lunedì 29 aprile 2013

Depenalizzata la colpa lieve del medico

L’esercente delle professioni sanitarie che si attiene
a linee guida e a buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica nazionale e internazionale
risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave

E’ questa la sentenza della quarta sezione penale n. 16237/2013 che ha annullato con rinvio la condanna per omicidio colposo nei confronti di un chirurgo che, effettuando un intervento di ernia del disco, causò il decesso di un paziente in seguito ad emorragia letale.
Il Tribunale affermava, quindi, la responsabilità in relazione alla condotta commissiva afferente all’erronea esecuzione dell’intervento di ernia discale, assumendo la violazione della regola precauzionale, enunciata in letteratura, di non agire in profondità superiore a 3 centimetri; e di non procedere ad una pulizia radicale del disco erniario, per evitare la complicanza connessa alla lesione dei vasi che corrono nella zona dell’intervento.
Valutazione condivisa dalla Corte d’appello per ciò che attiene al profilo di colpa commissiva. La stessa Corte riteneva che il sanitario fosse in colpa anche per non aver preventivato la complicanza e per non aver organizzato l’esecuzione dell’intervento in una clinica attrezzata per far fronte alla possibile lesione di vasi sanguigni.
La Corte si è trovata, quindi, a determinare se l’esecuzione dell’intervento potesse ricadere o meno nella disposizione normativa di punibilità o se la legge dell’8 novembre 2012 numero 189 abbia determinato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie quando abbiano seguito scrupolosamente le linee guida acclarate dalle leggi scientifiche.
Gli Ermellini hanno essenzialmente affermato il principio contenuto nella normativa di riferimento che ha parzialmente decriminalizzato le fattispecie in questione. In pratica, il principio del favor rei vale anche per i processi ancora pendenti.
La sentenza aggiunge chiarezza al decreto Balduzzi prevedendo che i comportamenti medici sulla base di linee guida riconosciute sono rilevabili in sede penale solo per profili di colpa grave.
Si deve partire, quindi, dall’esame del valore delle linee guida, dirette a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse rappresentazioni scientifiche del problema, vi sia conoscenza scientifica in grado di guidare affidabilmente l’indagine.
La Suprema Corte ha posto nello schema generale della colpa penale, che vede nella concretizzazione dell’evento il rischio che la cautela intendeva evitare, dette linee guida. In tal senso, la colpa del terapeuta ed in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli ed al contesto in cui esso si è svolto, alle difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi, alle contingenze del caso concreto.
La Cassazione pone anche il problema dell’accreditamento delle linee guida.
Quindi la nozione di colpa deve essere riempita con il riferimento alle cautele, ai principi scientifici, alle esperienze maturate nel settore specifico in cui si è svolta la condotta umana oggetto di analisi nel processo.
Senza dimenticare l’analisi della causalità della regola violata, in specie attinente ad un determinato settore professionale della attività umana. Ed in specie se non si versa in caso di colpa specifica, ossia di regola cautelare introdotta da una normativa, anche inferiore alla legge, ma ben presente e conosciuta dal giudice.
Senza dimenticare, ancora, che anche la violazione della regola deve comunque condurre all’evento che la norma cautelare stessa intendeva evitare; norma cautelare che, quindi, non si obiettivizza in una generica causazione dell’evento, ma restringe il campo della imputazione a quegli accadimenti che la norma cautelare, nata dalla esperienza o dalla ricerca scientifica, è diretta da impedire: nell’evento, si afferma in breve ed efficacemente, si deve essere concretizzato il rischio che la cautela intendeva evitare.
La sentenza, dimostra, però, anche «la necessità di un impegno delle società scientifiche ad approvare linee-guida valide accreditate eventualmente da un Ente terzo, e in genere a definire il campo delle buone pratiche cliniche». Questo spiraglio aperto dal combinato disposto di un articolo di legge e dalle interpretazioni della magistratura non elimina la necessità di una legge specifica che disciplini la responsabilità professionale del medico in una logica di sistema sia dal punto di vista civile che penale.
