venerdì 5 aprile 2013

Revoca assegno mantenimento a figlio maggiorenne che rifiuta lavoro

Cass. Civ. Sez. VI, ordinanza n. 7970/2013

Con l'ordinanza in commento la Cassazione, nel confermare la pronuncia della Corte di Appello di Palermo che aveva “esonerato il padre dal mantenimento della figlia maggiorenne”, nel riaffermare i principi che sono a base dell’onere del genitore non affidatario (o meglio non allocatario) di “contribuire al mantenimento dei figli”, giunge ad una diversa considerazione in ordine all’onere della prova, statuendo come spetti alla parte che goda del “contributo” dimostrare come le offerte di lavoro, presumibilmente legate al titolo di studio raggiunto ed all’età del beneficiario, siano assolutamente inadeguate a coronare le aspirazioni di lavoro e della conseguente autonomia economica.
In buona sostanza, con la Sentenza 7970/13 depositata il 2 aprile 2013, il Supremo Collegio ritiene di confermare in toto i capisaldi interpretativi dell’onere del “contributo al mantenimento dei figli” gravante anche sul genitore “non allocatario”, richiamando espressamente quelli di cui alla nota Sentenza nr. 1830 del 2011:
1)    il giudice di merito non può prefissare alcun termine all’obbligo di un tale contributo.
2)  La cessazione di un tale obbligo è conseguenza del fatto che “il figlio malgrado i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie (e sufficienti) per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo indispensabile ai fini dell’accesso alla professione auspicata, non abbia saputo trarne profitto, per inescusabile trascuratezza o per libera (ma discutibile) scelta delle opportunità offertegli; ovvero non sia stato in grado di raggiungere l’autosufficienza economica per propria colpa”.
Proprio tale ultima prospettazione deve essere poi approfondita, per rintracciare la coerenza con i principi esposti, dell’orientamento espresso con la pronuncia in esame che, solo apparentemente, si può dire difforme.
Ed infatti, in merito all’accertamento dell’atteggiamento di inerzia del figlio od al rifiuto “ingiustificato” dello stesso, allo svolgimento di un’attività lavorativa, ricorda la Sentenza 1830/11, posso soccorrere vere e proprie : “presunzioni, quali esemplificativamente i mezzi economici di cui il figlio si avvale, unitamente al suo tenore di vita, l’essere stato avviato ad attività lavorativa con concreta prospettiva di indipendenza economica, o comunque posto nelle concrete condizioni per poter addivenire alla autosufficienza economica, di cui egli non abbia poi, tratto profitto per sua colpa”.
Così riaffermata la validità del precedete percorso ermeneutico, i supremi giudici hanno riggettato il ricorso teso a riformare la precedente pronuncia di “esonero al mantenimento” rilevando  come l’iter logico dei giudici di Appello fosse ineccepibile, in quanto con “motivazione adeguata e non illogica” facendo riferimento all’età del figlio ed agli studi effettuati, erano giunti alla considerazione che le offerte di lavoro fossero state “colpevolmente” rifiutate.
Ancora una volta dunque, si afferma l’importanza delle caratteristiche della motivazione della Sentenza di Appello, il ragionamento del giudice di secondo grado, ove immune da vizi logici ed adeguato nel suo svogimento, costituisce una vera e propria garanzia per le parti del processo, che vedono così terminare la loro contesa nel merito, con la certezza di una corretta affermazione del diritto vantato.

(Da ilsole24ore.com)