lunedì 6 maggio 2013

Relazione platonica su internet, no addebito separazione

Cass. Civ., sez. I, sent. 12.4.2013 n° 8929

La sentenza della Cassazione n. 8929/2013 ha ribaltato la decisione del tribunale di Forlì che aveva dichiarato la separazione di una coppia con addebito in capo alla moglie, perché la stessa aveva intrattenuto una relazione con un altro uomo fatta di scambi di messaggi telefonici o via internet senza mai concretarsi in incontri sessuali.
La pronuncia di primo grado era stata fondata sulla testimonianza della moglie dell’uomo presunto amante, la quale aveva confermato il ritrovamento di una lettera dal tenore amoroso inviata dal marito e aveva constatato lo scambio di numerosi messaggi con il telefono.
La Corte d’Appello approda ad una decisione diametralmente opposta. Dalla deposizione della teste e dalle altre prove dedotte in giudizio, non è possibile affermare che tra i rispettivi coniugi delle due coppie fosse intercorsa una relazione extra coniugale sfociata in incontri sessuali anche occasionali. Inoltre dal tono delle mail scambiate non emergeva una corrispondenza reciproca di sentimenti, poiché soltanto da parte dell’uomo appariva il coinvolgimento sentimentale, non corrisposto però dalla donna.
Secondo la Corte, l’addebito non poteva essere basato su una relazione platonica tra l’altro non corrisposta, e inoltre il rapporto non avrebbe avuto quei connotati tali da recare offesa alla dignità e l’onore del marito per le modalità discrete con cui si era svolta.
Non sarebbe infine stato dimostrato il nesso causale tra la relazione, durata un anno e da tempo interrotta, e la crisi del matrimonio. Infine, non può avere rilevanza il fatto che l’altra coppia si fosse separata (consensualmente) a causa della presunta relazione del marito. La deposizione della teste era, infatti, basata sulla propria situazione e non è corretto effettuare un parallelismo automatico tra le due coppie in relazione alle cause della rottura dell’unione.
La Cassazione conferma la sentenza di appello. Sulla base delle risultanze acquisite in giudizio, non si può parlare di adulterio solo perché il coniuge intrattiene con un estraneo una relazione di “scambio interpersonale” che non è idonea a destare il sospetto di infedeltà coniugale e a offendere la dignità e l’onore dell’altro coniuge.
La sentenza contiene un cambio di orientamento rispetto alla precedente giurisprudenza della stessa Corte.
Con una pronuncia del 2008, la Cassazione aveva dichiarato che l’addebito richiede l’accertamento di un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio indicati nell'art. 143 c.c., fra i quali l'obbligo della fedeltà, ma tale dovere è da intendersi non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma anche come impegno a non tradire la fiducia reciproca, sia sul piano della dedizione fisica sia sul piano spirituale.
La Cassazione, in quell’occasione aveva accostato il concetto di fedeltà coniugale a quello di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. La Corte aveva individuato un concetto di fedeltà più ampio, di cui fa parte la fedeltà affettiva, che comporta di sacrificare le proprie scelte personali in favore di quelle imposte dal legame di coppia (Cass. Civ., sentenza 11 giugno 2008, n. 15557).
Il caso esaminato riguardava la relazione di amicizia di un marito con una collega di lavoro, con la quale trascorreva molto tempo per motivi lavorativi e con la quale aveva pernottato una notte nella stessa camera di un albergo.
Questa’ultima circostanza aveva ulteriormente indotto i giudici a ritenere provato il tradimento poiché la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, generi plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzia in un adulterio, comporta comunque offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge (Cass. Civ. n. 6834/1998 e Cass. Civ. n. 3511/1994).

(Da Altalex del 17.4.2013. Nota di Giuseppina Vassallo)