mercoledì 24 dicembre 2014
sabato 20 dicembre 2014
CONSIGLIO DI DISCIPLINA SPIEGATO DA SEMINARA
“Nuovo Codice DeontologicoForense e Consigli Distrettuali di Disciplina” è stato l'interessante tema, in materia di Deontologia, trattato stamane dal consigliere dell'Ordine di Catania Avv. Fabrizio Seminara, nel corso dell'ultimo appuntamento organizzato dall'AGA nell'àmbito degli incontri di formazione continua per il 2014, tenutosi nella "sala Romeo" del Palazzo delle Culture di Giarre, al quale hanno partecipato un centinaio di avvocati.
Nell'occasione, i legali giarresi hanno scambiato gli auguri per le imminenti festività, brindando ad un 2015 che dovrà risolvere tanti problemi per la categoria, a livello sia nazionale che locale.
domenica 14 dicembre 2014
IL 20 INCONTRO DI DEONTOLOGIA
www.agagiarre.it
Associazione Giarrese Avvocati
FORMAZIONE PROFESSIONALE
CONTINUA 2014
Sabato
20 Dicembre 2014, ore 9–12
Sala “Romeo”
Palazzo delle Culture -
Piazza Macherione Giarre
Piazza Macherione Giarre
Incontro sul tema:
“Nuovo Codice Deontologico
Forense e Consigli
Distrettuali
di Disciplina”
di Disciplina”
Relatore: Avv. Fabrizio
Seminara Consigliere Ordine di
Catania
La
partecipazione all’evento, accreditato dal Consiglio dell’Ordine
Avvocati
di Catania in data 2.12.2014, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci
dell’AGA.
Ai non iscritti è richiesto un contributo-spese
di € 5,00.
Il Segretario Il Presidente
Avv. Mario Vitale Avv. Giuseppe
Fiumanò
giovedì 11 dicembre 2014
TESSERAMENTO 2015 IN CORSO
Si ricorda ai Signori Colleghi che sono aperte le iscrizioni all'AGA per l'anno 2015.
La quota è sempre quella degli anni precedenti, ovverosia € 25,00.
E' possibile scaricare l'apposito modulo di adesione dal nostro sito www.agagiarre.it nella sezione "Documenti" o ritirarlo in occasione degli incontri formativi.
Si precisa che anche in caso di rinnovo occorre compilare tale modulo e ciò nell'ottica di una revisione dei dati di ciascun collega ai fini di una miglior comunicazione e informazione.
Ricordiamo che i tesserati riceveranno l'AGACARD che, oltre a
rappresentare il simboilico senso di appartenenza, consentirà anche
di usufruire di convenzioni appositamente stipulate dalla nostra
Associazione e di godere di sconti e condizioni di particolare favore presso alcuni
esercizi commerciali.
mercoledì 10 dicembre 2014
Servitù di veduta e condizioni per l’usucapione
Cass.
Sez. II Civ., Sent. 17.11.2014, n. 24401
Una
recentissima pronuncia della Suprema Corte ha stabilito le condizioni
necessarie all’usucapione di una servitù di veduta e prospetto su un fondo
vicino.
La
norma di riferimento (articolo 1061 del codice civile) prevede che l’acquisto
per usucapione possa aversi soltanto per le servitù apparenti, per le quali
esistano opere permanenti e visibili che consentano il loro esercizio.
Tale
disposizione è stata interpretata nel senso che le opere permanenti devono
essere visibili dal fondo servente in modo tale da rendere presumibile la
conoscenza della servitù da parte del proprietario di questo.
L’orientamento
costante della Corte ha specificato che la visibilità delle opere può non
riscontrarsi dal fondo servente (ipotesi normale ma non esclusiva), ben potendo
aversi una conoscenza oggettiva della servitù anche da altri punti
d’osservazione (ad esempio dal fondo dominante o da quello di un terzo).
Ciò
che rileva, infatti, ai fini dell’usucapione è la non clandestinità del
possesso, condizione questa che può verificarsi soltanto nel caso in cui la
conoscibilità del peso sul fondo servente sia oggettivamente presumibile
(quindi apparente) dal proprietario di questo.
La Corte ha rigettato il ricorso del proprietario di un fondo
servente con il quale, a fronte della richiesta di controparte di dichiarare
l’intervenuta usucapione su una servitù di veduta, ha eccepito la carenza del
requisito dell’apparenza in quanto le opere che ne consentivano l’esercizio non
erano visibili dal proprio fondo, per lungo tempo coperto da un tetto
spiovente.
Alla
stregua del costante orientamento suesposto, la Suprema Corte ha
ritenuto sufficiente che le opere destinate all’esercizio della servitù fossero
visibili da un altro punto di osservazione (una vicina via pubblica) rispetto
al fondo servente, rilevando, ai fini dell’usucapione, quella visibilità tale
da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere la consapevolezza
della situazione di obbiettivo asservimento del fondo servente a vantaggio di
quello dominante.
Marco Dettori (da
filodiritto.com del 3.12.2014)
sabato 6 dicembre 2014
PER UN GIUDICE DI PACE CHE TUTELI I CITTADINI
Si è concluso da poco, al Palazzo delle Culture di Giarre, l’interessante convegno organizzato dall’AGA nell’ambito delle attività di formazione continua, in cui è stato trattato come argomento l’impatto della giurisprudenza di legittimità e di merito nei procedimenti innanzi al Giudice di Pace.
L’Avv.
Antonio Zarrillo, giudice a Mascalucia, con la sapiente miscela di grande competenza e senso
dell’umorismo che lo contraddistingue, ha catturato l’attenzione di un
centinaio di legali discutendo su impugnazioni di contravvenzioni stradali,
opposizione a cartelle esattoriali e liquidazione del “colpo di frusta”; in quest’ultimo
argomento è stato supportato dalla Dott.ssa Patrizia Moschetti, medico legale,
e dall’Avv. Maurizio Zappalà, i quali hanno illustrato alcuni risvolti medici e
giurisprudenziali della questione con grande professionalità.
Il
presidente Fiumanò ha invitato i soci all’ultimo incontro dell’anno, che si
terrà nella stessa sede Sabato 20 Dicembre, nel corso del quale sarà trattato
un tema di Deontologia e avverrà il tradizionale scambio di auguri natalizi.
Nota
a margine: oggi sono state consegnate le prime AGACARD ai nuovi tesserati.
