giovedì 21 aprile 2011

Ingiusta detenzione: l'imprenditore va risarcito per la perdita di appalti e fidi bancari

 No al danno esistenziale, ma è impossibile ignorare la lesione alla salute.
«Gogna mediatica» e riparazione

Diciotto giorni di carcere, oltre quattro mesi agli arresti domiciliari. Poi l'imprenditore calabrese è definitivamente assolto dall'accusa di associazione a delinquere e ottiene una riparazione di 30 mila euro per l'ingiusta detenzione (300 euro per ogni giornata di carcere, 200 per i "domiciliari"). Ma l'indennizzo non basta: è escluso che il giudice possa cavarsela con un semplice criterio aritmetico senza verificare se l'azienda dell'uomo d'affari, incriminato e scagionato, abbia subito perdite o perso occasioni d'affari riconducibili alla reclusione del titolare. E se il danno esistenziale è intrinseco alla privazione della libertà, non si può evitare di verificare la sussistenza del danno alla salute di chi lamenta di essere stato per anni esposto alla «gogna mediatica» su giornali e televisioni locali. È quanto emerge da una sentenza emessa il 20 aprile 2011 dalla terza sezione penale della Cassazione.
Danno emergente e lucro cessante
Il primo giudice del rinvio non si attiene ai principi già indicati dalla Suprema corte: sarà allora un'altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro a provvedere. La perizia contabile del richiedente lamenta perdite secche per l'impresa: durante la reclusione del titolare l'azienda è esclusa da tutti gli appalti e si vede negare i fidi dalle banche. Ma la Corte d'appello la ignora e si limita a escludere che vi sia stata una diminuzione di profitti o un aumento delle perdite: avrebbe dovuto invece verificare se, per il solo fatto che l'imprenditore era stato ingiustamente arrestato, a carico della società fossero scaturite obbligazioni risarcitorie oppure fosse andata a monte la conclusione di contratti d'affari. Ci penserà il giudice del (secondo) rinvio.
Libertà negata
Passiamo al danno non patrimoniale. Nella riparazione per l'ingiusta detenzione va esclusa una voce ad hoc per il danno esistenziale perché la privazione della libertà di per sé è già sufficiente a sconvolgere la vita di una persona. E se anche lo stato ansioso e il disagio psichico sono tipici della reclusione, e dunque devono essere ritenuti compresi nel mero calcolo aritmetico dell'indennizzo, il giudice della riparazione non può esimersi dal verificare la sussistenza di un danno alla salute o una lesione psichica permanente. Insomma: sarà necessario verificare se, a causa dell'ingiusta detenzione, l'imprenditore abbia contratto una sindrome depressiva ansiosa a carattere permanente.

Dario Ferrara (da cassazione.net)