sabato 2 novembre 2013

Rifiuto test DNA può far prova di paternità

Il rifiuto del presunto padre di sottoporsi all’esame del Dna può assumere valore di prova per stabilire la filiazione anche nel caso in cui sia accertato che la madre all’epoca del concepimento frequentava altri uomini. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 24361/2013, respingendo il ricorso di un uomo residente ad Ascoli contro la sentenza della Corte di appello di Ancona che ne dichiarava la paternità su istanza del figlio naturale. 
La Suprema corte comincia infatti col ricordare che “ai fini dell’accertamento della paternità naturale può essere utilizzato ogni mezzo di prova (art. 269, secondo comma, c.c. ),” e dunque  il giudice può basare il proprio giudizio “anche  su risultanze di valore probatorio soltanto indiziario”.

Così, in applicazione di questo principio, la Corte di appello di Ancona aveva qualificato “ingiustificato” il rifiuto di sottoporsi all’esame del Dna, anche alla luce dell’ammissione del ricorrente di aver avuto rapporti sessuali con la madre dell’istante.

Egli infatti non aveva contestato la “frequentazione amorosa”, essendosi limitato a sostenere “ che nel periodo del concepimento fossero altri .. a frequentare assiduamente la madre” del ragazzo.

Un dato considerato però “ininfluente rispetto all’oggetto del decidere”, e cioè l’ accertamento dell’effettività del rapporto di filiazione che “non potrebbe comunque essere escluso da un’eventuale conferma della circostanza che la madre di quest’ ultimo fosse solita frequentare assiduamente altre persone di sesso maschile”.


(Da ilsole24ore.com del 29.10.2013)