Oltre a rappresentare il simboilico senso di appartenenza, consentiranno anche
di usufruire di convenzioni appositamente stipulate dalla nostra Associazione e di godere di sconti e condizioni di favore presso alcuni esercizi commerciali.
lunedì 1 dicembre 2014
IL 6 INCONTRO FORMATIVO SUL GIUDICE DI PACE
Sabato
6 dicembre, a partire dalle ore 9, la
Sala “Romeo” del Palazzo delle Culture di
Giarre. piazza Macherione, ospiterà un incontro organizzato dall’Associazione
Giarrese Avvocati sul tema: “L'impatto della giurisprudenza di merito e di
legittimità nei giudizi innanzi al
Giudice di Pace”.
Relatori Antonio Zarrillo, giudice di pace a Mascalucia, e Maurizio
Zappalà dell’ordine avvocati di Catania.
La
partecipazione all’evento, in corso di accreditamento, dà diritto a n. 3
crediti formativi.
La
partecipazione è gratuita per i soci dell’AGA. Ai non iscritti è richiesto un
contributo-spese di € 5,00.
sabato 29 novembre 2014
Cassa, nuovi iscritti e retrodatazione
La Cassa
Forense, in attuazione
del Regolamento pubblicato in G.U. il 20.8.2014, provvederà alla iscrizione dei
colleghi che, alla data del 21.8.2014, erano iscritti ad un Albo Forense, ma
non alla Cassa, comunicando a mezzo raccomandata o PEC agli interessati
l'avvenuta iscrizione, che decorrerà dall'1.1.2014, gli importi dovuti, e la
scadenza del versamento.
Nella
stessa comunicazione sarà espressamente indicata la possibilità di avvalersi
del beneficio della retrodatazione della iscrizione (art. 3).
Tale
facoltà potrà essere esercitata entro il termine perentorio di sei mesi dalla
ricezione della comunicazione.
Si
precisa che la retrodatazione si può chiedere solo al momento della prima
iscrizione, entro il termine di sei mesi dalla data di avvenuta iscrizione, (o
dalla data di ricezione della comunicazione, per coloro i quali al 21.8.2014
erano iscritti all'Albo ma non ancora alla Cassa).
Decorso
il termine di sei mesi si decade dal beneficio.
Ne
consegue che non potranno più esercitare la facoltà della retrodatazione coloro
i quali siano stati già in precedenza iscritti alla Cassa e poi si siano
cancellati, per qualsiasi motivo.
Inoltre,
per accedere al beneficio è necessario che l'interessato sia in regola con l'invio
delle comunicazioni obbligatorie e non sia incorso nell'infrazione all'obbligo
di iscrizione alla Cassa.
Si
ricorda che possono essere “recuperati” gli anni di iscrizione nel Registro dei
Praticanti, per un massimo di cinque, i primi tre anni di iscrizione all'Albo,
con le stesse modalità del Regolamento dei contributi vigente, e l'anno 2013.
Anche
gli iscritti agli Albi che al momento dell'iscrizione alla Cassa abbiano
compiuto il 40° anno di età possono ottenere i benefici della retrodatazione,
nei termini e con le modalità di cui all'art. 3 del Regolamento. Inoltre,
laddove necessario, potrebbero ottenere i benefici previsti dall'art. 4, con il
pagamento di una speciale contribuzione pari al doppio dei contributi minimi,
soggettivo ed integrativo, in misura piena, dell'anno di decorrenza della
iscrizione per ciascun anno a partire da quello del compimento del 39° anno di
età fino a quello anteriore alla decorrenza della iscrizione, entrambi inclusi.
Anche
per gli ultraquarantenni la retrodatazione si può chiedere solo al momento
della prima iscrizione, entro il termine di sei mesi dalla data di avvenuta
iscrizione, (o dalla data di ricezione della comunicazione, per coloro i quali
al 21.8.2014 erano iscritti all'Albo ma non ancora alla Cassa).
(Da CF Newsletter - A
cura dei delegati Cecilia Barilli, Alessandro Di Battista e Francesco Notari)
mercoledì 26 novembre 2014
IL 6 DICEMBRE EVENTO SUL GDP
www.agagiarre.it
Associazione Giarrese
Avvocati
FORMAZIONE PROFESSIONALE
CONTINUA 2014
Sabato
6 Dicembre 2014, ore 9–12
Sala “Romeo”
Palazzo delle Culture
Piazza Macherione Giarre
Incontro sul tema:
“L'impatto della giurisprudenza
di merito e di legittimità
nei giudizi innanzi
al Giudice di Pace”
Relatori:
Avv. Antonio
Zarrillo
Giudice di Pace a Mascalucia
Giudice di Pace a Mascalucia
Avv. Maurizio
Zappalà
dell’Ordine di Catania
dell’Ordine di Catania
La
partecipazione all’evento, in corso di accreditamento
da
parte dell’Ordine Avvocati di Catania, dà diritto a n. 3 crediti formativi.
La partecipazione è gratuita per i soci
dell’AGA.
Ai non iscritti è richiesto un
contributo-spese di € 5,00.
lunedì 24 novembre 2014
340 posti in Magistratura, bando in Gazzetta
Con
decreto del 5 novembre 2014, pubblicato nella G.U. n. 91 del 21 novembre 2014 -
4a serie speciale - concorsi, è bandito concorso per 340 posto di magistrato
ordinario.
La
procedura di compilazione ed invio della domanda di partecipazione è
interamente ed esclusivamente telematica.
Il
candidato deve registrarsi sul sito del Ministero della Giustizia, inserendo le
credenziali di autenticazione richieste dal bando (codice fiscale, posta
elettronica nominativa, password).
Per
maggiori dettagli consultare il sito del Ministero della Giustizia.
Danni da infiltrazioni in condominio e lavori in appalto
Trib. Taranto,
sez. II, sent. 4.4.2014 n° 1098
Il
Tribunale di Taranto ha affrontato una complicata fattispecie caratterizzata
dall'intrecciarsi di titoli di responsabilità in ordine al medesimo danno.
Era
avvenuto che alcuni condomini avessero agito in giudizio al fine di ottenere la
condanna al risarcimento del danno derivante da alcune infiltrazioni
provenienti dal terrazzo posto all'ultimo piano dell'edificio condominiale.
Nel
far ciò i condomini avevano individuato come legittimati passivi della domanda
risarcitoria il proprietario dell'ultimo piano, titolare di un diritto di uso
esclusivo del terrazzo, il condominio e l'impresa appaltatrice che aveva
realizzato alcuni lavori di rifacimento del pavimento del terrazzo (oltre che
l'impermeabilizzazione dello stesso).
Il
condominio, da parte sua, vistosi convenuto in giudizio aveva chiamato in causa
il direttore dei lavori, sostenendo la responsabilità di quest'ultimo in ordine
alla errata realizzazione dei lavori.
