martedì 26 febbraio 2013

Pedopornografia, detenzione di materiale e confisca

Cass. Pen. Sez. III, sent. 1.2.2013, n.5143

La sentenza in esame si sofferma sulle recenti novità introdotte dalla Legge 172/2012 agli articoli 600-ter, quater e septies del Codice Penale e, in particolare, sulla definizione di materiale pedopornografico e sul concetto di detenzione di immagini pedopornografiche.

Con riferimento all’oggetto del reato, il materiale pedopornografico, la Corte ha avuto modo di precisare che, a seguito delle modifiche introdotte con la Legge 172/2012 all’articolo 600-ter del Codice penale, non ha più alcun rilievo la contestazione secondo cui non è rinvenibile una sicura definizione di pornografia. Infatti, la citata disposizione normativa prevede espressamente che “… per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

Detta nuova formulazione normativa aderisce all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che aveva fatto propria la definizione di pedopornografia di cui all’articolo 1 della Decisione Quadro del Consiglio n. 2004/68/GAI, che già puntualizzava che “il delitto di pornografia minorile è configurabile esclusivamente nel caso in cui il materiale pornografico, oggetto materiale della condotta criminosa prevista dall’articolo 600 ter c.p., ritragga o rappresenti visivamente un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica”.

Quanto alla detenzione e conservazione delle immagini, la sentenza in esame condivide l’orientamento già espresso sul punto dalla giurisprudenza, per il quale il delitto di detenzione di materiale pedopornografico è integrato anche con l’allocazione di files pedopornografici, scaricati da internet, nel cestino del computer, essendo evidente che i files restano comunque a disposizione mediante la semplice riattivazione dell’accesso ai files (Sez. 3, n. 639 del 6 ottobre 2010). Pertanto, “solo per i files definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione”, di per sé sufficiente alla commissione del delitto, non essendo richiesto un concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico.

Inoltre, i giudici della Corte si soffermano altresì sulle modifiche introdotte all’articolo 600 septies del Codice Penale, dal quale è stato eliminato il richiamo espresso all’articolo 240 Codice Penale ed è espressamente previsto che è “… sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni o al risarcimento dei danni, la confisca dei beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato …”. Pertanto, mentre la confisca delle cose che costituiscono il profitto o il prodotto del reato è obbligatoria, deve ritenersi facoltativa quella concernente le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, che si basa su due elementi di fondo: “vale a dire la prognosi di pericolosità sociale derivante dal mantenimento del possesso della cosa da parte del reo e la strumentalità del bene alla commissione del reato”.

(Da filodiritto.com del 18.2.2013)