenza dell’11 aprile 2006 n. 8409[2], allorchè la Cassazione riconobbe che rientra nelle obbligazioni del locatore anche quello di procurare al conduttore il certificato di agibilità dell'immobile locato: “…la mancanza del certificato”, affermò la Corte, “per non essere stato il provvedimento ancora richiesto o rilasciato, viene a configurare una situazione d’inadempimento in ragione dell’iniziale inettitudine della cosa a soddisfare l’interesse dell’acquirente del diritto reale o di credito sulla cosa”. Per cui, quand’anche l’inagibilità fosse ab initio nota alle parti contraenti, “il definitivo diniego del rilascio del certificato” (che assorbe quindi il caso, pure considerato dalla Corte, in cui il rilascio non sia stato dal locatore nemmeno richiesto) “legittima il ricorso ai rimedi della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno”.



La Corte si discostò quindi dalla più formalistica tesi che sempre aveva trovato cultori[3], secondo cui la negoziazione del bene inagibile determini una responsabilità per avere negoziato un aliud pro alio[4], nel senso di intravedere, nell’immobile privo del requisito dell'agibilità, un oggetto radicalmente diverso da quello promesso, non tanto nel senso della materialità quanto piuttosto per lo stravolgimento della funzione economica che gli si attribuiva all'atto dell'acquisto. Tuttavia, in ciò stesso il ragionamento seguito dalla Corte nella pronuncia del 2006 rafforza il principio della responsabilità, intravedendola non solo nell’ipotesi in cui il rilascio del certificato venga definitivamente negato dal Comune, ma soprattutto nell’ipotesi in cui il locatore neppure lo richieda; e ciò indipendentemente dalla consapevolezza che le parti contraenti potevano averne all'atto della negoziazione[5].



Inoltre, nel suo ragionamento la Suprema Corte aveva inteso evidenziare come vada considerato superato l'orientamento giurisprudenziale, risalente agli anni ‘80, che prevedeva un obbligo solo parziale del certificato, ritenendo che, per gli immobili non abitativi, esistessero adempimenti altrettanto idonei a salvaguardare le esigenze igienico-sanitarie: in linea con la soppressione della distinzione fra abitabilità e agibilità, concetti riservati rispettivamente agli immobili abitativi e a quelli di diverso uso, la Corte aveva finito col mostrarsi attenta alla funzione pubblica come pure al rilievo privatistico della certificazione[6], “attenendo questa ad un requisito essenziale della cosa” (Cassazione Civile, 16 giugno 2008 n. 16216).



Osservava infine la Corte che, in presenza di contratto di locazione, il vincolo che impone di procurarsi il certificato “deve ritenersi incombere (diversamente invero che per le ipotesi di autorizzazioni amministrative, come ad es. l’iscrizione alla camera di commercio ovvero di quelle di pubblica sicurezza necessarie all’esercizio di specifiche attività o per poter adibire l’immobile a pubblici spettacoli, peraltro di mero rilievo pubblicistico e inidonee a incidere sul rapporto privatistico: cfr. Cassazione, 19 gennaio 1999 n. 463) al locatore quale proprietario o comunque titolare del potere di disposizione sulla cosa”.



Con detta sentenza la Corte confermava un indirizzo più intransigente che già emergeva da precedenti pronunce: vedansi, in particolare, Cassazione, 21 dicembre 2004 n. 23695; Cassazione., 5 novembre 2002 n. 15489; Cassazione, 10 agosto 2001 n. 11055; Cassazione, 12 settembre 2000 n. 12030; Cassazione, 16 settembre 1996 n. 8285[7].



Ultimamente, però, la Corte sembra voler rimodellare l’onere del locatore, chiarendo che, salva sempre l’ipotesi in cui il locatore abbia espressamente assunto lo specifico obbligo di ottenere l’agibilità, il suo inadempimento si configurerebbe solo allorché l’inagibilità attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche proprie dell’immobile locato, tali da non consentire il lecito esercizio dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito (Cassazione Civile, 16 giugno 2014 n. 13651[8]). Ora,  questa pronuncia, più attenta alla sostanza che alla forma, merita di non restare isolata.