Ebbene,
rileva che, in punto di fatto, a seguito dell'espletamento di una CTU in corso
di causa era stato accertato – oltre all'ammontare del valore delle opere
necessarie al ripristino – che le cause delle infiltrazioni erano riconducibili
ad una serie di ragioni, fra cui l'errata esecuzione di alcune lavorazioni
relative all'impermeabilizzazione, e, al contempo, al fatto che la
pavimentazione versava in uno stato di incuria tale da consentire al fenomeno
delle infiltrazioni stesse.
La CTU aveva inoltre evidenziato come non fosse possibile
individuare come causa unica delle infiltrazioni il posizionamento di una
piscina da parte del proprietario dell'ultimo piano: piscina che, in ogni caso,
era poi stata rimossa.
Ecco
allora che il giudicante si è trovato innanzi ad una situazione in cui per il
medesimo danno veniva in rilievo la responsabilità di più soggetti:
responsabilità, peraltro, non omogenee sotto il profilo del titolo.
Oltre
a ciò, il giudicante si è dovuto confrontare con la possibilità che della
chiamata in causa del terzo (ossia il direttore dei lavori) potessero giovarsi
anche gli attori, in forza del principio dell'estensione della domanda attorea
al terzo chiamato.
Ebbene,
nell'indagare tali questioni, il Giudice ha innanzitutto qualificato la
responsabilità del proprietario titolare di un uso esclusivo del terrazzo e del
condominio. Per entrambi, secondo il giudicante, il titolo di responsabilità
sarebbe da ravvisarsi nell'art. 2051 c.c., in forza del quale “Ciascuno è responsabile
del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso
fortuito”.
Ha
ritenuto infatti il Giudice che sia il Condominio sia il condomino titolare di
un diritto d'uso esclusivo del terrazzo, in quanto custodi del bene, avrebbero
dovuto prestare la massima diligenza nel manutenere il terrazzo in uno stato
idoneo ad evitare il prodursi del danno dedotto in giudizio.
Peraltro,
il Giudice ha precisato come la responsabilità del Condominio non potesse
essere esclusa per il fatto che la terrazza era in uso esclusivo del condomino
proprietario dell’attico. E questo in ragione del fatto che il terrazzo
svolgendo una funzione di copertura dell’edificio fa sì che il condominio ne
conservi la custodia, al fine di prevenire il verificarsi di rischi di
infiltrazioni nei piani sottostanti.
Così
individuata la responsabilità di tali due soggetti, il Giudice ha poi fatto
applicazione dell'art. 1126 c.c. al fine di suddividerne, nei rapporti interni,
l'entità. La disposizione richiamata, come noto, prevede che “Quando l'uso dei
lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli
che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa
delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a
carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il
lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di
piano di ciascuno.” E così nella pronuncia in esame è stato ritenuto che, nei
rapporti interni, condomino e condominio dovessero rispondere nelle seguenti
proporzioni: 1/3 il condomino titolare del diritto d'uso esclusivo, 2/3 il
condominio.
Come
detto, però, anche altri soggetti erano coinvolti nella controversia.
In
particolare, gli attori avevano convenuto in giudizio l'appaltatore che aveva
eseguito, fra l'altro, le opere di impermeabilizzazione del terrazzo.
Il
condominio, da parte sua, aveva poi evocato in giudizio il direttore dei
lavori.
A
quest'ultimo riguardo giova innanzitutto evidenziare come il giudicante abbia
fatto applicazione dei principi giurisprudenziali emersi al riguardo, ritenendo
automaticamente estesa anche a beneficio degli attori la domanda proposta dal
convenuto nei confronti del terzo chiamato.
Detto
ciò, rileva come, sulla base della CTU svolta in corso di causa, il Giudice
abbia ritenuto sussistente una responsabilità dell'appaltatore e, di
conseguenza, del direttore dei lavori (il quale non aveva ben vigilato
sull'operato dell'appaltatore).
Il
Giudice ha poi ritenuto che la responsabilità dell'appaltatore fosse
ascrivibile alle ipotesi di cui all'art. 1669 c.c., così superando ogni
questione inerente la prescrizione e la decadenza della domanda principale.
Posta
tale responsabilità dell'appaltatore e del direttore dei lavori, il Giudice ha
quindi modulato la responsabilità fra i due “gruppi”: da un lato quella del
condominio e del condomino, dall'altra quella del direttore lavori e
dell'appaltatore.
Nel
far ciò, anziché dividere la responsabilità in parti uguali fra i due gruppi,
il Giudice ha enfatizzato la circostanza che i lavori, per quanto mal eseguiti
e, dunque, per quanto concausa nel verificarsi dell'evento dannoso, si erano
comunque svolti a distanza di cinque anni dalla contestazione.
Di
conseguenza, nel ragionamento del giudicante, la maggior parte della
responsabilità era da attribuirsi all'incuria posta in essere dal condominio e
dal condomino, mentre la compartecipazione all'evento dannoso da parte del
direttore dei lavori e dell'appaltatore era da individuarsi in una porzione
minore.
E
così, facendo applicazione dell'art. 2055 c.c., il Giudice ha ritenuto che “La
responsabilità dell’impresa appaltatrice e del professionista può essere
fissata in parti uguali ex art. 2055, II co., c.c., tuttavia, va limitato il loro
apporto causale sulle infiltrazioni ad un terzo del totale, se si considera il
notevole lasso di tempo che i custodi convenuti ex art. 2051 lasciavano passare
senza fare opera di manutenzione sulla terrazza a livello. Tra il condominio ed
il titolare dell’uso esclusivo della terrazza, come sopra si è detto, va invece
applicata la proporzione ex art. 1126 c.c.”.
La
statuizione finale è stata dunque nel senso di accertare la responsabilità
concorrente dei convenuti e del terzo chiamato, precisandosi che la
responsabilità era così ripartita: appaltatrice e direttore dei lavori, nella
misura di 1/3 del totale (1/2 nei rapporti interni); di 2/3 invece a carico del
Condominio e del condomino titolare di diritto esclusivo ( nei rapporti interni
2/3 per il primo ed 1/3 per l’altro ex art. 1126 c.c.)
(Da Altalex del
18.11.2014. Nota di Riccardo Bianchini)
mercoledì 19 novembre 2014
Nuovo pignoramento dei veicoli, breve vademecum
Con
l’entrata in vigore della legge n. 162/2014, di conversione del d.l. n.
132/2014 (pubblicata nella G.U. n. 261 del 10 novembre), a breve il
pignoramento degli autoveicoli dovrà effettuarsi secondo le nuove regole
dettate dal legislatore.
Applicabile
a tutti i procedimenti iniziati a partire dal 30° giorno successivo alla data
di entrata in vigore della legge di conversione, la nuova forma di
pignoramento, unitamente alla possibilità di accedere alla banca dati del Pra
(Pubblico registro automobilistico), dovrebbe portare ad una notevole
semplificazione della procedura esecutiva.
