giovedì 7 novembre 2013

La fattura-quietanza nell’opposizione a d.i.

Fatto estintivo dell’obbligazione è certamente l’avvenuto adempimento, il quale, a norma, dell’art. 1199 c.c. riconosce al debitore il diritto di ricevere una quietanza di cui sia fatta annotazione sul titolo.
La predetta disposizione non prevede alcun tipo di formalità, tuttavia, per assolvere alla funzione certificativa e al valore liberatorio, è necessario che la quietanza attesti il titolo o la causa del pagamento, indicando in modo adeguato l’obbligazione adempiuta (v. Cass., sez. I, 12.05.1973, n. 1328).

La fattura commerciale, in particolare, è un documento fiscale la cui emissione è connessa all'esecuzione della prestazione, secondo il principio contabile di competenza (v. Cass. civ., sez. III, 20.04.2012, n. 6265).

Affinché la fattura possa rappresentare ad ogni effetto una quietanza di pagamento, si richiede che l'annotazione pagato – o altra equivalente – ivi apposta riveli sia l'ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, potendo in tal modo rivestire l'efficacia probatoria privilegiata propria della scrittura privata (ex plurimis, Cass. civ. Sez. III, 31/07/2006, n. 17454).

Per assolvere alla predetta funzione, inoltre, non occorre che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia autografa, ben potendo la stessa, anziché provenire direttamente dal creditore, essere rilasciata da altri, in nome e per conto di quest’ultimo (v. Cass., sez. II, 24.07.1964, n. 2007) ovvero essere costituita da un timbro dattiloscritto con la dicitura "pagato" (v. Cass. civ., sez. II, 31.10.2011, n. 22655).

La quietanza-fattura rilasciata al debitore costituisce ad ogni effetto una prova documentale precostituita dell’eseguita prestazione, a garanzia di qualsivoglia eventuale illegittima pretesa, id est una confessione stragiudiziale dell’avvenuto pagamento dell’obbligazione, come tale revocabile solo per errore o violenza, ai sensi dell’art. 2732 c.c. (v. Cass., sez. II, 31.10.2008, n. 26325), vizi il cui onere probatorio incombe sulla parte opposta.

Ed invero, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, poiché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, trovando così applicazione i criteri dettati dall'art. 2697 c.c. in tema di onere probatorio previsti per l'adempimento contrattuale (v. Trib. Nocera Inferiore, sez. II, 05.12.2012; Trib. Roma, sez. IX, 22.03.2013).

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo rappresenta, a ben vedere, uno sviluppo della fase monitoria, richiedendo al giudice il completo esame del rapporto giuridico controverso, con la conseguenza che l'oggetto di esso non è affatto limitato ad un controllo di validità o merito del decreto ingiuntivo, ma involge il merito e, cioè, la fondatezza della pretesa azionata dal creditore fin dal ricorso (ex plurimis, v. Cass. civ., sez. I, 22.05.2008, n. 13085; nonché, conforme, Cass. civ., sez. I, 19.10.2006, n. 22489).


Antonella Manisi (da diritto.it del 6.11.2013)