venerdì 21 febbraio 2014

Pubblicità avvocato nel nuovo codice deontologico

di Antonino Ciavola


Con delibera del 31 gennaio 2014 il CNF ha approvato il nuovo codice deontologico forense. L'avv. Antonino Ciavola (nostro grande amico e consigliere dell’Ordine, NdAGANews) analizza le novità introdotte in materia di pubblicità forense anche alla luce del dossier elaborato dal CNF sul punto nonchè di una recente pronuncia della Suprema Corte riguardante professionisti che offrivano la sottoscrizione del ricorso in Cassazione.



1. Breve storia della pubblicità forense

2. Che cos’è la pubblicità?

3. L’evoluzione della normativa italiana

4. I prezzi delle prestazioni

5. La sentenza Cass. Civ., SS.UU., 16 dicembre 2013 n. 27996

6. Il nuovo codice deontologico

7. Altra casistica

8. La casistica mai sanzionata: Enjoy Avvocato



1. Breve storia della pubblicità forense

Nel 1990 il Ricciardi scriveva che il divieto di propaganda costituisce un principio deontologico importante, diretto a sottolineare la particolare dignità della professione forense, che non è equiparabile ad una qualunque attività di servizi.

Lo stesso autore, a titolo esemplificativo, indicava come illecito disciplinare l’inserimento del proprio nome in grassetto nell’elenco telefonico; questo è sempre stato un classico esempio di pubblicità dell’avvocato in un’ottica mercantile, e svariate volte sanzionato.

Altro esempio di pubblicità indiretta citato dal Ricciardi riguarda l’invio di biglietti augurali del professionista al personale di cancelleria con l’invito, sul retro, a ritirare una strenna natalizia.

Sempre nel 1990, era indicato come esempio di pubblicità e propaganda vietata quello della diffusione di lettere circolari contenenti il nominativo del professionista e dei suoi successi professionali.

Nel 1991 la Francia si è dotata di una legge che permette agli avvocati di fare pubblicità nei limiti in cui ciò serva a dare informazione al pubblico sull’attività svolta e non abbia un aspetto commerciale. Analoga iniziativa è stata adottata in Germania, mentre in Italia il codice deontologico approvato nel 1997, all’art. 17, continuava a vietare qualsiasi forma di pubblicità, consentendo una limitata attività di informazione, purché in modo veritiero e nel rispetto dei doveri di dignità e decoro.

Con la modifica del 26 ottobre 2002, l’impostazione del codice deontologico in materia di pubblicità cominciava a mutare: la rubrica dell’art. 17 non riguardava più un divieto, bensì le informazioni sull’esercizio professionale.

Sembrava così evidente la volontà, da parte di tutta l’avvocatura europea, di distinguere tra informazione e pubblicità, considerando la prima un diritto dell’avvocato derivante dal mutato assetto sociale, e la seconda una indecorosa attività mercantile.


2. Che cos’è la pubblicità?

Esaminando la definizione di pubblicità riportata dai dizionari, troviamo sia la divulgazione di una notizia tra il pubblico, sia (più specificamente) l’attività aziendale diretta a far conoscere l’esistenza di un bene o servizio e a incrementarne il consumo e l’uso.

Dottrina, giurisprudenza e leggi hanno poi gradatamente ipotizzato, definito e sanzionato una particolare forma di pubblicità, quella che si concretizza nella menzogna e nell’inganno, e che è stata definita pubblicità ingannevole, poichè fornisce informazioni false e/o distorte.

Dal punto di vista normativo, il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, emanato in attuazione di una direttiva comunitaria e modificato con D. Lgs. 25 febbraio 2000 n. 67, definiva la pubblicità come qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni ... oppure la prestazione di opere o di servizi.

Il decreto era espressamente rivolto, ai sensi dell’art. 1, anche ai soggetti che esercitano un’attività professionale.

La norma è stata poi riformulata (si veda il d. Lgs. 2 agosto 2007, n. 145), ma resta fermo che per pubblicità ingannevole si intende quella che induca o possa indurre in errore, pregiudicando l’economia e la concorrenza; e che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, ed è vietata ogni forma di pubblicità subliminale.

L’esame dei dati normativi e l’approfondimento del nostro ragionamento ci portano ad affermare che, anche in campo forense, la distinzione da farsi non è tanto quella, più volte sottolineata, tra informazione e pubblicità, bensì quella tra pubblicità vera e corretta da una parte (informazione secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza) e pubblicità ingannevole e fuorviante dall’altra.