L’impatto
della riforma è evidente.
Da
un lato, infatti, i maggiori poteri di “investigazione” conferiti all’ufficiale
giudiziario dall’art. 19 del decreto giustizia, consentiranno, tramite
l’accesso diretto alle banche dati pubbliche telematiche, di ampliare e rendere
più fruttifere le ricerche dei beni del debitore, potendo individuare
facilmente i mezzi allo stesso intestati e, di concerto con la collaborazione
del creditore, procedere al pignoramento.
Dall’altro,
la procedura ad hoc prevista per il pignoramento dei veicoli, in luogo di
quella precedente che seguiva le norme dei pignoramenti mobiliari, consentirà
una notevole semplificazione ed una maggiore efficacia, risolvendosi in una
sorta di fermo auto dei mezzi, di proprietà del debitore, ivi compresi quelli
aziendali.
Vediamo
nel dettaglio le misure descritte:
L’accesso
alle banche dati pubbliche online
Il
nuovo art. 492-bis introdotto dal d.l. n. 132/2014 prevede che su istanza del
creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo di residenza,
domicilio, dimora o sede del debitore, autorizzi l’ufficiale giudiziario alla
ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.
Al
fine di acquisire tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose
e crediti da sottoporre ad esecuzione, all’ufficiale è, dunque, consentito
l’accesso diretto alle banche dati delle pubbliche amministrazioni e degli enti
previdenziali, nonché all’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei
rapporti finanziari, e al pubblico registro automobilistico.
Una
volta terminate le operazioni, l’ufficiale dovrà redigere verbale, nel quale
indicare tutte le banche dati interrogate e i risultati ottenuti.
Ove
l’accesso abbia consentito di individuare cose appartenenti al debitore, in
luoghi compresi nel territorio di competenza dell'ufficiale giudiziario,
quest'ultimo procederà d’ufficio al pignoramento; ove, invece, i beni non siano
compresi nelle zone di competenza, l’ufficiale dovrà indicarlo nel verbale
consegnandone copia al creditore il quale entro 15 giorni dovrà procedere, a
pena d’inefficacia, alla richiesta all’ufficiale giudiziario territorialmente
competente.
Quando
l’accesso consente di individuare beni o crediti del debitore nella
disponibilità di terzi, l’ufficiale è tenuto a notificare d’ufficio il verbale,
contenente l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e
del precetto, sia al debitore che al terzo, intimando a quest’ultimo di non disporre
delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’art. 546 c.p.c.,
sottoponendo altresì ad esecuzione, i beni o i crediti indicati dal creditore,
entro dieci giorni dalla comunicazione dell’ufficiale giudiziario, a pena
d’inefficacia del pignoramento, ai sensi del nuovo art. 155-ter disp. att.
c.p.c.
La
procedura
Secondo
il nuovo art. 521-bis, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 132/2014, il
pignoramento degli autoveicoli, dei motoveicoli e dei rimorchi dovrà eseguirsi
d’ora in poi mediante notificazione al debitore di un atto, indicante gli
estremi del mezzo che si intende sottoporre all’esecuzione, l’ingiunzione
prevista dall’art. 492 c.p.c., nonché l’intimazione a consegnare, entro dieci
giorni, il bene pignorato, i relativi titoli e documenti di proprietà,
all’Istituto Vendite Giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del
circondario nel quale è compreso il luogo di residenza (domicilio, dimora o
sede) del debitore.
Dalla
notifica del pignoramento, sino alla consegna del mezzo e dei titoli all’Ivg,
il debitore è costituito custode dei mezzi pignorati e dei relativi accessori,
ivi comprese pertinenze e frutti, senza diritto ad alcun compenso;
successivamente, è l’Ivg ad assumere la custodia, dandone immediata
comunicazione, ove possibile, al creditore pignorante.
Qualora
il debitore, scaduto il termine di 10 giorni, non ottemperi all’obbligo di
consegna, saranno gli organi di polizia che accerteranno la circolazione del
bene pignorato a procedere al ritiro della carta di circolazione (e dei
relativi e documenti di proprietà del mezzo), consegnando il tutto all’Ivg
competente per territorio.
Nelle
more, il creditore, ricevuto l’atto di pignoramento dall’ufficiale giudiziario,
dovrà trascriverlo nei pubblici registri, depositando, entro trenta giorni
dalla comunicazione, nella cancelleria del tribunale, nota di iscrizione a
ruolo e copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di
pignoramento e della nota di trascrizione. Il termine è perentorio e, in caso
di mancato rispetto da parte del creditore, il pignoramento perde efficacia.
(Da studiocataldi.it del
17.11.2014)
martedì 18 novembre 2014
Struttura carente, primario responsabile se non trasferisce paziente
Cass.
Sez. III Civ., Sent. 22.10.2014, n. 22338
In
materia di responsabilità del medico, la Corte di Cassazione ha stabilito che sussiste la
responsabilità del primario ospedaliero qualora, pur conoscendo le carenze
organizzative della struttura dallo stesso diretta, ometta di trasferire il
paziente in struttura idonea.
Nel
caso in esame, una coppia di coniugi denunciava la negligenza dei sanitari e
del primario della struttura sanitaria nella quale era nato il loro figlio. A
causa di una non corretta attività dei sanitari e della conduzione del parto,
il piccolo portava la lesione del plesso brachiale.
I
coniugi, ricorrendo all’autorità giudiziaria, in proprio e per nome del figlio
minore, richiedevano ai sanitari coinvolti nell’operazione del parto il
risarcimento del danno subito.
La
domanda era rigettata in primo e in secondo grado. I coniugi hanno proposto
ricorso in Cassazione, deducendo come motivi di impugnazione, tra i vari, la violazione
da parte della Corte d’appello delle norme sull’accertamento della
responsabilità del medico e sulla diligenza dei sanitari e l’inadeguata
motivazione della decisione con cui ha escluso la sussistenza sia del nesso
causale, sia della colpa in capo ai sanitari convenuti.
La Corte di legittimità ha rilevato come la decisione
impugnata sia erronea nella parte in cui, dopo aver affermato l’esistenza di
deficienze organizzative nella struttura ospedaliera, ha escluso la
responsabilità del primario.
Alcuni
dei compiti fondamentali che è chiamato a svolgere il primario di una struttura
ospedaliera sono il controllo e la vigilanza “sull’attività e sulla disciplina
del personale sanitario, tecnico, sanitario ausiliario ed esecutivo assegnato
alla sua divisione o servizio. [Il primario] ha la responsabilità dei malati,
definisce i criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli
aiuti e dagli assistenti, pratica direttamente sui malati gli interventi
diagnostici e curativi che ritenga di non affidare ai suoi collaboratori,
formula la diagnosi definitiva, provvede a che le degenze non si prolunghino
oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle
cure e dispone la dismissione degli infermi”,sulla base di quanto stabilito
dall’articolo 7, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo
1969, n. 128, (recante “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”).
