martedì 30 novembre 2010

Maltrattamenti familiari, una condanna esemplare


Corte di Cassazione, V Sez. Pen. Sent. n. 41142 del 22.11.2010

Gli Ermellini hanno inflitto – con sentenza 41142 depositata il 22 novembre - una condanna esemplare, per violenza verso la convivente e i figli della coppia, a carico di un uomo che davanti ai bambini aggrediva verbalmente e fisicamente la loro mamma - configurandosi il reato di cui all’art. 572 del codice penale. Tale condotta aveva indotto nel figlio maschio il rifiuto di andare a scuola nel timore  che durante la sua assenza la genitrice fosse oggetto di violenza senza che lui potesse fare nulla per difenderla, mentre nella figlia aveva generato uno stato di bulimia. Per tali conseguenze nefaste, frutto di maltrattamenti, ne tiene conto  la parte motiva della sentenza : “lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi”. Nel caso in questione il ricorrente era andato addirittura oltre minacciando la madre di ucciderle i figli. Tutto ciò al cospetto dei figli.
Il nostro diritto penale prevede il reato di “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, che è così definito dall’articolo 572 del codice penale: “Chiunque, (...) maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
La pena è aggravata se dal fatto derivano lesioni personali o la morte.
Il diritto internazionale dei diritti umani prevede che tutti i governi hanno la responsabilità di prevenire, indagare e punire gli atti di violenza sulle donne in qualsiasi luogo si verifichino: tra le mura domestiche, sul posto di lavoro, nella comunità o nella società, durante i conflitti armati.
Per incorrere nel reato è necessaria la manifestazione di fatti eclatanti e molto gravi rispetto al semplice disturbo od alla molestia personale.
La circostanza ove si consuma il reato è:
a) l’arrecare un perdurante e grave stato di ansia e di paura;
b) l’ingenerare una razionale paura per l’incolumità personale propria o di un prossimo congiunto o di una persona cui si è legati emotivamente;
c) alterazione le proprie abitudini/consuetudini di vita.
Protezione contro gli abusi familiari, art. 342 bis c.c.
Nel momento in cui il comportamento del coniuge o convivente crea un  grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ossia alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, [quando l’evento non si materializza in reato perseguibile d’ufficio]  su richiesta di parte, può applicare mediante decreto i vari commi dell'articolo 342-ter
Ordini di protezione, art. 342 ter c.c.
Nell’applicazione dell'articolo 342-bis il giudice intima al coniuge o convivente, che attuato una condotta pregiudizievole, la cessazione dello stesso comportamento e ordina l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha contravvenuto diffidandolo, qualora  ricorrano gli estremi, ad osservare una distanza dai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, soprattutto al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ossia ai luoghi di domicilio di altri parenti o di amici nonché nei dintorni degli istituti di istruzione dei figli della coppia, ad eccezione se il motivo dell’aggirarsi è dettato da motivi di lavoro.
Il giudice ha facoltà di far intervenire i servizi sociali del Comune o di un centro di mediazione familiare, oppure le associazioni che perseguono il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti;statuisce un assegno periodico a favore delle persone conviventi (eccezione) che, causa l’allontanamento dal nucleo, sono private di mezzi di sopravvivenza, stabilendo il come ed il quando effettuare il versamento e vietando il versamento diretto all’avente diritto della somma oppure stabilisce che la stessa somma sia versata dal datore di lavoro che poi la detrae al lavoratore.
Il Giudice nello stesso atto, nei casi previsti, precisa per quanto tempo debba essere l'ordine di protezione, che ha decorrenza dall’esecuzione dello stesso. L’ordine di protezione ha validità di sei mesi, prorogabili - su richiesta di parte -, quando sopravvengono gravi motivi e solo per il tempo indispensabile.
Quanto detto va rivisitato alla luce delle norme contemplate nella legge nr. 149 del 2001 che, con gli art. 330 e 333 c.c.  prevedono l’allontanamento dalla casa familiare del genitore o del convivente.
Distinzione tra stalking e reato di maltrattamenti.
I Giudice del riesame osservano che quello che caratterizza il reato di stalking da quello di maltrattamenti è la circostanza che le condotte del denunciato, sono reiterate e ingenerano un fondato timore da parte della vittima di un male più grave, “ pur senza arrivare ad integrare i reati di lesioni o maltrattamenti”.
Le reiterate minacce e la promessa di “fargliela pagare” non appena fuori dal carcere, gli appostamenti, le ricorrenti telefonate, minacce e atti vandalici agli oggetti di proprietà della vittima, devono essere letti come azioni persecutorie tali da “ingenerare nelle vittime uno stato di continua paura per sé stesse e da doversi continuamente guardare alle spalle così modificando le proprie normali abitudini di vita”.

Dott. Mariagabriella Corbi  (da Overlex del 30.11.2010)