Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 12479 del 3.4.2012
Ritenuto in fatto
1. - Con sentenza del 17 novembre 2010, la Corte d’appello di Roma ha
parzialmente confermato, riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Roma,
con cui l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’articolo 494
cod. pen. - così diversamente qualificato il fatto di cui all’imputazione
originaria - per avere, in concorso con altro soggetto e senza il consenso
dell’interessata, al fine di trarne profitto o di procurare a quest’ultima un
danno, utilizzato i dati anagrafici di una donna, aprendo a suo nome un account
e una casella di posta elettronica e facendo, così, ricadere sull’inconsapevole
intestataria le morosità nei pagamenti di beni acquistati mediante la
partecipazione ad aste in rete.
2. - Avverso la sentenza l’imputato ha proposto,
tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si deduce
l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato avrebbe
utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste
on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia; e non vi sarebbe,
in linea di principio, alcuna necessità di servirsi di una vera identità per
comprare oggetti on-line, ben potendo utilizzarsi uno pseudonimo.
Né potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie,
quanto affermato dalla Corte di cassazione, sez. V 8 novembre 2007, n. 46674,
perché detta decisione si riferirebbe alla diversa fattispecie della creazione
di un account di posta elettronica apparentemente intestato ad altra persona e
della sua utilizzazione per intessere rapporti con altri utenti, traendoli in
errore sulla propria identità personale. Sempre per la difesa, la circostanza
che il venditore mancato sia andato alla ricerca delle generalità
dell’acquirente apparente sarebbe ininfluente ai fini della configurazione del
reato, non essendo il normale comportamento di un soggetto fruitore del
servizio di aste on-line quello di voler conoscere le generalità dell’altro
contraente nel momento in cui il pagamento dell’oggetto venduto non è stato effettuato.
2.2. - Si deducono, in secondo luogo, la nullità
della sentenza in relazione all’articolo 62, n. 6), cod. pen., nonché il
difetto di motivazione in ordine alla richiesta di concessione dell’attenuante
del risarcimento del danno. La difesa lamenta, sul punto, che la Corte d’appello avrebbe
negato la concessione di detta attenuante, sull’assunto che la somma versata
dall’imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese
sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre
la stessa parte offesa avrebbe ammesso di non aver avuto alcun nocumento
economicamente apprezzabile dall’intera vicenda, affermando di ritenersi
soddisfatta in termini economici.
2.3. - In terzo luogo, si deduce la violazione degli
artt. 53 della legge n. 689 del 1981 e 135 cod. pen. La Corte d’appello avrebbe
erroneamente sostituito la pena detentiva con la corrispondente pena
pecuniaria, determinata in Euro 7500,00 di multa, senza tenere conto del fatto
che, all’epoca del commesso reato, era previsto un ragguaglio di Euro 38,00 al
giorno, dovendosi applicare la legge più favorevole reo. Rileva, in
particolare, il ricorrente che il fatto è del febbraio 2005, epoca precedente
all’entrata in vigore dell’articolo 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009,
che ha modificato l’art. 135 cod. pen., prevedendo, per ogni giorno di pena
detentiva, la sanzione sostitutiva della somma di Euro 250,00 di pena
pecuniaria, in luogo dell’originaria somma di Euro 38,00.
Considerato in diritto
3. - Il ricorso è solo parzialmente fondato.
3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si
deduce l’erronea applicazione dell’articolo 494 cod. pen., perché l’imputato
avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito
di aste on-line, partecipando poi alle aste con un
nome di fantasia - è infondato.
Deve rilevarsi che - contrariamente a quanto
sostenuto dal ricorrente - la partecipazione ad aste on-line con l’uso di uno
pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una
reale identità, accettabile on-line da parte di tutti i soggetti con i quali
vengono concluse compravendite. E ciò, evidentemente, al fine di consentire la
tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti.
Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il
reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.), la condotta di colui che
crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le
generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete
internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il
fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente
spese (Sez. V 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di
specie, in cui risulta pacifico che l’imputato avesse utilizzato i dati
anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta
elettronica, facendo, così, ricadere sull’inconsapevole intestataria, e non su
se stesso, le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni di pagamento
del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.
3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si
lamenta che la Corte
d’appello avrebbe negato la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n.
6), cod. pen., sull’assunto che la somma versata dall’imputato in favore della
parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per
partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa
avrebbe ammesso nel giudizio di primo grado, di non aver avuto alcun nocumento
economicamente apprezzabile dall’intera vicenda - è inammissibile, per
genericità.
La difesa di parte ricorrente si limita, infatti, ad
affermare che la persona offesa avrebbe ammesso in primo grado di non aver
avuto un documento apprezzabile dall’intera vicenda, senza specificare quale
sia stato il momento del versamento della somma di Euro 300,00 in favore della
stessa persona offesa (se precedente al giudizio, come richiesto dal citato
numero punto 6) dell’articolo 62 cod. pen.) e, soprattutto, senza procedere,
neanche in via di mera prospettazione, ad una quantificazione di massima del
danno provocato. A tali considerazioni deve, peraltro, aggiungersi quanto
correttamente rilevato dalla Corte d’appello circa l’evidente irrisorietà
dell’importo versato, che sembra coprire appena le spese sostenute dalla
persona offesa per partecipare al procedimento di primo grado.
3.3. - Fondato è, invece, il terzo motivo di gravame,
relativo alla quantificazione della pena.
Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge,
infatti, che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva è
stata calcolata in base al disposto dell’articolo 135 cod. pen., nel testo
vigente a seguito della modifica apportata dall’articolo 3, comma 62, della
legge n. 94 del 2009; e, dunque, sulla base della somma giornaliera di Euro
250,00. Come correttamente osservato dal ricorrente, il fatto contestato è del
febbraio 2005, data precedente all’entrata in vigore di detta modifica. Deve,
perciò, trovare applicazione il criterio di ragguaglio previgente, in ragione
di Euro 38,00 al giorno.
4. - Ne consegue che la sentenza impugnata deve
essere annullata senza rinvio, limitatamente alla sanzione sostitutiva, che
deve essere rideterminata in Euro 1140,00 (somma ottenuta moltiplicando il
valore giornaliero di Euro 38,00 per 30 giorni di pena detentiva).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata
limitatamente alla conversione della pena pecuniaria, che rideterminata in Euro
1140,00. Rigetta nel resto il ricorso.