martedì 30 novembre 2010

Sì alla pubblicità dell'avvocato ma senza suggestioni. Il caso ALT


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 28.11.2010 n° 23287

Le Sezioni Unite sanzionano la pubblicità dello studio legale nella ipotesi in cui non sia conforme al decoro e alla correttezza.
Pubblicità dell’Avvocato senza suggestioni ed equivoci, quindi censurata anche dal CNF la pubblicità ritenuta “troppo commerciale” che può ledere il decoro della categoria professionale.
Il caso è stato esaminato dai giudici di legittimità nella sentenza 18 novembre 2010, n. 23287.
Quale è stata la vicenda che ha scaturito la decisione in commento?
Tale vicenda aveva avuto inizio con la irrogazione da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brescia di una sanzione disciplinare, ex art. 38, comma 1, RDL n. 1578/1933, ad un legale il quale aveva utilizzato l’acronimo ALT, ovvero Assistenza Legale per Tutti, con lo scopo di pubblicizzare la propria attività.
Il Consiglio nazionale forense aveva confermato la misura sopra menzionata.
La norma sanzionatoria che è stata applicata dal Consiglio dell’Ordine è una norma generale sugli illeciti disciplinari degli avvocati.
La c.d. liberalizzazione della pubblicità (ex decreto Bersani 2006) non ha, quindi, effetto sul tipo di propaganda che gli avvocati possono fare; di conseguenza i Consigli degli Ordini possono ancora intervenire, nel caso, con l’irrogazione di sanzioni disciplinari.
Nella sentenza che qui si commenta, nello specifico, si legge che …”è vero infatti, che l'art. 2 del dl n. 223/2006, ha abrogato le disposizioni legislative che prevedevano, per le attività libero-professionali, divieti anche parziali di svolgere pubblicità informativa» ma «diversa questione dal diritto a poter fare pubblicità informativa della propria attività professionale è quella che le modalità ed il contenuto di tale pubblicità non possono ledere la dignità e al decoro professionale, in quanto i fatti lesivi di tali valori integrano l'illecito disciplinare di cui all'art. 38, c. 1, rdl n. 1578/1933”.
I giudici di legittimità, in sostanza, pur riconoscendo il fatto che la legge Bersani ha abrogato le disposizioni legislative che prevedevano il divieto di svolgere pubblicità informativa (per le attività libero – professionali) ha, altresì, sottolineato che, nella fattispecie, quello che veniva contestato agli avvocati erano le modalità ed il contenuto della pubblicità posta in essere e giudicata troppo suggestiva.
Secondo la Corte, infatti, appare illegittimo e sanzionabile disciplinarmente l’utilizzo da parte degli avvocati di “forme di pubblicità comparative attuate con messaggi di suggestione che inducono a ritenere, in modo emotivo e riflessivo, che valga la pena di visitare quello che appare uno studio legale aperto e accessibile, senza le formalità tipiche dello studio legale”.

(Da Altalex, 30.11.2010. Nota di Manuela Rinaldi)