martedì 5 giugno 2012

Nato morto: no risarcimento danno da perdita chance jure hereditatis


Tribunale Varese, sez. I civile, sentenza 14.3.2012

Il nato morto non può considerarsi "persona", poiché il feto, pur essendo senz’altro un soggetto titolare di interessi meritevoli di protezione non è una persona fisica in senso tecnico-giuridico. Non essendo nato, non acquista situazioni giuridiche soggettive risarcitorie che possa trasferire agli eredi. E' quanto ha stabilito la Prima Sezione Civile del Tribunale di Varese, con la sentenza 14 marzo 2012.
A seguito di un intervento di parto cesareo, veniva estratta dall'utero materno una bambina priva di segni vitali, a causa di un ematoma del cordone ombelicale. Nonostante gli sforzi compiuti oer rianimare la piccola, questa non riusciva a sopravvivere. L'autopsia svolta in un secondo momento aveva rilevato che la bambina era nata senza aria nei polmoni e, quindi, nata morta.
La parte attrice citava in giudizio l’ospedale convenuto ed il sanitario che aveva svolto l'operazione, per ottenere il risarcimento dei danni subiti, in particolare il danno da perdita di chance, ritenuto trasferibile jure hereditatis, deducendo la sussistenza di nesso causale tra la condotta imperita dei convenuti ed il decesso della bambina.
Per insegnamento costante, la nascita del feto corrisponde alla completa fuoriuscita dal corpo materno. La fuoriuscita del feto, comunque essa avvenga, non è un requisito sufficiente per considerare il soggetto "nato", essendo necessario l’ulteriore requisito dell’atto respiratorio: il feto, fuoriuscito dall’alveo materno, deve respirare, anche senza avere un'attitudine a vivere di vita autonoma.
Come evidenziato dai giudici di merito "L’accertamento della nascita, passa per prove scientifiche che sono note per la credibilità oggettiva e riconosciuta dalla letteratura scientifica: in particolare, il feto che, all’esito dell’esame autoptico, non abbia aria nei polmoni, non può definirsi nato vivo, proprio perché sussiste la prova che non ha respirato".
Di conseguenza, nessun danno può essere vantato dai genitori, jure hereditatis, né soprattutto quello “tanatologico”. Infatti, premesso che i diritti assoluti primari alla salute e alla vita, sono distinti, la lesione dell'integrità fisica con esito letale non può considerarsi la più grave forma possibile della lesione alla salute perché la tutela di questo bene implica che il soggetto leso resti in vita menomato, mentre se la persona offesa muore la morte impedisce che la lesione del bene giuridico della salute sia risarcibile per colui che non è più in vita. Pertanto va esclusa la risarcibilità del danno c.d. tanatologico iure hereditatis.
Sulla base di tali considerazioni, secondo i giudici del Tribunale di Varese, la domanda dei genitori deve essere intesa come generale richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, anche se la parte attrice, tuttavia, incorre in un errore concettuale, postulandio la risarcibilità di un danno da perdita del congiunto e, cioè, da perdita del rapporto parentale.
Questo danno non è configurabile posto che i genitori hanno perso il frutto del loro concepimento, ovvero il feto, e non il figlio.
Qualificato il risarcimento del danno richiesto dai genitori come generico danno non patrimoniale, i giudici territoriali ritengono sussistenti sia la sofferenza morale subita dai genitori che la perduta possibilità di programmare ed attuale lo sviluppo della famiglia. Su tale punto, però, precisano che "trattandosi di perdita di una speranza di vita e non di una vita, le tabelle milanesi giurisprudenziali sul danno parentale, elaborate per la perdita della persona viva, non sono direttamente utilizzabili, se non come parametro orientativo".

(Da Altalex del 21.5.2012. Nota di Simone Marani)