Infatti, ogni messaggio informativo costituisce una forma di pubblicità, sia perché questa è la definizione legislativa, sia soprattutto perché l’avvocato che informa ha in realtà lo scopo di incrementare la propria clientela.

La distinzione era già stata avvertita dal Ricciardi, che accanto alla parola pubblicità utilizzava anche il termine propaganda, nella accezione deteriore, che racchiude in sé la pubblicità ingannevole e gridata.



3. L’evoluzione della normativa italiana

Il percorso legislativo, non privo di logica ma viziato da errori di fondo, può così essere sintetizzato:

Con il “decreto Bersani” (decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito in Legge 4 agosto 2006 n. 248) sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio;

con la c.d. ''Manovra bis'' (Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), è precisato che la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie;

con il d.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, art. 4 comma secondo, si afferma che la pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

Infine con la L. 31 dicembre 2012 n. 247, all’art. 10, è consentita all'avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sulla organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive.

Attenzione: l’ultima normativa in ordine di tempo, cioè la riforma dell’ordinamento professionale forense, include le specializzazioni (nel senso precisato e disciplinato dalla stessa legge) ma esclude i prezzi (compensi) delle prestazioni dal novero delle informazioni che possono essere diffuse, così modificando le leggi precedenti.

Qual è la ragione di questa scelta?



4. I prezzi delle prestazioni

L’art. 17 del codice deontologico previgente proibiva l’invio di brochures informative con la possibilità di risposte prepagate; tra i mezzi di comunicazione vietati indicava l’utilizzazione di internet per l’offerta di servizi e consulenze gratuite.

La previsione dell’invio del modulo con risposta prepagata discendeva probabilmente dal caso deciso dalla Corte di Versailles il 3 febbraio 1993.

In quel caso uno studio legale associato aveva inviato a 5000 imprese della zona di Versailles (soggetti determinati per territorio e attività, secondo l’ipotesi estensiva) un cartoncino contenente informazioni ingannevoli sullo studio e un modulo prepagato con l’invito ai 5000 potenziali clienti a richiedere un bollettino bimestrale di informazione.

L’invio del modulo con risposta prepagata è stato riconosciuto un atto proibito di sollecitazione della clientela.

Quanto all’offerta di consulenza e servizi gratuiti, essa era vietata non soltanto se compiuta tramite internet, ma anche se contenuta in una lettera, in un opuscolo o se svolta di fatto, salvi casi specifici.

All’interno dei contenuti dell’informazione, si precisava che la rete internet e il sito web possono essere utilizzati per l’offerta di consulenza, ma con indicazione della vigente tariffa professionale (oggi abrogata) per la determinazione dei corrispettivi.

Negli anni ‘70 l’avvocato statunitense Bates fece pubblicare su un giornale questo annuncio: Avete bisogno di un avvocato? Servizi legali a prezzi ragionevoli. Divorzio o separazione legale dollari 175,00.

L’avvocato Bates, inizialmente sanzionato dal suo ordine, vinse la causa.

La Corte Suprema Federale USA ha affermato che il divieto di pubblicità è incostituzionale perchè contribuisce a impedire il libero flusso dell’informazione commerciale e a tenere il pubblico nell’ignoranza.

L’avvocato Bates, se riproponesse ai giorni nostri in Italia lo stesso annuncio, sarebbe sanzionato per il mezzo utilizzato (il giornale), per il tenore dell’annuncio (forse ingannevole nella sua semplicità) ma sarebbe ben più dubbia la sanzione per l’indicazione del prezzo, se l’importo corrispondesse a quello ragionevolmente prevedibile per una causa di divorzio; però, a rigore, l’ultima disciplina legislativa esclude i prezzi dal novero delle informazioni che possono lecitamente essere pubblicizzate.

Tuttavia, se la deontologia è in gran parte derivante da quello che alberga nella coscienza degli avvocati in un dato momento storico, non c’è dubbio che l’indicazione dei prezzi, specie se tendenti al ribasso, sia considerato riprovevole dalla maggioranza dei professionisti iscritti.

Mi sembra quindi che la ragione della (re)introduzione del divieto di pubblicizzare il prezzo delle prestazioni risponda a una esigenza diffusa e comunemente sentita; la prova è data da una recente decisione, che qui commentiamo.



