martedì 22 maggio 2012

A proposito di “sciopero bianco”…


Com’è noto, l’Ordine di Catania non ha aderito all’iniziativa proclamata dall’OUA.
Sull’argomento proponiamo un’interessante riflessione estratta da Altalex.

Si tratta dell’ennesimo tentativo dell’avvocatura di richiamare l’attenzione sulle sempre più pressanti esigenze della classe forense, divenuta sistematicamente il bersaglio degli interventi attuati dai governi - politici o tecnici che siano - e solitamente realizzati mediante il disinvolto ricorso alla decretazione d’urgenza, portatore della continua modificazione sostanziale dei più tradizionali canoni che - da qualche secolo a questa parte - avevano caratterizzato lo svolgimento del processo, in particolar modo quello civile, e lo stesso esercizio dell’attività forense.
In seguito ai reiterati interventi nel periodo 2006-2009, può tranquillamente sostenersi che la disciplina codicistica vigente nei sessant’anni successivi al conflitto, abbia subito una radicale rinnovazione prodotta dalle periodiche riforme contenute negli annuali provvedimenti "multi-proroghe", nelle leggi finanziarie e, sopratutto, degli occasionali deCRETINI (si fatica sempre a resistere alla tentazione di utilizzare questa definizione) di dubbia valenza giuridica, solitamente adottati nella totale assenza di coinvolgimento della classe forense - oltre che, ove interessata, della magistratura - e generalmente convertiti sotto il giogo della fiducia parlamentare.
A complicare il contesto descritto, si sono inserite - con altrettanta regolarità - ulteriori disposizioni legislative comprensive della graduale sostituzione della componente togata con quella onoraria, regolarmente chiamata a coprire le falle dell’organico; dell’ampliamento delle competenze del Giudice di pace - che, non se ne abbia a male, continua svolgere compiti sempre più assimilabili a quelli di un togato, pur senza esserlo - e completata dalla recente introduzione di strumenti lontani dalla tradizione giuridica italiana (la mediazione civile e commerciale, oltre che tributaria, ispirata ai volontari meccanismi propri dell’ADR, non affidati alla libera determinazione dell’interessato ma ad una preventiva ed obbligatoria ‘scelta’, altrimenti sanzionata processualmente).
L’edificante quadro d’insieme è stato completato con l’aumento delle spese di giustizia e la recentissima liberalizzazione dei compensi relativi all’attività forense: tutti elementi che, considerati nel loro insieme, inducono ad una obiettiva convinzione sulla graduale riduzione del contenzioso civile - ma il tributario non è da meno - e l'inevitabile riflesso che essa spiega sulla futura attività professionale forense.
Di fronte allo svuotamento del sistema preesistente, sorprende, peraltro, il tentativo di sollecitare il giovane laureato allo svolgimento dell’attività professionale, agevolandola con la riduzione del periodo di tirocinio a diciotto mesi - in parte espletabili in quel contesto universitario al momento inadeguato a garantire l'indispensabile contatto con la pratica giudiziaria - e beneficiandolo di un contentino economico soggetto ad una non meglio determinata quantificazione.
Da qui il periodico ricorso dell’avvocatura a forme di protesta, che non riescono neanche ad operare quel necessario coinvolgimento della pubblica opinione e dei media, immediatamente allertati dagli scioperi di altre categorie lavorative (tassisti o farmacisti) ma del tutto disinteressati alle rivendicazioni dell’avvocatura, occasionalmente affidate alla ormai storica ‘marcia su Roma’ dei togati di qualche anno fa, o all'astensione dalla partecipazione alle udienze - singolare nella modalità esecutiva, che prevede l’obbligo di comparizione...al sol fine di dichiarare l'astensione dalla partecipazione all'udienza !
Memore delle passate - e inefficaci - esperienze, l’O.U.A. ha, pertanto, deciso di farsi promotore di una forma alternativa di rivendicazione, drastica, virtualmente idonea ad attirare l’attenzione dei media (forse) e del Governo (?) sulle ragioni delle rimostranze manifestate dall’avvocatura: lo “sciopero bianco”.
A dispetto del nome, sappiamo ormai che non si tratta di una vera e propria astensione come genericamente intesa, ma - secondo le disposizioni sommariamente indicate nel manifesto pubblicato dall’O.U.A. - della richiesta (pretesa?) di osservanza delle regole processuali di forma e di sostanza: l’astensione da qualsiasi attività di supplenza, volontaria e gratuita, quotidianamente assicurata al personale degli Uffici Giudiziari - consegna della carta all’atto dell’iscrizione a ruolo, ausilio nella ricerca dei fascicoli, acquisizione di fotocopie, etc.. - e quindi, di fatto, l’adozione di un atteggiamento che ripristina quella netta distinzione dei ruoli in cui l’avvocato viene esentato dallo svolgere funzioni di cancelliere aggiunto, dattilografo, fornitore di materiale per ufficio, o, all’occorrenza, fuochista o macchinista.
Prendendo per buone le statistiche ufficiose rilevate su Twitter proprio grazie alla sollecitazione di Altalex e poi trasposte nell’elenco redatto, si sarebbe tentati di affermare, parafrasando, che “lo sciopero più che bianco sia destinato ad andare ...in bianco”