Nonostante quest’ultima “virata” della Corte, rimane comunque affermato il principio che l’inagibilità dell’immobile incide sul diritto personale insito nel contratto di locazione, e concreta una responsabilità per inadempimento in capo al locatore.



Le fattispecie affini



Lo stesso dicasi, spostandoci su un tema collaterale, per la difforme destinazione urbanistica cui l’immobile è soggetto per la sua categoria catastale, ove il disponente non adempia a richiederne il mutamento, nell’obbligo di rendere l’immobile locato idoneo all’uso contrattualmente convenuto. “Sufficiente a integrare il vizio de quo”, osserva la Suprema Corte, “deve ritenersi anche il semplice stato di obiettiva incertezza sulla condizione urbanistica dell’immobile locato, che può rappresentare, anche da solo, una qualità negativa incidente, per le difficoltà frapposte dall’autorità amministrativa (allegando la necessità di licenze, permessi o autorizzazioni), sull’effettiva fruibilità del bene conformemente all’uso pattuito” (Cassazione Civile, Sezione Terza, 26 novembre 2002 n. 16677[9]).



Sempre stando su aspetti affini all’agibilità, continua a non sembrare necessario affermare l’onere del locatore di ottenere le eventuali autorizzazioni amministrative necessarie per l’uso del bene locato, sempre salvo patto contrario. Tuttavia, in caso di specifica pattuizione, la particolare destinazione dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, torna a diventare rilevante – quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto e, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile - in relazione all’uso convenuto (Cassazione, Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550[10]; conformi: Cassazione, Sezione Terza, 8 giugno 2007 n. 13395; Cassazione, Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836; Cassazione, 17 gennaio 2007 n. 975; Cassazione, 26 settembre 2006 n. 20831; Cassazione, 12 novembre 2000 n. 12030; Cassazione, 11 aprile 2000 n. 4398): e, in ciò, ci sembra di intravedere un allineamento col principio di sostanza affermato dalla Cassazione con la sopra citata Sentenza n. 13651/2014 in punto all’agibilità.



Stando al tema delle autorizzazioni amministrative in genere, è significativo - e rafforza il principio - che nella specifica ipotesi di locazione di immobile ad uso di ristorazione, la Corte di Cassazione abbia evidenziato che il locatore non solo debba garantirne l’agibilità e l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni e licenze amministrative relative alla destinazione d’uso, ma debba anche assicurarne il persistere nel tempo, e ciò in conseguenza dell’obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto(Cassazione, 28 marzo 2006 n. 7081[11]).



Invero, nel 2011 la Suprema Corte aveva parzialmente rivisto il proprio indirizzo laddove, pur ribadendo che la mancanza delle autorizzazioni e delle concessioni amministrative, ovvero l’impossibilità di ottenerle, costituisca grave inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1578, tornava a intravedere un’esimente dalla responsabilità nel caso in cui il conduttore fosse a conoscenza della situazione e l’avesse consapevolmente accettata (Cassazione Civile, Sezione Terza, 7 giugno 2011 n. 12286[12]). Tuttavia, tale principio deve comunque conformarsi a quanto affermato dalla stessa Corte, secondo la quale “grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento della specifica attività che intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni” (Cassazione, 25 gennaio 2011 n. 1735; Cassazione, 1 dicembre 2009 n. 25278; Cassazione, 8 giugno 2007 n. 13395; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836).



In tutte queste fattispecie affini che abbiamo voluto toccare (agibilità, destinazione urbanistica, autorizzazioni amministrative), l’inadempimento del proprietario-locatore – ove riconosciuto in base al diverso atteggiarsi delle circostanze di volta in volta ravvisate dalla giurisprudenza - giustifica il recesso anticipato dal contratto da parte del conduttore e legittima quest’ultimo alla domanda di risarcimento del danno subito.


(Da filodiritto.com del 4.11.2014)


[1] Con il T.U. dell'Edilizia si abbandona la distinzione tra abitabilità e agibilità e si adotta unicamente quest'ultima denominazione omnicomprensiva.

[2] Sez. III, est. Scarano; Cocco c. E.&C. Costruzioni Srl, cassa App. Cagliari, 15 aprile 2002.

