lunedì 20 gennaio 2014

Risarcimento danno da lesioni: necessaria documentazione sanitaria

Trib. Napoli, sez. Marano, sent. 24.7.2013 n° 13462

Per ottenere il risarcimento del danno da lesioni è necessario che la parte attrice produca la relativa documentazione sanitaria nei termini di cui all'art. 183, sesto comma, nn. 2 e 3 c.p.c. E' quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Napoli, sez. di Marano, del 24 luglio 2013.

Il caso vedeva un minore, durante il periodo di vacanze trascorse con i genitori, mentre giocava a bordo piscina di un villaggio turistico, scivolare e cadere sul fondo della vasca, riportando lesioni. I ricorrenti, agendo giudizialmente contro la società proprietaria del villaggio turistico, oltre a richiedere, in nome e per conto del minore, il risarcimento per le lesioni fisiche da questo subite, lamentavano anche, in nome proprio, il risarcimento per danno da vacanza rovinata, avendo dovuto interrompere le vacanze a causa del suddetto infortunio.

Sennonché la parte attrice, oltre al fatto storico, non produceva alcuna documentazione sanitaria che comprovasse la natura e il tipo di lesioni subite dal minore, non riuscendo a dimostrare l'entità del danno patito. Secondo i giudici, in mancanza della documentazione sanitaria, sarebbe stata inammissibile anche la ctu medica, avendo, quest'ultima, efficacia solo esplorativa.

Infatti "la consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitano di specifiche conoscenze. Il suddetto mezzo di indagine non può essere, pertanto, autorizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e può essere quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire la deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (Cass. civ. 12990/2013).

Di conseguenza, nel rito civile, continuano i giudici territoriali, una volta maturate le preclusioni istruttorie, qualsiasi produzione documentale è irrituale, e l'irritualità va rilevata d'ufficio: diversamente, ammettendo la possibilità, per le parti, di fornire la ctu, ovvero documentazione che si sarebbe dovuta produrre nei termini di cui all'art. 183, sesto comma, nn. 2 e 3 c.p.c., si perverrebbe ad una interpretatio abrogans della norma, in quanto la parte potrebbe sanare la preclusione già maturata in suo danno, consegnando il medesimo documento al c.t.u. ben potendo, in tal modo, ed in violazione dell'art. 88 c.p.c., rendere più difficoltosa la difesa di controparte.

Ancora, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il c.t.u. non può esaminare documenti irritualmente prodotti, e che se il medesimo esamina i documenti irritualmente prodotti, e le sue convinzioni vengono recepite dal giudice, la sentenza si deve ritenere viziata nella motivazione (Cass. civ., 26 ottobre 1995, n. 1133 e più recentemente Cass. civ., n. 3364/2008).

Inoltre non può essere invocato l'art. 210 c.p.c., in quanto, trattandosi di documentazione che ben poteva essere nella disponibilità della parte stessa, con tale mezzo istruttorio si sarebbe inteso aggirare l'onere probatorio gravante sulla parte attrice.


(Da Altalex del 14.1.2014. Nota di Simone Marani)