Il rinvio da parte della Cassazione della condanna ai danni di un chirurgo per omicidio colposo, motivato con la necessità di appurare se siano state seguite le linee guide scientifiche così come previsto dalla Legge Balduzzi, è solo un atto dovuto che non cambia la sostanza del problema della responsabilità professionale.
La Corte nega comunque, che le linee guida possano rappresentare standard legali precostituiti di colpa, si da fondare regole di condotta specifiche, data la loro eterogeneità, mutevolezza, finalità, ecc. , rilevando innanzitutto il grado di indipendenza di chi ha formato lo studio e l’istituzione scientifica da cui provengono, che condensano la condivisione dei risultati della ricerca. Vuol dire la Corte, che le linee guida mantengono un grado di astrattezza che impone al medico, al professionista, l’adattamento dal caso concreto, che può risultare mutevole ed abbisognevole di aggiunte: un professionista che segua le linee guida non per questo è automaticamente immune da colpa. Ma se le segue, sarà imputabile solo per colpa grave.
Questo è il punto essenziale della sentenza.
La Legge Balduzzi ha semplicemente assunto una prassi già largamente diffusa nella giurisprudenza confermando giustamente anche in sede civile il risarcimento del danno subito dal cittadino. È ovvio che se il medico ha seguito le indicazioni accreditate dalla comunità scientifica e le comuni regole di perizia e prudenza non dovrebbe essere condannato neanche per colpa lieve.
Ossia: se il sanitario segue le linee guida ma commetta un errore, oppure se le segue e decide di discostarsi per le peculiarità del caso concreto (rectius, dimostri di conoscerle e consapevolmente e motivatamente di discostarsene) risponderà solo di colpa grave.
Le linee guida portano a ridurre la responsabilità del medico che le ha seguite attentamente, al solo profilo della colpa grave, ossia della colpa macroscopica, ingiustificabile da qualunque punto di vista, in relazione alla causa dell’evento, al rischio che si è concretizzato.
Tanto più ci si discosta dalle linee guida immotivatamente, tanto più sarà ravvisabile la colpa grave.
Se sono seguite le linee guida, è da escludere un profilo di colpa se non nel caso di mancato adeguamento al caso concreto dell’approccio terapeutico (rectius, quando le linee guida sono richiamate in modo erroneo); o, anche, quando (ma forse è la stessa cosa), il medico non si accorga della palese necessità di discostarsi dalle linee guida proposte in astratto, ma non utili al caso concreto.
Ed a tal punto ci si discosta necessariamente dalle regole cautelari scritte, per individuare il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime situazioni, il “medico esperto”, che esamina lo stesso caso: poteva accorgersi tale figura astratta di medico modello della necessità di non seguire o di adeguare l’intervento alla peculiarità della malattia affrontata?
Probabilmente, anche in tal caso, si richiameranno altri protocolli di intervento (possiamo immaginare casi eccezionali ove le linee guida non sono mai state dettata, mai un approccio medico considerato) ma in tal caso sarà difficile enucleare un profilo di colpa. Proprio basandosi sulla figura del professionista medio.
Ed infatti, come afferma la Corte, tanto più il caso è di complicata soluzione, tanto meno sarà figurabile un profilo di colpa, come detto.
Sia il decreto Balduzzi sia la sentenza introducono il concetto di colpa grave e colpa lieve per il medico, stabilendo che quest’ultima non ha più rilevanza penale. Ciò significa che, da qui a breve, gli avvocati dei vari pazienti tenteranno di dimostrare in tutti i casi la colpa grave del medico ospedaliero e questo apre la stura ad un problema devastante poichè, in questo caso, tutti i medici eventualmente condannati dovranno risarcire i danni agli ospedali di appartenenza, per importi enormi. Dunque, il decreto Balduzzi, come la sentenza della Cassazione, possono portare a conseguenza pericolose. Inoltre resta lacunoso il riferimento alle linee guida e alle ‘pratiche virtuose’, poiché ad oggi non abbiamo linee guida in Sanità univoche da poter prendere come unico riferimento.

(Da leggioggi.it del 29.4.2013)