mercoledì 6 febbraio 2013

Imposte: no sanzioni per ritardato pagamento se consulente intasca somma

Cass. Civ., sez. tributaria, sent. 20.12.2012 n° 23601

La previsione dell’articolo unico L. n 423 del 1995, opera esclusivamente sul piano della riscossione, fissando le condizioni alle quali, in presenza di violazioni esclusivamente riferibili alla condotta penalmente rilevante dei professionisti ivi indicati, può disporsi la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie a carico del contribuente nonché la commutazione del ruolo in capo ai professionisti.

E’ questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 20 dicembre 2012, n. 23601 che richiama in parte propri precedenti orientamenti (Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza 1° giugno 2012, n. 8825), anche in presenza di sentenze che prevedono casi di applicazione di sanzioni per il contribuente. (Cassazione penale, sez. III, sentenza 8 maggio 2012, n. 16958).

In buona sostanza, secondo gli Ermellini, la norma richiamata non osta a che, in sede di contenziosa, la non punibilità del contribuente presupponga esclusivamente la convincente dimostrazione del fatto che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile unicamente al professionista denunciato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla ricorrenza delle ulteriori condizioni previste dalla L. n. 423/1995, art. 1, per la sospensione del ruolo a carico del contribuente (istanza del contribuente e correlativa procedura) e la sua commutazione in capo al professionista responsabile della violazione.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria provinciale aveva respinto il ricorso presentato dal contribuente che contestava una cartella di pagamento notificatagli da Equitalia, dato che il mancato pagamento delle imposte doveva essere ascritto al comportamento fraudolento del proprio consulente incaricato degli adempimenti fiscali e che, al contrario, “aveva intascato” la somma consegnata dal contribuente stesso. Tuttavia, il giudice di prime cure aveva ritenuto che il comportamento fraudolento del consulente non esentava il contribuente dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, salvo un eventuale successivo diritto di rivalsa nei confronti del consulente stesso.

Di parziale avviso diverso il giudizio della Commissione Tributaria regionale del Lazio che, accogliendo sotto alcuni aspetti il ricorso del contribuente, dichiarava non dovute le sanzioni irrogate dall’Amministrazione finanziaria.

In sede di cassazione, come già anticipato, il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate non trova favorevole accoglimento da parte dei giudici del Palazzaccio che ritiene errata la tesi prospettata dall’Amministrazione che muoveva dal presupposto che l'esenzione del contribuente dalle sanzioni sarebbe condizionata al passaggio in giudicato della sentenza penale o civile che accerti la responsabilità del professionista incaricato dallo stesso del versamento dell'imposta e che sarebbe, pertanto, precluso al giudice tributario di anticipare, in sede di sindacato giurisdizionale sull'atto impositivo, gli effetti eventualmente favorevoli di cui potrebbe beneficiare il contribuente solo nella fase di riscossione, ove risultassero sussistenti tutti i presupposti dello sgravio. In realtà, sostengono i giudici della Cassazione, il ritardo nel pagamento delle imposte è esclusivamente attribuibile al consulente fraudolento, indipendentemente dall’esito del giudizio penale. Da qui il rigetto del ricorso.

(Da Altalex del 21.1.2013. Nota di Alessandro Ferretti)