venerdì 24 gennaio 2014

Atti sessuali su minore: non va esclusa l’audizione

Cass. Pen., sez. III, sent. 25.9.2013 n° 39766

Con la sentenza 16 Aprile- 25 Settembre 2013, n. 39766 la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale, nell’affrontare un caso di atti sessuali compiuti su minore ex artt. 81 e 609 quater c.p., procede a delineare  il bilanciamento tra il diritto di difesa dell’imputato ex art. 24 Costituzione al rispetto delle regole del contraddittorio attraverso un corretto confronto con l’accusatore ed il parimenti importante diritto del minore alla salute, nello specifico all’integrità psico-fisica tutelato ex art. 32 Costituzione, qualora la vicenda storica da accertare richieda l’audizione del minore stesso.

Nello specifico si parte dall’imprescindibile assunto che il minore che sia parte lesa di tale deplorevole condotta criminosa non debba essere ulteriormente penalizzato dall’attività giudiziaria rivolta all’accertamento dello stesso.  Tuttavia sebbene sia pacifico che “il processo in sé sia portatore di sofferenza per i bambini (e per gli adulti), la testimonianza del minore non può essere esclusa sulla base della mera previsione che la audizione possa produrgli un disagio; se così fosse, mai nessun bambino dovrebbe essere sentito in ambito giudiziario.”

Il Collegio ribadisce il proprio precedente orientamento in ragione del quale “nei reati sessuali con vittime minori di tenera età, è indispensabile la audizione degli adulti di riferimento ai quali la piccola parte offesa si è per primo confidata: ciò per potere ricostruire quali siano stati la genesi della notizia di reato, la prima dichiarazione del bambino (che, se spontanea, è la più genuina perché immune da interventi intrusivi), le domande degli adulti, le relative risposte dello interrogato, l'eventuale incremento del racconto del bambino neltempo.” (Corte di Cassazione , Sezione III penale, sentenza del 11.6.2009, n. 30964)

Tuttavia quanto evidenziato non toglie la necessità di acquisire al processo il racconto della vittima nella qualità di unico testimone diretto, il cui peso specifico nel compendio probatorio è notevole in ordine alla corretta ricostruzione della vicenda storica e al conseguente accertamento della sussistenza della responsabilità penale dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.

Per questi motivi, qualora possibile, è utile il ricorso allo strumento processuale dell’incidente probatorio ex art. 392 c.p.p., comma 1 bis come modificato dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66, dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 e dalla legge 11 agosto 2003, n. 228, quale sede privilegiata dell’audizione del minore e nel quale espletare la perizia del minore stesso volta all’accertamento della capacità del bambino a testimoniare e, di conseguenza, a rendere possibile l’acquisizione al processo delle dichiarazioni fornite dallo stesso in tale sede.

In tali casi è sicuramente opportuno che l’incidente probatorio venga esperito e che pertanto il minore venga escusso possibilmente in un ambiente a lui familiare e con l’adozione di una serie di cautele volte a procurargli il minor disagio possibile, con la presenza di uno psicologo che lo assista per superare il comprensibile momentaneo disagio all’espletamento della testimonianza oppure il timore nei confronti dell’interlocutore estraneo.

Sostiene il Collegio che sovente nei casi di abusi sessuali a danni di minori accade che nonostante il sistema processuale penale predisponga apposite cautele, non si provvede all’assunzione diretta di conoscenza in ordine all’acquisizione al processo del fatto storico ponendo in essere una interpretazione estensiva dell’art. 195, comma 3, c.p.p. ( che prevede l’inutilizzabilità nel processo delle “dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità”)  e che tale prassi sia “vietata poiché trattasi di una mera eccezione ad una regola generale” e non ci può dilatare il concetto di “infermità” previsto dalla norma summenzionata fino a ricomprendervi la “normale fragilità del piccolo per il comprensibile timore che possa subire vittimizzazioni secondarie dalla audizione processuale”.

Nel processo penale vige la regola fondamentale della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, quale baluardo del diritto di difesa dell’imputato ex  art. 24 Costituzione. Tale regola può essere disattesa solo qualora si sia in presenza di gravi ragioni ostative alla acquisizione della fonte diretta (nel caso di specie audizione del minore quale testimone principale e vittima della condotta criminosa).

"Si può, quindi, prescindere dal contributo narrativo del minore laddove un professionista competente, con un motivato parere, segnali che il piccolo ha una personalità così fragile da potersi equiparare ad infermità oppure evidenzi la possibilità di insorgenza di danni, anche transeunti, alla salute del bambino, collegati alla testimonianza.”

In questi frangenti prevalendo il parimenti primario diritto all’integrità psico-fisica del bambino, occorre rinunciare al contributo narrativo diretto del minore  e porre in essere la ricostruzione della vicenda storica attraverso l’apporto probatorio di testimoni de relato (deposizione di persone non presenti al momento del reato), ad esempio la madre del minore che ne abbia ricevuto le confidenze.

La Suprema Corte non manca di osservare che “che, stante la scarsa autonomia del bambino, gli adulti ne sono spesso i portavoce; questi normalmente non sono edotti del pericolo che le preoccupazioni le ansie dello interrogante contaminino le risposte del piccolo interlocutore. Ne consegue che l'attendibilità del contenuto delle dichiarazioni de relato, riferite a soggetti minori in tenera età, è spesso gravata da dubbi che possono essere superati solo mediante la escussione del teste diretto effettuata con modalità rispettose del contraddicono delle parti e della integrità psico-fisica del bambino".


(Da Altalex del 31.12.2013. Nota di Mirella Pocino)