sabato 12 marzo 2011

Se la processione finisce in tragedia, va in carcere il maestro di festa

Omicidio colposo. Chi comanda le operazioni in piazza è responsabile per la situazione di pericolo creata fra la folla Quando la festa si tramuta in tragedia è il maestro di cerimonie a farne le spese. Durante la processione una persona muore dopo essere stata travolta dalla folla in preda al panico: la calca si forma per il movimento scomposto dell'enorme "carro" che trasporta le reliquie sacre in spazi angusti. Dunque, chi comandava le operazioni in piazza va condannato per omicidio colposo. È quanto emerge dalla sentenza n. 9926 dell'11 marzo 2011, emessa dalla quarta sezione penale della Cassazione.

Il capo e la colpa
La festa funestata è quella di Sant'Agata, che ogni anno in febbraio richiama a Catania migliaia di fedeli per tre giorni di celebrazioni dedicata alla patrona del capoluogo etneo. Le reliquie sono portate a spalla dai volontari su di un sostegno che pesa fino a 21 tonnellate. Disastrosa la scelta del "maestro del fercolo" che decide rispettare la tradizione: la batteria percorre a passo di corsa la salita di San Giuliano senza aspettare che la strada sia libera; risultato: morirà l'indomani all'ospedale l'uomo calpestato dalla massa di persone in fuga. La condotta del "capo pattuglia" rientra nella causalità commissiva: in una situazione già a rischio per l'ordine pubblico, infatti, egli introduce un fattore di pericolo, con la decisione di mettersi in moto con il campo d'azione ancora ingombro. E il rischio, purtroppo, si concretizza con l'incidente mortale. Non si può escludere la colpa: il cerimoniere doveva prevedere che far trainare a passo di carica un mezzo così pesante avrebbe determinato reazioni inconsulte fra le migliaia di presenti.

Vigilanza rafforzata
Veniamo al cosiddetto «rischio consentito». Esistono attività lecite «pericolose» in cui gli eventi dannosi sono in larga misura prevedibili e non sempre evitabili: l'ordinamento tuttavia le autorizza per la loro elevata utilità sociale, come nel caso delle celebrazioni più antiche e tradizionali. Il fatto che si possa parlare di «rischio consentito», però, non esonera i responsabili delle operazioni dall'osservare le normali regole di cautela. Anzi, ne rafforza l'obbligo.

Dario Ferrara (da cassazione.net)