venerdì 1 febbraio 2013

La responsabilità dell’avvocato non è senza limiti

Cass. Civ., sez. III, sent. 10.12.2012 n° 22376

La responsabilità dell’avvocato nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale sussiste solo qualora il danneggiato dimostri, in termini probabilistici, che, senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, il risultato sarebbe stato conseguito.
È quanto ha stabilito la Cassazione, sezione terza, sentenza 10 dicembre 2012, n. 22376, intervenendo nuovamente sul tema della responsabilità del legale, ed in generale del prestatore d’opera intellettuale.
Il caso vedeva coinvolto un ex ministro condannato dalla Corte dei Conti per avere concesso, a prezzi inferiori a quelli di mercato e ad inquilini scelti con criteri discrezionali, gli appartamenti di un prestigioso immobile pubblico. Il politico aveva citato in giudizio i propri legali, sostenendo che la sua condanna per responsabilità contabile era dipesa da un grave errore dei difensori, non avendo questi ultimi richiesto la fissazione dell’udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni del Procuratore Generale, con conseguente declaratoria d’improcedibilità dell’appello.
La Corte di legittimità, investita della questione, ha rigettato il ricorso, confermando sostanzialmente quanto stabilito in primo e secondo grado.
In particolare, la Cassazione ha precisato, richiamando la giurisprudenza in materia di contratto d'opera intellettuale, che “ove anche risulti provato l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito” (ex multis, Cass. n. 22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06, Cass. n. 9917/2010).
Il giudizio prognostico, ha aggiunto la Corte, consiste in una valutazione volta a verificare se la pretesa azionata a suo tempo, senza la negligenza e/o l'imperizia del legale, sarebbe stata, in termini probabilistici, ritenuta fondata e se il risultato sarebbe stato diverso e più favorevole al patrocinato.
L’indagine è riservata all'apprezzamento del giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretta da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (tra le tante Cass. n. 6967/06, n. 10966/04, Cass. n. 9917/2010),
Per quanto attiene al riparto dell’onere probatorio, è il cliente, che assume di aver subito un danno, a dover fornire gli elementi di prova in ordine al fondamento dell'azione proposta: la difettosa o inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno ed il rapporto di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale ed il danno (cfr. Cass. n. 16846/05, Cass. n. 12354/09).
Resiste, dunque, nel campo della responsabilità forense, la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato in materia di riparto dell’onere probatorio. Infatti, nel caso di obbligazione di mezzi, quale quella dell’avvocato, grava sul creditore l’onere della prova dell’inesatto adempimento, atteso il carattere aleatorio del risultato; nel caso di obbligazione di risultato, il creditore potrà invece limitarsi ad allegare l’inadempimento. Ciò, nonostante le Sezioni Unite (sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533) abbiano chiarito che il criterio di riparto dell’onere della prova è identico per le obbligazioni di mezzi e di risultato.
Infine, sul danno da perdita di una chance invocato dal ricorrente, la Cassazione ha ribadito che esso è risarcibile solo quando si fornisca la prova dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile, riconducibile in termini di nesso causale alla condotta del terzo (cfr. Cass. n. 15385/2011).

(Da Altalex del 14.1.2013. Nota di Giuseppina Mattiello)