martedì 4 settembre 2012

Va risarcito dipendente esposto a polveri d’amianto


Cass. Pen., sez. IV, sent. 27.8.2012 n° 33311

In caso di decesso per specifiche patologie derivanti certamente da esposizione alle polveri di amianto, è sufficiente la prova dell'assorbimento delle polveri per accertare la responsabilità penale delle persone che avrebbero dovuto impedire l'esposizione. E' quanto ha disposto la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 27 agosto 2012, n. 33311.
Il caso vedeva un dipendente della Fincantieri Porto Marghera decedere, in età oramai avanzata, a seguito della prolungata esposizione alle polveri d'amianto.
Secondo i giudici della Suprema Corte sussiste il nesso di causalità tra l'omessa adozione, da parte del datore di lavoro, di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando, sebbene non sia possibile determinare l'esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul tempo di latenza.
In altri termini, continuano i giudici "se il garante avesse tenuto la condotta lecita prevista dalla legge, operando secondo il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica, l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In questo senso l'evento doveva ritenersi evitabile".
Si ricorda come, in tema di "legge statistica", l'esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poichè il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".
Di conseguenza, l'esercizio di attività pericolosa avrebbe imposto al datore di lavoro l'approntamento di ogni possibile cautela, dalla più semplice ed intuitiva alle più complesse e sofisticate, secondo quel che la scienza e la tecnica consigliavano.

(Da Altalex del 3.9.2012. Nota di Simone Marani)