venerdì 22 aprile 2011

Menoni (Uncc): «Si diventa mediatori in due weekend, ci batteremo alla Consulta»

«Camere civili parte in causa»
Il presidente: «Vinca il buonsenso» - Il "piano B" per lo stop del Tar

Ride sotto i baffi, Renzo Menoni. Nonostante l'incubo-mediaconciliazione, in fondo è un buon momento per l'Unione nazionale delle Camere civili. Il presidente ha appena incassato il verdetto favorevole del Tar Lazio che rimette alla Corte costituzionale la decisione sulla legittimità delle norme "incriminate" per la soluzione stragiudiziale delle controversie. E non manca di rilevare, con bonarietà tutta emiliana, il successo in famiglia nel "derby" con l'Oua, che pure al Tar Lazio aveva fatto ricorso per primo: in tema di legittimazione a impugnare, infatti, l'Uncc è riconosciuta come pienamente titolata, invece per l'Organismo unitario dell'avvocatura l'esame della questione è rimandato all'atto del pronunciamento definitivo sul gravame, anche grazie alla presenza di Consigli dell'Ordine e singoli avvocati come co-ricorrenti. Intanto alla Consulta sarà battaglia e non è escluso che si possa tornare davanti al tribunale amministrativo. Fra chi resta alla finestra e chi sale sul carro dei vincitori, la Camere civili studiano le prossime mosse. Ma non chiudono la porta al confronto, anzi lo auspicano. E annunciano un summit della categoria forense a Roma per il 20 e 21 maggio: un evento organizzato con il Cnf e la Cassa durante il quale sarà presentato il primo rapporto sull'avvocatura italiana: «Per capire perché è in crisi e come uscirne», spiega il professionista parmigiano. Presidente Menoni, vittoria oppure vittoria a metà, visto che il Tar Lazio non ha sospeso l'efficacia del regolamento sulla mediaconciliazione? «Dal punto di vista giuridico, vittoria piena. Fra l'altro, è anche piacevole per noi come Unione nazionale sottolineare come il Tar Lazio abbia detto che abbiamo la rappresentanza piena dell'avvocatura, mentre per l'Oua dice "si vedrà"». Questa, però, è una stilettata bella e buona.
«Vabbè (ride). Quella che m'interessa è la prima parte, quella a nostro favore. Sulla seconda lo dico come battuta, per sottolineare che non era del tutto scontato. Tanto è vero che per l'Oua il Tar Lazio ha qualche dubbio».
E ridai. «No, no: non lo dico polemicamente. Qui abbiamo viaggiato proprio di conserva io e l'avvocato de Tilla (il presidente dell'Organismo unitario dell'avvocatura, ndr). Ci siamo sentiti ogni due giorni, se non tutti i giorni».
Però ammetterà che il Tar avrebbe potuto sospendere il regolamento e non l'ha fatto.
«Ecco perché distinguerei: dal punto di vista giuridico è stato un ottimo risultato. Dal punto di vista pratico - che talvolta è più importante di quello giuridico, perché ci sono anche delle sentenze belle da vedere, ma solo da incorniciare, come un quadro - la sospensiva sarebbe stata la quadratura del cerchio: avrebbe consentito di bloccare tutto. Così bisogna attendere quello che dirà la Corte costituzionale e quindi pensare a cosa fare adesso».
In che senso?
«Si è creata a questo punto una situazione strana: nel senso che, teoricamente, si dovrebbe fare questa mediazione nelle materie in cui è obbligatoria, ma con la spada di Damocle della pronuncia della Consulta».
Il ministro Alfano è stato chiarissimo: si va avanti senza infingimenti. La cosa vi preoccupa?
«No, preoccuparci no. Conferma che questo ministro è molto determinato: il che, astrattamente, fa piacere; in un mondo in cui sono molti i politici "Sor Tentenna", come la famosa maschera, vederne uno determinato fa piacere. Qualche volta, però, si ha l'impressione che se si consultasse di più prima...».
...con le organizzazioni che rappresentano la categoria forense, intende?
«Ecco, sì, le cose verrebbero un po' più semplici. Secondo me nessuna riforma che riguarda la Giustizia, non solo la mediazione, andrebbe fatta senza aver consultato l'avvocatura e la magistratura. Non dico che le riforme debbano essere per forza concordate, perché il Governo ha delle responsabilità politiche e quindi alla fine la decisione deve spettare alla politica: qualche volta se si vuole concordare tutto alla fine non si riesce a far niente. Ma prima di partire, bisognerebbe sentire, confrontarsi, cercare di trovare un punto d'incontro. Poi, se non si trova, è giusto che decida la politica. E questo vale per tutto: per la riforma della giustizia che adesso stanno facendo, per quella del Csm (se sarà fatta), per il processo civile (fa discutere la proposta di smaltimento degli arretrati, ndr): si eviterebbero tanti problemi».
Qual è il pericolo?