Pochi, infatti, i C.O.A. - e soprattutto gli Ordini delle grandi città - che hanno manifestato la loro adesione allo sciopero con determinazioni adottate in sede consiliare o in quelle assembleari appositamente convocate - come ad esempio accaduto a Catanzaro o Teramo - per conoscere l’orientamento degli iscritti; o, ancora, mediante ricorso ad iniziative che, seppur apprezzabili sul piano della tempestività e della rapidità - il referendum tra gli iscritti attraverso comunicazione con p.e.c. indetto dal C.O.A. Roma - rischiano di ridurre la partecipazione numerica, escludendo i non avvezzi all’utilizzo dello strumento.
Si impongono, allora, delle preliminari considerazioni di politica forense, oltre di pratica opportunità, sulle motivazioni che potrebbero aver indotto numerosi Ordini a non scegliere la strada dell’astensione.
Partendo dal piano politico, si continua ad avere l’impressione della notevole disorganicità nelle misure adottate dalla classe forense, a cui non pare possa essere d’aiuto la paventata costituzione di quell’ulteriore componente (‘Consiglio Superiore dell’Avvocatura’) ipotizzata pochi mesi or sono.
Ancor più manifesta, poi, si rivela la difficoltà di individuare una rappresentatività della classe forense che l’O.U.A. continua a ritenere propria ma che non pare venga univocamente recepita a livello locale ed anzi contrastata da improvvisate composizioni sindacali più o meno rilevanti numericamente e più consoni alla rappresentanza di categorie lavorative più che della professionale classe forense.
Last but not least, la sostanziale inefficacia delle precedenti “prove di forza” dell’avvocatura, che, al di là della citata marcia su Roma, non paiono aver prodotto alcun risultato duraturo, soprattutto in merito alla condivisione di idee tra organi forensi e organi di governo.
Quanto all’aspetto pratico - o di opportunità pratica - si appalesa spesso la difficoltà concreta di aderire ad una protesta che si rivela dannosa sia per l’avvocato che per il suo cliente, nonché, com’è di tutta evidenza, per il corso già difficile del giudizio - sopratutto quello civile - già bersaglio delle riforme e riformine prima illustrate e che risentirebbe ancor di più delle conseguenze derivanti dall’adesione allo “sciopero bianco”.
Il rischio evidente, infatti, è che la formale osservanza delle norme procedurali possa comportare il prolungamento di ogni singola udienza e di ogni singola attività posta in essere dagli uffici, fino al raggiungimento del limite temporale massimo del funzionamento degli uffici giudiziari e dei suoi dipendenti, con conseguente rinvio delle stesse a data da destinarsi e ipotizzabile lesione dei già delicati rapporti con la Magistratura e i Cancellieri degli Uffici giudiziari.
Al di là delle considerazioni che precedono, pare fondamentale chiedersi ancora una volta se i cittadini saranno in grado di percepire l’effettiva portata della protesta che in qualche modo li interessa e li coinvolge direttamente al pari degli “scioperanti”. Saranno essi consapevoli del pericolo derivante da una liberalizzazione totale che rischia di assimilare l’espletamento dell’attività forense a quello di una qualsiasi attività commerciale, in cui l’elemento distintivo diviene il prezzo del servizio, più che la sua qualità ? Saranno informati del fatto che l’obbligatoria retribuzione del praticante potrebbe comportare la difficoltà del giovane di accedere alla pratica forense? Saranno consapevoli del fatto che il prolugamento del giudizio si traduce in un contestuale danno per l’avvocato, il cui guadagno - come noto - non è legato alla durata del giudizio stesso?
Si tratta di domande che sembrerebbero destinate ad unica e univoca risposta, presumibilmente idonee a legittimare le perplessità degli avvocati sull’adesione a tale forma di protesta.
Che fare, allora?
Una possibile soluzione consiste nell’ipotizzare un cambiamento che venga dalla base, anche utilizzando le idee e le spinte - bottom up - che nascono dai social come Twitter - dove la comunità legale è piuttosto attiva e dove per mesi si è parlato, e si continua a parlare tuttora, di #avvriforma e #cpcriforma; nel promuovere un dialogo concertato che sostenga le idee di tutti e non solo dei vertici, nel confronto con gli operatori del diritto e con i decisori; nella costruzione di una riforma, in forma di legge, davvero partecipata, nel costante confronto sugli obiettivi, ma anche sui processi e sui metodi per raggiungerli, non trascurando di concordare le modalità con tutte le professionalità a diverso titolo coinvolte.
E, soprattutto, pensare sempre allo sciopero, di qualsiasi colore esso sia, sempre e solo come un momento necessario di riflessione e non come la soluzione del problema.
In tale direzione, sarebbe auspicabile una ‘alfabetizzazione’ allo sciopero - ne parliamo sempre più spesso, di alfabetizzazione, come si vede, nei vari e differenti contesti - che renda consapevoli gli avvocati della sua portata, ma anche i cittadini - e i media - delle reali finalità dello stesso.
Forse è arrivato il momento di parlare seriamente di tutto questo.

(Da Altalex del 16.5.2012. Articolo di Maria Morena Ragone e Fabrizio Sigillò)