5. La sentenza Cass. Civ., SS.UU., 16 dicembre 2013 n. 27996

Con questa pronuncia (nella quale non compare la parola pubblicità) la Suprema Corte conferma la sanzione della censura irrogata dal Consiglio dell’Ordine di Milano a un avvocato che aveva inviato oltre 10.000 mail a colleghi sparsi in tutta Italia, offrendo servizi di domiciliazione e sostituzione dietro compenso e in particolare scrivendo: I giovani avvocati non abilitati avanti la Suprema Corte potranno inoltre richiedere allo Studio la sottoscrizione dei motivi di ricorso per Cassazione da loro stessi predisposti.

Si trattava di una buona occasione per prendere posizione sul problema dello spamming inviato a soggetti molto numerosi, ma non indeterminati; infatti la mail era indirizzata soltanto ad avvocati.

Il Consiglio milanese, soffermandosi prevalentemente sulla questione posta dall’art. 21 del codice deontologico (divieto di agevolare l’esercizio della professione a soggetti non abilitati) e trascurando l’aspetto pubblicitario, ha concluso irrogando una sanzione mite rispetto alla gravità dei fatti.

La motivazione del CNF in sede di gravame, contenuta nella sentenza 29 novembre 2012 n. 177, contiene un passaggio chiaro ed esaustivo:  Integra violazione dei doveri di correttezza e probità la condotta di un Avvocato che invii in maniera indiscriminata, con modalità sostanzialmente di "offerta al pubblico" (e che in tal modo raggiunga oltre 10.000 Avvocati), una proposta di sottoscrizione di ricorsi innanzi la Corte di Cassazione predisposti da Colleghi privi dello specifico jus postulandi.

Infine, il ricorso in Cassazione (poi rigettato) si concentrava soltanto sull’aspetto relativo alla sottoscrizione dei ricorsi, senza far più riferimento alla questione pubblicitaria.

Il giudicato sulla pronuncia del CNF, comunque, sembra confermare la tesi già espressa da chi scrive, cioè che la regola deontologica insita nella coscienza degli avvocati vieta l’invio di lettere, e-mail, comunicazioni via internet, al fine di evitare la diffusione di messaggi non richiesti non soltanto alla massa indeterminata, ma anche ad intere categorie, presso indirizzi comunque reperiti; e tale attività (spamming) è vietata anche dalla normativa sulla privacy.

Il punto allora non è quello del soggetto determinato, bensì del soggetto già conosciuto; e quindi, la possibilità di rivolgersi o meno al cliente potenziale, fermi restando i metodi da utilizzare che non devono mai essere contrari al decoro, come sarebbe il deposito di volantini negli ospedali, nelle carceri o sotto i parabrezza delle auto.

Mi sembra che questo nodo essenziale, nel quale possiamo rinvenire l’essenza e lo scopo della pubblicità, non sia mai stato risolto dal codice deontologico, ma possa essere deciso nel senso sopra accennato interpretando le regole deontologiche in relazione a quelle civili e amministrative a tutela della privacy.

In tal modo sarebbe anche possibile fornire una informazione sui costi di massima di un processo, contribuendo a rendere un po’ più trasparente la nostra tariffa, che per i clienti è sempre stata oscura e che tale rimane, malgrado le recenti semplificazioni.



6. Il nuovo codice deontologico

Nella seduta del 31 gennaio 2014, in esecuzione dell’art. 65 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, il Consiglio Nazionale Forense ha approvato il nuovo codice deontologico, così modificando le disposizioni oggetto di questo commento.

Art. 17 – Informazione sull’esercizio della professione

1. è consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.

2. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.

3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.



Art. 35 – Dovere di corretta informazione

1. L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.

2. L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale.

3. L’avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza.

4. L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche;  specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.

5. L’iscritto nel registro dei praticanti avvocati può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora abbia conseguito tale abilitazione.

6. Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato.

7. L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.

8. Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.

9. L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.

10. L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito.

11. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.

12. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Le nuove norme replicano quelle precedenti, confermando che non si potrà più far riferimento al costo delle prestazioni utilizzandolo come veicolo per acquisire clientela facendo leva sulla possibilità di risparmiare.

Inoltre, i commi 3 e 9 chiariscono definitivamente il pensiero già da me espresso in precedenti occasioni, nel senso che la pubblicità non deve essere anonima, ma il professionista deve sempre identificarsi con il proprio nome, spendendo la propria fama (se c’è) e i propri titoli.

