venerdì 7 febbraio 2014

La legittimazione ad agire prescinde dalla titolarità

Trib. Torino, sez. III civ., sent. 21.6.2013 n° 4573

La legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa.

È questo il principio di diritto affermato dal Tribunale di Torino nella sentenza del 21 giugno 2013.

Nel caso di specie un dato condominio, in persona del suo amministratore, si opponeva ad un decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Torino gli aveva ordinato di pagare una certa somma a titolo di corrispettivo al ricorrente per prestazioni che quest’ultimo avrebbe reso in qualità di Direttore dei Lavori in relazione ad un intervento di ristrutturazione del tetto condominiale.

Il condominio, in particolare, eccepiva la carenza di legittimazione attiva della parte ricorrente dal momento che durante l’assemblea condominiale, in occasione della quale si riteneva necessario eseguire lavori di manutenzione straordinaria del tetto, la progettazione, la direzione dei lavori ed il coordinamento della sicurezza non erano stati affidati alla parte convenuta ma a suo figlio.

Il giudice di primo grado, investito della questione, pur riconoscendo - come vedremo tra breve - la legittimazione ad agire della parte convenuta, accoglie l’opposizione proposta dall’attore opponente e dunque ordina al revoca del decreto ingiuntivo opposto sulla base della seguente motivazione.

Innanzitutto, il Tribunale di Torino precisa che, come sostenuto dalla parte attrice opponente, l’incarico conferito dal figlio al padre di seguire i lavori in qualità di direttore dei medesimi non può produrre i propri effetti nei confronti del condominio dal momento che, ai sensi dell’art. 1372 c.c., il contratto esplica la propria efficacia soltanto tra le parti, salvi i casi previsti dalla legge.

“Invero - afferma il giudice di primo grado - l’incarico conferito dall’Arch. F.D. al proprio padre Arch. F.E. di seguire i lavori come direzione lavori non può spiegare efficacia alcuna nei confronti del CONDOMINIO XXX , ostandovi il fondamentale c.d. “principio di relatività del contratto”, consacrato nell’art. 1372 c.c., ai sensi del quale il contratto “non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge””.

In secondo luogo, il giudice di primo grado, ricorda come secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, legittimazione attiva in senso stretto e titolarità del diritto non necessariamente coincidono, riscontrandosi la prima ogniqualvolta vi sia una coincidenza tra chi propone la domanda e colui che nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto e tra colui contro il quale la domanda  è proposta e colui che nella domanda stessa è “affermato” soggetto passivo del diritto o, comunque, “violatore” di quel diritto.

Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo appunto al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, per farla valere proficuamente, deve essere tempestivamente formulata (V., da ultimo, Cass. Civ., sez. II, 27 giugno 2011, n. 14177; Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284; Cass. Civ., SS.UU., 24 dicembre 2009, n. 27346; Cass. Civ., sez. II, 3 giugno 2009, n. 12832; Cass. Civ., sez. III, 9 aprile 2009, n. 8699; Cass. Civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23670; Cass. Civ., sez. I, 16 maggio 2007, n. 11321; Cass. Civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4776).

Applicando tale giurisprudenza al caso di specie, il Tribunale di Torino giunge a concludere che la parte convenuta, se da un lato è legittimata ad agire, essendovi coincidenza tra chi ha proposto la domanda nel procedimento monitorio e nel giudizio di opposizione, ossia la parte opposta, e colui che nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto di credito nei confronti della parte attrice, ossia la parte opposta), dall’altro lato la medesima non può considerarsi titolare della pretesa sostanziale dedotta in giudizio.

Nel nostro ordinamento il contratto produce i propri effetti soltanto tra le parti e non anche nei confronti dei terzi, salvo i casi previsti dalla legge (art. 1372 c.c.), trattandosi di un autoregolamento di interessi privati e, quindi, in definitiva, uno strumento attraverso il quale i soggetti dispongono della propria sfera personale e patrimoniale.

La legittimazione ad agire o contraddire può essere definita come quella condizione dell’azione che consiste nella coincidenza tra chi propone la domanda e colui che nella domanda stessa è “affermato” titolare del diritto (c.d. legitimatio ad causam attiva) e tra colui contro il quale la domanda  è proposta e colui che nella domanda stessa è “affermato” soggetto passivo del diritto o, comunque, “violatore” di quel diritto (c.d. legitimatio ad causam passiva).

La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza.


(Da Altalex del 7.2.2014. Nota di Elisa Cinini)