«Perché così si rischia di avere: l'avvocatura, schierata contro; la magistratura, schierata contro; l'opposizione, schierata contro. E alla fine ci si chiede se ce la farà il Governo a reggere tutte queste cose».
D'accordo. Intanto voi avrete esultato, suppongo, quando l'ordinanza del Tar Lazio ha messo per iscritto che la figura del mediatore, così com'è conformata attualmente, non dà adeguate garanzie. Vero?
«Non c'è dubbio. Mi sembra palese, qua siamo veramente alla follia: pensi che basta una laurea triennale qualsiasi, quindi anche un odontotecnico... L'altro giorno ero a Trapani a un convegno: mi dicevano che in un organismo di mediazione c'è un professore di ginnastica, dunque diplomato all'Isef. Perché basta un diploma triennale in qualsiasi materia e poi un corso di cinquanta ore».
E sono poche?
«Cinquanta ore, detto così, sembran tante. Ma in realtà cinquanta ore si fanno in sei giorni: se lei va sul web, vedrà che c'è un sacco di annunci: "Vuoi diventare mediatore? Due fine-settimana nella località che vuoi tu e ti facciamo diventar mediatore"».
Rispetto a queste osservazioni, però, come vi difendete dall'accusa di essere scesi in campo per tutelare un interesse di natura corporativa?
«Mah, guardi, questo non mi preoccupa. Se fosse vero, non ci sarebbe niente di male, nel senso che è giusto che ogni categoria difenda - anche - i propri interessi, quando non sono in contrasto con quelli della collettività. Se si volessero, per dirne una, chiudere i giornali, i giornalisti protesterebbero».
Certo.
«Se si volessero chiudere gli ospedali, protesterebbero i medici non soltanto per la questione-pazienti ma anche perché sarebbero preoccupati per il loro futuro professionale. Quindi, di per sé, non è una cosa ignominiosa. Però io sono convinto, ma lo sono davvero, che gran parte dell'avvocatura, non dico tutta, sia più preoccupata della deriva privatistica verso cui si sta avviando la Giustizia civile che non del fatto che ci sia un pochino di lavoro in meno. Perché questa, poi, è una cosa anche da verificare: non so se sarà veramente così. Forse sì, se dovesse la mediazione continuare... Ma non è neanche detto. Penso che probabilmente per le liti bagatellari un filtro con una mediazione obbligatoria ci poteva anche stare, perché alla fine i costi e i tempi di un processo civile per una lite di scarsissimo interesse sono in qualche modo ingiustificati».
Vediamo se ho capito bene. Voi dite: laddove mediaconciliazione significa affidare a un odontotecnico, con tutto il rispetto, la composizione delle liti, noi civilisti non ci stiamo e non conviene neanche ai cittadini.
«No, no, non conviene per niente: perché non sarebbe serio. Quelle che noi chiamiamo "liti bagatellari" per il cittadino possono avere un interesse reale. Anche perché le cose hanno un senso relativo: ci sono persone per cui 2 mila euro hanno la loro importanza. Per un pensionato che prende 600 euro al mese, 2 mila euro sono una sommetta di tutto rilievo. Magari più che 200 mila euro per un grosso imprenditore. È tutto relativo. Quindi è chiaro come il livello dei mediatori debba essere cambiato, la selezione debba essere diversa: questo è un ragionamento che va fatto per tutti, anche per le liti minori. Sull'obbligatorietà, invece, dico: per le liti di modestissimo valore e di modesta incidenza sulla vita del cittadino, portare tutto nelle aule di giustizia sarebbe bellissimo ma...».
...magari non vale la pena. Eppure c'è un paletto costituzionale rigido all'articolo 24: tutti possono agire nel giudizio per tutelare i loro diritti e gli interessi legittimi. È qui che rischia di cadere di fronte alla Consulta l'obbligatorietà della mediaconciliazione, o no?
«Non c'è dubbio. Vede, il nostro sistema fa acqua sotto vari aspetti ma i rimedi devono essere diversi, e ci sono. Noi non dobbiamo guardare agli americani, che hanno un sistema completamente diverso, ma che non è bello: per fare una causa negli Stati Uniti bisogna essere delle persone ricche. Così come per farsi curare. Non dobbiamo imitare dei modelli che escludono il cittadino normale dalle cure sanitarie o dall'accesso alla giustizia. Negli Usa per fare una causa a un'azienda importante bisogna investire delle somme enormi. Da noi no. Noi abbiamo una tradizione diversa che dobbiamo difendere: per questo gli avvocati si sono arrabbiati. Noi non vogliamo diventare degli avvocati all'americana: noi vogliamo rimanere degli avvocati all'italiana, con le nostre tradizioni, che sono quelle di difendere il cittadino e l'accesso alla giustizia del cittadino. Eppoi su questa mediazione c'è una cosa che ha nessuno detto».
Sentiamo.