Una
varietà di compiti e funzioni, conseguenti alla posizione apicale ricoperta dal
primario nella struttura presso la quale opera e che dirige.
In
virtù di tale posizione, il medico è chiamato a svolgere le proprie funzioni
con la diligenza richiesta dall’articolo 1176, comma 2, Codice Civile, e
“poiché un primario diligente non avrebbe trascurato di impartire adeguate
direttive al personale a lui sottoposto per gestire le emergenze, né avrebbe
trascurato di informarsi sull’adeguamento di un parto che si preannunciava
distocico”,i giudici di legittimità hanno concluso che la decisione impugnata
violava l’articolo 1176 del Codice Civile e l’articolo 7 del Decreto del
Presidente della Repubblica 128/1969.
La
decisione era viziata da error in iudicando nella parte in cui trascurava il
principio secondo cui “il medico, di fronte ad una situazione di urgenza, che
non può essere adeguatamente affrontata con i mezzi di cui dispone la struttura
ospedaliera in cui si trova ad operare, ha l’obbligo di disporre
tempestivamente il trasferimento del paziente presso altra struttura, in
adempimento del generale dovere di diligenza di cui all’articolo 1176, comma 2
del codice civile”.
La
Cassazione ha accolto,
dunque, il ricorso dei coniugi, cassando la sentenza impugnata e rinviando la
causa alla Corte d’appello in diversa composizione, definendo i seguenti
principi di diritto che il giudice del rinvio dovrà applicare:
“Il
primario ospedaliero risponde del danno derivato da un deficit organizzativo
della struttura da lui diretta, ove non dimostri di avere adempiuto tutti gli
obblighi a lui imposti dall’articolo 7 del Decreto del Presidente della
Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, e cioè di essersi informato sulle condizioni
dei malati, di aver impartito le necessarie istruzioni al personale, e di avere
predisposto le direttive per eventuali emergenze”.
“È
in colpa il medico che, al cospetto di un paziente le cui condizioni non
possono essere adeguatamente gestite nella struttura ospedaliera in cui si
trova, non si attivi per disporne l’immediato trasferimento in altra
struttura”.
Lorenzo Pispero (da
filodiritto.com del 17.11.2014)
lunedì 17 novembre 2014
Nuovo codice deontologico e presenza in Internet
Il
15 dicembre 2014 entrerà in vigore il nuovo codice deontologico (approvato dal
Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014) che, tra l'altro, disciplinerà
anche le modalità di pubblicità online da parte degli avvocati.
Al
riguardo, il nuovo art. 35, coomma 9 stabilisce che: "L'avvocato può
utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri
senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale
associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione
al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito
stesso".
L'unica
novità sostanziale, rispetto alla versione precedente, è il divieto di
"reindirizzamento", che avviene quando il curatore di un determinato
indirizzo internet "comanda" al browser di riferimento (Internet
Explorer, Chrome, Firefox, ecc…) di indirizzare automaticamente l'utente che ha
digitato tale indirizzo su un altro sito.
In
tal modo, si vuole evitare che un utente, senza averne intenzione, si trovi a
dover visitare il sito di un avvocato (si pensi, ad esempio, al caso in cui un
utente clicchi su un sito denominato "infrazioni al codice della
strada" e venga automaticamente reindirizzato al dominio di un avvocato
specializzato in tale settore).
Premesso
ciò, quali limiti incontrerà la pubblicità informativa svolta dagli avvocati
sul web?
In
primo luogo, l'informativa deve avvenire su domini propri dell'avvocato. E',
quindi, lecito l'utilizzo di siti web in cui è chiaramente identificato il
professionista o lo studio legale associato le cui attività vengono
pubblicizzate. E', invece, vietato l'utilizzo di siti web con domini generici
(quali, ad esempio, "www.avvocati(città).it" ovvero "www.avvocati(regione).it"),
senza l'identificazione dell'avvocato o dello studio legale (cfr. parere CNF
del 14 gennaio 2011).
Dubbi
potrebbero sorgere in relazione all'utilizzo, a fini pubblicitari, di social
network (quali Facebook o Twitter), considerato che tali siti web non sono
"domini propri" dell'avvocato.
Invero,
gli avvocati sono tenuti ad utilizzare "siti web con domini propri"
sin dal 2008; nonostante ciò, nel 2011, il CNF ha espressamente ammesso
l'utilizzo dei social network a scopo promozionale, da parte del
professionista, a condizione che lo stesso enunci chiaramente la sua qualità di
avvocato di modo che l'utente / cliente percepisca chiaramente di trovarsi sul
sito di un professionista legale senza essere "vittima" di
un'informazione fuorviante o decettiva (cfr. parere CNF del 27 aprile 2011).
L'utilizzo
dei social network è, quindi, legittimo se posto in essere in conformità con
quanto statuito dal CNF e non pare possa essere inibito dal suddetto divieto di
reindirizzamento che, infatti, sembra attenere fattispecie diverse.
L'art.
35, comma 10 del nuovo codice prevede, poi, che il sito internet del legale
"non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante
l'indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni
al sito". (art. 35, co. 10). Tale disposizione (rimasta anch'essa
pressoché immutata rispetto alla versione precedente del codice) impone
all'avvocato di limitare i contenuti del sito web all'ambito di informazioni
professionali indicate nel codice deontologico, senza reclamizzare (anche
attraverso banner pubblicitari) prodotti o servizi non attinenti all'attività
pubblicitaria.
Non
è chiaro se tale norma, così come formulata, sia compatibile con l'utilizzo di
strumenti di pubblicità online - quali Google Adwords - con cui l'avvocato
sponsorizza il proprio sito web. Vietare tale tipo di pubblicità sarebbe, però,
in netta contraddizione con quanto di recente affermato dal CNF, per cui la
pubblicità informativa dell'avvocato può essere veicolata con qualsiasi mezzo
sempre nel rispetto dei canoni di trasparenza, veridicità e correttezza, ai
sensi dell'art. 10 della L. n. 247/2012 (cfr. parere del CNF del 26 marzo
2014).
Per
quanto riguarda i contenuti dell'informativa sul sito web, il professionista
potrà fornire informazioni sulla sua propria attività professionale (indicando
il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di
appartenenza), sull'organizzazione e la struttura dello studio, indicando
"i nominativi di terzi organicamente collegati con lo studio" (art.
