lunedì 21 marzo 2011

Niente risarcimento del danno morale per la morte dell'amico a quattro zampe

Neppure se è stato ucciso al parco da cani più grandi. Il proprietario del cane non ha diritto al risarcimento del danno morale per la morte del suo amico a quattro zampe. Anche se è stato ingiustamente ucciso al parco da altri cani.
Seguendo un orientamento delle Sezioni unite civili il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi ha negato, con una sentenza del 12 gennaio 2011, il risarcimento del danno morale ed esistenziale a una signora che si era vista uccidere al parco il suo cagnolino, un volpino, da due maremmani.
Il giudice di merito ha negato il ristoro basandosi sul fatto che, in mancanza di un reato, il danno non patrimoniale può essere riconosciuto solo in caso di violazione di un diritto costituzionalmente protetto. Di più. Sempre rinviando alle motivazioni del Collegio esteso di Piazza Cavour che hanno tentato di evitare duplicazioni delle voci di danno risarcite, il Tribunale ha negato anche il danno esistenziale.
Sul punto in motivazione si legge che "in tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (che superi cioè la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi a fastidi o sia addirittura immaginario)". Ciò precisato, ritiene questo Giudice che, nella specie, non sussista un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tanto che la perdita da animale d'affezione è stata proprio indicata in maniera esemplificativa, dalle Sezioni Unite, quale risibile prospettazione di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone, unitamente ad altre ipotesi pure ivi elencate (la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico); va inoltre evidenziato ad abundantiam che, nella presente vicenda, l'attrice si è limitata a dedurre di aver utilizzato il proprio cane nell'ambito di una pet therapy (con ciò lasciando sottintendere la sussistenza di un rapporto non solo affettivo ma anche terapeutico con la propria bestiola), senza tuttavia corroborare in alcun modo sul versante probatorio il proprio assunto, con ciò omettendo di contribuire - nel caso concreto - all'erosione dell'"equazione" tratteggiata dalle Sezioni Unite".

Debora Alberici (da cassazione.net)