sabato 9 aprile 2011

Il divieto di tuffarsi esige un cartello

La Corte di Cassazione ha imposto il risarcimento del danno ai gestori di una piscina
in cui si era tuffato un ragazzino ignorando che ci fosse poca acqua

Un ragazzino, preso dall’euforia di un bagno in piscina, peccando in verità un po’ di distrazione, si è tuffato in piscina dove l’acqua era a un livello bassissimo procurandosi lesioni molto gravi. La distrazione non giustifica però il comportamento dei gestori della piscina che sono stati ritenuti responsabili da parte della Corte di Cassazione, che con sentenza n. 5086 li ha obbligati al risarcimento. Nessun cartello, infatti, segnalava il divieto di tuffarsi o indicava il pericolo dell’acqua bassa. Usando le parole dei giudici «l'apposizione di mezzi idonei a segnalare la profondità della piscina e di un esplicito cartello per vietare i tuffi, dove la profondità della piscina e di un esplicito cartello per vietare i tuffi, dove la profondità non li consente in sicurezza, risponde alle comuni regole di prudenza, specificate nei confronti del gestore della piscina, volte ad impedire il superamento dei limiti del rischio connaturato allo svolgimento dell'attività sportiva. Nessun rilievo può avere, quindi, la mancata elencazione di tali obblighi in norme primarie o secondarie, o in norme elaborate dagli organismi sportivi di riferimento. La loro eventuale esistenza non farebbe altro che codificare generali norme di prudenza rispetto a chi, per la natura dell'attività svolta, è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti nell'organizzazione della propria attività economica». La Corte ha poi aggiunto che «alla luce del consolidato criterio della cosiddetta causalità adeguata, (sulla base della quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono - ad una valutazione ex ante - del tutto inverosimili), non può negarsi che non è inverosimile l'ipotesi che, in presenza di idonei segnali di pericolo, il comportamento dell'uomo medio, e, tanto più quello di un'adolescente, avrebbe potuto essere più accorto sino ad arrivare ad escludere il compimento del comportamento vietato».

(Da famigliacristiana.it del 31.3.2011)