domenica 29 luglio 2012

Il danno morale


di Michele Iaselli

Il danno morale consiste nei patemi d’animo che conseguono alla commissione di un illecito.

1. Nozione
Il danno morale è inteso, in generale, come la sofferenza subita dal soggetto a seguito, ad esempio, delle lesioni fisiche riportate; questo tipo di danno viene riconosciuto per espressa previsione dell’art. 2059 c.c.
Il danno morale non esaurisce però la categoria del danno non patrimoniale, cosicché ben si spiega la riparabilità di tali danni in favore delle persone giuridiche, che pur non possono provare sofferenza.
Nel caso di danno non patrimoniale quel che viene in primo piano è infatti la violazione dell’interesse protetto dalla norma, come nel caso di reato di corruzione contro la P.A. ovvero di reati urbanistici, là dove l’interesse è quello, rispettivamente, alla dignità e rispettabilità dello Stato e alla realizzazione di un determinato assetto urbanistico.
La legge penale è dunque quella che, ex art. 185 c.p., generalizza, in caso di reato, la risarcibilità del danno non patrimoniale in sede civile (pur a prescindere dalla previa pronuncia di una sentenza penale di condanna), ma il rinvio operato dall’art. 2059 c.c. alla legge potrebbe ricomprendere gli artt. 7 e 10 c.c., i quali, interpretati estensivamente là dove prevedono il risarcimento, potrebbero configurare l’esistenza di una clausola generale atta a legittimare in ogni caso la risarcibilità dei danni anche non patrimoniali in caso di lesione dei diritti della personalità.

2. Risarcimento
La materia del risarcimento del danno morale è stata oggetto di diverse pronunce della Suprema Corte ed ancora oggi è molto attuale.
Il danno morale va risarcito, secondo l'insegnamento della Corte di Cassazione, "come danno non patrimoniale, nell'ampia accezione ricostruita dalle SS.UU. come principio informatore della materia. Il risarcimento deve avvenire secondo equità circostanziata (art. 2056 c.c.), tenendosi conto che anche per il danno non patrimoniale il risarcimento deve essere integrale, e tanto più elevato quanto maggiore è la lesione .." (SS.UU., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972); ed ancora la Cassazione con la sentenza 4 marzo 2008, n. 5795 ha precisato che "nel caso di accertamento di un danno biologico di rilevante entità e di duratura permanenza, il danno morale, come lesione della integrità morale della persona (artt. 2 e 3 della Costituzione in relazione al valore della dignità anche sociale, ed in correlazione alla salute come valore della identità biologica e genetica) non può essere liquidato in automatico e pro quota come una lesione di minor conto. Il danno morale è ingiusto così come il danno biologico, e nessuna norma costituzionale consente al giudice di stabilire che l'integrità morale valga la metà di quella fisica".
Lo stesso legislatore con il d.P.R. n. 37 del 3 marzo 2009, individua il danno morale come autonoma e specifica voce di danni da liquidare.
Con sentenza più recente (Cass. Civ., sez. III, sentenza 13 luglio 2011, n. 15373) la Suprema Corte ritiene di dover commisurare il risarcimento del danno morale al risarcimento del danno biologico. In particolare la Corte sostiene che nulla vieta che il danno morale sia liquidato in proporzione al danno biologico (cfr Cass. Civ., sentenza n. 702/2010). Né appare superfluo richiamare l'attenzione sull'insegnamento delle Sezioni Unite, cui si è già accennato in precedenza, le quali, come è noto, hanno sancito il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale, quale categoria omnicomprensiva che include anche il danno biologico ed il danno da reato. Ed invero, il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale (SS.UU., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972).
Inoltre la Corte di Cassazione con sentenza 12 settembre 2011, n. 18641 ha sostenuto che il danno morale è autonomo rispetto al danno non patrimoniale. In particolare, l’organo giurisdizionale afferma che “la modifica del 2009 delle tabelle del tribunale di Milano - che questa corte, con la sentenza 7 giugno 2011, n. 12408/2011 (nella sostanza confermata dalla successiva pronuncia 30 giugno 2011, n. 14402/2011) ha dichiarato applicabili, da parte dei giudici di merito, su tutto il territorio nazionale - in realtà, non ha mai "cancellato" (contrariamente a quanto opinato dal ricorrente) la fattispecie del danno morale intesa come "voce" integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale: né avrebbe potuto farlo senza violare un preciso indirizzo legislativo, manifestatosi in epoca successiva alle sentenze del 2008 di queste sezioni unite, dal quale il giudice, di legittimità e non, evidentemente non può in alcun modo prescindere in una disciplina (e in una armonia) di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la disposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale.
L’indirizzo di cui si discorre si è espressamente manifestato attraverso la emanazione di due successivi d.P.R., il n. 37 del 2009 e il n. 191 del 2009, in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l'art. 5) ha inequivocamente resa manifesta la volontà del legislatore di distinguere, concettualmente prima ancora che giuridicamente, all'indomani delle pronunce delle sezioni unite di questa corte (che, in realtà, ad una più attenta lettura, non hanno mai predicato un principio di diritto funzionale alla scomparsa per assorbimento ipso facto del danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi dell'evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie) tra la "voce" di danno cd. biologico da un canto, e la "voce" di danno morale dall'altro: si legge difatti alle lettere a) e b) del citato art. 5, nel primo dei due provvedimenti normativi citati:- che "la percentuale di danno biologico è determinata in base alle tabelle delle menomazioni e relativi criteri di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni; -che “la determinazione della percentuale di danno morale viene effettuata, caso per caso, tenendo conto dell'entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona, connessi e in rapporto all'evento dannoso, in misura fino a un massimo di due terzi del valore”.
Infine, con diverse sentenze la Cassazione ha ribadito la “autonomia ontologica del danno morale”, autonomia che “deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persone” e “pure attiene ad un diritto inviolabile della persona” (Cass. Civ., sez. III, sentenza 12 dicembre 2008, n. 29191; Cass. Civ., sentenza n. 379/2009, Cass. Civ., SS.UU., sentenza 14 gennaio 2009, n. 557 e Cass. Civ., sez. III, sentenza 13 maggio 2009, n. 11059). La stessa Cassazione Civile, sez. III, con sentenza 10 marzo 2010, n. 5770 ha sostenuto che al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è opportuno ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all'integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza (contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2 agosto 2008, n. 190) si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico.

(Da AltalexPedia, aggiornato al 27.7.2012)