35, co. 1, 3 e 6). Non è, invece, consentita l'indicazione dei clienti,
ancorché vi consentano (art. 35, co. 8), o il riferimento a titoli, funzioni o
incarichi non inerenti l'attività professionale (cfr. art. 35 co. 2).
In
ogni caso, le informazioni veicolate tramite internet dovranno essere
rispettose dei doveri di trasparenza, veridicità, correttezza, segretezza,
riservatezza senza essere equivoche, ingannevoli, denigratorie o comparative
con altri colleghi.
Inoltre,
anche la pubblicità online non dovrà ledere il decoro e la dignità della
professione: ad esempio, sono stati considerati lesivi di tali principi
l'offerta di prestazioni professionali gratuite in caso di soccombenza
all'esito della lite (CNF, 21 aprile 2011, n. 56), ovvero la pubblicazione sul
sito web di foto non attinenti l'ambito professionale (CNF 10 dicembre 2007, n.
211).
In
caso di violazione delle prescrizioni sopra menzionate, l'avvocato incorrerà
nella sanzione della censura (cfr. art. 35, co. 12).
In
conclusione, ad una prima lettura, le novità apportate dal nuovo codice
deontologico in ambito di pubblicità online non paiono essere di portata
particolarmente innovativa rispetto alla disciplina previgente. Tuttavia,
sarebbe opportuno che il CNF intervenisse al fine di chiarire gli aspetti più
problematici sopra evidenziati, soprattutto con riferimento ai social network,
strumento oggi centrale nell'attività promozionale degli avvocati.
Francesco Torniamenti,
Trifirò & Partners Avvocati (da diritto24.ilsole24ore,com del 17.11.2014)
sabato 15 novembre 2014
PCT, AVVOCATI PREOCCUPATI MA VOLENTEROSI
Stamane la sala Romeo del Palazzo delle Culture di Giarre, in piazza Macherione, ha ospitato l'evento formativo organizzato dall'AGA in collaborazione col Gruppo 24 Ore, avente ad oggetto -ancora una volta- le numerose problematiche legate all'ormai imminente, definitivo ingresso del processo civile telematico ed alla posta elettronica certificata.
Brillante relatore del convegno è stato l'Avv. Antonio Tesoro del Foro di Messina il quale, con l'aiuto del district manager del Gruppo 24 Ore Angelo Bongiorno ed il prezioso supporto tecnico di Leonardo Sorbello di Service One, ha illustrato normativa e casi pratici, rispondendo altresì alle numerose domande rivoltegli dai colleghi presenti, preoccupati ma desiderosi di apprendere, in una sala gremita in ogni ordine di posti.
Nell'occasione il Presidente Fiumanò ha annunciato le novità che (dopo la sostituzione del logo) riguarderanno a breve l'associazione, in particolare il rinnovo -in atto- del sito www.agagiarre.it, nonchè l'organizzazione di due ulteriori incontri per il mese di Dicembre, uno dei quali in materia deontologica.
venerdì 14 novembre 2014
DOMANI CORSO AGA SU PCT
“L’utilizzo
delle PEC ed il nuovo processo civile telematico” è il titolo dell’incontro
organizzato dall’AGA per la formazione professionale continua, che si terrà domani
Sabato 15 Novembre 2014, dalle ore 9 alle 12, nella Sala Romeo del Palazzo
delle Culture di Giarre (piazza Macherione). Relatore l’Avv. Antonio Tesoro
dell’Ordine di Messina.
mercoledì 12 novembre 2014
Agibilità dell'immobile e contratto di locazione
di Elena Abbate
L’inquadramento normativo
In
un periodo risalente, la certificazione di abitabilità non esisteva se non come
mera attestazione di salubrità dell’mmobile, prescritta a norma dell’articolo
221 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. 27.7.1934 n. 1265). In tale
accezione, la legge utilizzava talora la denominazione di licenza di abitazione
o di agibilità (come in materia edilizia: articolo 41-ter, Legge 1150/42),
talora quella di dichiarazione di abitabilità (come in materia di edilizia
popolare: articolo 18, L.
18.4.1962 n. 167; o in materia sanitaria: articolo 43, R.D.L. 30.11.1910 n.
2318).
Solamente
con l’avvento della Legge 28.2.1985 n. 47 (Norme in materia di controllo
dell’attività urbanistico-edilizia) si istituisce (articolo 52) il vero e
proprio certificato di abitabilità o di agibilità.
Sulla
scia della nuova normativa, il Decreto del Presidente della Repubblica
22.4.1994 n. 425 (Disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità,
di collaudo statico e di iscrizione al catasto), all’articolo 4, introduceva -
ma solo per le nuove costruzioni ex articolo 220 Testo Unico della Sanità n.
1265/34 - l’obbligo del certificato di abitabilità ai fini dell’utilizzazione
dell’immobile. Finché il Testo Unico dell’Edilizia, Decreto del Presidente
della Repubblica 6.6.2001 n. 380, agli articoli 24-26, abrogando il Decreto del
Presidente della Repubblica 425/94 e rinnovando radicalmente la materia[1], ha
dettagliato la procedura di rilascio e ne ha specificato l’applicabilità nei
casi di interventi di nuova costruzione, ricostruzioni o sopraelevazioni e di
interventi che potessero influire sulle condizioni di igiene, salubrità,
sicurezza e risparmio energetico.
Il
certificato di agibilità riveste un ruolo di primaria importanza anche in
materia di sicurezza, avendo la funzione di “attestare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici
e degli impianti” (articolo 24, Testo Unico dell’Edilizia, Decreto Legislativo
n. 380/01). E non solo: esso “garantisce l’idoneità dell’immobile ad assolvere
una determinata funzione economico-sociale e, quindi, a soddisfare in concreto
i bisogni che hanno indotto l’acquirente ad effettuare l’acquisto” (Cassazione
Civile, 10 giugno 1991 n. 6576).
Nel
quadro della normativa contrattuale i relativi obblighi di adeguamento sono
posti a carico del locatore, giusta il disposto degli articoli 1575 e 1617 del
codice civile, dovendosi assicurare che il bene sia idoneo all’uso cui è
contrattualmente destinato. A sua volta, l'idoneità all’uso non risente più
della distinzione tra uso abitativo ed uso non abitativo, ma si estende ad
entrambe le fattispecie, atteso l'avvenuto abbandono della distinzione tra agibilità
e abitabilità.
L’inquadramento giurisprudenziale
Da
tempo in giurisprudenza si è andata affermando la tesi che attribuisce al
locatore l’obbligo di procurare il certificato di agibilità dell’immobile,
messo a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie attraverso l’accertamento
pubblico dell’esistenza delle condizioni di stabilità e sicurezza
dell’edificio.