[3] TOSCHI VESPASIANI F., La mancanza del certificato di agibilità e il contratto di locazione dell’immobile ad uso non abitativo, in Resp. Civ. n. 10/2006, p. 808.

[4] Soprattutto in materia di vendita di immobile privo del certificato, vedasi da ultimo Cass. Civ. 14 gennaio 2014 n. 629.

[5] Nella giurisprudenza di merito, si cita il Foro di chi scrive: qualora l'autorità amministrativa neghi definitivamente i provvedimenti di sua competenza per ragioni tecniche o igieniche e l'immobile diventi, conseguentemente inidoneo all'uso per cui era stato locato, "l'inosservanza dell'adempimento amministrativo all'agibilità dell'immobile dà luogo alla risoluzione del contratto" (Pret. Piacenza, Est. Bruno, 31 maggio 1998 n. 160. Conforme: Trib. Piacenza, Est. Andretta, 6 maggio 2009 n. 326).

[6] Cfr. Cass. Pen., 20 gennaio 1981 n. 3887.

[7] Conformi in dottrina: DE MARZO G., Contratto di locazione e certificato di abitabilità, in Urbanistica e Appalti n. 6/2006, p. 683. GUERRESCHI G., Mancanza del certificato di abitabilità? Risoluzione del contratto e risarcimento del danno, in Danno e Responsabilità n. 1/2007, p. 52; MAZZEO RINALDI A., Le obbligazioni del locatore e i vizi del bene locato, in Arch. Locazioni e Condominio n. 6/2008, p. 573; NEGRI G., Il locatore garantisce l'abitabilità, in Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2006 n. 145, p. 38. TOSCHI VESPASIANI F., op. cit.

[8] Sez. III, est. Scrima, L'Arca per l'ambiente Scarl c. Penta Costruzioni Srl.

[9] Est. Perconte Licatese, Soc. Centrouno Trasporti c. Soc. Lombardini Discount.

[10] Est. Urban, Loviglio c. Terranova.

[11] In Riv. Giur. Ed. 2007, I, 83, con nota di DE TILLA, Sulla responsabilità del locatore in relazione alle autorizzazioni amministrative.

[12] Est. Lanzillo. Confermata da CASS., 29 novembre 2011 n. 25248.

martedì 11 novembre 2014

Compensi anche per tempo dedicato a mancato cliente

Cass. Civ. sent. n. 22737 del 27.10.2014

L’avvocato che impegni il proprio tempo e le proprie competenze professionali, anche in assenza di un conferimento formale dell’incarico, ha diritto al compenso secondo il tariffario forense.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22737 del 27 ottobre 2014, dando partita vinta a un legale nei confronti di una società che si opponeva al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Pisa per il pagamento di prestazioni professionali.

Rigettate le proprie istanze in primo grado, la società presentava appello, asserendo di non aver mai conferito alcun mandato all’avvocato e che lo stesso non aveva mai effettuato prestazioni professionali in suo favore.

Ma il legale aveva un asso nella manica: aveva conservato i documenti (nella specie un atto di citazione per una causa già pendente) che i rappresentanti della società avevano portato presso il suo studio per visionarli in vista di un possibile procedimento giudiziale, nonché la missiva con la quale lo stesso avvocato invitava la società a formalizzare l’incarico professionale.

Da qui la prova decisiva, che il legale aveva impiegato tempo nello studio della questione e per quello andava pagato, giacchè, come affermato dai giudici di merito: “non si trattò di un mero colloquio informativo ma vennero sottoposti all’attenzione del legale atti giudiziari ancora in possesso in copia dell’avvocato e prodotti in giudizio, al fine di ottenere un parere e in vista di un futuro mandato professionale”.

Confermando le statuizioni di primo e secondo grado, la Cassazione ha ritenuto evidente la sussistenza di un rapporto professionale tra la società e il legale, con il conferimento di un incarico “avente ad oggetto un parere professionale in merito ad una causa già pendente”.

Pertanto, ha concluso la S.C., rigettando il ricorso, “il professionista per aver impegnato il proprio tempo e le proprie competenze professionali” aveva maturato, senza alcun dubbio, il diritto al compenso sulla base delle tariffe forensi.


(Nemes 7.11.2014 – da studiocataldi.it)