lunedì 28 ottobre 2013

Cade su tombino dissestato: distrazione pedone interrompe nesso

Cass. Civ., sez. VI - 3, ord. 4.10.2013 n° 22684

La Corte d’Appello di Taranto confermava la sentenza con la quale, il Tribunale aveva rigettato la pretesa della parte attrice avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti a seguito di caduta nei pressi di un tombino dissestato, motivando il rigetto con l’incidenza della condotta della ricorrente nella determinazione dell’accadimento, qualificabile quale diretta conseguenza della distrazione e della mancanza di diligenza della stessa, che consentiva di escludere la responsabilità del custode.
Avverso la sentenza di secondo grado, l’istante presentava ricorso per Cassazione, fondando il proprio gravame su quattro motivi:
    violazione di legge quanto alla ripartizione dell’onere della prova con riguardo al risarcimento del danno da cose in custodia e contraddittoria motivazione;
    omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla condotta colposa del Comune, ravvisabile nella mancata manutenzione del tombino;
    omessa motivazione quanto alla valutazione delle circostanze del fatto, data l’erronea attribuzione, da parte del Tribunale, di un rilievo decisivo e determinante alla condotta della ricorrente, omettendo di considerare la ragionevole aspettativa del pedone della sicurezza del manto stradale che limita o esclude la necessità di un continuo e scrupoloso controllo dello stato dei marciapiedi;
    vizio di motivazione della sentenza, costituita dall’aderenza ad un orientamento del Tribunale di Taranto contrario alle ragioni della ricorrente.
La Corte di Cassazione rigettava il gravame, fondando la propria decisione sull’analisi del profilo causale dell’evento.
La Suprema Corte evidenziava che l’accertamento relativo all’efficienza causale della condotta del danneggiato nella determinazione dell’evento dannoso era demandato al giudice di merito, la cui valutazione doveva ritenersi insindacabile, in sede di legittimità, se congruamente motivata.
Indi riteneva ampliamente motivata la sentenza e congruamente considerato il profilo causale dell’evento anche alla luce dell’inversione dell’onere della prova operata dall’art. 2051 c.c. Invero l’onere spettante al custode, di dimostrare il fortuito per sottrarsi alle conseguenze del danno cagionato dalle cose custodite, non esonera il danneggiato dalla prova del nesso causale tra la cosa custodita e il danno.
Nel caso di specie, l’analisi del nesso causale consentiva di ritenere configurabile e provato un comportamento colposo del danneggiato, connotato da distrazione e mancanza di diligenza ed idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e l’evento.
L’ordinanza giunge in tal modo a circoscrivere la portata della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia entro i limiti dell’efficienza causale valutata in concreto, attribuendo un rilievo determinante alla condotta del danneggiato, richiedendo, ai fini dell’attribuzione della responsabilità all’Ente, una situazione di pericolo, cagionata dalla cosa custodita, che l’utente medio non è in grado di prevedere o evitare facendo uso della normale diligenza. Tale valutazione consente di valutare nel caso concreto l’efficienza causale del comportamento del danneggiato nella progressione dei fatti, escludendo la presunzione di colpa del custode.
Trattasi invero di una responsabilità oggettiva che la Suprema Corte ha ritenuto configurabile solo previa esclusione di due fattori costituiti dal caso fortuito e dall’incidenza causale della condotta del danneggiato.

(Da Altalex del 15.10.2013. Nota di Elisa Ghizzi)