Quindi è vietato propagandare servizi legali in modo generico e senza nomi (il nostro staff di esperti avvocati; un esercito di avvocati; ecc.); nonchè propagandare, da parte di società, servizi legali a prezzi scontatissimi, non soltanto per la viltà del prezzo (pareri a 20 euro, ma solo per oggi), quanto perchè l’avvocato resta anonimo nella fase dell’offerta e viola anche il codice deontologico sotto altro profilo, utilizzando un agente che ovviamente incasserà una percentuale del compenso.



7. Altra casistica

Il nuovo codice deontologico, come sopra detto, indica i mezzi di informazione (e le informazioni) consentiti e vietati.

Le singole questioni saranno vagliate con riferimento alla concreta ipotesi, analizzandola alla luce dell’intero codice deontologico.

Vediamo, come esempio, questa incolpazione (seguita da sanzione): “per aver violato i doveri di correttezza, probità e verità avendo pubblicato o comunque acconsentito alla pubblicazione, sul sito (omissis).it, della dichiarazione avente il seguente tenore letterale: “...  raccoglie testimonianze di persone che hanno subito condanne o rinvio a giudizio per causa di perizie ... e volessero agire giudizialmente, io sono disponibile anche con il gratuito patrocinio. Avv. F.M. (penalista)”; rappresentando nell’occasione, a tutti i destinatari della dichiarazione stessa, la propria disponibilità al gratuito patrocinio, pur non essendo iscritto nell’elenco degli avvocati disponibili al patrocinio a spese dello Stato, sia per l’anno 2007 che per l’anno 2008, fornendo in tal modo informazioni non veritiere sulla propria attività professionale.”

Cass. Civ., SS.UU., 13 novembre 2012, n. 19705 conferma la necessità di valutare caso per caso:

In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ai sensi dell'art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, poiché l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali, stabilita dall'art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, non preclude all'organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli artt. 17, 17-bis e 19 del codice deontologico forense, e tanto più che l'art. 4 del d.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere "funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria". (La S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva affermato costituire illecito disciplinare l'inserimento nel "box" pubblicitario di un giornale di uno slogan sull'attività svolta, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico dei costi molto bassi, contenente elementi equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo).

CNF, 15 ottobre 2012, n. 152 conferma indirettamente (sempre facendo riferimento alla disciplina previgente) quanto affermato:

L'art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito nella n. 248/2006, abrogando le disposizioni che non consentivano la c.d. pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, non ha affatto abrogato l'art. 38, comma 1, del r.d.l. n. 1578/1933, il quale punisce comportamenti non conformi alla dignità ed al decoro professionale. Dovendosi pertanto interpretare alla luce di tale disposizione le norme di cui agli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense, la pubblicità informativa deve essere consentita nei limiti fissati dal codice deontologico e comunque deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro professionale.

Il codice deontologico forense, infatti, a seguito dell'entrata in vigore della normativa nota come "Bersani", consente non una pubblicità indiscriminata (ed in particolare non comparativa ed elogiativa), ma la diffusione di specifiche informazioni sull'attività, anche sui prezzi, i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo. La peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria ed alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall'ordinamento affidata al potere-dovere dell'ordine professionale.

La sentenza sopra riportata afferma la legittimità del riferimento ai prezzi, ma si deve tener conto della modifica legislativa che, come sopra illustrato, li esclude dalle informazioni che possono lecitamente divulgarsi.

Cass. Civ., SS.UU., 10 agosto 2012, n. 14368 sembra confermare la tesi in base alla quale la pubblicità mira all’acquisizione di nuova clientela, pur dovendosi mantenere nei limiti sopra ampiamente evidenziati.

