lunedì 29 novembre 2010

Mozione sulla giustizia civile al XXX congresso nazionale forense


Il Congresso Nazionale Forense, riunito in Genova
premesso
che da ormai molti anni la Giustizia Civile presenta uno stato di complessiva inaccettabilità sia per i tempi che per la qualità dei provvedimenti decisori, tanto che lo Stato Italiano viene ormai costantemente condannato in sede comunitaria per la violazione dei principi del giusto processo e che, il medesimo Stato deve pagare ogni anno somme rilevanti ai cittadini, che influiscono negativamente sul bilancio dello Stato, per la corresponsione delle indennità conseguenti alla violazione dei termini ragionevoli della durata del processo;
che inoltre tale stato di cose produce anche danni all’economia nazionale ed alla competitività delle nostre imprese, come risulta dai rapporti recentemente pubblicati, fra cui quello di Bankitalia;
che, peraltro, i principi del “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost. e art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo non impongono solo il rispetto della definizione del processo in termini ragionevoli, ma altresì il rispetto della pienezza del contradditorio e di una elevata qualità del procedimento e della decisione, che soli possono garantire l’equità del giudizio;
che non appaiono quindi accettabili provvedimenti che, per l’invocato scopo di “deflazionare” il contenzioso, pongano limiti e ostacoli all’accesso alla giustizia del cittadino e ne riducano le garanzie difensive;
ritenuto
che gli Uffici Giudiziari presentano una situazione molto differenziata di funzionamento, sia per quanto riguarda i tempi che per quanto riguarda la qualità, essendovi Uffici Giudiziari, anche di rilevanti dimensioni, che garantiscono la definizione dei procedimenti civili in termini ragionevoli ed una ragionevole qualità di tali giudizi, mentre ci sono altri Uffici i cui tempi di definizione del giudizio sono ormai assolutamente inaccettabili, trasformandosi in vera e propria denegata giustizia ed anche la qualità dei provvedimenti e delle decisioni non appare conforme ai dettami del “giusto processo”;
che il Ministro della Giustizia, richiamandosi ai dati diffusi dal medesimo Ministero, ha recentemente, in più occasioni, dichiarato che i procedimenti definiti sono di poco inferiori ai procedimenti annualmente introitati, sicchè il vero problema della giustizia civile sarebbe quello del contenzioso arretrato;
tutto ciò premesso e ritenuto
delibera
di richiedere al Parlamento, al Governo ed al Ministero della Giustizia, per quanto di rispettiva competenza, che siano adottati i seguenti provvedimenti:
1) per quanto concerne la definizione dell’arretrato, che la definizione dello stesso sia affidata a sezioni appositamente costituite, composte da magistrati in quiescenza ed avvocati in pensione, di comprovata esperienza e di ineccepibile livello deontologico.
Le risorse economiche per il funzionamento di tali Sezioni potranno essere ottenute dai risparmi che saranno effettuati, evitando ulteriori condanne per
violazione del termine di ragionevole durata del processo sia in sede nazionale, ai sensi della Legge Pinto, sia in sede comunitaria.
Inoltre saranno evidenti i benefici economici all’economia nazionale per la riacquistata competitività della giustizia civile.
2) progetto organico di riforma della giustizia civile, senza fare ricorso a facili scorciatoie e ad ulteriori provvedimenti “tampone”, che in questi anni hanno manifestato la loro palese inefficacia e spesso portato ad un ulteriore aggravamento del carico del contenzioso;
3) semplificazione dei riti, anche in attuazione di quanto previsto dalla Legge n. 69/2009, nell’ottica finale della loro unificazione;
4) immediata copertura dei posti vacanti, sia per quanto riguarda i magistrati sia per quanto concerne il personale ausiliario;
5) richiamo alle funzioni giurisdizionali di tutti i magistrati distaccati presso i ministeri ed altri enti pubblici;
6) impossibilità per i magistrati di assumere incarichi extra – giudiziali (quanto meno fino al momento in cui la giustizia non raggiungerà un funzionamento pari al livello degli altri stati europei);
7) controllo dell’effettiva produttività dei magistrati e della qualità dei loro provvedimenti, nonché della capacità dei dirigenti preposti alla direzione degli uffici giudiziari;
8) approvazione di un provvedimento legislativo che preveda una reale ed effettiva responsabilità per i magistrati inadempienti ai doveri che su loro incombono (come a suo tempo richiesto dal popolo italiano, a larghissima maggioranza, con l’approvazione dell’apposito referendum, cui non è mai stata data reale attuazione).
9) riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, costituendolo come organo effettivamente terzo ed imparziale, con l’eliminazione di perniciose influenze di “categoria” e correntizie, ma al contempo anche di tipo politico;
10) approvazione definitiva, in termini brevissimi, della riforma dell’ordinamento forense, al fine di consentire una maggiore qualificazione dell’avvocato, quale insostituibile difensore tecnico.
Per contro, appare assolutamente inaccettabile qualsiasi tentativo di rendere al cittadino, sia sul piano economico che normativo, più difficile l’accesso alla giustizia per la tutela dei suoi diritti e la riduzione nel processo delle sue garanzie difensive.
Pertanto l’Avvocatura conferma il proprio no deciso ed inequivoco:
a) alla mediazione obbligatoria e senza l’assistenza di un difensore;
b) alla sommarizzazione del processo, che comporta l’inevitabile perdita di garanzie processuali e che rimette la fase successiva a quella introduttiva del giudizio alla totale ed insindacabile discrezionalità del giudice, senza regole precostituite;
c) a provvedimenti decisionali privi di motivazione o con motivazione sommaria, rappresentando la motivazione l’unico mezzo di controllo della correttezza del procedimento logico – giuridico seguito dal giudicante per giungere al provvedimento conclusivo e, quindi, per valutare l’opportunità di proporre un eventuale gravame;
d) no, infine, al “giudice – legislatore” che, anziché applicare ed interpretare la legge, stabilisce lui stesso, esercitando poteri che costituzionalmente non gli competono, le norme che disciplinano la fattispecie concreta.

Genova, 27 novembre 2010