lunedì 3 marzo 2014

Orlando, da te vogliamo fatti

Gli avvocati aspettano il nuovo ministro
sui quattro punti chiavi del processo civile

Il 20 febbraio sono scesi in piazza con le toghe e i fischietti, 15.000 avvocati che hanno quasi paralizzato il traffico del centro di Roma per alcune ore. Una nuova astensione dalle udienze è stata indetta dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura dal 17 al 22 marzo, però lo stesso Oua, pur chiedendo con fermezza al nuovo ministro Andrea Orlando “un forte cambio di rotta”, ha una posizione attendista, e tutto sommato fiduciosa. Anzi, spiega il presidente Nicola Marino, in effetti un primo segnale positivo già c’è stato: «Le commissioni Giustizia di Camera e Senato hanno finalmente dato parere positivo ai nuovi parametri forensi, che giacevano in Parlamento da un anno e mezzo, e che servono a determinare spese e onorari in mancanza di accordo tra le parti. È sicuramente un segnale positivo, noi non vogliamo fare un braccio di ferro con il ministro al quale invece auguriamo buon lavoro. Aspettiamo una convocazione: se ci fosse, potremmo revocare la protesta ». Fiducia a parte, il giudizio estremamente negativo della categoria nei confronti del disegno di legge di riforma del processo civile, approvato il 17 dicembre dal Consiglio dei ministri, e attualmente all’esame del Parlamento, non si è spostato di un millimetro. Però il Consiglio Nazionale Forense, che pure il 18 dicembre, all’indomani del via libera del Cdm, aveva espresso «il più radicale dissenso sul disegno di legge delega e la ferma riprovazione per taluni dei suoi contenuti», tanto da partecipare alla manifestazione di protesta del 20 febbraio con il consigliere segretario Andrea Mascherin, adesso non ritiene sia il caso di andare avanti con altre azioni di protesta: meglio aspettare e vedere quale sarà la posizione del nuovo ministro. L’Aiga, l’associazione dei giovani avvocati, non ha ancora deciso se aderire alle nuove proteste indette dall’Oua: «Abbiamo aderito alla scorsa manifestazione e astensione, però adesso aspettiamo di vedere cosa farà il nuovo governo. – spiega il presidente Nicoletta Giorgi – Certo se la situazione rimane la stessa, se non cambia nulla, valuteremo che altri segnali di protesta dare. Abbiamo dato al ministro le nostre priorità: diamogli il tempo necessario. Noi chiediamo che il ddl venga messo da parte e che si riparta con una riforma nuova, però siamo disposti anche a discutere su questo, purché il ministro ci dimostri che intende stralciare dal provvedimento tutti quegli aspetti che abbiamo contestato». Sono quattro le norme più contestate all’unanimità da tutte le associazioni di categoria, nazionali e locali: la prima è la cosiddetta “sentenza a pagamento”, per cui il giudice dovrà semplicemente pubblicare il dispositivo. Nel caso in cui l’avvocato voglia conoscere le motivazioni, per impugnare, dovrà pagare per la seconda volta il contributo unificato e i diritti di cancelleria. Sotto accusa anche l’istituzione di una sanzione economica a carico dell’avvocato se il giudice valuta la causa “temeraria” (priva di fondamento giuridico). Ancora, molto contestata anche l’istituzione del giudice unico in appello, in sostituzione dell’attuale collegio di tre giudici. E infine, c’è la norma che prevede una consulenza tecnica di parte obbligatoria prima di iniziare il processo per le materie “ad elevato tasso tecnico”, considerata penalizzante nei confronti di chi non ha i mezzi economici sufficienti per sostenere le spese. Tutte norme che, semmai dovessero accorciare i tempi del processo civile, raggiungerebbero l’obiettivo solo perché molti cittadini non avrebbero i mezzi per sostenere queste nuove e gravose spese. Ma non è detto neanche che questo avvenga, nonostante i rincari: «Negli ultimi 8 anni – ricorda il Consiglio Nazionale Forense – ci sono stati 17 interventi legislativi sul processo civile. Ma i tempi di durata sono aumentati di due anni. Nel frattempo, i costi sono lievitati del 55,62% per il primo grado, del 119,15% in appello e del 182,67% in Cassazione”. Però adesso qualcosa potrebbe cambiare: «La delibera dell’Oua è stata assunta in un momento in cui non c’era ancora il governo. – spiega il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma Massimo Vaglio – Da parte nostra c’è grande fiducia nel nuovo ministro: il grosso vulnus del ministro precedente era che non voleva neanche incontrarci. Se il governo dovesse decidere di ritirare il decreto e ascoltare le nostre istanze, certo torneremo sui nostri passi. Siamo sereni, la nomina di questo ministro è indicativa: Andrea Orlando, quando era responsabile giustizia del Pd, ha partecipato a tavola rotonda degli Ordini e ha mostrato di condividere le nostre istanze».


(Da repubblica.it)