«Se lei guarda l'elenco delle materie, vedrà che riguardano tutte i diritti del cittadino normale, privato. Non riguardano il diritto commerciale, delle imprese: ce n'è una sola, l'affitto di aziende, ma di cause così in Italia non se ne fanno molte. Poi c'è l'ultima voce: relativa alle controversie nei confronti delle banche, delle finanziarie, delle assicurazioni. Ma è a favore di queste ultime, perché in queste cause le banche, le finanziarie, le assicurazioni sono tutte convenute e non attrici: se diventa difficile l'accesso alla giustizia, questo si ritorce contro il privato cittadino perché è lui che fa causa alle banche, alle finanziarie e alle assicurazioni. Si creano due binari che non ci piacciono assolutamente: giustizia per le aziende, che ha via libera, non è soggetta a mediazione, a ostacoli all'accesso, a ulteriori costi; invece il privato cittadino, se vuole rivolgersi al suo giudice, deve prima superare tutti questi ostacoli».
Nel provvedimento che avete impugnato davanti al Tar Lazio c'è chi rileva un profilo di illegittimità che si staglia con una certa chiarezza: il decreto potrebbe essere stato emanato con un eccesso di delega, laddove un atto amministrativo non può certo derogare a norme di legge ordinaria. Sul giudizio della Corte costituzionale siete ottimisti o pessimisti?
«Guardi, noi ci crediamo».
Per voi è incostituzionale, punto.
«Le do una notizia: siamo i primi ad aver deciso di costituirci davanti alla Corte costituzionale. Abbiamo già dato mandato ai nostri precedenti difensori, gli avvocati Antonio De Notaristefani e Francesco Storace (i legali che hanno sostenuto la causa davanti al Tar Lazio, ndr): a questi si aggiunge il professor Giuliano Scarselli, che è titolare della cattedra di procedura civile all'Università di Siena e che fa parte del nostro centro studi dell'avvocatura civile italiana. Quindi, noi ci crediamo».
E dimostrerete che il provvedimento è illegittimo?
«Lei sa, però, che le decisioni della Corte costituzionale qualche volta hanno anche dei condizionamenti politici. Non "politici" nel senso di "partitici". Ma politici in senso più nobile, in questo caso: qualche volta la Corte costituzionale fa anche dei ragionamenti di politica giudiziaria, di convenienza per lo Stato. Potrebbe essere indotta in errore, subire delle pressioni. In senso buono, dico».
Nel senso di salvaguardare l'esistente, diciamo.
«Esatto. Lo dico in senso molto tranquillo».
Allora non siete affatto sicuri di vincere.
«Con la giustizia non si è mai sicuri. Chi racconta di esser sicuro di vincere, racconta delle storie».
Però siete ottimisti.
«Però ci crediamo, siamo convinti della nostra battaglia, andremo fino in fondo. D'altra parte il Tar Lazio ha confermato che non erano fantasie, le nostre: sono invece cose molto concrete e serie».
Quando crede arriverà la sentenza della Consulta?
«I tempi medi, da quello che vediamo, vanno da un minimo di sette-otto mesi a un anno. Poi c'è sempre una certa discrezionalità della Corte, se ritiene questa decisione un po' più urgente o no. Le dico anche un'altra cosa».
Prego.
«Stiamo anche valutando, e si tratta di una valutazione effettivamente complessa, la possibilità di riproporre al Tar Lazio la questione della sospensione (del regolamento, ndr). Il giudizio è solo sospeso, però il tribunale amministrativo non si è pronunciato su questo: potrebbe sembrar quasi una dimenticanza».
Potreste quindi tornare alla carica col Tar per la sospensiva.
«Il Tar si è concentrato sulla questione di legittimità ma non ha detto "no" alla sospensiva. Se si fosse pronunciato, invece, sarebbe stato necessario rivolgersi al Consiglio di Stato».
Alla fine chi vincerà?
«Mi auguro che vinca il buonsenso. Il Ministero deve capire che, indipendentemente dal fatto che questa legge sia momentaneamente vigore, se poi chi in gran parte la deve attuare prende una posizione contraria e cerca di boicottarla - perché crede che sia ingiusta e mal fatta - secondo me la vita (della legge, ndr) diventa molto stentata. Io credo che bisognerebbe veramente sedersi attorno a un tavolo, in maniera molto distesa, e cercare di trovare una soluzione concordata: questo permetterebbe di non avere né vincitori né vinti e anche al Ministero e al ministro della Giustizia di non rischiare, magari, uno smacco. Io mi auguro che, anche se per ora non ci sono le premesse perché il ministro ha detto "avanti a tutta forza", ci sia il buonsenso e che si trovi una soluzione che sia nell'interesse della Giustizia e dei cittadini e non sia né negli interessi degli avvocati né dei politici. Ecco: questa sarebbe la cosa migliore. Se si vuole arrivare in fondo, allora dovremo aspettare la Corte costituzionale».

Dario Ferrara  (da cassazione.net)