Il
definitivo arresto della Suprema Corte si ebbe con Sentenza dell’11 aprile 2006
n. 8409[2], allorchè la
Cassazione riconobbe che rientra nelle obbligazioni del
locatore anche quello di procurare al conduttore il certificato di agibilità
dell'immobile locato: “…la mancanza del certificato”, affermò la Corte, “per non essere stato
il provvedimento ancora richiesto o rilasciato, viene a configurare una
situazione d’inadempimento in ragione dell’iniziale inettitudine della cosa a
soddisfare l’interesse dell’acquirente del diritto reale o di credito sulla
cosa”. Per cui, quand’anche l’inagibilità fosse ab initio nota alle parti
contraenti, “il definitivo diniego del rilascio del certificato” (che assorbe
quindi il caso, pure considerato dalla Corte, in cui il rilascio non sia stato
dal locatore nemmeno richiesto) “legittima il ricorso ai rimedi della
risoluzione del contratto e del risarcimento del danno”.
La Corte si discostò quindi dalla più formalistica tesi che
sempre aveva trovato cultori[3], secondo cui la negoziazione del bene inagibile
determini una responsabilità per avere negoziato un aliud pro alio[4], nel
senso di intravedere, nell’immobile privo del requisito dell'agibilità, un
oggetto radicalmente diverso da quello promesso, non tanto nel senso della
materialità quanto piuttosto per lo stravolgimento della funzione economica che
gli si attribuiva all'atto dell'acquisto. Tuttavia, in ciò stesso il
ragionamento seguito dalla Corte nella pronuncia del 2006 rafforza il principio
della responsabilità, intravedendola non solo nell’ipotesi in cui il rilascio
del certificato venga definitivamente negato dal Comune, ma soprattutto
nell’ipotesi in cui il locatore neppure lo richieda; e ciò indipendentemente
dalla consapevolezza che le parti contraenti potevano averne all'atto della
negoziazione[5].
Inoltre,
nel suo ragionamento la
Suprema Corte aveva inteso evidenziare come vada considerato
superato l'orientamento giurisprudenziale, risalente agli anni ‘80, che
prevedeva un obbligo solo parziale del certificato, ritenendo che, per gli
immobili non abitativi, esistessero adempimenti altrettanto idonei a
salvaguardare le esigenze igienico-sanitarie: in linea con la soppressione
della distinzione fra abitabilità e agibilità, concetti riservati
rispettivamente agli immobili abitativi e a quelli di diverso uso, la Corte aveva finito col
mostrarsi attenta alla funzione pubblica come pure al rilievo privatistico
della certificazione[6], “attenendo questa ad un requisito essenziale della
cosa” (Cassazione Civile, 16 giugno 2008 n. 16216).
Osservava
infine la Corte
che, in presenza di contratto di locazione, il vincolo che impone di procurarsi
il certificato “deve ritenersi incombere (diversamente invero che per le
ipotesi di autorizzazioni amministrative, come ad es. l’iscrizione alla camera
di commercio ovvero di quelle di pubblica sicurezza necessarie all’esercizio di
specifiche attività o per poter adibire l’immobile a pubblici spettacoli,
peraltro di mero rilievo pubblicistico e inidonee a incidere sul rapporto
privatistico: cfr. Cassazione, 19 gennaio 1999 n. 463) al locatore quale
proprietario o comunque titolare del potere di disposizione sulla cosa”.
Con
detta sentenza la Corte
confermava un indirizzo più intransigente che già emergeva da precedenti
pronunce: vedansi, in particolare, Cassazione, 21 dicembre 2004 n. 23695;
Cassazione., 5 novembre 2002 n. 15489; Cassazione, 10 agosto 2001 n. 11055;
Cassazione, 12 settembre 2000 n. 12030; Cassazione, 16 settembre 1996 n.
8285[7].
Ultimamente,
però, la Corte
sembra voler rimodellare l’onere del locatore, chiarendo che, salva sempre
l’ipotesi in cui il locatore abbia espressamente assunto lo specifico obbligo
di ottenere l’agibilità, il suo inadempimento si configurerebbe solo allorché
l’inagibilità attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche
proprie dell’immobile locato, tali da non consentire il lecito esercizio
dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito (Cassazione Civile,
16 giugno 2014 n. 13651[8]). Ora, questa
pronuncia, più attenta alla sostanza che alla forma, merita di non restare
isolata.
Nonostante
quest’ultima “virata” della Corte, rimane comunque affermato il principio che
l’inagibilità dell’immobile incide sul diritto personale insito nel contratto
di locazione, e concreta una responsabilità per inadempimento in capo al
locatore.
Le fattispecie affini
Lo
stesso dicasi, spostandoci su un tema collaterale, per la difforme destinazione
urbanistica cui l’immobile è soggetto per la sua categoria catastale, ove il
disponente non adempia a richiederne il mutamento, nell’obbligo di rendere
l’immobile locato idoneo all’uso contrattualmente convenuto. “Sufficiente a
integrare il vizio de quo”, osserva la Suprema Corte, “deve ritenersi anche il semplice
stato di obiettiva incertezza sulla condizione urbanistica dell’immobile
locato, che può rappresentare, anche da solo, una qualità negativa incidente,
per le difficoltà frapposte dall’autorità amministrativa (allegando la
necessità di licenze, permessi o autorizzazioni), sull’effettiva fruibilità del
bene conformemente all’uso pattuito” (Cassazione Civile, Sezione Terza, 26
novembre 2002 n. 16677[9]).
Sempre
stando su aspetti affini all’agibilità, continua a non sembrare necessario
affermare l’onere del locatore di ottenere le eventuali autorizzazioni
amministrative necessarie per l’uso del bene locato, sempre salvo patto
contrario. Tuttavia, in caso di specifica pattuizione, la particolare
destinazione dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia
dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze
amministrative, torna a diventare rilevante – quale condizione di efficacia,
quale elemento presupposto e, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal
locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile - in relazione
all’uso convenuto (Cassazione, Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550[10];
conformi: Cassazione, Sezione Terza, 8 giugno 2007 n. 13395; Cassazione,
Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836;
Cassazione, 17 gennaio 2007 n. 975; Cassazione, 26 settembre 2006 n. 20831;
Cassazione, 12 novembre 2000 n. 12030; Cassazione, 11 aprile 2000 n. 4398): e,
in ciò, ci sembra di intravedere un allineamento col principio di sostanza
affermato dalla Cassazione con la sopra citata Sentenza n. 13651/2014 in punto
all’agibilità.
