mercoledì 10 aprile 2013

Convivente non si estromette da abitazione senza congruo preavviso

Cass. Civ., sez. II, sent. 21.3.2013 n° 7214

La sentenza della Cassazione n. 7214/2013, occasionata da una vicenda alquanto singolare di cui sono protagonisti due conviventi, fa il punto sulla rilevanza nel diritto italiano dei rapporti inerenti alle coppie di fatto.
La Corte compie un lungo exursus logico e giuridico per giungere a legittimare alcuni effetti delle unioni non fondate sul matrimonio, effetti che stanno ampliandosi sempre di più a livello legislativo e giurisprudenziale.
Il caso riguarda una coppia di conviventi e la vendita di un immobile di proprietà del compagno alla compagna. L’appartamento, ceduto con regolare atto di compravendita, è l’immobile in cui la coppia convive stabilmente. Finita l’unione, la donna costringe l’uomo a lasciare l’abitazione con un’azione singolare: sostenendo di essere vittima di un tentativo di furto o violazione di domicilio, chiama i carabinieri i quali, verificato il regolare possesso da parte della donna, si fanno consegnare le chiavi dal convivente.
L’uomo allora agisce presso il Tribunale di Roma con un’azione di reintegra nel possesso, riuscendo a dimostrare che nonostante il passaggio di proprietà, era in corso una situazione di compossesso dell’immobile derivante dalla convivenza. Il Tribunale da ragione all’uomo, ma la ex compagna ricorre alla Corte di Appello, la quale conferma però la decisione di primo grado, qualificando la situazione di fatto che si era venuta a creare, come compossesso e non semplice detenzione dell’immobile, stante la continuazione della convivenza more uxorio anche dopo l’atto di compravendita.
Si arriva in Cassazione, dove la donna deduce che in realtà la convivenza era già terminata e che comunque la situazione di compossesso non poteva essere dedotta dalla convivenza more uxorio tra le parti, poiché la convivenza non produce effetti sul possesso, e la relazione sulla cosa sarebbe assimilabile a quella di un “ospite”.
La Corte suprema, da una parte riconosce che la convivenza non fa instaurare automaticamente in capo al non proprietario un diritto possessorio autonomo (Cass. Civ. n. 847/2001), ma nega che la posizione del convivente può essere equiparata sic et simpliciter alla posizione di un ospite.
Al convivente che goda con il partner iure proprietatis dello stesso bene, deve essere riconosciuto una situazione assimilabile alla “detenzione autonoma” fondata sulla relazione familiare.
Si cita a tal proposito la sentenza n. 9486/2012 la quale, negando la possibilità di usucapire per il convivente, gli riconosce, in ragione di tale sola convivenza, la qualifica di detentore autonomo.
La convivenza determina, sulla casa in cui si svolge la vita comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio, di conseguenza l’estromissione violenta o improvvisa legittima le azioni a tutela del possesso.
La vicenda concede lo spunto ai giudici, per affrontare l’argomento della rilevanza giuridica e di dignità del rapporto di convivenza che è sempre più oggetto di disciplina da parte del legislatore e della giurisprudenza.
Ne sono esempi:
    l’art. 342 c.c. sugli ordini di protezione anche del convivente contro gli abusi familiari;
    gli art. 417 c.c. e art. 408 c.c. sull’amministrazione di sostegno che introducono accanto al coniuge la persona “stabilmente convivente”;
    l’art. 44, l. 184/1983 permette in alcuni casi l’adozione anche a chi non è coniugato;
    in materia di procreazione assistita anche le coppie conviventi non coniugate possono accedere alle tecniche;
    in materia di consultori familiari non vi è alcuna distinzione tra coppie di conviventi e coniugi.
A livello giurisprudenziale è ormai acquisito il diritto del partner che conviva more uxorio ad essere risarcito in caso di morte del compagno, sia per il danno morale sia per il danno patrimoniale derivante dalla perdita del contributo economico, sempre che la relazione sia caratterizzata da stabilità e mutua assistenza morale e materiale (Cass. Civ. n. 23725/2008).
Anche il convivente more uxorio affidatario di prole naturale, succede nel contratto di locazione stipulato dal defunto convivente ai sensi della legge n. 392/78.
La tutela scaturisce dalla considerazione che la famiglia di fatto può essere considerata come “formazione sociale” riconosciuta dal diritto (art. 2 Cost.) che diventa fonte di doveri morali e sociali per ciascun convivente nei confronti dell’altro (Cass. Civ. n. 14343/2009).
Pur riconoscendo la non equiparazione alla famiglia fondata sul matrimonio, tuttavia l’unione caratterizzata da stabilità e contribuzione reciproca, comporta che non si possa parlare di “ospitalità” per il convivente non proprietario e di conseguenza lo stesso non può essere estromesso improvvisamente dall’abitazione ma ha diritto di vedersi attribuito un congruo termine al fine di trovare un’altra sistemazione abitativa.

(Da Altalex del 27.3.2013. Nota di Giuseppina Vassallo)