In tema di responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa finalizzata all'acquisizione della clientela costituisce illecito, ai sensi dell'art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, e degli artt. 17 e 17-bis del codice deontologico forense, ove venga svolta con modalità lesive del decoro e della dignità della professione. A tal fine, invero, resta irrilevante sia che il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145 abbia disciplinato esaustivamente la materia della pubblicità ingannevole e comparativa, attribuendo i poteri sanzionatori all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in quanto questi non attengono alle violazioni del codice di deontologia forense, sia che l'art. 2, comma primo, lett. b), del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, consenta di svolgere pubblicità informativa, siccome la disposizione non incide sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata, sia, infine, che l'incolpato si sia immediatamente adeguato al modello comportamentale suggerito dall'incolpazione, giacché non esiste alcuna norma nel sistema disciplinare forense che escluda l'illecito in ragione del cd. "ravvedimento operoso". (Nella specie, la C.S. ha confermato la decisione impugnata, che aveva irrogato la sanzione della censura a carico di un avvocato, per avere lo stesso utilizzato presso l'ufficio e nel sito "web" le espressioni "L'angolo dei diritti" e "negozio", ritenendo le stesse di carattere prettamente commerciale ed eccedenti l'ambito informativo razionale).

Infine, la sentenza Cass. CIv. SS.UU., 3 maggio 2013 n. 10304 completa il quadro occupandosi della pubblicità mascherata da articolo giornalistico/intervista (vietata in quanto tendente a ingannare), valutandone anche il contenuto.

Nella fattispecie il titolo dell’intervista sembrava evidenziare una speciale competenza dei professionisti in materia commerciale e societaria internazionale, mentre il contenuto riguardava struttura dello studio, competenze diverse e numerose fotografie.

Malgrado il caso specifico (cioè l’illecito contestato) risalga al 2007, la Suprema Corte analizza anche la normativa in tema di pubblicità informativa introdotta successivamente, fino al d.P.R. 3 agosto 2012 n. 137.

La pubblicità forense è quindi diversa rispetto a quella commerciale, senza alcuna assimilazione della professione all’attività di impresa.

Le norme sopra riportate affermano, in linea con il codice deontologico, che la pubblicità in senso tradizionale (esaltazione di un nome, di un marchio, di un servizio, anche senza evidenziare le sue caratteristiche) è vietata.

Quella consentita è solo l’informazione su attività professionale, specializzazioni e titoli professionali posseduti, struttura dello studio e compensi (ma oggi questi ultimi non più).

La sentenza, per sgombrare il campo da ogni equivoco, analizza anche la normativa europea dalla quale, secondo i ricorrenti, deriverebbe un principio di assoluta libertà pubblicitaria: e smonta la tesi precisando che nulla autorizza una lettura della normativa comunitaria nel senso che essa consenta la realizzazione della pubblicità professionale anche con modalità classificabili come "pubblicità occulta" o che siano lesive della dignità e del decoro della professione: in verità, nel caso di specie, non è in discussione il "diritto" al libero esercizio di una "pubblicità promozionale" dell'attività professionale, bensì esclusivamente la modalità secondo la quale detta pubblicità sia realizzabile nel doveroso rispetto di precisi e specifici limiti deontologici disciplinarmente rilevanti.

Il principio che resta fermo, allora, è quello già ben enucleato da Cass. Civ., SS.UU., 18 novembre 2010, n. 23287:

Il precetto della norma generale è: “non commettere fatti non conformi al decoro ed alla dignità professionale”.

Da tale precetto generale, il Consiglio dell’ordine è giunto alla tipizzazione di un precetto per il caso specifico, sia pure - come ogni precetto - ancora in astratto: “non effettuare alcuna forma di pubblicità con slogans evocativi e suggestivi, privi di contenuto informativo professionale, e quindi lesivi del decoro e della dignità professionale”.

“... diversa questione dal diritto a poter fare pubblicità informativa della propria attività professionale è quella che le modalità ed il contenuto di tale pubblicità non possono ledere la dignità e il decoro professionale, in quanto i fatti lesivi di tali valori integrano l’illecito disciplinare”.



8. La casistica mai sanzionata: Enjoy Avvocato

Fin qui la teoria (anche se confortata da dottrina e giurisprudenza).

La pratica è cosa diversa: basta digitare su un motore di ricerca le parole “avvocato specializzato” per trovare una casistica amplissima e persino divertente in alcune manifestazioni auto elogiative.

Ma la prassi, come si sa, non sempre coincide con la Legge: vedremo se i nuovi Consigli distrettuali di disciplina, istituiti proprio dalla Legge 31 dicembre 2012 n. 247, riusciranno ad arginare il fenomeno.