Stando
al tema delle autorizzazioni amministrative in genere, è significativo - e
rafforza il principio - che nella specifica ipotesi di locazione di immobile ad
uso di ristorazione, la Corte
di Cassazione abbia evidenziato che il locatore non solo debba garantirne
l’agibilità e l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni e licenze amministrative
relative alla destinazione d’uso, ma debba anche assicurarne il persistere nel
tempo, e ciò in conseguenza dell’obbligo di mantenere la cosa locata in stato
da servire all’uso convenuto(Cassazione, 28 marzo 2006 n. 7081[11]).
Invero,
nel 2011 la Suprema
Corte aveva parzialmente rivisto il proprio indirizzo
laddove, pur ribadendo che la mancanza delle autorizzazioni e delle concessioni
amministrative, ovvero l’impossibilità di ottenerle, costituisca grave
inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi
dell’articolo 1578, tornava a intravedere un’esimente dalla responsabilità nel
caso in cui il conduttore fosse a conoscenza della situazione e l’avesse
consapevolmente accettata (Cassazione Civile, Sezione Terza, 7 giugno 2011 n.
12286[12]). Tuttavia, tale principio deve comunque conformarsi a quanto
affermato dalla stessa Corte, secondo la quale “grava sul conduttore l’onere di
verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente
necessario per lo svolgimento della specifica attività che intende esercitarvi,
nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni” (Cassazione, 25 gennaio
2011 n. 1735; Cassazione, 1 dicembre 2009 n. 25278; Cassazione, 8 giugno 2007
n. 13395; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836).
In
tutte queste fattispecie affini che abbiamo voluto toccare (agibilità,
destinazione urbanistica, autorizzazioni amministrative), l’inadempimento del
proprietario-locatore – ove riconosciuto in base al diverso atteggiarsi delle
circostanze di volta in volta ravvisate dalla giurisprudenza - giustifica il
recesso anticipato dal contratto da parte del conduttore e legittima
quest’ultimo alla domanda di risarcimento del danno subito.
(Da filodiritto.com del
4.11.2014)
[1] Con il T.U. dell'Edilizia
si abbandona la distinzione tra abitabilità e agibilità e si adotta unicamente
quest'ultima denominazione omnicomprensiva.
[2] Sez. III, est.
Scarano; Cocco c. E.&C. Costruzioni Srl, cassa App. Cagliari, 15 aprile
2002.
[3] TOSCHI VESPASIANI
F., La mancanza del certificato di agibilità e il contratto di locazione
dell’immobile ad uso non abitativo, in Resp. Civ. n. 10/2006, p. 808.
[4] Soprattutto in
materia di vendita di immobile privo del certificato, vedasi da ultimo Cass.
Civ. 14 gennaio 2014 n. 629.
[5] Nella
giurisprudenza di merito, si cita il Foro di chi scrive: qualora l'autorità
amministrativa neghi definitivamente i provvedimenti di sua competenza per
ragioni tecniche o igieniche e l'immobile diventi, conseguentemente inidoneo
all'uso per cui era stato locato, "l'inosservanza dell'adempimento
amministrativo all'agibilità dell'immobile dà luogo alla risoluzione del
contratto" (Pret. Piacenza, Est. Bruno, 31 maggio 1998 n. 160. Conforme:
Trib. Piacenza, Est. Andretta, 6 maggio 2009 n. 326).
[6] Cfr. Cass. Pen., 20
gennaio 1981 n. 3887.
[7] Conformi in
dottrina: DE MARZO G., Contratto di locazione e certificato di abitabilità, in
Urbanistica e Appalti n. 6/2006, p. 683. GUERRESCHI G., Mancanza del
certificato di abitabilità? Risoluzione del contratto e risarcimento del danno,
in Danno e Responsabilità n. 1/2007, p. 52; MAZZEO RINALDI A., Le obbligazioni
del locatore e i vizi del bene locato, in Arch. Locazioni e Condominio n.
6/2008, p. 573; NEGRI G., Il locatore garantisce l'abitabilità, in Il Sole 24
Ore, 29 maggio 2006 n. 145, p. 38. TOSCHI VESPASIANI F., op. cit.
[8] Sez. III, est.
Scrima, L'Arca per l'ambiente Scarl c. Penta Costruzioni Srl.
[9] Est. Perconte
Licatese, Soc. Centrouno Trasporti c. Soc. Lombardini Discount.
[10] Est. Urban,
Loviglio c. Terranova.
[11] In Riv. Giur. Ed.
2007, I, 83, con nota di DE TILLA, Sulla responsabilità del locatore in
relazione alle autorizzazioni amministrative.
[12] Est. Lanzillo.
Confermata da CASS., 29 novembre 2011 n. 25248.
martedì 11 novembre 2014
Compensi anche per tempo dedicato a mancato cliente
Cass.
Civ. sent. n. 22737 del 27.10.2014
L’avvocato
che impegni il proprio tempo e le proprie competenze professionali, anche in
assenza di un conferimento formale dell’incarico, ha diritto al compenso
secondo il tariffario forense.
Così
ha deciso la Corte
di Cassazione, con ordinanza n. 22737 del 27 ottobre 2014, dando partita vinta
a un legale nei confronti di una società che si opponeva al decreto ingiuntivo
emesso dal giudice di pace di Pisa per il pagamento di prestazioni
professionali.
Rigettate
le proprie istanze in primo grado, la società presentava appello, asserendo di
non aver mai conferito alcun mandato all’avvocato e che lo stesso non aveva mai
effettuato prestazioni professionali in suo favore.
Ma
il legale aveva un asso nella manica: aveva conservato i documenti (nella
specie un atto di citazione per una causa già pendente) che i rappresentanti della
società avevano portato presso il suo studio per visionarli in vista di un
possibile procedimento giudiziale, nonché la missiva con la quale lo stesso
avvocato invitava la società a formalizzare l’incarico professionale.
Da
qui la prova decisiva, che il legale aveva impiegato tempo nello studio della
questione e per quello andava pagato, giacchè, come affermato dai giudici di
merito: “non si trattò di un mero colloquio informativo ma vennero sottoposti
all’attenzione del legale atti giudiziari ancora in possesso in copia
dell’avvocato e prodotti in giudizio, al fine di ottenere un parere e in vista
di un futuro mandato professionale”.
Confermando
le statuizioni di primo e secondo grado, la Cassazione ha ritenuto
evidente la sussistenza di un rapporto professionale tra la società e il
legale, con il conferimento di un incarico “avente ad oggetto un parere
professionale in merito ad una causa già pendente”.
Pertanto,
ha concluso la S.C.,
rigettando il ricorso, “il professionista per aver impegnato il proprio tempo e
le proprie competenze professionali” aveva maturato, senza alcun dubbio, il
diritto al compenso sulla base delle tariffe forensi.
(Nemes 7.11.2014 – da
studiocataldi.it)
Iscriviti a:
Post (Atom)