La mia preoccupazione discende dalla sanzione edittale prevista dal nuovo codice deontologico nella (sola) censura: non mi sembra idonea a scoraggiare comportamenti come quello del testo sotto riportato, ricevuto via mail da numerosi colleghi e sinistramente simile al caso deciso dalla Cassazione nella sentenza sopra commentata:

Egregio collega, il nostro studio legale da tempo esercita la propria attività su Roma presso tutte le Magistrature Superiori del settore civile, penale ed amministrativo, nonché presso i Giudici di Merito ricompresi nei distretti delle Corti d’appello di Roma e di Salerno.

La nostra struttura è attrezzata per offrire servizi legali ai colleghi fuorisede. In particolare i nostri servizi ineriscono:

1. le domiciliazioni per tutti i procedimenti già incardinati o da incardinare presso le Magistrature superiori e/o i Giudici di Merito sopra indicati;

2. sostituzioni in udienza presso tutte le magistrature;

3. redazione e sottoscrizione atti (anche mandato congiunto) presso Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte Costituzionale;

4. procedure davanti alle magistrature militari.

Qualora interessato vorrà prendere contatti con codesto studio legale, via mail preferibilmente o, comunque, chiamando ai recapiti telefonici in epigrafe, per specificare la natura dei servizi richiesti e ricevere entro 48 ore un preventivo circa i costi afferenti.

Che ne pensate del punto 3 sulla redazione e sottoscrizione di atti anche con mandato congiunto presso la Corte di Cassazione?

Ancora qualche esempio per spiegare il titolo di questo paragrafo.

La bevanda più nota al mondo pubblicizza il proprio marchio accompagnato dalla parola “enjoy”. Non è necessario conoscerne la traduzione (godere, gustare, assaporare) per ricevere il messaggio pubblicitario, che risiede nel nome indicato a caratteri cubitali.

Oggi come un tempo, la pubblicità consiste nella diffusione del marchio, coincide cioè con l’antica indicazione in grassetto nell’elenco telefonico, con la maggiore visibilità rispetto agli altri: non è necessaria, per la sua efficacia, alcuna informazione supplementare, della quale l’utente non è in grado di verificare l’attendibilità.

Se digitiamo su un motore di ricerca le parole “avvocato specializzato” troviamo ai primi risultati alcuni professionisti della nostra città.

Non è un caso: la rete sa dove ci troviamo (l’abbiamo scritto su facebook) e il sistema mette al primo posto chi, pagando di più, ottiene questa visibilità senza bisogno di indicare alcuna informazione.

Se poi ci addentriamo nei singoli siti, osserviamo violazioni costanti e ripetute del codice deontologico (sia vecchio che nuovo).

L’avvocato H. di Dresda pubblicizza il proprio studio con una clip horror (la moglie ha ucciso il marito con una sega elettrica). La scritta finale è “con un avvocato matrimonialista non sarebbe mai successo”.

Struttura dello studio? Titoli posseduti? No. Solo pubblicità.

Il sito Buon avvocato ha creato un network nazionale di avvocati, rigorosamente anonimi, con prima assistenza gratuita e costi estremamente contenuti; ha anche costituito un albo professionale (ovviamente non legittimo) nel quale ogni interessato può iscriversi.

L’avvocato E.S. si dichiara specialista in materia di famiglia e delle successioni senza indicare il conseguimento del titolo di specialista; questa violazione è diffusissima malgrado il chiaro dettato del codice deontologico.

Sono presenti informazioni generiche e auto elogiative, come ad esempio “il cliente è costantemente informato sullo stato della sua pratica”.

Il sito Pronto Legale offre consulenza legale da parte di avvocati, anche qui rigorosamente anonimi, al prezzo di € 39,90.

L’avvocato M. A. si dichiara specializzato in materia di trasporto passeggeri e merci e nel patrocinio innanzi alle commissioni tributarie, senza indicare l’attribuzione di tale specializzazione.

Offre altresì assistenza fiscale ai privati mediante uno sportello CAF con sede presso i locali dello studio (quest’ultimo aspetto meriterebbe una verifica).

Molti dei siti esaminati sono costruiti dallo stesso gruppo imprenditoriale e sono corredati da fotografie non riferibili allo studio ma che ritraggono modelle o attori.

Infine, da premiare per l’originalità l’avvocato A.C. (non sono io!) che indica tra i settori di attività quello degli incidenti mortali e assiste i propri clienti anticipando o rimborsando tutte le spese funerarie.

Del resto, come sappiamo, il buon avvocato deve offrire assistenza globale.


(Da Altalex del 20.2.2014)